Settembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
DANNO ERARIALE RECORD NELLA GESTIONE DI RENZI IN PROVINCIA… SI INDAGA SU “FLORENCE MULTIMEDIA”, SOCIETA’ VOLUTA DA RENZI CHE AVREBBE “CONCESSO UN IRREGOLARE AFFIDAMENTO DI SERVIZI PER UN IMPORTO SUPERIORE A QUELLO PREVISTO” CON “NOMINE DI SOGGETTI IN ASPETTATIVA NELLO STESSO ENTE”
Sei milioni di euro. Su questa cifra incassata da Florence Multimedia mentre Matteo Renzi era presidente della Provincia di Firenze, la Corte dei conti e il ministero del Tesoro vogliono vederci più chiaro.
A Florence Multimedia — accusa il dicastero dell’Economia e delle Finanze in una contestazione inviata a maggio — la Provincia di Firenze, presieduta da Matteo Renzi dal 2004 al 2009, ha concesso un “irregolare affidamento di servizi per un importo superiore a quello previsto dai relativi contratti di servizio”, con una spesa complessiva di oltre nove milioni di euro; dei quali sei adesso sono sotto l’attenzione dei giudici contabili, che invieranno un ispettore a Firenze e, per evitare eventuali prescrizioni, hanno messo in mora tutti i dirigenti di quel periodo.
Senza, quindi, la procedura prevista dalla legge e senza mai farne parola in Consiglio provinciale, sostiene il Ministero, Florence Multimedia, tra il 2006 e il 2009, incassò 9.213.644 euro.
Attraverso “contratti, convenzioni, disciplinari di servizio, affidamenti al lordo (…) il cui importo triplica quello dei contratti di servizio di base”.
Già un anno fa il Tesoro aveva, in seguito a un’ispezione, prefigurato un danno erariale alla Provincia proprio nel periodo di presidenza Renzi.
E dalla difesa della Provincia a quelle contestazioni è nata la nuova indagine, con tanto di documento, di cui riportiamo le accuse nei virgolettati, inviato lo scorso maggio all’ente locale, sul cui trono nel frattempo non siede più Renzi, diventato sindaco e lanciato proprio in questi giorni nella corsa a Palazzo Chigi.
LA SOCIETA’ E LE ACCUSE DI LUSI
Florence Multimedia Srl (“società in house della Provincia di Firenze”, come si legge nel sito internet) è nata nel 2005 per volere di Renzi che lì trasferì l’ufficio stampa, liquidandolo ed esternalizzandolo; con una situazione pessima alla fine dell’avventura dello stesso Renzi in Provincia: buco “superiore al terzo del capitale sociale. (…) Emerge una perdita stimata di 358.865 euro originatasi nel secondo semestre 2009”, c’è scritto nella relazione di quel dicembre degli amministratori della stessa società .
Florence Multimedia veicolò, nello stesso anno, campagne promozionali per la Dotmedia, retta da quel Davide Bancarella, in precedenza in forze alla Web & Press edizioni (dal 2007 al 2009).
Quest’ultima società è quella delle fatture, datate proprio 2009, sequestrate dalla Guardia di finanza (una da 36 mila e l’altra da 45660 euro: soldi con cui Renzi ha sempre negato di aver avuto a che fare) dopo le accuse dell’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi, in carcere da fine giugno.
Insomma basterebbe questo quadro per creare qualche grattacapo a chi, il sindaco di Firenze Matteo Renzi, si propone, ormai da anni, come il nuovo che avanza.
QUELLE SCELTE NON MERITOCRATICHE
Eppure c’è un’altra accusa mossa dal Ministero dell’Economia e che sarà passata al vaglio dell’ispettore della Corte dei conti nei prossimi giorni. Riguarda il direttore unico della Provincia, sostituito da Renzi con un collegio di direzione generale composto da quattro membri “con evidenti e rilevantissimi profili di illegittimità ”.
Due di quei quattro, segnala Via Venti Settembre, erano dipendenti messi in aspettativa e poi riassunti con un contratto a tempo determinato che portò a un aumento di spesa di ben un milione e 34 mila euro.
L’organo monocratico, come ricorda il Ministero nel documento di maggio, “è previsto dall’ordinamento degli enti locali”.
Quindi “non si riesce a reperire nessuna ragione logica, prima ancora che giuridica, in forza alla quale soggetti già investiti della qualifica dirigenziale possano essere collocati in aspettativa per essere investiti di un nuovo incarico dirigenziale, questa volta a tempo determinato, molto più oneroso del precedente”.
L’accusa è grave e precisa, si tratterebbe di “illegittima attribuzione di quattro incarichi di direzione generale”.
I rilievi del Ministero sul Renzi-che-fu non sono ancora finiti.
Rispetto a dipendenti e dirigenti di quella Provincia il boy scout di Rignano sull’Arno avrebbe agito con “mancato rispetto dei principi di selettività meritocratica” con “gravi illegittimità nell’attribuzione di alcuni compensi a carattere indennitario”.
Il sindaco se ne lava le mani,“furono scelte degli uffici”, hanno comunicato i suoi alla stampa fiorentina.
Ma dopo la condanna in primo grado dell’agosto 2011, per 50mila euro di danno erariale, si profilano altri guai dalle indagini della Corte dei conti, mentre la Provincia è solo un lontano ricordo e, adesso, Renzi sogna Palazzo Chigi.
Giampiero Calapà
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
SONDAGGIO MANNHEIMER: IL 36% DEGLI ITALIANI APPOGGERA’ UN PARTITO TRADIZIONALE… ALLE PRIMARIE IL CONSENSO PER BERSANI SUPERA IL 50% TRA GLI ELETTORI PD, MA NON CONQUISTA LA MAGGIORANZA NEL CENTROSINISTRA… RENZI SI ATTESTA AL 25%-30%
I principali partiti si preparano alla competizione elettorale ormai prossima.
E debbono fronteggiare quello che sembra il pericolo maggiore all’orizzonte: la disaffezione e la disistima nei loro confronti, che porta poco meno di due elettori su tre a dichiarare nei sondaggi la propria indecisione sul voto (e, in particolare, la perplessità ad optare per i partiti tradizionali) o l’intenzione di astenersi o, ancora, la preferenza per forze antitetiche a quelle tradizionali come il Movimento 5 Stelle o l’Italia dei valori.
Nell’insieme, oggi solo il 36% degli elettori esprime la volontà di optare per uno dei partiti tradizionali presenti sullo scenario politico.
Le reazioni dei partiti tra silenzi e contraddizioni
Ma la reazione delle maggiori forze politiche a questo stato problematico è assai diversa: mentre il Pdl appare in qualche modo chiuso in una riflessione, centrata sulla candidatura o meno di Berlusconi, il Pd è, con tutta evidenza, dilaniato dalle sue contraddizioni interne, di carattere personale (il conflitto tra i diversi leader) o programmatico (la difficile compatibilità tra l’alleanza con Vendola e l’apertura verso l’Udc).
Il segno più evidente delle fratture che attraversano la principale forza del centrosinistra emerge dal conflitto tra Bersani e Renzi.
Quest’ultimo tenta di incarnare i valori del «nuovo» e del «diverso», che tanto successo hanno avuto nelle competizioni elettorali degli ultimi lustri e che tanta popolarità ricoprono tutt’ora tra gli elettori.
Non solo in quelli di centrosinistra, ma anche in moltissimi votanti per il centro e per il centrodestra, che non voteranno alle primarie, ma si pronunceranno invece alle politiche: Renzi piace più di Bersani non solo a buona parte dei votanti attuali per il Pdl, ma, specialmente, a chi oggi si dichiara indeciso o propenso per l’astensione, ove sono numerosi i delusi dal centrodestra.
Il vantaggio del segretario tra i «fedelissimi» del Pd
Ma, naturalmente, nel misurare lo stato attuale della contesa tra i due leader, occorre considerare solamente quanti intendono partecipare effettivamente alle primarie del centrosinistra.
Si tratta, a tutt’oggi, di circa il 38% dell’elettorato italiano, corrispondente al 75% dei votanti per il centrosinistra e all’86% di quanti dichiarano di optare per il Pd.
Tra costoro, Bersani è tutt’ora in vantaggio, ma Renzi ha comunque già conquistato una fetta consistente di consensi, pari grossomodo al 25-30%. Come si è detto, il seguito per Bersani è maggiore, ma non arriva a coinvolgere la maggioranza degli elettori di centrosinistra (ove Vendola è un «terzo incomodo» che raccoglie quasi il 20%) e supera di poco il 50% tra quelli specificatamente del Pd.
L’appeal del sindaco tra i favorevoli al Monti-bis
Il profilo dei sostenitori di Renzi è per molti versi diverso, ma per altri simile, a quello dei fautori di Bersani.
Sul piano degli orientamenti politici, alcuni giudizi coincidono: è eguale il favore verso il Governo (maggiore rispetto a quanto si rileva, ad esempio, nell’elettorato del Pdl) e simile l’appoggio alle politiche europee, anche se l’elettorato di Bersani appare lievemente più ottimista sulla prossima uscita dalla crisi.
Significative sono le differenze nel profilo socio anagrafico: tra i sostenitori di Renzi si registra infatti una percentuale maggiore di maschi e di persone in età centrale, tra i 35 e i 55 anni, specie impiegati e insegnanti.
Sul piano territoriale, il sindaco di Firenze pare ottenere relativamente più consensi al Sud, mentre Bersani ha un sostegno maggiore nel Nord.
Inoltre, il fatto che Renzi paia appoggiare e sostenere in modo più evidente il Governo Monti e, specialmente, l’ipotesi di un Monti-bis, lo avvantaggia nell’elettorato del Pd, che è assai più favorevole di altri a questa ipotesi.
Non a caso, il 75% di quest’ultimo dichiara la propria stima verso il Presidente del Consiglio – in misura peraltro pari tra i sostenitori di Renzi e Bersani -, quando la media tra tutta la popolazione è del 50%.
Una gara aperta (con un favorito)
Nell’insieme, dunque, Bersani appare ancora favorito, ma la gara risulta più aperta di quanto molti si aspettassero qualche mese fa.
E con la sua comunicazione così intensa, Renzi sembra guadagnare posizioni.
Qualunque sia l’esito, la competizione tra i due avrà sicuramente effetti sulla – per certi versi già fragile – coesione interna del partito.
Nonostante le dichiarazioni di Renzi sull’appoggio a Bersani nel caso di una sua sconfitta, la campagna per le primarie acuisce le fratture che dividono l’elettorato e la leadership del Pd.
Renato Mannheimer
(da “Il Corriere della Sera”)
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Settembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
LA RICOSTRUZIONE DI TUTTI I MOVIMENTI DELL’EX CAPOGRUPPO DEL PDL FIORITO ALLA REGIONE LAZIO CHE POTREBBE ALLARGARSI AD ALTRI ESPONENTI DEL SUO PARTITO E AD ALTRI GRUPPI…. PRELIEVI IN NERO PER OLTRE UN MILIONE
Non è stato un lavoro di fino. Franco Fiorito ha trafficato alla grossa.
Si è mosso con la perizia e la circospezione finanziaria di un forchettone da condominio, lasciando traccia di sè ovunque.
O, forse, con l’arroganza di chi è certo che nessuno avrebbe messo becco nella greppia dove – dice lui agitando l’arma del ricatto – “magnaveno tutti”.
A cominciare da chi gli è succeduto e lo ha ammazzato, il nuovo tesoriere e capogruppo Pdl Battistoni, come pure, dice lui, Arianna Meloni, sorella dell’ex ministro Giorgia, Alessandra Sabatini, cognata dell’ex assessore comunale Rampelli, e tale Carmela Puzzone, moglie del presidente della commissione Scuola, Del Balzo.
E tuttavia, nelle parole con cui in queste ore una fonte inquirente dipinge il quadro di movimenti bancari spalancato da un SOS di Bankitalia e da una guerra di dossier nel Pdl prima, e da un’indagine della Procura poi, c’è una doppia indicazione.
“Fiorito? – chiosa – Un Lusi alla amatriciana, che ragionevolmente non farà una fine diversa”.
Dove l’evocazione degradante del metodo (all’amatriciana) indica anche e soprattutto un probabile e comune approdo: il carcere.
Non fosse altro che un peculato è affare penalmente assai più serio (dai 3 ai 10 anni) di un’appropriazione indebita.
7 milioni e mezzo in 2 anni
Vediamole, dunque, le mosse di “Francone” e il suo “lavoro alla ciociara”. Almeno per quello che sin qui è possibile documentare.
Succhia nei due conti che dovrebbero alimentare le spese del gruppo regionale Pdl, di cui lui è tesoriere e dunque “padrone”.
Vengono entrambi accesi nella filiale Unicredit 30656 della Pisana (la sede della Regione) nell’estate del 2010, subito dopo le elezioni, e portano i numeri 72130 e 72093.
Il primo è destinato a saldare i mandati di pagamento necessari al funzionamento del gruppo.
Il secondo, ai rimborsi delle spese sostenute dai 17 consiglieri Pdl “per garantire il rapporto tra elettore ed eletto”.
Ebbene, tra il giugno del 2010 e il luglio del 2011, i due conti vengono svuotati per complessivi 7 milioni e mezzo di euro. Cinque milioni 976 mila escono dal 72093, 1 milione e 817 mila dal 72130.
Sui due conti, Fiorito ha la delega ad operare con Bruno Galassi, il suo “spicciafaccende”. ”
Un Fiorito in sedicesimi”, dice un inquirente.
Certamente, uno che non fa, nè si fa troppe domande.
Non fosse altro perchè l’effetto che creano le migliaia di operazioni in uscita dai due conti Unicredit (almeno 300 solo in questi ultimi due mesi) è di assoluta confusione sulle ragioni dei movimenti.
Rimborsi legittimi per altrettanto legittime spese politiche si impastano con le “privatissime” spese e gli altrettanto privatissimi appetiti di Fiorito.
Il tipo maneggia contanti, bancomat, assegni circolari e una carta di credito ricaricabile, come i soldi del Monopoli.
E – incredibilmente – quando c’è da prendere per lui – non prova neppure a dissimulare.
Due banche italiane, 4 spagnole
Fiorito si intesta dodici conti. O almeno questo è il numero di quelli già documentati con certezza.
Sette in Italia, presso filiali di Roma del “Monte dei Paschi” e della “Banca Popolare del Lazio”.
Cinque, in quattro istituti spagnoli: “Banco Santander”, “Caixa banc”, “Banco Pastor”, “Caja general del Ahorros”.
Anche se poi un altro, secondo i primi accertamenti del Nucleo valutario della Guardia di Finanza, sarebbe in Francia, neanche fosse una beffarda conferma di quell’antico adagio del popolino romano, “Franza o Spagna l’importante è che se magna”.
È un fatto che su questi dodici (o forse tredici) conti personali, Fiorito pompa 753 mila euro con 108 bonifici dalla ridicola causale “fondi per il rapporto tra elettore ed eletto” pescati dal conto Unicredit 72130 (quello del gruppo). 439 mila vengono parcheggiati su “Monte dei Paschi” e “Banca Popolare del Lazio”, gli altri 314 mila spalmati sulle quattro banche spagnole.
E parliamo, va da sè, di una fetta soltanto della torta da 5 milioni e 900 mila.
Il vortice
Perchè per avere idea del vortice in cui appozza con bulimica frenesia, con l’ebbrezza da pentolaccia in una fiera di paese, basta scorrere le singole voci in uscita del conto 72130 nei 24 mesi in cui ne è stato il “custode”.
Stacca assegni per 864 mila euro di cui non rendiconta i beneficiari.
Firma 417 deleghe di pagamento per il saldo di “contributi dei collaboratori” (quali, non è dato sapere).
Salda piccole spese con Pagobancomat per 32 mila euro. E ne preleva 235 mila.
Mentre la carta appoggiata sul conto, intestata al gruppo, ma nelle sue personali mani, viene ricaricata per 188 mila euro: 90 mila l’anno, 7 mila al mese. Fino ai rid per pagamenti ricorrenti a scadenza fissa per 47 mila euro e ai 13 mila per spese generiche.
La bulimia
Ci vorrà del tempo per venire a capo di tutti i capricci che Fiorito si è tolto con il grano pubblico.
Sappiamo della Bmw X5, della Smart, delle vacanze in Costa Smeralda. Ma nel mazzo figurerebbero anche articoli di pelletteria e ogni genere di gadget elettronico.
L’avvocato Carlo Taormina, che difende Fiorito, continua a dire che “la vicenda è solo una questione di qualificazione giuridica” del denaro grattato al conto del gruppo Pdl.
È un fatto che il tempo, per Fiorito, non sembra molto.
E che dovrà in fretta provare a mettere insieme pezzi di carta che provino a spiegare (ammesso esista una spiegazione diversa dall’evidenza) il sacco di questi due anni.
Fiorito, per altro, potrebbe essere solo l’incipit di un’inchiesta che potrebbe andare a spulciare anche i conti degli altri partiti della Pisana.
Maria Elena Vincenzi e Carlo Bonini
(da “La Repubblica“)
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Settembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
IL CONSIGLIERE REGIONALE CINQUESTELLE PROSSIMO ALLA CREAZIONE DI UN SUO PARTITO
“Intorno a me sta nascendo una corrente, me lo chiedono migliaia di persone”.
Giovanni Favia ricomincia da Galliera, sulla strada tra Bologna e Ferrara, teatro ieri della sua prima riapparizione pubblica dopo lo scandalo. L’attesa di sapere da che parte si girerà è però quasi finita.
Ormai l’enfant prodige del Movimento 5 Stelle è ad un passo dal rompere gli indugi. Farà rotta su Roma, sfidando il grande capo, il padre padrone.
Sia quello visibile che quello invisibile.
Dopo lo scandalo in diretta tv a “Piazza Pulita”, prima è venuto il lancio degli stracci dentro la casa comune, ed ora ci sono le dimostrazioni di solidarietà , che in privato piovono a centinaia, anche da parte di chi, ufficialmente, prende le distanze.
Con messaggi come: “Hai passato il Rubicone, adesso marcia su Roma”. I numeri parlano: i contatti della sua pagina Facebook sono passati da 10 a 14mila nel giro di una settimana.
Aperta un’inchiesta sulle minacce di morte
Il ritorno di Favia sul territorio è solo l’inizio della ripartenza. Il Movimento 5 Stelle di Galliera gli ha prima riconfermato l’invito a un’iniziativa sulle biomasse (in calendario da tempo), e ha poi accolto il reietto a braccia aperte.
Intanto, da Parma, il primo cittadino Federico Pizzarotti invita ad abbassare i toni nella rissa contro Favia, strizzando l’occhio al consigliere regionale finito nella tempesta.
“Questo clima è eccessivo, sicuramente non fa bene a nessuno. I toni sono troppo elevati. Tutti. Bisognerebbe capire chi li sta fomentando”.
Sull’appoggio incondizionato del suo braccio destro, l’epurato numero uno, Valentino Tavolazzi di Ferrara, poi, neanche a parlarne. “Grillo è proprietario del logo, non del Movimento. Nulla è perduto, tutto è rimediabile “, scriveva ieri su Facebook.
I corteggiamenti sono incalzanti.
Solo il Pdl spara a zero sul consigliere regionale, vittima di minacce di morte: “Chi si mette in un movimento di squadristi non può venirsi a lamentare delle cattive compagnie “, manda a dire l’onorevole Giuliano Cazzola.
Se il Pd (al netto dell’esternazione subito smentita di Pippo Civati) non sta allungando le mani, c’è chi assicura che anche la Lega Nord, oltre all’Idv, abbia fatto offerte a Favia, in vista di una possibile candidatura per il 2013, con il capogruppo in consiglio comunale Manes Bernardini come gran tessitore.
Ma lo stesso capogruppo del Carroccio vorrebbe farla passare come fantapolitica e assicura. “Non lo sento da due settimane”.
La corrente di Favia invece esiste.
Il consigliere regionale deve solo prenderla in mano, darle una voce, plasmarle una forma.
In tanti sottolineano come, dopo il comunicato della sfiducia di Grillo (“Io non caccio nessuno, ma Giovanni Favia non ha più la mia fiducia”), i commenti più votati, in fondo, stavano dalla sua parte.
E la scelta (quella tra il ritirarsi alzando le mani e occuparsi della sua salute, dello choc post fuori onda oppure gettarsi nella mischia) in fondo è già fatta.
Chi è vicino al ribelle assicura che ormai “Giovanni ha deciso di abbandonare i nani e le ballerine, di lasciare i cortigiani di Grillo al loro destino, e di giocarsi la partita più importante”. Ormai, la riconciliazione con il guru sembra impossibile.
Lo strappo è stato troppo netto, violento, eclatante per tornare indietro.
Questi pochi giorni sono sembrati, nella loro serrata cronistoria, addirittura mesi.
“Quelli sono così: appena alzi la testa e dici che non sei d’accordo ti fanno fuori”, spiegano dall’entourage.
Si susseguono giorni di attesa, ma non è un mistero che tutti ormai scommettano sulla discesa in campo. Le truppe sono pronte.
“In Emilia – confida il ribelle ai suoi -, la buona parte è con me, e la metà è pronta a uscire allo scoperto, sono io che li sto tenendo tutti fermi”.
Lo strumento, il server per la democrazia diretta, è già pronto.
“Finora è mancata la volontà politica di utilizzarlo, molti Movimenti in Italia lo usano già “. Intanto, sabato prossimo arriva Grillo.
E, tra i fedelissimi del blogger, c’è anche chi teme contestazioni. Questa volta interne.
Caterina Gusberti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
CONTRIBUTI PUBBLICI PIU’ ALTI CHE ALLA CAMERA… IL BILANCIO DELLA REGIONE, INVECE CHE DIMINUIRE, E’ AUMENTATO DEL 7%
La targa sopra il portone dice: «Carlo Goldoni, padre immortale della italiana commedia, dimorò in questa casa».
Se avesse saputo cosa sarebbe accaduto fra quelle mura due secoli e mezzo dopo, il celebre drammaturgo veneziano vi avrebbe magari ambientato un atto unico. Protagonista: il solito Pantalone.
Perchè chi paga la ristrutturazione di un appartamento signorile della Regione Lazio nello stabile di largo Goldoni 47 all’angolo con via dei Condotti, a Roma, è sempre lui. Cioè noi.
I condomini, dopo aver sventato il tentativo di piazzare tappeto rosso e palmizi stile Sanremo all’ingresso dopo l’avvenuta trasformazione in elegante «ufficio del centro» dell’ex ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo di un secondo alloggio regionale nel palazzo, paventano che i lavori siano il preludio per l’apertura di un’altra sede di rappresentanza ancora. Stavolta, della governatrice Renata Polverini.
Fosse così, saremmo davvero alla commedia.
Non soltanto perchè quell’appartamento proviene da un antico lascito per opere di bene al Santo Spirito.
Soprattutto perchè a poca distanza, in via Poli, c’era già un ufficio «di rappresentanza» del consiglio regionale.
Era stato affittato da Sergio Scarpellini, il proprietario dei palazzi affittati alla Camera e al Senato, al tempo della giunta di Francesco Storace e due anni fa si era deciso di rescindere il contratto: 320 mila euro l’anno.
Una spesa demenziale, visto che il consiglio regionale del Lazio, come del resto la giunta, ha una più che confortevole sede a Roma.
Chiudere quell’ufficio era il minimo.
Peccato soltanto, lamenta Scarpellini nella causa civile intentata contro la decisione, che la rescissione sia avvenuta oltre i termini.
E se il tribunale dovesse accogliere la tesi sarebbero dolori: 700 mila euro. Più la parcella del legale.
Un avvocato esterno, ovvio.
Ma ce ne fossero di rogne così, con l’aria che tira oggi dalle parti della Pisana.
La storia incredibile dei finanziamenti pubblici ai gruppi consiliari innescata dai Radicali con la meritoria pubblicazione sul loro sito internet del bilancio 2011, è ormai una palla sempre più grossa che rotola a valle.
Inarrestabile e minacciosa, come dimostra l’inchiesta per peculato che si è abbattuta sull’ex capogruppo del Pdl Franco Fiorito.
Ma non servivano certo le cravatte di Marinella, le cene a base di ostriche, le bottiglie di champagne, i servizi fotografici, i Suv, nè le altre spese sfrontate che hanno inghiottito i lauti contributi al partito di Silvio Berlusconi e sulle quali ora indaga la magistratura, per capire che si era passato il segno.
E non era nemmeno necessario guardare, come molti fanno oggi con ipocrita stupore, quella cifra rivelata dai radicali, il cui gruppo composto da due persone, Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, ha incassato nel solo 2011 ben 422 mila euro.
Il quadruplo, in proporzione, dei soldi che la Camera dei deputati stanzia per i gruppi parlamentari.
Era sufficiente, diciamo la verità , controllare i bonifici che arrivavano di volta in volta sul conto corrente.
Per questo fanno sorridere oggi tanto il decalogo sui tagli dei costi della politica proposto dal consigliere udc Rodolfo Gigli quanto dichiarazioni come quelle del capogruppo del Pd Esterino Montino, che annuncia un tour de force per «ridurre le spese della giunta e del consiglio».
Mentre alcune misure che avrebbero introdotto l’unico antidoto valido alla dissipazione di denaro pubblico, vale a dire la trasparenza, sono finite su un binario morto. È il caso della legge sull’anagrafe degli eletti e dei nominati, proposta sempre dai Radicali nel 2010 e arenata in qualche cassetto di qualche commissione.
Ai gruppi finiscono cifre inimmaginabili.
Tanti soldi che non si sa nemmeno come spenderli.
Basta dare un’occhiata ai due bilanci dei gruppi finora resi noti: oltre a quello dei Radicali, quello del Partito democratico.
Il gruppo del Pd ha incassato nel 2011 la bellezza di 2 milioni 17.946 euro.
Che divisi per i 14 componenti fa oltre 144 mila euro pro capite: quasi il triplo dei contribuiti erogati da Montecitorio.
Inutile allora stupirsi che i democratici spendano 210.207 euro (!) per «riunioni, convegni, conferenze, incontri», 622.083 euro (!!) per i collaboratori e 738.863 euro (!!!) per «diffusione attività del gruppo, stampa manifesti».
E nonostante questo ci sono ancora in cassa 304 mila euro.
Invece ai Radicali, che con i contributi al gruppo ci hanno pagato anche un convegno sui diritti civili a Tirana oltre ai congressi del partito a Chianciano e a Roma, sono avanzati 270 mila euro.
Così da pensare che si possa ripetere la scena del ferragosto 1997, quando Marco Pannella in piazza del Campidoglio restituì i denari del finanziamento pubblico regalando 50 mila lire a chi mostrava un documento.
Tanti soldi, che contribuiscono ad alimentare una macchina completamente impazzita. Basta dire che nessuno sa dire con esattezza quanta gente gira intorno al consiglio regionale.
Lo scorso anno i dipendenti ufficialmente presenti in quella struttura erano 786.
I collaboratori dei gruppi, 180.
Le persone addette alle segreterie dell’ufficio di presidenza, 87.
Quelle delle segreterie delle commissioni, 71.
Ma è niente in confronto alle poltrone che danno diritto a chi le occupa di incassare un’indennità aggiuntiva rispetto a una retribuzione base minima di 7.211 euro netti al mese.
Sono un’ottantina, decisamente più numerose dei 70 consiglieri.
Ci sono 17 gruppi consiliari, otto dei quali composti da una sola persona.
Fra commissioni e giunte se ne contano 21.
Le sole commissioni permanenti sono sedici: due più della Camera, che ha però 630 deputati. Alcune, a dir poco stravaganti.
C’è per esempio la commissione Affari comunitari e internazionali, presieduta da Gilberto Casciani della Lista Polverini: nel 2012 si è riunita quattro volte.
E poi la commissione Piccola impresa che fa il paio con la commissione Sviluppo economico.
Oppure la commissione Lavori pubblici, più la commissione Urbanistica, più la commissione Ambiente.
Quest’ultima, però, si occupa pure, chissà in base a quale criterio, della «cooperazione tra i popoli». Avete letto bene: «cooperazione tra i popoli».
Non rammentiamo più quante volte hanno promesso che le avrebbero ridotte. Ricordiamo invece bene le affermazioni rese dal presidente del consiglio Mario Abbruzzese il 22 dicembre 2011: «Quest’anno chiudiamo il bilancio con circa sei milioni di risparmi rispetto al 2010. Dà il senso della strada che abbiamo intrapreso». Il consuntivo dell’anno scorso, ancora non approvato, parla di impegni di spesa per 103 milioni 529.311 euro.
Mezzo milione oltre le previsioni iniziali e ben sei milioni 772.701 euro in più nei confronti del 2010.
L’aumento è del 7 per cento.
Se questa è la strada…
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
L’ALLEANZA TRA ITALIA FUTURA E FERMARE IL DECLINO
Per chi non lo sapesse, con la prima puntata di Ballarò è ufficialmente cominciata l’annata politico-televisiva 2012/2013.
Particolarmente interessante la presenza congiunta in studio di Matteo Renzi, sindaco del PD e candidato alle primarie di partito (coalizione?), e di Irene Tinagli, esponente di punta di Italia Futura ed editorialista della Stampa.
Dal punto di vista politico, l’aspetto rilevante è quella che democristianamente potremmo definire la “non lontananza” tra i due.
Il tema è di un certo rilievo, in quanto è il momento di capire come si posizioneranno i partiti e i movimenti politici in questo inizio di Terza Repubblica, tenuto conto della fluidità della situazione e del malcontento nell’elettorato.
E soprattutto la domanda è: che cosa succederà al centro?
Lasciando da parte per un momento i numeri, pare interessante questa alleanza tra Italia Futura e Fermare il Declino, il movimento liberista e ricco di economisti in cui – data la presenza di Oscar Giannino – non è difficile scorgere la sagoma potenzialmente generosa (in senso finanziario) di Emma Marcegaglia.
Ricordiamo la strenua corte fatta da Irene Tinagli a Michele Boldrin, che insieme ad Alberto Bisin e Luigi Zingales è oggi nelle prime file degli economisti di FiD.
La questione principale resta comunque quella della leadership: Oscar Giannino è ambizioso ma non ha la stoffa del candidato premier, Irene Tinagli è forse troppo giovane e inesperta, Boldrin è bravo, buca lo schermo ma non è abbastanza noto al grande pubblico, Montezemolo potrà forse contare sul volano di una vittoria di Alonso ai mondiali di F1 (nota bene: quasi l’inverso di IF!) ma rischia di non apparire non abbastanza lontano dalla prima Repubblica, specialmente a motivo del suo incarico di presidente di Italia90.
Non è solo questione di leadership, ma anche di voti potenzialmente raccoglibili: l’accoppiata IF-FiD (si cerchi peraltro un altro acronimo, per non sembrare una finanziaria degli Agnelli) deve rammentare il caso del Partito d’Azione, che subito dopo la Seconda Guerra Mondiale raccoglieva menti ragguardevoli del calibro di Ugo La Malfa e di Ernesto Rossi, ma che dal punto vista elettorale raccolse percentuali di voto da prefisso telefonico, o quasi.
Scendiamo al punto: l’accoppiata IF-FiD si è mostrata un po’ schifiltosa nei confronti del centro cattolico, cioè dell’Udc, evidentemente con lo scopo di preservare la percezione della propria novità politica, ma anche in questo frangente avrebbe dovuto ricordarsi di questa sindrome del Partito d’Azione, cioè del partito intelligente, un po’ saputello, che rischia di prendere pochi voti. Intanto, il tema della leadership resta e si interseca con quello della collocazione politica: non sono assenti dentro l’accoppiata IF-FiD quelli che guardano con simpatia alle posizioni di Matteo Renzi, che però sta a sinistra, cioè nel Pd.
Se ci fosse una qualche conflagrazione all’interno del PD dopo l’esito delle primarie, non appare così inverosimile un ulteriore avvicinamento tra IF-FiD e Renzi, tenendo però presente che la maggior parte dei liberisti in Italia (se ce ne sono) si collocano molto più a destra di Renzi.
La situazione è fluida ed è dunque buona cosa osservare con attenzione i sondaggi sulle intenzioni di voto.
A buon intenditor poche parole: non bastano i sondaggi sul gradimento dei singoli personaggi, come quello su Montezemolo apparso qualche mese fa sulle colonne del Corriere.
Si sta parlando di intenzioni di voto, che è un gesto assai più forte del semplice gradimento.
Solo a questo punto si potrà capire se l’accoppiata IF-FiD riuscirà a non assomigliare troppo a un Partito d’Azione della Terza Repubblica.
(da “il Portaborse“)
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Settembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
PRONTO A FINE OTTOBRE…. I COMMERCIALISTI: “RISCHIO CHE GLI STUDI DI SETTORE DIVENTINO UNO STRUMENTO DI REPRESSIONE”
Quella contro l’evasione fiscale «è una guerra» e «mi devo convincere che non siamo soli». Il direttore dell’Agenzia delle entrate, Attilio Befera, parla davanti alla commissione Finanze della Camera.
I deputati lo incalzano sulla solita questione, Equitalia, la severità dei controlli.
E lui, in Parlamento, è costretto quasi a difendersi: «Da quando sono direttore abbiamo recuperato oltre 40 miliardi di euro di evasione. Sentendo i vostri interventi ho la sensazione che questi soldi li abbiamo presi a cittadini onesti, vessati. Credo non sia questa la realtà ».
Una guerra, appunto.
E il nuovo redditometro è una delle battaglie. «Ci stiamo lavorando, spero a breve» di averlo a disposizione, ha detto ieri Befera. «Preferisco ritardare un po’ ma avere uno strumento efficace. Stiamo facendo due forme di redditometro, uno per la selezione preventiva e uno per le attività di controllo ».
Un meccanismo in due tempi che darà la possibilità al contribuente di dimostrare la compatibilità delle proprie spese con il reddito dichiarato prima di far scattare gli eventuali controlli.
Ma a quasi un anno dalla presentazione siamo ancora alla sperimentazione.
Il redditometro servirà a scovare gli evasori confrontando il reddito dichiarato dal contribuente con il suo tenore di vita, letto attraverso una serie di voci «spia»: non solo la barca o la macchina di lusso, ma anche le spese per la colf, per il cellulare, per l’asilo o l’università dei figli, fino all’abbonamento in palestra, alla parcella del veterinario, alle donazioni alle onlus.
In tutto cento indicatori, divisi in sette grandi categorie, che disegnano la capacità di spesa del contribuente e quindi stimano il suo reddito «presunto».
Se quel reddito presunto dovesse essere troppo al di sopra di quello dichiarato, il Fisco potrà far scattare i controlli.
Il sistema è stato presentato la prima volta il 25 ottobre scorso.
La sperimentazione doveva durare pochi mesi, per essere pronti a giugno.
Ma restano ancora alcuni nodi da sciogliere, come il peso da assegnare a ciascuna di quelle cento voci spia e la definizione di quanto il tenore di vita debba essere più basso del reddito dichiarato per far scattare i controlli.
Non ci sono soltanto problemi tecnici, però. La questione è anche politica.
E c’è anche chi pensa che questo strumento possa essere considerato troppo invasivo.
Il timore vero, infatti, è che il redditometro si trasformi in uno studio di settore applicato a 22 milioni di famiglie e 50 milioni di contribuenti.
Le spese rilevate nelle categorie- campione avranno un peso nel calcolo del reddito ma a questo verrà aggiunto anche un coefficiente di moltiplicazione in base all’area geografica e al nucleo familiare.
In poche parole, il reddito di chi acquista un’auto in una regione dal reddito medio- basso sarà conteggiato con un “peso specifico” superiore rispetto a chi compra la stessa auto in una regione a reddito più alto.
E poi ancora bisognerà calcolare il numero dei familiari per un totale di 55 gruppi omogenei che genereranno il calcolo finale.
«Si tratta di un meccanismo concettualmente giusto – afferma Claudio Siciliotti, presidente dei commercialisti – ma c’è un rischio concreto: potenzialmente il redditometro può diventare strumento automatico e assumere valore legale comportando l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente. È vero che Befera, meritoriamente, ha più volte ribadito che questo sarà solo uno strumento che servirà a segnalare i casi più a rischio per far scattare accertamenti più approfonditi. Ma il timore è che in futuro ci possa essere un inasprimento del suo utilizzo. Si tratta di una preoccupazione prospettica legata soprattutto alla presenza dei coefficienti, gli stessi che tanti problemi hanno creato negli studi di settore. Stavolta però non saremmo più in presenza di 5 milioni di partite Iva ma di 50 milioni di contribuenti».
Il nuovo redditometro consentirà anche una verifica «fai da te» a posteriori: grazie a un software messo a disposizione dei singoli contribuenti e dei commercialisti, chi vorrà potrà inserire i propri dati (e spese) e verificare se quanto ha intenzione di dichiarare rientrerebbe nei parametri stimati o farebbe accendere un campanello d’allarme al fisco.
E magari ritoccare la dichiarazione.
Lorenzo Salvia e Isidoro Trovato
(da “Il Corriere della Sera“)
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Settembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
SOSPESO IL BANDO DELLA REGIONE: 10 MILIONI DI EURO PER FAR ALLOGGIARE I 48 CONSIGLIERI COME AL GRAND HOTEL… LO SCANDALO DEL PDL GUASTA LA FESTA E LA POLVERINI FA MARCIA INDIETRO
Le buste stanno tutte chiuse al buio, in un cassetto.
E contengono una specie di tesoro: l’appalto da 10 milioni di euro per costruire due nuovi edifici destinati al Consiglio regionale del Lazio, due palazzi di tre piani (più interrato) piazzati di fianco alla sede storica della Pisana.
Il bando, pubblicato lo scorso marzo, ha riscosso il giusto entusiasmo: una dozzina di imprese si sono fatte avanti inviando la propria proposta entro luglio, come prescritto.
Ognuna di loro ha dovuto versare 170mila euro di fidejussione, mica noccioline, per poter partecipare alla gara.
Ma il 6 settembre è arrivata la brutta notizia: bando sospeso, tutto rimandato a data da destinarsi.
Come mai? Il caso Fiorito c’entra, eccome.
Anzi, è stata proprio la faida interna al Pdl, travestita da un’inedita lotta contro gli sprechi, a generare i guai che hanno travolto il prestante presidente della Commissione Bilancio.
La governatrice Renata Polverini ha iniziato la sua campagna di prima estate sparando ad alzo zero sulle spese di Mario Abbruzzese, Pdl (ex azzurro) e presidente del Consiglio regionale.
Era stato proprio lui a spingere in ogni modo l’edificazione bis della Pisana, immaginando più spazio e bellezza per i consiglieri presenti e futuri.
Inizialmente la Polverini non s’era opposta allo slancio creativo, nonostante ci fosse chi urlava la propria insoddisfazione: “Far parte di una maggioranza non vuol dire ingoiare qualsiasi cosa — diceva a luglio Francesco Storace, La Destra —. C’è in ballo una cifra spropositata, tanto più che dovremo tagliare il numero dei seggi del Consiglio e quello delle Commissioni consiliari. A che serve l’ampliamento?”.
Nessuna risposta ufficiale della Polverini. Silenzio, attesa.
Ma poi, mentre sulla stampa fiorivano le notizie sui conti dei gruppi consiliari infarciti di ostriche e resort stellari, quell’idea edificatoria è sembrata davvero poco opportuna alla governatrice, che ha virato nettamente sul negativo invitando pubblicamente Abbruzzese a “sospendere o annullare il bando”.
Detto, sospeso. “Diciamo che i nuovi palazzi servivano a evitare una situazione promiscua — spiega Mauro Gentili, il geometra cui la Regione ha affidato il progetto —. Attualmente i gruppi consiliari devono condividere spazi comuni, invece con i 3mila metri di nuova cubatura si potranno dare stanze più riservate a ciascun consigliere, con spazio di segreteria annessa”. In effetti il bando specifica che i progetti di realizzazione dell’opera devono rispondere a un piano di massima già prestabilito: urgono “48 uffici con bagno personale e segreteria con numero 2 postazioni di lavoro”.
Ogni consigliere avrà perciò diritto a uno spazio tutto suo, alle scrivanie per i fidati collaboratori, e naturalmente a un bagno con tanto di doccia e bidet per ogni eventualità istituzionale. Bello, perfino elegante come principio.
Ma quanto costerà questa igienica privacy degli eletti ai contribuenti laziali?
Per ora lo studio preliminare approntato dai tecnici regionali ha un costo preventivato di 250mila euro. In più ci sono gli scavi realizzati per verificare l’assenza di reperti archeologici sottoterra (tutto ok, nulla osta dei Beni archeologici ottenuto a tempi di record), i lavori per l’abbattimento della tensostruttura nota come Pala Ciocchetti che ospita alcuni gruppi consiliari (pare in realtà la si voglia trasformare in un asilo nido) e infine l’abbattimento di alcuni alberi (4 pini, 9 ippocastani e 9 cipressi: benchè filari vincolati, le necessarie autorizzazioni sono presto giunte).
Riassumendo: spesi quei 300mila euro per le opere preventive, accantonati i 170mila euro per ogni impresa partecipante al bando, tutti erano in attesa di aprire le famose buste il 13 settembre, giorno di scadenza ufficiale della gara.
Invece, il 6 settembre, giunge lo scarno comunicato: “Alla luce delle nuove disposizioni economiche e finanziarie stabilite con Legge dello Stato (Spending Review), su disposizione del Presidente del Consiglio Regionale si co-munica che le procedure di gara sono sospese al fine di verificare le disponibilità finanziarie necessarie”.
Tradotto: per colpa di Monti, niente doccia riservata per i consiglieri laziali.
Oppure, politicamente parlando, ecco la prosa laziale della Polverini dedicata ad Abbruzzese: “Dubito che l’opinione pubblica comprenderebbe, nella difficile congiuntura economica che colpisce anche questa Regione, le ragioni dell’effettiva utilità della spesa per i nuovi edifici del Consiglio”.
Insomma, per ora, tutto fermo.
Addio capitolato di ultima generazione molto attento a dettagli come il free cooling e il comfort termo-igrometrico.
Addio 1.100 giorni entro cui inaugurare trionfalmente altre due colonne del potere regionale: “Non so come andrà a finire — ammette il geometra della Regione —, tra i tagli aitrasferimenti e la storia di Fiorito, è saltato tutto.
Comunque il bando è solo sospeso, non annullato: le buste restano chiuse ma si può anche decidere di aprirle. Non ci vuole niente”.
Basta aspettare il momento giusto.
Intanto per domani alle 16 è stata convocata una seduta straordinaria del Consiglio regionale. Unico punto all’ordine del giorno: “Comunicazioni urgenti della presidente Renata Polverini”
Chiara Paolin
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 16th, 2012 Riccardo Fucile
PDL NEL CAOS, ORMAI E’ GUERRA PER BANDE… DOMANI CONSIGLIO REGIONALE STRAORDINARIO
“Io non ci sto”. Renata Polverini non ha alcuna intenzione di farsi rosolare a fuoco lento sulla graticola dei ricatti e dei veleni incrociati che stanno dilaniando il Pdl regionale, sempre più preda di una guerra tra bande che ha ormai travalicato i confini locali mostrando tutta l’inanità di una dirigenza nazionale incapace di prendere qualsiasi decisione, persino quella di espellere l’ex capogruppo Fiorito indagato per peculato.
“Io non ci sto a farmi coinvolgere nelle beghe di un partito allo sbando, a essere confusa coi ladri”, ha ribadito ieri la governatrice del Lazio, sibilando ai fedelissimi quelle quattro parole che da giorni le frullano in testa: “Ora basta, mi dimetto”.
Proposito annunciato ai vari responsabili della sua maggioranza che fino a notte fonda si sono affacciati nel palazzone della regione.
E che stavolta sia qualcosa più di una minaccia – già ripetuta altre volte, nel tentativo estremo di farsi rispettare dagli ex colonnelli di An e Fi che l’hanno sempre considerata un corpo estraneo – lo dimostra la convocazione, domani, di un consiglio straordinario per “comunicazioni urgenti”.
È nell’acquario della Pisana, l’aula a forma di emiciclo isolata dai vetri blindati, che la sindacalista già finiana, poi folgorata dal verbo berlusconiano, potrebbe annunciare il suo addio alla Regione.
Una strategia studiata a tavolino che prevede due subordinate, a seconda dalle risposte che arriveranno nelle prossime: dimissioni senza condizioni, che le consentirebbero di proporsi come l’unica faccia pulita di una politica sporca, mettersi sul mercato portando in dote la sua lista civica e provare il gran salto in Parlamento (magari con l’Udc, anche se il corteggiamento di Storace è assai più stringente); dimissioni condizionate a un cambio di registro radicale, della serie “o tutti quelli che sono marci o me ne vado”.
Un aut aut rivolto a tutti i partiti, non solo al Pdl: o il consiglio regionale approva subito una legge che tagli di netto i costi della politica, a cominciare dai fondi destinati ai gruppi, affidando l’esame delle fatture al Segretariato generale e il controllo alla Guardia di Finanza; oppure stop, game over, si va a casa.
È frustrata la governatrice, agitata, arrabbiata.
All’indomani della pubblicazione dei dossier su vacanze, auto di lusso, ostriche e champagne pagati dai pidiellini con soldi pubblici, si sarebbe aspettata uno scatto d’orgoglio: un segnale chiaro dal segretario Angelino Alfano, al quale aveva chiesto provvedimenti esemplari contro Fiorito e gli altri consiglieri coinvolti nello scandalo; l’azzeramento delle cariche all’interno del gruppo per ripartire daccapo con volti meno compromessi; una sforbiciata seria alle indennità e ai rimborsi che il presidente del consiglio, Mario Abbruzzese, avrebbe dovuto predisporre in tempi brevi per dare una risposta all’indignazione popolare.
E invece niente: non una sola delle sue richieste è stata esaudita.
Ecco perchè ora è necessario forzare. Per dare una scossa. Giocarsi il tutto per tutto alla roulette russa delle dimissioni.
Una manovra che pare sortire subito i primi effetti. “Per quanto ci riguarda Fiorito è già fuori dal partito”, tuona Alfano in serata, precisando come l’espulsione non dipenda da lui, “la sospensione è la sanzione massima che io come segretario, a norma di statuto, posso irrogare”.
Oggi poi toccherà al gruppo regionale riunirsi per sostituire Francesco Battistoni, uomo vicino all’europarlamentare azzurro Antonio Tajani, che a fine luglio una congiura forzista promosse al posto di Fiorito, fedelissimo del sindaco Gianni Alemanno.
Un blitz che in molti lessero come un’opa lanciata dagli azzurri sul Campidoglio e sul suo inquilino, al quale inviare un messaggio chiaro: se vuoi ricandidarti devi fare i conti con noi.
La prova di quella guerra fratricida che ha precipitato nel caos il Pdl locale, creato non pochi imbarazzi a Via dell’Umiltà , provocato la crisi del governo Polverini.
Un incendio che, a dispetto dei pompieri in campo, non accenna a spegnersi. La miccia innescata nell’aprile 2010 dal famoso panino di Alfredo Milioni, il funzionario di partito che in preda a un attacco di fame ritardò a presentare la lista romana del Pdl e ne causò l’esclusione dalle elezioni regionali.
È allora che comincia la battaglia tra ex An ed ex Fi per accaparrarsi i posti migliori, in giunta e nelle aziende; il “tutti contro tutti” tra correnti.
L’ultimo tra berlusconiani doc: la componente che fa capo a Tajani contro quella guidata dal segretario capitolino Gianni Sammarco, cognato di Cesare Previti. Altissima la posta in palio: poltrone, prebende e soldi.
Tanti soldi. Come quelli gestiti dal capogruppo in Regione.
Sullo sfondo, il banchetto più prelibato: le candidature alle Politiche del 2013.
Anna Borgognoni
(da “La Repubblica“)
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