Settembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
RATIFICATO L’ACCORDO PER CANDIDARE MICCICHE’ ALLA PRESIDENZA DELLA REGIONE: “SAREMO LEALI CON MICCICHE’, MA SERVE UNA LISTA UNICA”… IL DILEMMA DI FLI: NON RAGGIUNGERE IL QUORUM DEL 5% O GIOCARSI LA POLTRONA NEL TERNO AL LOTTO DELLE PREFERENZE, ALL’INTERNO DI UN LISTONE SENZA SIMBOLO DI PARTITO?… E MICCICHE’ DIVENTA “INECCEPIBILE”
“Una lista unica a sostegno di Miccichè, insieme agli alleati di Grande Sud e Partito dei siciliani”. Carmelo Briguglio conferma l’intenzione di sostenere l’ex ministro di Berlusconi, ma rilancia: “Abbandoniamo i calcoli e gli accordi da retrobottega. Diamo vita a un nuovo progetto politico”.
Un invito che è anche, in un certo senso, dettato dalla necessità di “sopravvivere”.
Lo ammette con molta onestà , il coordinatore regionale di Fli: “Il nostro partito, al momento, è come un pulcino in autostrada, dobbiamo scansare macchine e autotreni”.
Una tesi che, alla fine, tutto sommato, ha accontentato lo scontento Fabio Granata: “Io avevo un’altra idea, ma se la maggioranza del partito la pensava diversamente da me, Briguglio ha fatto bene a decidere in questo modo”.
Cioè, a sostenere comunque Gianfranco Miccichè, verso il quale Granata lancia prima un invito a “redimersi” da alcuni atteggiamenti critici nei confronti della magistratura palermitana, poi una sorta di assoluzione politica: “La sua vicinanza a Dell’Utri è stata solo ‘aziendale’”.
Alla fine, come detto, Fli non solo decide di sostenere Miccichè, ma lancia l’idea di una lista unica, che lanci dalla Sicilia un progetto nazionale, come spiega Bocchino: “Quella che potrebbe chiamarsi ‘Lista Sicilia’ rappresenterà un esperimento di lista nazionale, una ‘Lista Italia’ che vada oltre i blocchi del centrodestra e del centrosinistra attuale”.
La linea, appunto, rivendicata da Briguglio che durante il suo intervento al coordinamento regionale ha spiegato che “lo sforzo più grande, anche in vista delle imminenti elezioni regionali, è stato quello di non far sbandare il partito nè verso il centrodestra che si ripresenta uguale al passato ma con la nuova maschera di Musumeci, nè verso il centrosinistra che sostiene Crocetta, persona che rispettiamo, ma che ha un’altra idea della Sicilia e della vita, anche a livello personale (forse perchè è omosessuale non va votato, Briguglio?…)
L’offerta politica — prosegue Briguglio – era questa. Stiamo costruendo con i mattoni che la Sicilia oggi offre. Abbiamo scelto Miccichè, che ci ha offerto questa possibilità di ‘non sbandare verso l’una nè verso l’altra parte. Sebbene con Gianfranco, diciamola tutta, non è che abbiamo molte ‘affinità elettive’”.
E al di là dell’effetto “sbandata”, il sostegno a Miccichè e l’invito a creare una lista unica nasce dalla “necessità — spiega Briguglio — di far parte di un’alleanza. Altrimenti, la pena sarebbe quella massima: l’irrilevanza”.
Ovvero, il rischio concreto di non superare lo sbarramento del 5% in molte province siciliane: “Per cortesia — aggiunge Briguglio — mettiamo da parte l’ideale della ‘bella morte’: qella di chi muore stringendo il proprio simbolo. Noi vogliamo e dobbiamo vivere”.
Un’idea, come detto, condivisa da Fabio Granata, indicato inizialmente come candidato alla presidenza dei finiani: “Partiamo da un dato di fatto: abbiamo tolto energie e voti importanti come quelli di Gianfranco Miccichè a una destra che stavaproponendo una nuova, preoccupante restaurazione. Questa è una grande operazione tattica e strategica, il cui merito è tutto di Carmelo Briguglio” .
Una dichiarazione buona, insomma, per mettere a tacere “divisioni che non sono mai esistite. Si discute, come è giusto che si faccia in un partito”.
Al di là della distensione, però, Granata rivendica la sua idea originaria, quella nella quale Fli, in un momento storico-politico come quello attuale, avrebbe potuto trovare forza e spinta da un candidato alla Presidenza che portasse con sè alcuni valori rappresentativi del partito.
“Ma voglio precisare — aggiunge Granata — che Gianfranco Miccichè è ineccepibile sul piano della legalità , e la vicinanza a Dell’Utri, in fondo, è stata solo ‘aziendale’”.
Già , il “male vero” è altrove: “C’è tutta quella zona grigia dell’ex centrodestra col quale ha rotto Fli,che adesso si nasconde dietro il dinamico pizzetto della destra catanese e di un partito rappresentato da un leader come Storace che ha solo operato operazioni di sciacallaggio nei confronti di Gianfranco Fini”.
E gli attacchi molto caustici agli avversari del centrodestra non finiscono qui: “Musumeci parla tanto di legalità , sono certo che su quel tema saranno in prima linea sia Saverio Romano che Rudy Maira. Poi c’è Pippo Scalia, noto per i suoi interventi in Aula da deputato nazionale e regionale quando, evidentemente, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ed è chiaro anche l’apporto in termini di voti da parte di Adolfo Urso che viene ricordato come l’uomo che, durante la traversata nel deserto di An è scappato portando via la borraccia”.
Adesso, però, Urso, Scalia, Musumeci sono tutti dall’altra parte. Fli ha scelto Miccichè.
“Imporremo un codice etico e liste di persone irreprensibili — puntualizza Granata — mentre i nostri assessori in giunta dovranno proporre la costituzione parte civile della Regione siciliana nel processo sulla trattativa. A cominciare dall’udienza prevista per il 29 ottobre”.
Quando anche il “pulcino Fli” saprà se è sopravvissuto agli autotreni.
(da “Sicilia Live“)
Il commento del ns. direttore
Prendiamo atto che ieri sera è stato ratificato il suicidio politico di Fli in Sicilia, con una alleanza in palese contrasto con i principi del manifesto di Bastia Umbra, ovvero accordandosi con un partito che vede indagato per concorso esterno per mafia il presidente uscente e con un candidato presidente consumatore di cocaina per sua stessa ammissione, oltre che berlusconiano fino a 15 giorni prima della sua candidatura.
Ma l’alleanza dei paraculi si basa sui reciproci interessi: Briguglio ammette che Fli in Sicilia non arriva al 5% della soglia di sbarramento e che lui non ama la “bella morte” (ma il brutto suicidio).
E arriva a giustificare la mancata naturale alleanza con Crocetta perchè costui ha un’altra “visione personale della vita” (non sapevamo che nel programma di Fli ci fossero concetti omofobi, anzi avevamo letto il contrario).
I tre consiglieri uscenti (uno è scappato ieri nel Pdl) hanno voluto l’alleanza con Miccichè sperando con le preferenze di sopravvivere, cosa che non gli auguriamo di cuore, visto lo squallore della loro operazione che butta al vento i riferimenti etici per cui avrebbero dovuto aderire a Fli.
Quanto alla affermazione di Granata sulla “ineccepibilità ” del personaggio Miccichè stendo un velo pietoso, sapendo quanta amarezza questa sua frase ha generato in tanti militanti onesti di Fli che vedevano in lui un punto di riferimento per il cambiamento.
Putroppo spesso si nasce rivoluzionari e si muore pompieri.
Senza aver neppure saputo azionare la sirena.
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Settembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
E’ UFFICIALE, IL SIMBOLO DEL NUOVO PARTITO DI EMILIO FEDE SARA’ UNA DENTIERA IN UN BICCHIER D’ACQUA… BEPPE GRILLO HA ACCETTTATO UN’INTERVISTA RISPONDENDO ALLE DOMANDE POSTE DA BEPPE GRILLO… MATTEO RENZI CONTRO TOGLIATTI
Rinnovare la politica italiana, presentare facce nuove, agitare le stanche acque della democrazia in declino e proporre nuove soluzioni.
Avete tre straordinarie occasioni per fare tutto questo: seguire Matteo Renzi, votare Beppe Grillo, o iscrivervi al movimento di Emilio Fede. La quarta ipotesi è bere una fiala di cianuro.
“Questa soluzione sarebbe di gran lunga la più sensata — dicono i principali osservatori stranieri — ma l’Italia è un paese in crisi e non ci sarebbe veleno per tutti”. Il nuovo che avanza, comunque si presenta in tutte le sue varianti.
Emilio Fede, per esempio, conta molto sull’elettorato femminile nella fascia d’età tra i 110 e i 123 anni.
“Secondo i sondaggi presso quella fetta di elettorato vado fortissimo — dice l’attempato ma ancora gagliardo imputato di sfruttamento della prostituzione — sono tutte ammiratrici, alcune addirittura mi mandano dei dagherrotipi”.
Ma se l’avventura elettorale di Fede sa di rosolio e pasta adesiva per dentiere, è sul fronte delle vere novità politiche che la battaglia si fa dura.
Beppe Grillo e Matteo Renzi hanno recentemente incrociato le loro armi dialettiche. Renzi ha accusato Grillo di non avere argomenti, Grillo ha accusato Renzi di non esistere.
Allora Renzi ha risposto duramente tirandogli il biberon.
E Grillo ha reagito con due barzellette su sua sorella e bucandogli le ruote del triciclo. “Non si vedeva una competizione di così alto livello dai tempi di Max Weber — scrive il Guardian in una sua corrispondenza dall’Italia — ma dietro questa tesa disputa si nasconde la vera sostanza”.
Che sarebbe — sempre agli occhi degli osservatori internazionali — una questione di spazio politico
Infatti Renzi e Grillo sono due e Bersani è uno solo: o fanno i turni per picchiarlo o finiscono per litigare tra loro.
Più esoterica e intimista l’analisi di Le Monde: “In Italia tutto è complicato come in un gioco di specchi — scrive il giornale francese — e se si dice che la nuova proposta politica è rappresentata da un comico tutti pensano a Matteo Renzi. Se invece si pensa a un volto nuovo, a una giovane promessa della politica, si pensa a un signore genovese di 64 anni, un’età a cui i politici europei di solito si ritirano a vita privata”.
(da “Il Misfatto“)
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Settembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
NEL SULCIS 4.500 CASSAINTEGRATI SU 129.000 ABITANTI… “IN SARDEGNA CI SENTIAMO TUTTI ABBANDONATI”
In sindacalese si chiamano «momenti estremi». Nel linguaggio ruvido dei metalmeccanici sardi significa che «a forza di tirare la corda, qualcuno la pagherà ».
Te lo spiegano così, con la schiuma alla bocca, davanti ai cancelli del bestione di Portovesme. La protesta sulla torre. La bomba fantoccio. Gli scontri al porto di Cagliari.
Per dire dell’Alcoa.
E poi il presidio sotterraneo dei minatori di Carbosulcis, e i pastori, e gli operai della chimica, dell’industria elettrica.
Il sud della Sardegna è una polveriera pronta a esplodere. Un calderone dove ribolle l’insofferenza, l’angoscia, la rabbia di migliaia di lavoratori che si sentono «abbandonati», anzi, «più abbandonati degli altri».
Che sarebbero i colleghi del «continente».
Benvenuti nel Sulcis-Iglesiente, il territorio più cassaintegrato d’Italia.
Quattromilacinquecento ammortizzatori sociali per 129 mila abitanti.
Il 40 per cento dei paracadute sganciati dal governo per le aziende sarde che chiudono, si aprono qui, nella provincia di Carbonia- Iglesias.
Ventitrè comuni e una strage industriale che non fa prigionieri.
«Autunno caldo? Scusi ma mi viene da ridere per non piangere. Da noi – spiega Franco Bardi, segretario provinciale Fiom – tutte le stagioni sono calde, autunno, inverno, primavera, estate. Siamo conciati così da anni. Ve ne accorgete solo adesso perchè Carbosulcis e Alcoa stanno facendo casino. Ma nelle stesse condizioni di quegli operai si trovano tanti altri colleghi. Dopo la bomba all’Alcoa, ci ha convocati il prefetto. Gli abbiamo detto che non siamo più in grado di gestire la rabbia dei lavoratori».
È la storia della corda troppo tirata. È la storia di una balletto tra Governo, Regione e multinazionali spregiudicate. Che adesso scrive il suo nuovo capitolo, quello dei «momenti estremi».
Intanto le procedure di chiusura, nell’impianto Alcoa, continuano. Ventitrè celle elettrolitiche sono già spente.
Un dato che fa a pugni con l’ottimismo forzato diffuso dal governatore Ugo Cappellacci: «Siamo disponibili ad attivare un nuovo tavolo di approfondimento, una soluzione si troverà ». La realtà è che a Portovesme gli operai sono sempre più pessimisti.
È un distretto in agonia. Un’epidemia diffusa che ha già contagiato 3 mila lavoratori e fatto aprire un fronte sindacale unico chiamato, non a caso, «Vertenza Sardegna».
C’è il dramma della Carbosulcis; c’è l’Eurallumina che produceva ossido di alluminio per l’Alcoa ma è ferma da tre anni e mezzo.
Ci sono i «nodi» della Portovesme (piombo e zinco), della Keller di Villacidro (carrozze ferroviarie, trattativa in corso con acquirenti cinesi), dell’Enel e della Ila (laminati in alluminio). Alla Sms di Iglesias facevano profili in alluminio: chiusa da un anno e mezzo.
I conti sono fatti: eccoli i 3 mila lavoratori «alle pezze ». «Nel Sulcis un numero come questo corrisponde ai 15 mila di Taranto», conclude Bardi.
Di fronte a una crisi industriale «senza precedenti», Cgil, Cisl e Uil hanno annunciato la mobilitazione generale, che sfocerà in una grande manifestazione tra ottobre e novembre.
È l’autunno sempre caldo della Sardegna.
Paolo Berizzi
(da “la Repubblica“)
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Settembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
SCADE IL TERMINE PER LA REGOLARIZZAZIONE
Almeno verranno risparmiate le lunghe code in attesa fuori dalle questure, nella speranza di coronare il sogno di uscire dall’ombra, dalla zona grigia, e tornare ad essere cittadini in regola con i propri diritti e doveri.
Perchè la nuova sanatoria decisa dal Governo avrà la procedura di richiesta esclusivamente via web.
Le porte dello sportello on-line all’indirizzo www.interno.gov.it si aprono alle 8 di sabato prossimo e chiudono solo allo scoccare della mezzanotte del 15 ottobre; particolare niente affatto trascurabile: non sono state fissate quote massime di ammissione.
Tutto nasce dal giro di vite previsto per gli imprenditori che sfruttano il lavoro straniero in nero: viene data la possibilità – l’ultima – di un ravvedimento operoso, prima della grande stangata.
Comunque, il Ministero dell’Interno, quello del Lavoro e delle Politiche Sociali, quello dell’Economia e della Cooperazione internazionale hanno fornito le indicazioni operative sugli adempimenti che gli Sportelli Unici per l’immigrazione dovranno adottare in attuazione della procedura per la presentazione della dichiarazione di emersione del rapporto di lavoro irregolare a favore di lavoratori stranieri.
Il decreto del ministro dell’Interno del 29 agosto 2012, infatti, è stato registrato presso la Corte dei Conti ed è in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
I punti cardine
Nella circolare del 7 settembre scorso vengono riepilogati e chiariti i punti cardine che riguardano la procedura. Intanto, a dichiarazione di emersione va presentata dopo il pagamento di un contributo forfetario di 1.000 euro per ciascun lavoratore (importo non deducibile ai fini dell’imposta sul reddito).
Il contributo forfetario va versato esclusivamente tramite il modello di pagamento “F24 Versamenti con elementi identificativi”, reso disponibile sui siti internet dell’Agenzia delle Entrate, ma anche dell’Inps e dei Ministeri interessati. Il modello di pagamento deve contenere, oltre ai dati relativi al datore di lavoro, anche il numero di passaporto o di altro documento simile del lavoratore.
L’ammissione alla procedura di emersione è condizionata alla verifica del possesso, da parte del datore di lavoro (sia esso persona fisica o società ), di un reddito imponibile o di un fatturato risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi non inferiore a 30.000 euro annui, salvo il caso di un lavoratore addetto al lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare, nel qual caso il reddito imponibile del datore di lavoro non può essere inferiore a 20.000 euro annui in caso di nucleo familiare composto da una sola persona che percepisce il reddito, oppure non inferiore a 27.000 euro annui in caso di nucleo familiare inteso come famiglia anagrafica composta da più soggetti conviventi.
Il datore di lavoro deve dimostrare la regolarizzazione delle somme dovute al lavoratore a titolo retributivo, anche relativi ai contributi, per il periodo della durata del rapporto di lavoro o comunque non inferiore a 6 mesi, attraverso una attestazione redatta congiuntamente al lavoratore, del pagamento degli emolumenti dovuti in base al contratto nazionale riferibile alle attività svolte.
È importante chiarire che non sarà necessario concentrare la presentazione delle domande nella fase iniziale della procedura, in quanto non sono state fissate quote massime di ammissione.
La procedura
Lo Sportello unico per l’Immigrazione (Sui) riceverà , infatti, le domande dal sistema informatico del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno nel rispetto dell’ordine cronologico di ricezione.
Successivamente, sarà lo stesso Sportello Unico ad acquisire dalla questura e dalla Direzione territoriale del lavoro i previsti pareri sulla dichiarazione di emersione. Ricevuti i pareri, quindi, lo Sportello convocherà le parti per gli ulteriori adempimenti.
Come sperimentato in altre analoghe occasioni, saranno operativi i protocolli d’intesa stipulati con l’Anci, le Associazioni di categoria, le Organizzazioni sindacali e i Patronati che vorranno fornire assistenza per la compilazione e l’inoltro delle domande.
Infine, nella circolare, vengono ribadite le condizioni per la sospensione dei procedimenti penali ed amministrativi e la presentazione di false dichiarazioni. Però, tutto questo in teoria. Perchè poi spesso le cose vanno diversamente.
I numeri
Per esempio, «ci sono immigrati che finiranno per pagare di tasca loro – ammonisce Roberto Vintoni del Csi, Centro Servizi Immigrati – Lo si capisce già dal fatto che mente in passato i lavoratori stranieri inviavano denaro perso i Paesi d’origine, ai familiari rimasti in patria, ora avviene il fenomeno inverso.
I money trasfer del centro storico di Genova stanno lavorando tantissimo per denaro in arrivo dall’estero per pagare i permessi di soggiorno. E ci parla di 1.700 o 1.800 euro a persona, che in Paesi con il costo della vita molto inferiore, nono parecchi soldi».
Spiega Patrizia Bellotto della Cgil: «A Genova ci sono 70.000 stranieri in regola; stimiamo che gli irregolari siano il 10% di questa cifra, quindi intorno ai 6.500». Dati ottimistici, secondo il Csi: «A noi ne risultano il doppio, circa 13.000», nota Vintoni. A conferma che sul tema regna una grande certezza.
Dopo Roma, Milano e Torino, Genova è la città d’Italia che ospita il maggior numero di immigrati.
(da “Il Secolo XIX”)
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Settembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
TRA SECONDIGLIANO, SCAMPIA E LA PERIFERIA DI NAPOLI IL PIU’ GRANDE SUPERMARKET DI DROGA D’EUROPA
A un certo punto, il questore di Napoli, Luigi Merolla, usa una immagine che rende la drammaticità della situazione, il giorno dopo l’ennesimo omicidio della nuova guerra di camorra: «La controffensiva dello Stato si fa sentire, ogni giorno occupiamo le loro piazze di spaccio rendendo complicata la loro esistenza».
Onesto il questore Merolla, consapevole che la situazione è difficile, che in alcuni territori di Napoli e provincia è la camorra che comanda, che lo Stato gioca di rimessa.
Da Sarajevo il cardinale arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, è senza speranze: «La camorra è un tumore. E’ un animale al quale tagliano la testa e se ne ritrova due. Tutto era stato previsto…».
E lo scenario di questa nuova guerra di camorra tra Secondigliano, Scampia e la periferia maledetta di Napoli, racconta di altro sangue che dovrà scorrere per il controllo del più grande supermarket di droga d’Europa, che fattura cento milioni di euro ogni anno e dà lavoro a 300, 400 dipendenti.
Anche di domenica gli uomini della Omicidi della Mobile di Napoli sono al lavoro. Raffaele Abete aveva 42 anni.
Tre colpi in testa all’uscita di un bar. Fratello del boss Arcangelo, detenuto proprio nel supercarcere di Secondigliano, era uno sprovveduto.
Ma poco importa se era inesistente il suo spessore criminale, l’importante è il cognome che portava.
Una risposta, la sua eliminazione, all’omicidio del 23 agosto sulla spiaggia di Terracina, di Gaetano Marino, fratello di Gennaro, il capoclan.
Due omicidi, gli ultimi, eccellenti. Che colpiscono al cuore, al vertice cartelli di clan contrapposti. E che fanno temere una nuova escalation.
L’avvio di questa guerra, per la Omicidi diretta da Fulvio Filocamo, ha una data d’inizio, il 9 gennaio, con il duplice omicidio di Luigi Stanchi e del suo autista, Raffaele Montò, ritrovati carbonizzati nella loro Smart al cimitero di Melito.
Stanchi era il «cassiere» delle Case dei Puffi di Secondigliano, la piazza di spaccio degli Abete-Abbinante-Notturno.
E prima ancora di Stanchi, sempre all’inizio dell’anno, almeno tre omicidi di altrettanti esponenti di un altro clan, i PaganoAmato, hanno dato il via a questa strana guerra di camorra.
«E’ probabile che a tirare le fila di questi omicidi siano gli esponenti dei Vanella-Grassi, il clan emergente di giovani spacciatori che chiedono spazio e lo conquistano con operazioni spericolate.
Ricordano i Corleonesi quando avviarono il golpe interno a Cosa nostra». L’immagine del funzionario della Mobile di Napoli rende l’idea. Insomma, non siamo ancora in grado di ricostruire mandanti ed esecutori di ognuno dei dieci omicidi della nuova guerra di camorra, ma lo scenario comincia ad essere abbastanza chiaro.
Nel 2004, 2005 si era compiuta la guerra di Scampia, con la vittoria degli Scissionisti sui Di Lauro oggi asserragliati nel loro «Terzo Mondo», dove controllano la piazza dello spaccio. Una guerra che aveva contato sessanta morti e un numero imprecisato di «scappati».
Oggi quegli assetti criminali che si formarono con la guerra cruenta tra clan, sono di nuovo rimessi in gioco.
I vecchi vincitori dell’ultima guerra, i Pagano-Amato, sono oggi confinati nelle piazze di Melito, Mugagno e, novità delle ultime ore, di Marano, piazza molto ricca e importante nella storia della camorra napoletana.
E questo farebbe ipotizzare che dalla periferia i Pagano-Amato potrebbero rientrare in gioco. Ci sono poi gli Abete-Abbinante-Notturno che controllano Scampia e infine gli emergenti Vanella-GrassiLeonardi e Marino che dalla vecchia Secondigliano si stanno espandendo nella 167, alle Velle, nelle piazze che contano.
Proprio l’omicidio di Gaetano Marino – Terracina, 23 agosto scorso – è quello «più difficile da decifrare», secondo gli investigatori della Mobile. A una prima lettura, sembrerebbe organizzato dal cartello «Abete-Abbinante-Notturno».
Ma gli investigatori non escludono che potrebbe essere una manovra degli stessi Vanella, nella logica «di un golpe corleonese».
E cioè di creare «tragedie» tra gli stessi cartelli per spingere a una guerra fratricida e conquistare così il potere interno.
I nuovi emergenti, dunque, sarebbero i fratelli Magnetti che guidano il cosiddetto cartello Vanella-Grassi.
Quelli che sembravano i nuovi boss, giovani ventenni come Mariano Riccio, genero del boss Cesare Pagano, o lo stesso Antonio Leonardi, sarebbero in ritirata.
Avvertono gli investigatori che bisogna «aspettare».
Lo Stato oltre a occupare le piazze dello spaccio è in grado oggi di arrestare le nuove pedine di questo gioco di morte che va in scena a Napoli?
Guido Ruotolo
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Settembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
MARK RUTTE, IL PREMIER USCENTE E’ FAVORITO… IL TIMORE DI UN SUCCESSO DEGLI EUROSCETTICI
La luce è soffusa, dominano il blu e l’amaranto.
Sul palco i sei uomini che puntano a governare l’Olanda sono in piedi, di fronte, tre per parte, la stessa tonalità di abito scuro, il medesimo portamento severo.
Sobrie anche le cravatte, se non per il rosso acceso di Emile Roemer, il socialista che gioca col populismo sventolando la bandiera euroscettica a sinistra, figura emergente che i sondaggi dipingono come terzo incomodo. Sino a pochi giorni fa era al numero due.
Poi Diederik Samsom, il giovane laburista che somiglia a John Malcovich, lo ha superato, cambiando look, difendendo con pragmatismo l’Europa e strizzando l’occhio ai moderati.
Lo sfidante vero è lui, immobile sulla scena davanti al liberalconservatore Mark Rutte, premier uscente e leader dei giorni di crisi che, nonostante deficit e disoccupazione, resta il favorito per l’apertissimo voto di mercoledì.
Il dibattito anima l’Università intitolata a Erasmo, e vola in diretta tv rispettando la scaletta al millisecondo.
Sono tesi, i candidati, ma è nulla rispetto agli elettori, inquieti e incerti come non capitava da tempo.
La gente là fuori trema per la crisi, invoca soluzioni immediate per scacciare la sindrome della pancia vuota. Ha paura.
Il confronto fra le civiltà che aveva gonfiato l’onda antislamica del partito delle libertà fondato dal troppo biondo Geert Wilders è scomparso dall’agenda.
Ora si parla di Economia, di pensioni a rischio, di Welfare insostenibile, dei senza lavoro al 9%, dell’Europa presunta responsabile di ogni male.
«Il populismo che prima sparava sugli arabi adesso tira sui greci», confessa Sophie in ‘t Veld, liberale-liberale del D66. Il nemico è cambiato, la guerra continua.
Lo strano governo di Rutte è caduto in aprile.
Non poteva tenere una coalizione di centrodestra puntellata dall’appoggio esterno di Wilders, s’è frantumata lavorando sui 16 miliardi di tagli necessari per comprimere il deficit sotto il 3% del Pil richiesto dalle regole dell’Eurozona.
Nei quasi due anni di vita, il premier e i suoi ministri sono stati sballottati dallo scomodo alleato populista, hanno fatto ballare Bruxelles, con frequenti sbandate da falchi del rigore impartite con un argomenti al limite dell’euroscetticismo.
Tutto ciò ha reso difficile eleborare le giuste decisioni anticicliche, in Europa come nei Paesi Bassi.
«Abbiamo portato il conto a chi non ha fatto l’ordine», ha tuonato l’altra sera Roemer, 51 anni, ex maestro elementare soprannominato «L’Orso Fozzie», come quello del Muppet Show.
Nell’ateneo di Rotterdam dove ha studiato anche Pim Fortuyn, il padre dell’antislamismo olandese ucciso 10 anni fa, il leader socialista ex maoista lo ha urlato nel faccia a faccia con Rutte.
«E’ naturale pagare il conto della crisi – gli ha risposto il premier -. Ma noi lo faremo tagliando il costo della burocrazia senza toccare i ceti deboli».
Anche Samsom lo ha attaccato frontalmente.
Gli ha dato del bugiardo, accusandolo di parlare del programma laburista più che del VVd. Così ha smentito l’ipotesi patrimoniale, per iniziare.
Samsom è in effetti l’uomo nuovo, anche se potrebbe non farcela.
I polls gli attribuiscono 30 seggi dei 150 in palio, ne aveva 26 dieci giorni fa.
I socialisti raddoppiano a 29, ma di sondaggio in sondaggio perdono peso.
Wilders cala. Rutte è stabile intorno ai 34.
I più prevedono una sua vittoria. Formare il governo sarà un’impresa.
Coi liberali progressisti, si potrebbe arrivare a una Coalizione Porpora, come dal 1994 al 2002: Vvd, laburisti, D66. Sarebbe una maggioranza risicata che almeno disinnescherebbe gli estremismi.
Forse appoggiata ai verdi GroenLinks, «disponibili a trattare se necessario», ammette l’eurodeputato Bas Eickhout.
L’elettorato è diviso, recita Peter Kanne, sondaggista della Tns Nipo. «L’elemento comune è la paura della perdita della sicurezza – spiega -, ma ha sbocchi diversi: a sinistra si contesta la finanza; a destra, si biasima lo stato troppo assistenzialista».
E’ per questo che non si parla più del nemico arabo e Wilders si sgonfia. L’Europa è facile da brandire come avversario, per spiegare o denunciare i tagli inevitabili al Welfare che potrebbe rivoluzionare il modello olandese.
C’è chi crede di potersi chiudere in casa per evitare il contagio e difendere l’identità . «Mai nella vita rispetteremo il 3% col deficit», giura Roemer. «Non daremo tempo e soldi alla Grecia», è l’impegno di Rutte.
Parlare male dell’Europa porta un po’ voti, non necessariamente calma gli spiriti e risolve i problemi. Eickhout nega persino che l’Ue sia vittima della contesa politico: «E’ il contrario, questa campagna sta rimettendo le cose a posto, i laburisti crescono perchè sono con l’Europa».
Ecco fatto. C’è in un paese un tempo liberare e aperto una minoranza rumorosa che vuol «uscire dall’Ue» (come dice Wilders).
E’ c’è una maggioranza più questa che vuole restare nel cuore dell’Europa, dove Amsterdam è sempre stata.
Mercoledì il voto sarà una sorta di referendum.
Sull’Olanda e sull’Europa, progresso contro conservatorismo, populismo contro integrazione.
Tutto il resto verrà di conseguenza.
Marco Zatterin
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Settembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
PIACE LA NUOVA FORMULA: FACEBOOK INSIEME AI BILIARDINI
Un semplice bastoncino di ghiacciolo a bloccare la gettoniera del calcio balilla così da giocare con la stessa monetina a oltranza, fino a sera, la mamma arrivata a strillare che dai basta, è ora di cena; lo stridere del gesso sulla lavagna nell’aula di catechismo per la lezione della domenica; le caramelle sfuse, liquirizie per lo più, vendute dalle vecchiette volontarie al bar e, diamine, implacabili nel non regalarne mai una di quelle caramelle custodite nei barattoloni di vetro oggi tremendamente vintage (ai mercatini dell’usato possono costare la loro cifra).
Ecco, vintage.
Infatti piantiamola: non esiste più l’antico oratorio. È cambiato, s’è rinnovato, rivoluzionato.
HAPPENING NAZIONALE
Ha chiuso domenica tra Bergamo e Brescia il primo happening nazionale degli oratori organizzato dal Foi, il Forum nazionale degli oratori.
Happening e mica summit, vertice o altre parole sostenute.
L’oratorio versione contemporanea.
Il biliardino? Certo e però c’è anche Facebook sul quale ogni buon oratorio è iscritto. La lavagna? Per il catechismo certi sacerdoti non disdegnano l’uso di internet e pc.
E i dolcetti? C’è poco da perder tempo a mangiare, comincia il corso di teatro e intanto c’è chitarra e in una stanza fanno il giornalino e nell’altra inglese.
E le vecchiette del bar? All’università di Perugia c’è un master post laurea che forma giovani operatori negli oratori.
Una domanda: in nome dell’aggiornamento si perde un velo di romanticismo? No, forse, chissà . Questi stessi oratori sono ancorati all’Italia. In ogni senso. All’happening– stand e interventi di docenti universitari di psicologia, pedagogia, scienze sociali– partecipa anche un oratorio di Scampia, che prima di accogliere i ragazzi deve tirarli fuori dalla camorra.
DON MARCO
Il Foi è presieduto, ti spiegano in fase di presentazione, da «un giovane prete in gamba. Ci parli».
Si chiama don Marco Mori, ha ben 37 anni però secondo l’italiana concezione è per l’appunto un ragazzo, un pivellino.
Don Marco ha una voglia matta di fare e ha chiare le linee programmatiche: «Nuove sfide, nuove tecnologie, nuove frontiere.
Per sfide intendo l’integrazione, tema sul quale noi adulti abbiamo tantissimo da imparare dai bambini che, è probabile, ci aiuteranno a superare pregiudizi e blocchi mentali.
L’oratorio è uno straordinario, privilegiato punto d’osservazione». La generale fiducia, respirata anche all’happening in corso, ha la forza dei numeri.
MEZZO MILIONE DI RAGAZZI
Sono 6.500, gli oratori in Italia.
La scorsa estate hanno ospitato un milione e mezzo di piccoli e adolescenti con una crescita del dieci per cento causata/agevolata dalla crisi (la famiglia resta a casa, i figli vengono spediti dal don, ci penserà lui, questione di usato garantito e sicuro).
In fondo l’oratorio è gratis, eccetto sopportabili quote d’iscrizione.
Dei 6.500, quasi 5 mila sono nel Nord Italia, dove l’oratorio è nato e ha avuto i suoi pionieri.
L’oratorio, nel Sud, è meno una tradizione, il che non impedisce una recente riscoperta dalla Sicilia alla Campania, come c’è fermento in Centro tra Lazio e Umbria.
Una geografia nazionale e non regionale se non addirittura provinciale che merita, torniamo a don Marco, «una rete. C’è bisogno che gli oratori si parlino, condividano preoccupazioni e prospettive».
Del resto in oratorio non ci sono barriere e non ci sono test d’ingresso da superare. Don Giovanni Bosco, a un bimbo poverello e timido che temeva di venir escluso, lasciato fuori, disse: «Sai fischiare? Bene. Chi sa fischiare può entrare ». In pratica tutti quanti. Don Samuele Marelli, 36 anni, è responsabile degli oratori per la diocesi più grande al mondo, quella milanese.
«Siamo una realtà presente però a volte silenziosa» dice con orgoglio e forse amarezza. Uno diventa grande, all’oratorio, ripetono dall’happening di Bergamo e Brescia. Già , i luoghi. Nulla è per caso.
GRANDI BAMBINI
A Bergamo e Brescia sono nati Giacinto Facchetti e i fratelli Baresi, figli dell’oratorio, amati come calciatori e come uomini, simboli di fedeltà , di regole, di serietà .
Non è una ricetta impossibile. È chiaro, semplice e alla portata, l’oratorio.
Per la cronaca il nome preciso dell’happening è la sigla H1o (cioè primo happening degli oratori), simile alla formula chimica dell’acqua. Anzi, l’anticipa perfino d’un numero. §
Andrea Galli
(da “Il Corriere della Sera“)
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Settembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
PRESIDIO AL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO… TENTATIVI DI SFONDARE IL CORDONE DI POLIZIA, INSULTI AL RESPONSABILE PER L’ECONOMIA DEL PD
Scontri tra gli operai dell’Alcoa e la polizia durante la manifestazione per la vertenza dell’azienda di Portovesme.
La vicenda Alcoa “sbarca” a Roma con tutto il carico di polemiche di questi giorni e le speranza di salvare i posti di lavoro ridotte al lumicino.
E così non sono mancati momenti di tensione al corteo degli operai che hanno cercato di sfondare il cordone della Polizia all’altezza del Ministero dello Sviluppo economico, in via Molise a Roma.
Gli agenti hanno cercato di contenere, con cariche di contenimento, l’avanzata dei manifestanti che spingevano in massa contro lo sbarramento.
Già poco prima i manifestanti, “armati” di tamburi e caschi che sono stati più volte lanciati a terra o contro le serrande dei negozi, avevano provato a sfidare il blocco.
Diversi i cori degli operai all’indirizzo dell’attuale governo tra cui “I ministri, dove sono” e soprattutto, “O qui arriva Monti, o noi non ce andiamo”.
Durante il percorso e davanti al ministero sono stati lanciati petardi e più volte manifestanti e poliziotti sono venuti a contatto. Anche tondini di alluminio sono stati scagliati verso i poliziotti, che sono a presidio dell’entrata principale di via Veneto.
Dal lancio sarebbe rimasto lievemente ferito un manifestante.
Da una prima ricostruzione, sembra che il manifestante sia rimasto ferito mentre spostava un petardo: è stato soccorso e portato in ospedale.
Un altro manifestante, invece, è stato trasportato in ospedale perchè colpito da un malore. Dopo il lancio delle bombe carta sono stati chiusi gli accessi a via Molise.
A fare le spese dell’aria di tensione è stato il responsabile per l’economia e il lavoro del Pd, Stefano Fassina, aggredito da alcuni manifestanti dell’Alcoa.
Fassina stava rilasciando un’intervista quando alcuni operai si sono avvicinati gridando “bastardi ci avete deluso” e poi lo hanno spintonato.
Scortato dalle forze dell’ordine, Fassina è stato costretto ad allontanarsi inseguito da un gruppetto di operai che gli urlavano contro.
Gli operai giunti dalla Sardegna sono in presidio in contemporanea con il tavolo che si terrà al dicastero, di cui è responsabile Corrado Passera, tra governo, sindacati, rappresentanze della multinazionale statunitense, Regione per il futuro degli impianti dell’unico stabilimento italiano di produzione di alluminio.
Alcuni lavoratori sono sono partiti da Cagliari all’alba in aereo e circa 500 lavoratori sono partiti ieri pomeriggio da Portovesme per Olbia dove si sono imbarcati sul traghetto.
Con loro anche sindacalisti, e rappresentanti del territorio, dai sindaci a consiglieri comunali, ma anche pastori, commercianti, agricoltori, uniti per salvare una delle unità produttive maggiori del Sulcis. Ieri sulla nave si è dormito poco e l’ansia per l’incontro al Mise è cresciuta.
La multinazionale statunitense Alcoa ha deciso di sospendere l’attività nell’isola ed ha iniziato a spegnere le celle di produzione, i tempi sono quindi stretti per trovare un acquirente per lo stabilimento sardo.
Si spera di avviare un negoziato concreto con due multinazionali svizzere, Glencore e Klesch, che hanno manifestato interesse ma vi sarebbero all’orizzonte anche altre due società , una cinese ed una indiana, che potrebbero, ma il condizionale è d’obbligo, entrare nel confronto che, per ora, è molto delicato.
Fra i punti in discussione il costo dell’energia per produrre l’alluminio e il personale che dovrebbe ridursi.
Ma sono proprio i posti di lavoro che nel Sulcis si vogliono salvaguardare e con l’eventuale chiusura della fabbrica verrebbero meno circa 800 buste paga.
L’esasperazione ha raggiunto livelli di guardia e due giorni fa quando una finta bomba è stata collocata sotto un traliccio di Terna poco distante dallo stabilimento di Portovesme.
Da qui il rafforzamento dell’apparato di sicurezza oggi a Roma, anche se gli operai hanno assicurato che sarà una manifestazione pacifica per il lavoro.
Mentre lo stesso ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, ha annunciato che del falso ordigno al traliccio vicino all’Alcoa si occuperà il Comitato per l’ordine e la sicurezza convocato a Cagliari per domani martedì. Il Comitato sarà presieduto dal sottosegretario Carlo De Stefano. Ma della vicenda, ha assicurato il ministro, si occuperà anche il Comitato nazionale.
Come da programma, intorno a mezzogiorno è iniziato l’incontro in via Molise tra le parti sociali. Per il governo sono presenti il sottosegretario per lo Sviluppo Economico Claudio De Vincenti e il viceministro del Lavoro Michel Martone, mentre per i sindacati ci sono i segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil e i segretari nazionali di Fim, Fiom e Uilm.
Presente anche il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, che guida una delegazione di enti locali.
In attesa dell’esito dell’incontro tra la delegazione e i rappresentanti del governo, i manifestanti dell’Alcoa hanno disposto davanti all’entrata del dicastero delle mini lamine di alluminio, ovvero dei campioncini sulle quali vengono effettuate le analisi per capirne la composizione.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
FIDUCIA VERSO MONTI, INSODDISFAZIONE PER LE SCELTE DELL’ESECUTIVO… SFIDUCIA VERSO GLI ALTRI LEADER, TRE ITALIANI SU QUATTRO PIU’ SICURI CON L’EURO… AL MINIMO LA FIDUCIA IN BERLUSCONI
L’estate sta finendo. Ma l’incertezza politica no.
Il sondaggio dell’Atlante Politico, condotto da Demos, negli scorsi giorni, per la Repubblica, riproduce questo clima d’opinione uggioso.
Da cui emerge un solo solido riferimento. Mario Monti. Il Presidente del Consiglio.
Oltre metà dei cittadini (il 52%), infatti, valuta positivamente il governo.
Una quota ancor più alta di elettori, il 55%, esprime fiducia personale nei suoi riguardi.
Si tratta di un orientamento in evidente crescita, dopo un periodo di raffreddamento. Gli altri personaggi politici lo seguono a grande distanza. Soprattutto i leader di partito.
Di maggioranza e di opposizione.
Superati, non a caso, dai “tecnici” del governo Monti (Passera e Fornero).
E da coloro che, come Montezemolo, non sono ancora “scesi in campo”, nonostante lo promettano – oppure lo “minaccino” – da anni. Unica eccezione (insieme alla Bonino): il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, di cui parleremo più avanti.
La fiducia verso Monti non riflette soddisfazione verso le politiche del governo.
Al contrario. Gran parte dei cittadini si dicono, infatti, contrari alle principali riforme avviate. Pensioni, Imu e mercato del lavoro, soprattutto.
Si tratta, dunque, di un sentimento espresso “nonostante”.
Rispecchia, cioè, la sfiducia verso gli altri leader e verso le forze politiche nazionali. Ma anche le preoccupazioni internazionali.
Perchè è convinzione diffusa che l’Unione Europea e l’Euro abbiano prodotto molti problemi. Ma solo il 23% degli italiani pensa che fuori della Ue le cose andrebbero meglio.
Mentre una quota più ampia, ma comunque minoritaria, inferiore al 40%, ritiene che l’Euro comporti solo complicazioni.
L’Euro e la Ue, insomma, sollevano dubbi.
Ma è largamente condivisa l’idea che “senza” l’Europa e la moneta europea i rischi per la tenuta del nostro sistema – economico e non solo – crescerebbero ancora.
Monti appare il principale garante. Di fronte ai problemi europei. E alla debolezza della politica nazionale. La fiducia verso i partiti, d’altronde, resta al di sotto del 5%. Quella verso il Parlamento intorno al 10%.
Le stime di voto riflettono questo clima di incertezza – e di “dipendenza” da Monti.
Così si assiste alla tenuta e perfino a una certa ripresa dei partiti “montiani”: il Pdl, il Pd e l’Udc. Il partito più “montiano” di tutti.
Mentre il M5s scivola sotto al 15%. Un dato molto elevato. Ma la grande spinta conosciuta dopo le elezioni amministrative di maggio, per ora, sembra esaurita.
Non solo per le polemiche di Favia 2 (amplificate da Piazza pulita) contro la governance di Grillo e Casaleggio, che hanno avuto un impatto limitato sul sondaggio.
Il fatto è che in questa fase di stagnazione politica l’unico polo condiviso è Monti.
Che nega di volersi ricandidare, in futuro. Per cui mancano i bersagli contro cui rivolgere l’insoddisfazione.
D’altronde, non frena solo il M5s: anche l’Idv, l’altra opposizione. Solo la Lega risale – di poco – la china, oltre il 5%.
Così l’unico vero “orientamento” di voto che cresce veramente è, non a caso, il “dis-orientamento”. Che allarga i confini dell’area grigia del non-voto e dell’indecisione.
Sopra il 45%. Quasi un elettore su due. La misura più ampia da quando viene realizzato l’Atlante Politico. Cioè, da quasi 10 anni.
D’altronde, non è chiaro quando e come si voterà .
Con quale legge elettorale, con quali alleanze, con quali candidati. Se si riproponesse lo schema tradizionale, il centrosinistra prevarrebbe largamente.
E, come ha sostenuto ieri Bersani a Reggio Emilia, “Deciderà il voto, non i banchieri”.
Ma nel Pd, come mostra l’Atlante Politico, c’è incertezza sulla coalizione con cui “andare al voto”.
La maggioranza dei suoi elettori (51%) preferisce un’alleanza con le altre forze di Sinistra, a costo di sacrificare l’intesa con l’Udc.
Al tempo stesso, però, (50%) rifiuta l’accordo con l’Idv. Le polemiche con Di Pietro, dunque, hanno lasciato un segno profondo.
L’incertezza, nel Pd, si estende alla leadership.
Che gran parte degli elettori di centrosinistra – e ancor più del Pd – vorrebbe scegliere attraverso le primarie.
Il favorito – secondo il sondaggio di Demos – è Pier Luigi Bersani.
Lo voterebbe oltre il 43% degli elettori di centrosinistra. Tuttavia, Matteo Renzi dispone di una base ampia. Quasi il 28%. Ma, soprattutto, ha un sostegno trasversale.
Non a caso, dopo Monti, è il politico che attrae il maggior grado di simpatie. I suoi consensi, in caso di primarie, potrebbero crescere ulteriormente se la partecipazione andasse oltre i confini tradizionali dell’elettorato più vicino e convinto.
Renzi, infatti, è particolarmente apprezzato dagli elettori “critici” e delusi del centrosinistra, oggi vicini al M5s, all’Idv oppure confluiti nell’area grigia dell’incertezza.
A centrodestra c’è il problema opposto.
Nel Pdl, inventato da Berlusconi, non possono fare a meno di lui. Ma, al tempo stesso, non gli credono più come prima. Berlusconi.
Oggi, fra gli italiani, ha toccato l’indice di fiducia più basso degli ultimi anni (meno del 20%).
E solo 40 elettori del Pdl su 100 (che scendono a 20 fra quelli di centrodestra) pensano che dovrebbe essere
Lui il candidato premier alle prossime elezioni. Con lui o senza di lui, insomma: il centrodestra appare sperduto.
Così gli italiani sembrano aver smarrito la fiducia nella politica. Ma anche nell’antipolitica. Tuttavia, non sono divenuti impolitici e indifferenti.
Vorrebbero, anzi, che la politica riprendesse il ruolo che le spetta. Cioè: dare loro rappresentanza e governo.
Esprimere una classe dirigente capace di guidarli – dentro e fuori il Paese.
Non a caso la maggioranza degli italiani (52%) pensa che il prossimo governo dovrebbe essere espresso dalla “coalizione che ha vinto le elezioni” piuttosto che da “un nuovo governo tecnico” (39%) sostenuto dai principali partiti, come avviene ora.
Tuttavia, l’unico leader di cui gli italiani si fidino, oggi, è Monti.
Comunque, diffidano molto più di Bersani e Berlusconi. Ma anche di Grillo e Di Pietro.
Così gli italiani – la maggioranza di essi, almeno – vuole un governo “politico”.
A condizione che a guidarlo sia Monti.
È come se la fiducia nella democrazia rappresentativa si scontrasse con la sfiducia nei confronti dei rappresentanti. Un corto circuito da cui sembra difficile uscire.
A meno che Monti – contrariamente alle sue ripetute affermazioni – non decida, alla fine, di scendere in campo.
Ilvo Diamanti
(da “la Repubblica”)
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