Settembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
DA UNA VITTIMA VERA A “BETULLA”: MENTANA L’HA DEFINITO “UN INFAME”… MA QUALCUNO L’HA PROMOSSO A DEPUTATO
Solo gli italiani possiedono il talento di trasformare le tragedie in farsa.
Non avevamo ancora finito di ripiegare i fazzoletti per la condanna ingiusta di Sallusti — reo di avere pubblicato sul giornale da lui diretto un articolo che diffamava un magistrato — quando il giornalista e onorevole Renato Farina ha preso la parola alla Camera e ha ammesso di esserne lui l’autore, celato dietro lo pseudonimo immeritato di Dreyfus, vittima vera.
Un salto di qualità rispetto al precedente nome in codice, Betulla, in auge quando Farina confezionava veline per i servizi segreti.
In un crescendo triste, Betulla Dreyfus ha riconosciuto che il suo articolo non esprimeva un’opinione, ma propalava deliberatamente una menzogna: infatti il giudice, per il quale il corsivo incriminato auspicava la condanna a morte, non aveva ordinato l’aborto di una minorenne.
Lo aveva soltanto autorizzato su richiesta degli interessati, come prevede la legge.
Ecco, la farsa è servita.
Un ex giornalista-deputato che dichiara di avere scritto volutamente non un’opinione, ma una balla per aizzare la rabbia dei lettori antiabortisti e l’odio verso le procure.
E che prima di avvertire «l’obbligo di coscienza» (ohibò) e «la responsabilità morale e giuridica» (doppio ohibò) dei propri atti ha aspettato che il suo direttore fosse condannato in via definitiva.
Mentana lo ha definito un infame. Io non saprei.
Di fronte ai vili provo imbarazzo, vergogna, spavento.
Più che di fronte ai cattivi.
Da oggi Farina mi fa più paura di Sallusti.
Non credo che riuscirò mai a perdonarmelo.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Settembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
ORA TUTTI FANNO FINTA DI CASCARE DAL PERO, MA LE SPESE PAZZE DEL LAZIO FURONO APPROVATE DA TUTTI I PARTITI NELLA COMMISSIONE BILANCIO DELLA REGIONE
Sono riusciti a portare da 1 a 14 milioni di euro i contributi ai gruppi regionali in due anni, ma dopo che è scoppiato lo scandalo Fiorito tanti “non ricordano” o glissano.
Al di là dei reati specifici e personali, la cosa grave è che non solo la maggioranza, ma anche tutti i gruppi di opposizione votarono varie delibere a più riprese in quella vergognosa escalation verso quota 14 milioni di euro.
Non si è alzata una mano a votare contro o una voce a protestare contro l’indegna spartizione dei soldi pubblici, ivi compresi i “duri e puri” Idv, Pd e Storace che ora cavalcano l’indignazione dei cittadini.
Senza nulla togliere ai “noti meriti” della Polverini, le famose ‘spese pazze’ del Lazio (tre milioni e mezzo di euro, di cui 500 mila come mancia al presidente dell’assemblea) sono state approvate all’unanimità nella commissione bilancio della regione, composta da Franco Fiorito (PDL), Andrea Bernaudo (PDL), Claudio Mancini (PD), Romolo Del Balzo (PDL), Stefano Galetto (PDL), Pier Ernesto Irmici (PDL), Mario Brozzi (Lista Polverini), Francesco Carducci Artenisio (UDC), Carlo Lucherini (PD), Filiberto Zaratti (SEL),Vincenzo Maruccio (IDV), Ivano Peduzzi (FDS), Francesco Storace (La Destra).
Tanto per no fare nomi.
Ecco perchè oggi si devono vergognare in parecchi.
(da “Piovono rane“)
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Settembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
UNA QUINDICINA DI MILITARI HANNO ACQUISITO DOCUMENTI SULLE SPESE DEI GRUPPI NEGLI ULTIMI 4 ANNI…. NEI GIORNI SCORSI LE DICHIARAZIONI DEL DEPUTATO ROSSO
Una quindicina di uomini della Guardia di Finanza è negli uffici dei gruppi politici del consiglio regionale del Piemonte per acquisire documentazione relativa alle spese degli stessi gruppi.
L’acquisizione avviene nell’ambito di un’indagine conoscitiva avviata nei giorni scorsi dalla Procura di Torino.
L’acquisizione dei documenti sta avvenendo negli uffici di tutti i gruppi consiliari e — da quanto si è saputo — riguarda le spese sostenute dai gruppi a partire dal primo gennaio 2008.
Nell’operazione sono impegnati gli uomini del Nucleo di Polizia Tributaria di Torino della Guardia di finanza, ai quali i pm Andrea Beconi ed Enrica Gabetta, titolari dell’inchiesta, hanno delegato le indagini.
L’inchiesta riguarda i bilanci dei gruppi del Consiglio regionale del Piemonte ed è nella fase iniziale.
Al momento — da quanto è trapelato — i pm non hanno formulato ipotesi di reato e non vi sono persone sottoposte a indagini.
Il senso degli accertamenti è verificare se ci sono casi di malversazione dei fondi o di irregolarità nella rendicontazione di spese e nelle richieste di rimborso, o di percezione irregolare di benefit come le autocertificazioni di missioni e trasferte, i rimborsi chilometrici, e cosi via.
I finanzieri hanno preso contatto con i rappresentati dei gruppi consiliari, in particolare quelli più corposi, cioè Pd e Pdl.
Davide Bono, capogruppo del Movimento 5 Stelle in consiglio ha chiesto copia nei giorni scorsi dei giustificati dal 2001 a oggi dei rimborsi ai consiglieri regionali: “Ma ci sono stati negati per una volontà politica”.
Proprio il Piemonte era finito casualmente sotto la lente d’ingrandimento dopo le dichiarazioni di Roberto Rosso, parlamentare del Pdl ed ex sottosegretario, che aveva raccontato in tv come un suo amico consigliere si faceva rimborsare con delle indennità il proprio soggiorno in settimana bianca al Sestriere: “Che porcata le Regioni”, aveva esclamato Rosso.
Il parlamentare aveva poi confermato tutto e il consigliere al centro dei sospetti aveva smentito, alimentando così la “caccia al furbetto”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
L’EX GOVERNATRICE HA USATO A GIUGNO DUE MOTOVEDETTE DELLA GUARDIA DI FINANZA PER RAGGIUNGERE PONZA
Non una ma ben due motovedette delle Fiamme Gialle per la gita a Ponza di Renata Polverini.
Una velocissima V2050, mezzo adottato per sconfiggere i contrabbandieri, ad aprire il convoglio e poi un comodo guardacoste lungo 22 metri per la governatrice, i suoi quattro amici e un carico di bagagli.
Che i militari hanno scaricato a terra, improvvisandosi facchini.
Cinque anni fa, dopo lo scandalo per le escursioni del generale Roberto Speciale e di tanti politici a bordo di mezzi della Finanza, si era promesso che non sarebbe mai più accaduto.
Invece questa foto documenta il tour di Renata & Friends lo scorso 24 giugno sulla rotta Ponza-Anzio.
L’ex governatore era di ritorno da un impegno ufficiale: aveva assistito alla finale del Premio Caletta.
Sedeva in prima fila assieme al neosindaco di Ponza Piero Vigorelli, celebre conduttore televisivo da sempre vicino al Pdl e ora top manager de La7, e a Bruno Vespa.
Una serata condotta da Claudio Lippi e dalla meno nota Adele Di Benedetto, con sfilata di modelle abbastanza svestite che indossavano abiti di sarti emergenti laziali, e un mini talk show improvvisato da Vespa.
Tra i premiati Alessandro Cecchi Paone, che sfoggiava brache etniche, e Licia Colò, a cui è stato riconosciuto l’impegno per la promozione dell’isola pontina.
La serata è organizzata da Almadela, un’associazione di Latina che si occupa di promozione tv, moda e formazione giovanile quasi sempre con finanziamenti pubblici.
E il Premio Caletta è venuto a costare circa 30 mila euro, raccolti tra sponsor privati e contributi pubblici, come spiega Alberto Lauretti, presidente di Almadela. Provincia e Regione dovrebbero stanziare 10 mila euro, mentre le spese di luci e palco sono state a carico del Comune.
Secondo Lauretti «il grosso delle spese se ne vanno per i trasporti e i biglietti degli aliscafi».
Gli ospiti, giura Lauretti, «arrivano sempre con mezzi pubblici, così è stato per Paolo Bonaiuti, per il prefetto di Latina e tutti gli altri».
Non per la Polverini, che ha usufruito di un trasporto privilegiato degno di un sovrano.
Stando alle testimonianze, ore prima dello sbarco tre pescherecci sono stati fatti spostare dalle Fiamme Gialle per garantire un attracco rapido.
Con un motoscafo militare che vigilava a largo del molo, accogliendo poi l’arrivo della motovedetta presidenziale.
Che non si trattasse di una missione istituzionale lo conferma anche il suo look: pantaloni bianchi e canottiera fiorita.
(da “L’Espresso“)
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Settembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
“QUEL PEZZO COSTITUISCE UN REATO E CHI DIRIGE UN QIOTIDIANO E’ RESPONSABILE DI CIO’ CHE PUBBLICA”
Così la Cassazione ha detto che Alessandro Sallusti deve andare in prigione.
Ricorso rigettato e condanna alle spese processuali. Tutta la campagna sul preteso reato di opinione non vale la carta su cui è stata scritta.
Solo perchè lo ha detto la Cassazione? Basterebbe.
Ma ci si può anche ragionare sopra. In Italia, il reato di opinione non esiste, nessuna legge lo prevede.
Sicchè non si può essere processati perchè si sostiene che le leggi di Berlusconi sull’impunità erano incostituzionali e costruite solo per evitargli la galera; oppure che la legge sull’aborto è incivile, barbara, blasfema etc . Sono opinioni.
C’è di più: nessuno può essere processato se sostiene che la legge barbara etc. ha per effetto quello di obbligare le persone ad abortire. È un’opinione.
Così come è un’opinione sostenere che un libro non è bello, interessante, non ha stile letterario; è un’opinione perfino dire che fa schifo.
Quando comincia la diffamazione?
Lo dice l’art. 595 del codice penale: non si deve offendere la reputazione altrui.
Breve, preciso e compendioso; e assolutamente equivoco.
Ecco perchè sono state scritte sull’argomento tonnellate di libri e sentenze: il confine tra opinione e diffamazione è labile.
Prendendo lo spunto dalla citazione per danni di Carofiglio contro un critico letterario, è certo che dire: questo libro fa schifo non giova al suo autore; però è espressione di un diritto di critica costituzionalmente garantito.
Per questo motivo la frase “il libro sembra scritto da uno scribacchino” è un’opinione: si sta dicendo che questo particolare libro è poco felice, non ha ispirazione; ma si lascia aperta la possibilità che altri libri dello stesso autore sono stati o saranno belli.
Ma se la frase critica è “Carofiglio è uno scribacchino” allora si tratta di diffamazione perchè l’affermazione non riguarda il libro ma la sua persona.
Veniamo a Sallusti.
Riassumo le frasi ritenute diffamatorie: “Il giudice ordina l’aborto… decretando l’aborto coattivo… qui ci si erge a far fuori un piccolino e straziare una ragazzina…”.
Ora, criticare anche aspramente la legge sull’aborto e dire che la sua applicazione conduce all’assassinio è assolutamente legittimo.
Quello che non si può fare è falsificare i fatti.
Perchè il giudice, nessuno ne ha scritto finora e questo mi indigna non poco, non ordinò affatto l’aborto coattivo.
Semplicemente applicò l’art. 12 della legge 194/78: se la donna è di età inferiore a 18 anni, per l’aborto è richiesto l’assenso di chi esercita la potestà o la tutela… Nei primi 90 giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione di queste persone; oppure se queste rifiutano l’assenso o esprimono pareri discordanti (bel problema, vero?), medico e struttura societaria fanno una relazione e il giudice decide.
La frase esatta è: “Tenuto conto della volontà della donna, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli… può autorizzare l’aborto.”
Non imporre, autorizzare; rendere esecutiva la volontà della donna.
È del tutto evidente che, secondo la legge, la volontà di una ragazzina di 13 anni non ha molte possibilità di esprimersi liberamente; madre e padre e tutto l’ambiente che la circonda condizioneranno la sua giovane mente; e la paura di restare sola e senza aiuto farà il resto. Sicchè è ovvio che la tredicenne in questione abbia espresso al giudice una decisione che difficilmente può considerarsi autonoma.
D’altra parte come può essere diverso per una tredicenne? E queste cose ben avrebbero potuto essere spiegate dal giornalista e/o da Sallusti. Ma non l’hanno fatto.
Hanno invece mentito: hanno detto che il giudice aveva decretato l’aborto coattivo, il che significa contro la volontà della ragazzina, comunque formatasi.
Che è falso.
Il giudice prese atto della sua volontà e applicò la legge.
Cosa altro avrebbe dovuto fare: imporle la prosecuzione della gravidanza?
Scrivere quello che è stato scritto significa dire che il giudice ha compiuto un atto illecito, impietoso, criminale, barbaro. Non si può.
Scrivere questo non è un reato di opinione, è una falsità .
Ecco perchè è stato giusto condannare Sallusti.
Quanto alla misura della pena non mi pronuncio; la pena la decide il giudice, non i cittadini.
C’è però un altro profilo pericolosissimo nella campagna a favore di Sallusti: lui non ha scritto l’articolo, non doveva essere condannato; responsabilità oggettiva, norme medievali etc.
Non è vero, la responsabilità oggettiva non c’entra niente.
Questo modo di ragionare era applicato nei processi per gli infortuni sul lavoro negli anni 70.
Si condannava il capo squadra, il capo reparto, quello che materialmente aveva compiuto l’azione o l’omissione che erano state la causa diretta dell’infortunio.
C’è voluta un’elaborazione giurisprudenziale durata anni per arrivare al concetto di posizione di garanzia, cioè alla responsabilità diretta di chi ha l’obbligo del controllo sull’attività delle persone che dipendono da lui.
La stessa cosa può dirsi per i reati di falso in bilancio e di frode fiscale.
Qualcuno vuole sostenere che la responsabilità è solo di chi predispone bilancio e dichiarazione dei redditi e non dell’amministratore che firma entrambi; e che, per legge è tenuto al controllo? Che cosa deve fare un direttore di un giornale?
Attribuire ai giornalisti gli articoli che dovranno essere pubblicati, leggerseli e decidere se vanno bene o no.
In quel “vanno bene” sta anche la verifica se per caso violino la legge.
E se non è capace di fare questa verifica personalmente, sta a lui appoggiarsi a una persona competente.
Dunque Sallusti è colpevole, altro che.
E non di reati di opinione.
Bruno Tinti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
“NON STA A ME DIRE SE IL CARCERE SIA GIUSTO, MA QUEL DIRETTORE HA CONTINUATO A DIFFAMARMI”… IL RACCONTO DEI FATTI
“Il carcere? Non sta a me stabilire se la legge sia giusta o la pena adeguata. Mi preoccupa che, nel dibattito di questi giorni, nessuno abbia sentito il bisogno di ricostruire i fatti, perchè qui la libertà di stampa c’entra poco o nulla”.
Giuseppe Cocilovo, il giudice tutelare di Torino che ha ottenuto la condanna di Alessandro Sallusti, abbandona il riserbo degli ultimi giorni e affronta deciso il momento di notorietà che suo malgrado si trova ad affrontare.
Ed eccoli, i fatti: “Era il 17 febbraio 2007. La Stampa — racconta Cocilovo — parla di un giudice che avrebbe ordinato a una minorenne di interrompere una gravidanza. Trovo la notizia assolutamente folle e non posso sospettare che parli di me. Lo capisco poi dalle telefonate dei giornalisti e dal pm che apre subito un fascicolo, a cui bastano poche ore per capire che la notizia di reato è inesistente”.
Cocilovo fa semplicemente ciò che la legge gli consente: “La ragazza aveva 13 anni, per l’interruzione di gravidanza è necessario il consenso di entrambi i genitori, ma sono separati e non si intende informare il padre. Io valuto le ragioni addotte e autorizzo la minore a decidere in autonomia, nulla più. Dopo quell’udienza la ragazza avrebbe potuto anche cambiare idea, chiamare il padre e perfino decidere di non abortire più”.
Alle 15,30 del 17 febbraio un’Ansa smentisce la notizia e il giorno dopo La Stampa corregge il tiro: “Libero invece — ricorda Cocilovo — se ne esce con tre pagine dedicate alla vicenda del giudice che ordina alla ragazzina di abortire, tra cui quell’articolo violento a firma Dreyfus”.
Un noto avvocato torinese contatta il quotidiano allora diretto da Alessandro Sallusti per chiedere una rettifica: “Risposta: ‘Per noi è tutto vero’ — racconta Cocilovo — e chiudono i contatti”.
Sembra impossibile che si possa pensare che un giudice abbia questo potere, ordinare un aborto e coinvolgere in questo disegno perverso ostetriche e ginecologi.
Eppure di questo veniva accusato Cocilovo: “Non potevo far altro che querelare. Sarebbe bastata una rettifica, scrivere ‘la notizia riportata il 18/02/2007 a proposito del giudice che ordina l’aborto è falsa. Ce ne scusiamo con i lettori’, ma così non è stato”.
Il processo arriva fino in Cassazione: “Prima dell’udienza — racconta il giudice — gli avvocati di Sallusti mi contattano per arrivare a una transazione. Io propongo di devolvere 20 mila euro in beneficenza a Save the Children. Ora leggo che Sallusti sostiene che avrei chiesto nuovi soldi per me. Sorvolo sul carattere ulteriormente diffamatorio di queste affermazioni, tanto le bugie hanno le gambe corte”.
Fa molto discutere che un giornalista rischi la galera principalmente per un articolo scritto da altri: “Vero, ma è credibile che il direttore non abbia coordinato la titolazione delle prime tre pagine? Perchè il falso era già nel titolo. Era una chiara scelta editoriale. La violenta diffamazione che mi augurava la pena di morte, poi, era opera di un giornalista già radiato dall’ordine di cui si accettava la collaborazione. Bastava dar conto ai lettori dell’errore e tutto questo non sarebbe accaduto”.
Ma allora il carcere è eccessivo?
“Non sta a me dirlo, ma questo non è un reato di opinione, è una diffamazione deliberata. Che la notizia fosse falsa era ormai noto, bastava leggere La Stampa. E poi — conclude Cocilovo — vorrei far notare che in tutta questa storia la vittima sono io. Renato Farina ha scritto nome e cognome, sono sull’elenco telefonico, per mesi sono stato minacciato e ho ricevuto telefonate anonime, per una diffamazione volontaria e deliberata. Cosa c’entra questo con la libertà di stampa”?
Stefano Caselli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
L’ALLEATO DI FUTURO E LIBERTA’ SE NE FREGA DEL CODICE ETICO E METTE IN LISTA PERSONE IMPRESENTABILI COME LUI… FINI TACE E CHI PROTESTA NON CONTA UNA MAZZA
Franco Mineo, deputato regionale siciliano di Grande sud, raggiunto da un avviso di garanzia per abuso d’ufficio e sotto processo per trasferimento fraudolento di beni con l’aggravante mafiosa (avrebbe riciclato beni riconducibili, secondo gli inquirenti, al boss Angelo Galatolo), sarà candidato nella lista di Grande sud alle prossime elezioni regionali siciliane.
A confermarlo sono stati i vertici regionali e provinciali del movimento arancione, Pippo Fallica e Giacomo Terranova, nel corso di una conferenza stampa convocata a Palermo.
Mineo ha preso anche un impegno formale con il partito, annunciando le sue dimissioni dalla carica di parlamentare se eletto in caso di condanna anche in primo grado.
“Ovviamente noi speriamo – ha detto Terranova – in una risoluzione positiva della vicenda e nel giro di pochi mesi avremo un’idea chiara della portata della vicenda e delle sue conseguenze. Altre soluzioni sarebbero state più comode, ma certamente non giuste, non ci siamo sentiti di bloccare un percorso politico. Il giudizio sui fatti di merito non spetta a noi, ma alla magistratura”.
“Non siamo il Tribunale dell’Inquisizione – ha aggiunto Fallica -, rispettiamo il diritto sociale dei cittadini e rispettiamo il ruolo delle istituzioni. Non siamo nè avvocati nè magistrati”.
Terranova ha aggiunto: “Forse per qualcuno sarebbe stato più facile cavalcare l’onda demagogica che ricorre in questi giorni, ma noi abbiamo preferito accordare una apertura di fiducia a Mineo, perchè sarebbe stata una scelta ingiustificabile escluderlo dal processo democratico”.
Secondo Terranova, Mineo ha comunque assunto con il partito con un “impegno formale a solenne a dimettersi qualora le vicende giudiziarie dovessero pervenire a un giudizio di condanna irrevocabile”.
Fallica ha poi aggiunto: “Noi non siamo qui per fare il tribunale di inquisizione, vogliamo solo rispettare un diritto sociale dei cittadini che attraverso le elezioni esprimono le loro idee. Su questo tema ci siamo confrontati da mesi e a prescindere da Miccichè, perchè questo era un compito che spettava al partito”.
Poi fa riferimento al ruolo di Gianfranco Miccichè nella questione: “L’onorevole Miccichè conosce perfettamente tutti i passaggi della vicenda e i motivi che ci hanno portato ad appoggiare la candidatura di Franco Mineo. Rispettiamo le istituzioni, ma non siamo nè magistrati nè avvocati dunque non spetta a noi parlare di determinati aspetti”.
“Su Mineo decisione sbagliata e inaccettabile: il codice etico va applicato, non è l’inquisizione ma una garanzia per i cittadini. Bisogna ripensarci ed essere coerenti e consapevoli sui valori non negoziabili, sia nelle azioni che nelle parole. Miccichè desista da questa decisione”. Lo dice il vice coordinatore di Fli, Fabio Granata commentando la candidatura in Grande Sud del deputato uscente Franco Mineo.
Fini tace, Briguglio è latitante, Granata invita con garbo alla desistenza.
E mentre in Fli si assiste al gioco delle parti, Miccichè continua a fare quello che vuole.
Alla faccia delle chiacchiere sul codice etico e sui valori di riferimento di Fli, finiti definitivamente in cantina.
La dignità … parola sconosciuta.
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Settembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO NON VUOLE RIVELARE IL NOME DEL CONSIGLIERE REGIONALE CHE AL SESTRIERE SI ERA FATTO UNA SETTIMANA BIANCA A SPESE DELLA REGIONE
“Non voglio fare il nome del consigliere ospite mio al Sestriere”.
Roberto Rosso, deputato Pdl, si trincera dietro il silenzio dopo aver rivelato che un deputato regionale del Piemonte ha soggiornato con lui in settimana bianca e si è fatto rimborsare dalla Regione la sette giorni come “trasferta.
Una trasferta pagata a peso d’oro dai contribuenti: 5mila euro circa, anche se le giornate si sono passate a sciare o a bere vin brulè la sera, tanto una consigliere comunale compiacente lo si può sempre trovare.
Rosso conferma tutto: “Per voi è una truffa legalizzata? Per me è un’abitudine consolidata di molti consiglieri regionali — racconta — tu fai figurare che ti sposti da un posto a un altro, poi vai a cercare un consigliere comunale del luogo e ti fai rilasciare una ricevuta in cui figura che tu sei in missione per conto della Regione. Così incassi l’indennità di missione e pure il rimborso chilometrico per gli spostamenti”.
Poi aggiunge: “Ma succede anche d’estate — rincara così la dose l’ex sottosegretario — me lo hanno detto un sacco di amici: durante il mese di agosto, sebbene il Consiglio sia chiuso per ferie, è prassi farsi riconoscere indennità di missione, a patto di essere in vacanza in una località del Piemonte”.
Rosso ci tiene ad allontanare i sospetti che si sono adombrati su Luca Pedrale, consigliere Pdl di San Germano vercellese, il paese citato da Rosso ad Icebeg il talk tv di Telelombardia dove ha rivelato il caso del Sestriere.
“San Germano? — risponde Rosso — mi sono sbagliato, ho pensato al primo comune che mi è venuto in mente, Pedrale non c’entra nulla. Non è lui e poi Pedrale ha casa a Courmayer perchè dovrebbe venire al Sestriere da me?”.
All’ex sottosegretario al lavoro del governo Berlusconi viene fatto notare che il comportamento dell’amico consigliere è quantomeno amorale.
“E cosa ci posso fare io? Sono le Regioni che sono delle fogne”.
Poi ha l’occasione per denunciare tutto a Roberto Cota, il governatore del Piemonte, “Sto provando a chiamarlo davanti a voi, ma Cota non mi risponde”.
Una cosa è certa Rosso non tradisce gli amici.
“E’ un amico, ci frequenteremo ancora e poi siete voi che avete la fissa delle manette”
Stefano Caselli e David Perluigi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 28th, 2012 Riccardo Fucile
SU INTERNET ESALTA IL SUO LEGAME AL TERRITORIO, MA RISULTA RESIDENTE NEL CANTON TICINO
Nel decidere se aumentare la Tarsu, la tassa comunale sui rifiuti o l’Irpef del suo Comune, di certo il sindaco di Besana Brianza Vittorio Gatti può dormire sonni tranquilli.
Perchè tanto lui, pur essendo il primo cittadino di quel paese di 15mila anime in Provincia di Monza e Brianza, non ne subirà le ricadute.
Gatti, nato nel 1944 a Besana Brianza, non condivide con i suoi concittadini le tasse che decide di emanare.
Vivrà in un paese vicino? Nossignore.
Gatti, nella vita geometra con una partecipazione in un’impresa che si occupa di immobili e una lunga carriera nell’urbanistica, non si preoccuperebbe nemmeno delle tasse decise dal Governo italiano.
Perchè la sua residenza (di certo fino al febbraio 2012) era fissata a Massagno, in Svizzera.
E le tasse, da sindaco di una coalizione di Centrodestra che raggruppa Lega Nord, Pdl e Udc, le paga in Canton Ticino.
Un’informazione non nota, dato che sulle pagine bianche Gatti figura residente a Besana, tra i contatti del suo sito www.gattisindaco.com e anche sulla tessera del Pdl ha fatto mettere un indirizzo brianzolo.
E sul portale allestito in occasione della campagna elettorale del 2009, la presentazione che Gatti fa di sè delinea una persona che ha sempre partecipato alla vita di paese.
«Son nato nel cuore di Villa Quirici, de bagà i, giocavo nella curt del mitico Dutùr Valenti, fino agli anni ’70, mi sono impegnato nell’edilizia cooperativa in Brianza — racconta Gatti, facendo riferimento a posti e cognomi besanesi — Professionalmente ho allargato l’attività dello Studio Gatti che a tutt’oggi serve direttamente o indirettamente i primi 200 Istituti di credito italiani e, per trasparenza fiscale, sono fiero d’essere sempre stato, tra i professionisti besanesi, uno dei primissimi contribuenti».
E quando deve spiegare dove abita Gatti non ha dubbi a specificare la sua besanesità . «Dal 2000 sono andato a stare vicino alla villetta della mamma a Cazzano (frazione di Besana ndr), dove volentieri ho partecipato alla ristrutturazione del Centro culturale San Clemente e, in Besana, alla costituzione dell’associazione amici dell’arte di Aligi Sassu», scrive Gatti.
E poi, sempre parlando di sè, ci tiene a precisare: «Cresciuto qui Besana con tante opportunità di studio, di lavoro e di carriera sono in debito verso la mia città e vorrei ora saldare il conto».
Simbolicamente, perchè il conto economico Gatti lo versa agli elvetici.
Olga Fassina
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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