Settembre 4th, 2012 Riccardo Fucile
FLI ALLE PROSSIME COMUNALI DI ROMA PENSA A CROPPI, MA E’ TENTATO DI STRINGERE UN ACCORDO CON LA MELONI
I pranzi nella Capitale posso essere molto divertenti in certi giorni.
Si fanno incontri curiosi, come quello di oggi.
Passo poco dopo le 13 per piazza di Pietra per andare verso Fontana di Trevi e vedo una bella coppia seduta su una poltroncina all’esterno del Salotto 42, noto locale al centro della Capitale dove di solito parte lo struscio al tramonto tra un aperitivo e un altro.
I due sono volti noti della politica romana.
Lui è Umberto Croppi, ex assessore alla Cultura che Alemanno ha accompagnato alla porta nel momento in cui si è legato a Futuro e Libertà . Lei è Flavia Perina, ex direttrice del Secolo d’Italia legata a doppio nodo a Fini col compito di occuparsi del coordinamento cittadino di Fli.
I due inciuciano, dico io lanciando un tweet mentre li supero.
Parlano di politica, del futuro del Campidoglio e mangiano un’insalata (come mi racconterà Alessandro Bolis, rispondendo al mio tweet, che dice di averli sentiti al telefono).
Di sicuro parlano del Comune di Roma che verrà , perchè Fli vuole un suo candidato (probabilmente proprio Croppi) magari presentato attraverso una lista civica.
Ma queste sono cose note, non c’è nulla di strano se due romani dello stesso partito mangiano un’insalatina al centro di Roma.
E infatti il punto non è questo.
A pasto finito, Umberto e Flavia si alzano per una passeggiata.
Non sarà lunga.
Passano per Montecitorio e s’infilano in via degli Uffici del Vicario dove c’è la famosa gelateria Giolitti. Vogliono prendere lì il caffè.
Ma attendono, prima di entrare.
Pochi minuti e arriva Giorgia. Sì, avete capito bene, Giorgia Meloni.
Che trio, ragazzi!
L’ex ministro della Gioventù, la romana del Pdl che tutti vedrebbero candidata a sindaco al posto di Alemanno, se ne va in pieno centro storico a prendere un caffè con due “pezzi grossi” di Fli a Roma.
Non deve essere proprio un incontro casuale.
Infatti non lo è.
A quanto pare Croppi e Perina si sarebbero visti con la Meloni per capire se l’ex ministro ha veramente in mente di candidarsi.
I due avrebbero fatto capire a Giorgia che, qualora facesse il grande passo, Futuro e libertà sarebbe dalla sua parte.
Insomma, i finiani della Capitale appoggerebbero ben volentieri la Meloni sindaco e stringerebbero con lei, e tutti i “Rampelliani” (l’area legata a Fabio Rampelli), un accordo elettorale.
Del resto, se per Umberto e Flavia un Pdl guidato da Alemanno sarebbe insostenibile, al contrario un Pdl guidato da Meloni sarebbe la chiave per provare a salire al Campidoglio.
(da “il Portaborse.com”)
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Settembre 4th, 2012 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DELLA CORTE DEI CONTI: OLTRE 9 MILIONI SPESI PER OTTOCENTO ESPERTI
Nel libro paga della Regione Sicilia, in qualità di esperti, figurerebbero anche un trombettista e un suonatore di piano bar.
Il particolare emerge dall’inchiesta aperta dalla Corte dei Conti per verificare la legittimità e l’opportunità delle consulenze affidate dalle Regione.
I magistrati contabili, rivela il Giornale di Sicilia, stanno passando al setaccio tutti gli incarichi assegnati dal governo guidato da Raffaele Lombardo dal 2008 ad oggi.
La spesa maturata nei primi mesi di quest’anno, sommata ai soldi già spesi porta il budget impegnato dalla Regione in consulenze, nel periodo della attuale legislatura a circa 9 milioni e 100 mila euro.
Soldi utilizzati per pagare un esercito di circa 800 esperti che hanno lavorato negli assessorati.
Tra le figure messe sotto contratto c’erano dunque anche i due musicisti.
L’INCHIESTA
Da qualche giorno gli assessori e i dirigenti dei dipartimenti sono stati invitati dalla procura della Corte dei Conti a fornire i documenti sull’attività svolta dai consulenti.
I tecnici della Regione spiegano che «le consulenze sono previste sia da leggi statali che da norme in vigore in Sicilia.
E il budget destinato a questi incarichi è stanziato annualmente nel bilancio».
La Corte dei Conti però vuole vederci chiaro.
E stabilire se davvero c’era bisogno di questi esperti e se il lavoro svolto è coerente con il mandato ricevuto e fissato nei contratti.
Dall’inizio della legislatura erano stati spesi oltre 5 milioni e mezzo.
Altri due milioni sono stati spesi nel 2010 e 900 mila euro nel 2011.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Settembre 4th, 2012 Riccardo Fucile
TRE PROCURE INDAGANO SUI VIAGGI DELL’IMMONDIZIA MILIONARIA
Al Nord erano stati chiari, perentori: no ai rifiuti campani.
Alcune regioni avevano tuttavia stretto accordi con la Campania per «aiutarla» a risolvere la crisi rifiuti.
Un aiuto che visti i guadagni, sembra tutt’altro che disinteressato.
Altre regioni come la Lombardia e il Friuli Venezia Giulia, erano state intransigenti (almeno apparentemente) con vere e proprie barricate: la monnezza di Napoli non l’avrebbero mai presa.
La Lega insorgeva e tuonava sui giornali che mai nelle regioni padane sarebbero stati smaltiti i rifiuti di Napoli.
E invece i camionisti che escono dagli Stir (impianti di tritovagliatura) di Giugliano e Tufino, cittadine nel bel mezzo del triangolo dei veleni della provincia di Napoli vanno tutti al nord: Friuli, Veneto, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna e Liguria.
Come mai?
Accogliere i rifiuti Campani è un affare milionario. E così proprio grazie in qualche caso ad accordi regionali e in molti altri a contrattazioni private, la Sapna, l’ente della provincia di Napoli che si occupa della gestione dei rifiuti sta spedendo buona parte dei rifiuti napoletani in territorio “padano” a suon di soldoni.
IL BUSINESS PER IL NORD
Nel 2011 l’immondizia di Napoli è stata un florido business per aziende ed enti del Nord e nel 2012 la Sapna ha già pronti 130 milioni di euro da spendere.
«Sono il bilancio della Sapna per il 2012 che sono perlopiù utilizzati per lo smaltimento dei rifiuti. Anche nel 2011 le cifre erano queste. Ora però stiamo preparando anche un bando internazionale» spiega Giovanni Perillo, direttore tecnico della Sapna.
Questo business che fa male ai napoletani che pagano salatissime Tarsu (tassa sui rifiuti) e fa lavorare e guadagnare i settentrionali ha dei lati oscuri: ditte contrattualizzate con procedure d’urgenza, fiumi di soldi e l’ombra delle mafie.
LE INDAGINI
Tre procure indagano sui viaggi dei rifiuti al Nord gestiti dalla Sapna.
In una perizia contenuta nel fascicolo dei magistrati napoletani si legge che i contratti effettuati in spregio ai principi di terzietà , trasparenza ed economicità hanno prodotto affidamenti illeciti o illegittimi e danni alle casse dello Stato.
Inoltre emerge, anche nella stessa perizia, che nella maggior parte dei casi i contratti vengono stipulati in pendenza della certificazione antimafia rilasciata dalla prefettura.
Quindi come è possibile garantire che le ditte affidatarie dei servizi (quasi sempre senza bando per motivi di urgenza) non siano infiltrate da organizzazioni mafiose?
Le ditte che lavorano per la Sapna sono aziende fuori dal “sistema” che ha gestito la monnezza di Napoli in maniera illecita?
«Noi applichiamo le norme. – chiarisce Perillo – Se le prefetture o gli organi competenti non ci segnalano nulla di strano dobbiamo andare avanti. Per quanto riguarda le certificazioni antimafia la Sapna applica la procedura standard per tutti gli enti pubblici: interroghiamo la prefettura e se decorsi 30 giorni non arrivano risposte stipuliamo il contratto».
RIFIUTI AL CENTRO-NORD
E allora diamo un’occhiata ai contratti relativi a trasporto e smaltimento dei rifiuti in impianti del nord Italia.
Cominciamo con la Toscana: otto contratti per smaltimento e trasporti con prezzi tra 113 e 163 euro per tonnellata per un totale di quasi 4 milioni di euro.
Tra le ditte affidatarie del servizio c’è la Rea spa che – come si apprende anche dal suo sito internet – ha tra i soci la società veneta Enerambiente, coinvolta in uno scandalo giudiziario proprio relativo all’emergenza napoletana.
«La guerra non la dobbiamo fare noi, la devono fare i dipendenti. Dobbiamo far degenerare la situazione e costringere i nostri a fare un po’ di casino. Non bisogna effettuare prelievi di rifiuti, domani potremo trattare meglio», si legge nelle intercettazioni tra i vertici di Enerambiente mentre parlano della crisi Campana.
Le telefonate vengono riportate dal gip in una ordinanza che ha disposto l’arresto per 16 persone collegate alla società trevigiana.
IN LOMBARDIA
In Lombardia i rifiuti sono andati in impianti a Brescia e a busto Arsizio con due contratti per un totale di un milione di euro.
Ai napoletani far bruciare l’immondizia nel termovalorizzatore della provincia di Varese è costato veramente caro: 223 euro a tonnellata. In Veneto e in Friuli Venezia Giulia i rifiuti arrivano a Padova e Trieste.
A Padova ce li porta una ditta finita nel mirino del pm Woodkock quando era in servizio alla procura di Potenza nell’ambito di una indagine sui rifiuti, la Europetroli.
Il costo va da 162 a 175 euro a tonnellata per un totale di oltre 2 milioni di euro.
IN EMILIA E LIGURIA
In Emilia Romagna sono stati stipulati 5 contratti. Le ditte interessate sono varie. Una è quella che fa capo a Vincenzo D’Angelo, imprenditore di Alcamo finito sotto inchiesta e arrestato per per traffico di rifiuti.
Secondo l’accusa li portava in Corea del sud. D’Angelo ha contratti con la Sapna anche per trasporto e smaltimento dei rifiuti in Sicilia e in Puglia.
Un’altra ditta che opera in Emilia Romagna è la Hera che controlla una società in cui è coinvolto il fratello dell’ex sottosegretario Nicola Cosentino, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa; poi c’è la Akron finita nella bufera per le denunce di alcuni sindacalisti sulle condizioni di lavoro degli operai, molti dei quali migranti. Infine c’è la Area nel mirino degli investigatori per la gestione della discarica Crispa.
Il corrispettivo per la sola Area Spa è di oltre 3 milioni di euro.
Il totale invece supera i 5 milioni e trecentomila euro. Cinque contratti anche per la Liguria per un totale di quasi 4 milioni di euro.
Secondo i dati dell’osservatorio della Uil, a Napoli con gli aumenti previsti dalla Provincia, una famiglia campione paga in media 427,80 euro di Tarsu (la tassa sui rifiuti).
Amalia De Simone
(da “Il Corriere della Sera”)
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Settembre 4th, 2012 Riccardo Fucile
L’INVENTORE DEI CINQUE STELLE E I TIMORI DEI PARTITI
Subito dopo i risultati alle amministrative Beppe Grillo elaborò la sua teoria: “Al Movimento 5 Stelle va il voto di chi prima si asteneva, il voto di molti cittadini che si erano allontanati dalla politica”.
Eppure, basta guardare le ultime analisi disponibili (e, per la verità , anche i dati di allora) per capire che la crescita dei 5 Stelle non va di pari passo con la diminuzione dell’astensionismo: ovvero, ci sono ancora molti italiani (il sondaggio Tecnè per l’Unità parla di 48 per cento) che non sanno nè se andranno a votare, nè per chi.
Eppure il consenso a Grillo cresce: dal 4 per cento del luglio di un anno fa (spiega ancora Carlo Buttaroni su l’Unità ) al 13 per cento del luglio 2012.
Dove li va a prendere questi voti?
Abbiamo chiesto ad alcune firme del giornalismo e della società civile che ne pensano.
Mentre Grillo fa la vittima e azzarda paralleli con “gli anni di piombo”, dove vigeva la regola del “li diffami, li isoli e poi qualcuno li elimina”, abbiamo provato a ribaltare i ruoli: chi ha paura del movimento di Beppe Grillo?
Paolo Flores d’Arcais: “Lo hanno creato nomenklature mediocri”
Chi ha paura di Beppe Grillo? Chi lo ha creato. Le nomenklature della partitocrazia, attaccate alle poltrone del Parlamento molto più che le cozze allo scoglio.
Gente senza arte nè parte, tranne quelle della menzogna, delle promesse tradite, dell’insofferenza per l’informazione libera e imparziale e di un’avversione all’autonomia della magistratura che è ormai diventata per loro una seconda natura.
Un mondo di mediocri di mediocrità ciclopica, che può restare a galla solo perpetuando meccanismi monopolistici che riducono la democrazia a beffa.
Non a caso, vilipendono come antipolitica tutte le esperienze di impegno civile e le lotte che da oltre dieci anni propongono invece un’Altrapolitica.
Di chi deve avere paura Beppe Grillo? Solo di se stesso, delle eventuali contraddizioni, ambiguità , reticenze (chi sceglierà i candidati di M5S, con quale trasparenza?), del rifiuto al confronto vero, del settarismo verso altre forze — già esistenti o in fieri — che fermentano nella società civile.
Vittorio Feltri: “È la gente che non si fida più di nessuno”
Hanno tutti paura di Grillo. Quest’uomo, può piacere o non piacere, costituisce di fatto una minaccia per il sistema. C’è poco da riderci su.
Qualcuno la considera una benedizione, perchè questo sistema è marcio, perduto, incapace di risorgere e di rinnovarsi.
Basta vedere lo stato dell’arte delle riforme: non hanno fatto nulla. Per questo tutti hanno paura, c’è gente terrorizzata nel centrosinistra così come nel centrodestra.
Grillo porterà a casa una quota consistente di voti e toglierà la possibilità di governare a uno dei due schieramenti: Pd e Pdl saranno condannati ad andare d’accordo, li costringerà a fare la grande coalizione.
Se poi la grande coalizione non combinerà un granchè, come prevedo, Grillo avrà un ampio margine di miglioramento.
Poi bisogna vedere chi altro ci sarà sulla scena: per esempio Montezemolo un 10 per cento potrebbe anche prenderlo. La gente non si fida più di nessuno, per cui anche l’ultimo pirla che parla, potrebbe suscitare favori.
Maurizio Viroli: “Quei democratici sedotti da Casini”
A giudicare dai toni usati nei riguardi di Grillo e del suo movimento, pare evidente che a temerlo è soprattutto il Pd, per la buona ragione che il linguaggio del comico può facilmente conquistare larghi consensi fra il suo elettorato.
Ma la paura, anche in questo caso, è pessima consigliera e porta i dirigenti del Pd non solo a rispondere spesso con sprezzante alterigia al linguaggio violento e sarcastico di Grillo, ma soprattutto a cercare sostegni e aiuti in personaggi seriamente compromessi con Berlusconi, in primis Casini.
Il primo errore è grave perchè sul terreno degli insulti, dell’ironia e del sarcasmo Grillo è più efficace, mentre se chiamato ad argomentare seriamente rivelerebbe sua debolezza culturale e politica.
Il secondo è gravissimo: ogni volta che Bersani o altri dirigenti Pd annunciano la loro volontà di dialogare e governare con Casini o addirittura Alfano, i suoi elettori migrano a centinaia verso altri lidi, o vanno a rafforzare l’esercito dei non votanti.
Se invece il Pd si decidesse a perseguire una seria politica di alternativa radicale a Berlusconi e al berlusconismo, Grillo perderebbe gran parte della sua forza.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 4th, 2012 Riccardo Fucile
DATI OCSE: SOLO IL 22,4% DISPONE DI UNA CONNESSIONE VELOCE, PERDENDO PURE UNO 0,6% DI UTENTI
Mentre l’agenda digitale italiana sembra destinata a trasformatasi nell’agenda della tela di Penelope, data l’interminabile sequenza di rinvii nel varo dell’atteso Decreto Digitalia, l’Oecd — l’organizzazione della Cooperazione e dello Sviluppo economico — ha pubblicato i dati relativi alla diffusione di Internet nei 34 Paesi che vi aderiscono.
La lettura dei dati è un esercizio al quale c’è da augurarsi che gli uomini del super-Ministro dell’agenda digitale non si sottraggano.
L’Italia è, quasi, il fanalino di coda dei 34 Paesi con appena il 22,4% della popolazione che dispone di una connessione a Internet a banda larga di rete fissa.
Peggio dell’Italia solo l’Irlanda, la Grecia, il Portogallo, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Polonia, la Slovacchia, il Cile, il Messico e la Turchia.
Lo scenario non cambia e, anzi, peggiora se si guarda alla percentuale di cittadini che dispongono di una connessione a banda larga su rete mobile: qui, ancorchè la percentuale di italiani salga al 31,7%, dietro del nostro Paese, restano solo Slovenia, Belgio, Cile, Ungheria, Turchia e Messico.
Ma il dato più allarmante, che il Ministro Passera farebbe bene a scrivere in modo indelebile nelle premesse del proprio Decreto è un altro.
L’Oecd ha, infatti, misurato anche il tasso di crescita della penetrazione della banda larga nei 34 Paesi nel semestre giugno-dicembre 2011: il nostro Paese è ultimo, trentaquattresimo con una percentuale pari al -0,6% che, evidentemente, significa, che abbiamo perso qualche abbonato a Internet veloce per strada.
Tanto per avere un’idea, nello stesso semestre — secondo i dati Oecd che sono informazioni fornite direttamente dai Governi dei Paesi aderenti — la percentuale di crescita del livello di penetrazione della banda larga, in Grecia è stata del 4,8% e in Polonia del 5,4%.
E’ una situazione grave e sconfortante rispetto alla quale occorrono misure davvero urgenti e straordinarie, ben diverse dalle continue promesse, rinvii e boutade mediatico-politiche viste sin qui.
Senza Internet non c’è futuro e non c’è crescita.
A metterlo nero su bianco — riassumendo i risultati di studi e ricerche indipendenti svolti negli ultimi anni in tutti il mondo — è lo stesso Oecd, nel suo Studio intitolato “L’impatto di internet nei Paesi OECD”, pubblicato a Giugno.
Inequivocabili le conclusioni alle quali si perviene nello Studio.
A prescindere da numeri e percentuali — sui parametri di misurazione dei quali c’è spazio per discutere — secondo l’Oecd è indubbio che la diffusione di Internet produca enormi effetti benefici a diversi livelli: miglioramento delle condizioni di mercato per i consumatori in ragione della moltiplicazione dei canali distributivi e dell’offerta, aumento dei modelli di business implementabili dalle imprese e, quindi, delle occasioni di lavoro, crescita delle opportunità di dialogo tra amministrazione e cittadini e, dunque, diffusione di pratiche di buon governo.
Ma non basta.
Lo Studio non ha dubbi circa il fatto che la diffusione di Internet e, in particolare, del tasso di penetrazione delle risorse di connettività a banda larga, influenza in maniera diretta anche la macro-economia.
Ad ogni aumento dell’indice di penetrazione della banda larga, si accompagna una crescita del Pil.
Serve altro per convincersi che è indispensabile correre ai ripari e recuperare il tempo perso a causa delle miope strategia di chi ci ha governato che ha ritenuto di rinviare gli investimenti in banda larga al giorno nel quale — non è dato sapere come — il Paese sarebbe uscito dalla crisi, assecondando le resistenze — facilmente comprensibili ma non condivisibili — dell’ex monopolista delle telecomunicazioni.
Altro che generazione perduta. Se non si adottato, con urgenza, misure straordinarie, rischiamo di diventare un Paese perduto, un’isola analogica in un universo digitale.
Guido Scorza
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 4th, 2012 Riccardo Fucile
SI TRATTEREBBE DI LING GU, IL FIGLIO DELL’EX CAPO DEL COMITATO CENTRALE DEL PARTITO… LA CONFERMA CHE I FIGLI DEI FUNZIONARI HANNO STILI DI VITA LUSSUOSI
Nelle prime ore del 18 marzo scorso una Ferrari si è schiantata contro un muro sul quarto anello nord di Pechino, in zona Wudaokou, vicino al quartiere universitario.
Al volante un ventenne seminudo è morto sul colpo.
Ferite gravemente invece le due accompagnatrici, anch’esse svestite.
Una apparteneva alla minoranza uigura, l’altra a quella tibetana.
L’identità del giovane, svelata solo oggi dal quotidiano di Hong Kong South China Morning Post, mette in luce le crepe del sistema monopartitico cinese e la debolezza del suo attuale Presidente.
Proprio alla vigilia di uno dei più difficili cambi di leadership che il paese ricordi.
Il 18 marzo stesso, una domenica che evidentemente seguiva un sabato sera da sballo, il Quotidiano del popolo pubblicava la notizia dell’incidente, ma già il lunedì successivo la notizia era scomparsa e su Weibo, il twitter cinese, erano state addirittura censurate parole come ‘Ferrari’ e ‘incidente stradale’.
Quasi subito si era diffusa la voce che il ragazzo a bordo dell’auto era figlio di un importante ministro e che la censura era volta ad arginare la furia popolare contro i ‘l’aristocrazia rossa’: famiglie i cui figli possono permettersi di studiare all’estero o possedere a vent’anni macchine da centinaia di migliaia di euro. Insomma, l’un per cento cinese.
La potenza sociale dell’incidente rimase quindi sopita sotto le braci della censura.
Ma non erano solo i media stranieri a continuare ad interrogarsi sulla vicenda.
Diverse indagini partite dalle alte sfere politiche erano risalite alla vera identità del ragazzo.
Tra i tanti a cui fu svelato il vero nome del giovane coinvolto, c’era addirittura Jiang Zemin, ovvero il precedente presidente della Repubblica ancora molto influente sebbene in pensione.
Bisogna inoltre ricordare il clima politico di quei giorni.
Solo tre giorni prima il rosso Bo Xilai, quello che sembrava essere l’astro nascente della politica cinese, era stato epurato.
Un altro uomo aveva preso la sua carica di segretario di Partito della città di Chongqing.
Le cause di quello scossone politico non si sono mai chiarite, anche se la moglie è stata recentemente condannata a morte per l’omicidio di un uomo d’affari britannico che avrebbe aiutato la famiglia Bo a stornare fondi illegali all’estero.
Ma fino alla sua caduta, mediatica prima ancora che politica, Bo era quello che aveva osato sfidare il modello di “società armoniosa” proposto dal presidente Hu Jintao con un modello altrettanto discutibile che in alcuni punti ricordava addirittura i metodi e le soluzioni della Rivoluzione culturale ma che, al contrario del primo, piaceva molto al popolo.
Secondo le fonti del sempre ben informato South China Morning Post — che esce oggi con il suo scoop — l’ex presidente Jiang Zemin avrebbe temporeggiato tre mesi prima di riferire il nome del ragazzo all’attuale presidente Hu.
Si tratterebbe di Ling Gu, il figlio di Ling Jihua, ex capo dell’Ufficio generale del Comitato centrale del Partito comunista e — almeno fino alla settimana scorsa — principale consigliere del Presidente.
L’ufficio ricoperto da Ling è infatti uno dei più politicamente sensibili.
Chi lo ricopre supervisiona quotidianamente l’agenda dei leader e — soprattutto — del presidente.
Il presidente Hu aveva dovuto lottare a lungo per permettergli di ricoprire quell’incarico che, nei primi cinque anni della sua presidenza, era assegnato a un fedelissimo del suo predecessore Jiang Zemin. Ling era uno dei pupilli del presidente Hu Jintao e tra i favoriti a prendere posto tra i 24 membri del Politburo nella cosiddetta sesta generazione di leader che verrà confermata durante il Congresso del prossimo autunno.
Il fatto che sabato scorso a Ling sia stato invece assegnato un incarico più che altro simbolico (capo del Dipartimento del Fronte unito per il lavoro) è un segno di quanto quell’incidente abbia pesato nelle alte sfere e dell’attuale impotenza di Hu che non avrebbe più la forza di portare avanti i suoi protegè.
Le notti folli di un ventenne dunque hanno troncato la carriera del padre, ma soprattutto mettono in discussione il buon nome del Presidente.
Hu Jintao ha infatti mantenuto fino ad oggi una buona reputazione e sicuramente vorrebbe essere ricordato come un uomo onesto che non ha lesinato il suo sostegno alla lotta contro i privilegi e la corruzione.
Ma cosa potrà rispondere quando la furia popolare gli chiederà di come sia possibile che un ventenne possa permettersi un auto da 5 milioni di yuan (oltre 600mila euro)? L’incidente non solo confermerà l’opinione diffusa che i figli di alti funzionari hanno stili di vita lussuosi e ‘decadenti’, ma contribuirà anche a rendere più caldo quest’autunno; e più complicate e frutto di più mediazioni le decisioni politiche legate al prossimo cambio di leadership.
I nuovi equilibri politici verranno svelati durante il XVIII congresso del Partito comunista cinese.
Forse anche per questo le date del Congresso non sono ancora state annunciate.
Cecilia Attanasio Ghezzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 4th, 2012 Riccardo Fucile
LA TARGA DELLA VIA INTITOLATA A SUO PADRE IN FRANTUMI DA MESI…E SU UN MURETTO DI MONDELLO NESSUNO CHE CANCELLI LA SCRITTA CHE FA APOLOGIA DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA
Le ultime due immagini che restano di Palermo a Rita dalla Chiesa sono quelle scattate col telefonino ieri sera, poco prima di tornare a Roma, dopo il trentesimo anniversario del massacro di suo padre, Carlo Alberto, della giovane moglie Emanuela e dell’agente di scorta Domenico Russo.
Due immagini devastanti che rischiano di sovrapporsi sul calore avvertito anche in via Carini, fra gli applausi di tanta gente affacciata ai balconi proprio dove si deponevano le corone della cerimonia ufficiale.
Due scatti.
Nel primo «via dalla Chiesa» con la targa in frantumi da mesi.
Nell’altro un muretto di Mondello dove nessuno cancella un «W la mafia» fresco di vernice, ben visibile dai turisti al mare.
Prima del rientro, Rita voleva far vedere la strada intitolata al padre alla figlia Giulia, 41 anni, per la prima volta in vita sua a Palermo, un’ansia cresciuta con lei, la stessa che le ha impedito finora di venire nell’inferno dove morì il nonno.
Un muro infine abbattuto per stare vicino alla madre.
E cogliere l’occasione per portare giù anche il suo bimbo, cinque anni, gli occhioni ieri sgranati sul picchetto d’onore, sulle corone, su spade e fucili scrutati dall’alto, in spalla al suo papà che seguiva Rita e Giulia.
Tutti al centro di una via Carini trasformata in un teatro con la strada per palcoscenico e i balconi come palchi.
Balconi di edifici rimasti com’erano allora, le persiane scrostate, le ringhiere arrugginite.
Una signora anziana vestita d’azzurro al primo piano, commossa. Più su, un’altra signora di almeno ottant’anni, accanto al balcone di una famigliola di colore.
Di fronte, un pensionato di settant’anni, i gomiti appoggiati al davanzale, pure lui come tutti pronto ad applaudire, mentre Rita alzava gli occhi quasi per ringraziare quel pezzo di Palermo.
Ma senza potere impedire al suo pensiero una constatazione amara: «Trent’anni fa, la sera dell’agguato, le stesse persiane rimasero tappate, nessuna delle persone che oggi hanno i capelli bianchi parlò, nessuno vide e sentì niente…».
Un’amarezza mitigata sia dal calore di questi due giorni trascorsi nella città dove ha deciso di tornare a vivere, sia dalle parole del ministro Annamaria Cancellieri, del comandante generale dell’Arma dei carabinieri Lorenzo Gallitelli, del procuratore Piero Grasso pronto a dire che quel dramma «non fu solo un delitto di mafia», che «Cosa nostra potrebbe avere agito come braccio armato di altri poteri».
Poi, ieri sera, lo sgomento di Rita per quei due scatti, prima di lasciare l’Hotel La Torre, il suo buen retiro sugli scogli di Mondello, meta mai raggiunta quel 3 settembre dell’82 da suo padre e da Emanuele Setti Carraro.
Felice Cavallaro
(da “Il Corriere della Sera“)
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Settembre 4th, 2012 Riccardo Fucile
LA CONSIGLIERA REGIONALE PDL, SOTTO PROCESSO PER IL CASO RUBY, ANNUNCIA CHE NON SI DIMETTERA’…E CHIEDE AGLI ORGANIZZATORI DI MISS ITALIA DI INVITARLA COME OSPITE
“Dopo l’estate ho scelto di restare per gli stessi motivi che mi hanno fatto avvicinare alla politica: l’ammirazione per le idee di libertà di Silvio Berlusconi. Non mi arrendo alle prime difficoltà : gli ostacoli mi motivano a essere più forte e tenace. Quindi per ora non mollo”.
A dirlo, in un’intervista al settimanale Diva e Donna, è il consigliere lombardo pdl Nicole Minetti, sotto processo a Milano per il caso Ruby, che sembra così chiudere la discussione sulle sue dimissioni avviata all’inizio dell’estate.
L’esponente del Pdl, secondo un’anticipazione del servizio, lancia anche un appello a Patrizia Mirigliani, organizzatrice di Miss Italia, commentando la presenza in finale di Chiara Danese, parte civile al processo Ruby contro di lei, a cui rivolge comunque un “in bocca al lupo”.
“Mi ha colpito l’attenzione che Miss Italia riserva alla partecipazione di questa ragazza che in fin dei conti dovrebbe essere una concorrente qualsiasi, come le altre, ma sui giornali le è sempre riservato grande spazio – dice – Spero che un concorso così importante sia super partes rispetto alla vicenda come dovrebbe essere. Anzi, Patrizia Mirigliani per dimostrarlo davvero dovrebbe invitarmi come ospite a una delle serate”.
Diva e Donna anticipa poi di aver chiesto a Minetti di dare sexy-pagelle ad alcuni politici.
Queste le risposte: voto 8 a Roberto Formigoni (“la giacca gialla che ogni tanto indosso in consiglio regionale l’ho scelta ispirandomi alle sue camicie”,che sono simbolo di “autoironia”), 7 a Matteo Renzi (“anche se ha un po’ troppo l’aria del bravo ragazzo per i miei gusti: lo vedrei meglio con un giubbotto in pelle, più rock”); 4 al leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo (“in un uomo non mi piace mai la barba incolta”) e 3 al segretario pd Pierluigi Bersani (“Se dovessimo unire la folta chioma di Grillo con la flemma di Bersani, non ne uscirebbe certo l’uomo più sexy del pianeta”).
(da “La Repubblica”)
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Settembre 4th, 2012 Riccardo Fucile
E’ QUESTO IL RISULTATO DI UNA POIEZIONE SUGLI ULTIMI SONDAGGI DI IPR SE SI ANDASSE A VOTARE CON IL SISTEMA ALLO STUDIO DEI PRINCIPALI PARTITI
Dopo la grande coalizione, ancora grande coalizione.
Sarebbe questa l’unica formula in grado di garantire oltre 400 deputati a sostegno di un nuovo governo.
Lo sostiene Ipr Marketing, che ha simulato lo scenario post-voto se andremo a votare con la legge elettorale su cui sembra ci sia un accordo tra i maggiori partiti.
Una maggioranza più debole, invece, sarebbe quella ottenuta da un’alleanza di centro sinistra con Pd, Sel e Udc: circa 360 deputati.
L’ipotesi di legge.
La simulazione è stata effettuata nel caso in cui il Porcellum fosse sotituito da un sistema proporzionale con un premio di maggioranza (10% o 15%) al partito che prende più voti.
Mentre i partiti che non superassero la soglia del 5% non entrerebbero in Parlamento. La proiezione in seggi è stata fatta considerando anche possibili ‘listoni’.
La maggioranza numerica alla Camera dei deputati è di 316 su 630.
Il sondaggio di Ipr ha scelto come maggioranza per un governo stabile quota 360 deputati.
Le alleanze prima del voto.
Il Pd potrebbe creare un’unica lista con Api e Psi, partiti che difficilmente supererebbero la soglia di sbarramento.
È probabile che il Pdl faccia lo stesso con la Destra di Francesco Storace, mentre l’Udc stringerebbe un’ alleanza con Fli, Mpa e Grande Sud.
Pd + Sel, niente governo.
Il Pd, che si aggiudicherebbe stando agli attuali sondaggi il premio di maggioranza, non potrebbe mai governare da solo.
Infatti avrebbe alla Camera rispettivamente 232 o 254 eletti, ben sotto la soglia minima fissata a 316.
Anche l’alleanza con Sel di Vendola non sarebbe sufficiente per governare, perchè al massimo si arriverebbe a 288 deputati.
Pd + Udc, maggioranza risicata.
Nel caso di alleanza post voto tra Pd e Udc, solo se il premio di maggioranza fosse al 15% si potrebbe formare un governo.
Con 326 deputati a sostegno il governo sarebbe però appeso ad una maggioranza numericamente esile.
Pd+Sel+Udc, possibile governo.
Con l’alleanza allargata di tutto il centro sinistra e un premio di maggioranza al 15% si potrebbe avere invece una maggioranza abbastanza stabile, raggiungendo la soglia minima di governabilità con 360 deputati.
Grande coalizione, governo al sicuro.
Solo con la riproposizione della grande coalizione che appoggia oggi il governo Monti si avrebbe un governo con una maggioranza molto forte, tra i 435 e i 445 deputati.
Giacomo Galanti
(da “La Repubblica“)
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