Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
AFFIDATE ALL’INPS LE FUNZIONI RELATIVE ALL’ACCERTAMENTO DEI REQUISITI SANITARI
La Campania ha il record dei falsi invalidi, “quasi 20mila” scovati tra il 2011 e i primi mesi del 2012.
Ma “ha fatto una scelta importantissima”, quella di affidare “all’Inps tutte le funzioni relative all’accertamento dei requisiti sanitari”.
Lo spiega al Mattino il presidente Antonio Mastrapasqua, spiegando che la Campania è “la prima e per ora l’unica Regione” ad avere fatto questa scelta che porterà a ridurre “tempi di attesa” e “disturbo” per i cittadini, che saranno sottoposti a una sola visita, ma anche “risparmi per le casse regionali”.
“Con la delega che ci affida la Regione Campania — afferma il numero uno dell’Istituto nazionale di previdenza — i cittadini saranno chiamati a visita una sola volta dai medici Inps, non più dai medici Asl” e, aggiune, “spero che l’esempio sia seguito dalle altre regioni italiane”.
La lotta ai falsi invalidi è iniziata da tempo.
“Solo nel 2012 sono state arrestate 150 persone, altre 46 sono state denunciate e quasi 400 sono state indagate per ipotesi di truffa che riguardano false invalidità . Proprio nel maggio scorso a Napoli erano stati eseguiti 50 arrestati e in manette erano finite anche la moglie e la sorella di un boss.
“Tra il 2011 e i primi mesi del 2012 abbiamo revocato quasi 80mila prestazioni” di chi non aveva più i requisiti e con quest’anno “concluderemo 800mila controlli, poco meno di un terzo delle pensioni di invalidità in essere in Italia”.
Ad agosto la Guardia di Finanza aveva fornito un primo bilancio per il 2012 di operazioni che ha portato a smascherare 3400 imbroglioni tra falsi invalidi e falsi poveri.
Quanto alla riforma delle pensioni, Mastrapasqua ribadisce al quotidiano che “deve restare oggetto di massima attenzione”, così come può essere oggetto di “manutenzione” la questione degli esodati.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
“MENO CORTEI A ROMA, NON E’ UN PALCOSCENICO”… “LA PROTEZIONE DEI POLITICI DEVE FINIRE CON IL TERMINE DEL MANDATO”
Al primo posto nella lista delle priorità da affrontare ha messo le manifestazioni di piazza.
Ma c’è un altro problema che il ministro Annamaria Cancellieri vuole «analizzare e risolvere in via d’urgenza».
È quello che riguarda le scorte alle personalità «perchè la sicurezza è fondamentale, ma nessun privilegio potrà più essere tollerato».
Lo aveva detto qualche settimana fa. Lo ripete adesso che ha già dato disposizioni agli uffici per cambiare le regole.
Ministro, ora si passa ai fatti?
«Appena avrò la relazione dell’Ucis, la struttura che sovrintende ai servizi di protezione, interverremo, ma alcune scelte le abbiamo già fatte».
Sapete già come e dove tagliare?
«La revisione degli elenchi partirà immediatamente, però la mia decisione è di intervenire anche sui regolamenti. E incidere soprattutto su quei dispositivi che chiamerei “di status”. Faccio l’esempio del ministro dell’Interno che per legge doveva mantenere la scorta per i due anni successivi al proprio mandato. Il mio predecessore Roberto Maroni ha disposto la riduzione a un anno. Per quanto mi riguarda io vorrei che mi fosse abolita il giorno dopo il termine del mio mandato. E per le altre cariche istituzionali dobbiamo ugualmente riflettere su incisive riduzioni».
Lei sa che così attirerà critiche e proteste?
«So che la strada è giusta, quindi andrò avanti. C’è una necessità di risparmio, ma è giusto prendere provvedimenti di questo tipo soprattutto per rispetto nei confronti dei cittadini ai quali chiediamo gravi sacrifici. Continueremo a garantire la sicurezza, il nostro intervento servirà soltanto ad abolire i privilegi».
Quanto ha influito su questi provvedimenti la polemica sulle spese per i poliziotti che tutelano il presidente della Camera Gianfranco Fini?
«La revisione delle scorte era stata decisa ben prima in un’ottica di risparmio che, come si sa bene, riguarda tutti i dicasteri e più in generale gli uffici pubblici».
Questa mattina si riunisce il comitato nazionale per affrontare l’emergenza legata alle tensioni sociali. Che tipo di indicazione darà ?
«Ho deciso di coinvolgere i prefetti delle città più colpite dalla crisi perchè dobbiamo trovare soluzioni che riguardino soprattutto il territorio, non si può pensare che tutto si concentri nella capitale».
Pensa a una limitazione delle manifestazioni di piazza?
«Quello che è accaduto con i lavoratori dell’Alcoa è intollerabile. Soltanto una perfetta pianificazione dei servizi effettuata dal questore Fulvio Della Rocca ha consentito di scongiurare conseguenze ben più gravi. Ma dobbiamo stare attenti che Roma non diventi un palcoscenico esclusivo per tutte le pur legittime manifestazioni».
È la libera espressione di un disagio forte.
«Io lo rispetto e posso assicurare che il governo farà tutto quanto è in suo potere per aiutare chi è in crisi. Ma bisogna rendersi conto che stiamo vivendo un momento gravissimo e non si può pretendere che lo Stato intervenga nel libero mercato e si faccia carico di salvare le aziende in difficoltà economiche».
Non crede che questo rischi di fomentare ancor più la tensione?
«Io voglio lanciare un appello forte ai sindacati, ma anche agli imprenditori e alla società civile affinchè si rendano conto della fase difficile che stiamo attraversando. Ognuno deve fare la propria parte e assumersi le proprie responsabilità per smorzare questi focolai di tensione. Del resto quello assistenziale è uno schema che non può funzionare, anche dal punto di vista giuridico e della concorrenza».
Quali sono le aree che presentano maggiori criticità ?
«La Sardegna mi preoccupa maggiormente, perchè ci sono grandi industrie in crisi, ma anche i settori dell’agricoltura e della pastorizia hanno numerosi problemi. La situazione di Taranto è sotto gli occhi di tutti. Non dobbiamo dimenticare la Campania e la Sicilia, in particolare penso alla Gesip di Palermo. Questo soltanto per quanto riguarda l’economia. Poi ci sono le altre emergenze».
Si riferisce a Scampia?
«Certamente. Entro breve presiederò un comitato provinciale a Napoli allargato ai vertici della magistratura e affronterò il problema».
Pensate di schierare l’esercito?
«Certamente no. Quello della criminalità non è un problema che si risolve con la militarizzazione, soprattutto in una zona come quella. Io credo che la presenza dei soldati potrebbe creare un divario tra i cittadini e le istituzioni ancor più profondo di quello esistente. Aumenteremo gli organici delle forze dell’ordine, però ci dobbiamo muovere su più fronti e infatti abbiamo già preparato un nuovo patto per la sicurezza».
Pensa alla società civile?
«Quello è sicuramente un aspetto fondamentale, ma penso anche alla scuola e ai giudici. Abbiamo già coinvolto il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e mi muoverò con quello della Giustizia Paola Severino. So che c’è un carico eccessivo presso l’ufficio Gip che provoca ritardi nelle decisioni, soprattutto per quanto riguarda i provvedimenti cautelari, e dunque ci confronteremo con i diretti interessati per provare a risolvere i problemi».
C’è un’emergenza criminalità a Milano?
«Quanto è accaduto negli ultimi giorni è grave, ma al momento non parlerei affatto di emergenza. Sono in contatto costante con il prefetto e il questore e non ho assolutamente questa percezione. Anzi, mi auguro che quello che sta succedendo non venga sfruttato in campagna elettorale».
Ci sono focolai di rischio che necessitano una maggiore presenza di forze sul territorio. Poliziotti e carabinieri hanno lamentato più volte i tagli che incidono sul comparto sicurezza sia dal punto di vista degli organici, sia per quanto riguarda stipendi e straordinari. Come pensate di risolvere il problema?
«Assieme ai colleghi della Difesa e della Giustizia, da cui dipendono rispettivamente i carabinieri e gli agenti della polizia penitenziaria, abbiamo già deciso di chiedere un intervento alla legge di stabilità che modifichi la percentuale del “turn over” del personale. Attualmente c’è un tetto al 20 per cento e non va bene».
Fino a dove si può arrivare?
«Dobbiamo aumentarlo fino al 50 per cento, altrimenti credo che non potremo garantire la funzionalità dei reparti. È un pericolo che non possiamo permetterci di correre. Sbloccheremo i fondi e daremo attuazione ai concorsi già svolti. È l’unica strada possibile».
Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera”)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
OBIETTIVO APPLICARE LE CONDIZIONI DELLE TELECOMUNICAZIONI O DELLE TV PRIVATE
Dimezzare gli stipendi Rai? Si può.
Come? Gettando alle ortiche l’attuale contratto dei dipendenti dell’azienda e “abbracciandone” un altro, casomai quello delle telecomunicazioni (è una delle ipotesi sul tappeto) che fa capo al contratto collettivo di lavoro dei metalmeccanici, oppure quello delle tv private.
In questo modo si otterrebbe di azzerare totalmente alcune delle attuali figure professionali e, soprattutto, l’azienda avrebbe risparmi molto pesanti sul fronte degli straordinari e delle “maggiorazioni” derivanti da lavoro notturno (e non solo).
Il calcolo che è stato fatto è di un risparmio netto di almeno 350 euro a dipendente all’anno.
Ma per la Rai tutto questo è un vero choc.
La “pazza idea” gira ormai da diverso tempo nella testa del direttore generale Gubitosi deciso a inserire nel nuovo piano industriale Rai (che presenterà a gennaio) un abbattimento pesante di una delle voci di maggior costo del bilancio, appunto quella del personale non giornalistico che pesa per 700 milioni l’anno (i dipendenti sono 11 mila).
Gubitosi parte con un certo vantaggio rispetto ai lavoratori; il contratto in vigore è scaduto ormai da oltre 30 mesi e ogni tentativo di rinnovo con la passata gestione (quella di Lorenza Lei) è andato a vuoto.
Dunque i vertici aziendali possono decidere in ogni minuto di disdettarlo. Adottandone un altro.
Per i lavoratori della Rai, dunque, è in arrivo una piccola rivoluzione, sicuramente non gradita.
Soprattutto sul fronte del portafoglio.
Perchè l’azienda è decisa a riorganizzare in ogni modo la scansione temporale del lavoro, ridisegnando alcune figure professionali — anche oggi esistenti — attraverso una sorta di “integrativo aziendale” da contrattare con le parti sindacali, ma sicuramente partendo da una base economica ben più modesta di quella in essere, appunto quella dei metalmeccanici.
La questione è stata discussa, poco prima dell’estate, dallo stesso Gubitosi con i segretari generali delle confederazioni sindacali (Cgil, Cisl , Uil e Ugl) e con il sindacati interni all’azienda (Libersind e Snater), ai quali il direttore generale avrebbe palesato la necessità di intervenire con tagli drastici sul fronte di “costo dell’occupazione non più sostenibile”.
E davanti allo spettro di possibili licenziamenti di massa (anche con il ricorso ad una cassa integrazione che il governo Monti avrebbe approvato, in caso di necessità ), i sindacati avrebbero fatto buon viso a cattivo gioco; meglio uno stipendio più basso che nessuno stipendio.
Non tutti, però.
Il sindacato autonomo Snater è sul piede di guerra. “Non è affatto vero che il personale Rai non giornalistico rappresenta un costo da abbattere per l’azienda — sostiene Piero Pellegrino, segretario nazionale dello Snater — e sia Masi che la Lei hanno già tentato di farci digerire il cambio di contratto, che ovviamente abbiamo respinto; se anche Gubitosi cercherà di fare lo stesso, lo respingeremo con perdite”. Secondo i sindacati, d’altra parte, i veri costi del personale Rai risiedono nelle collaborazioni esterne, dell’ordine delle 45mila l’anno “che non hanno motivo di esistere — dice ancora Pellegrino — quando ci sono già 11 mila dipendenti; si cominci a tagliare da lì”.
C’è poi un altro aspetto: “Il contratto Telecom o Frt — sono sempre parole di Pellegrino — non consentono un tipo di mansione adatta alla qualità del lavoro richiesto al servizio pubblico; la Rai non è una tv commerciale, dunque ha bisogno di figure professionali definite che non rientrano nelle tipologie previste da quei contratti. E’ chiaro che la questione è inaccettabile”.
Davanti all’ipotesi di un colossale ridimensionamento del personale Rai, Pellegrino è convinto che il fronte sindacale interno “si ricompatterà ”, ma intanto nei palazzi Rai comincia a serpeggiare il malumore contro i nuovi vertici, “rei” di pensare a sfoltire i ruoli bassi e impiegatizi senza toccare il costo degli oltre 200 dirigenti.
Gubitosi, però, ha in serbo qualche sorpresa: dopo Del Noce stanno per arrivare altri prepensionamenti eccellenti.
Alcuni anche velati di giallo…
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
IL FILOSOFO MICHAEL WALZER: “L’AMERICA NON DEVE RIMANERE ISOLATA DALL’ISLAM, BISOGNA DIALOGARE”
«La cosa più urgente è prevenire altre tragedie come quella di Bengasi. Sono sicuro che Obama farà giustizia dei colpevoli come fece giustizia di Bin Laden. Ma il presidente ha denunciato oltre all’attacco al nostro consolato il video su Maometto. Provocazioni del genere mettono in pericolo le vite degli americani nel mondo islamico».
Al telefono dall’Università di Princeton, il filosofo politico Michael Walzer, l’autore di «Guerra giusta e ingiusta», si dice preoccupato che l’America rimanga isolata nell’Islam in seguito a episodi del genere: «E’ un mondo in grande fermento con cui bisogna dialogare».
Secondo il filosofo, nelle società islamiche c’è uno spazio, sia pure al momento esiguo, per una fioritura «a lunga scadenza», di movimenti democratici.
Che cosa pensa della Libia?
«Che è un Paese in preda a tremende convulsioni, con un governo che forse ha il controllo di Tripoli ma non della maggioranza del Paese, con milizie guidate da signori della guerra, con gruppi terroristici, con formazioni islamiche estremiste. Questa situazione l’abbiamo prodotta noi, bombardando la Libia per rovesciare Gheddafi senza sapere chi ne avrebbe preso il posto e se sarebbe stato in grado di governare. Io mi ero opposto al nostro intervento per queste ragioni. Purtroppo, non sarà possibile rimediarvi in fretta».
Eppure, avete molta influenza sulla Libia.
«Fino a un certo punto. I bombardamenti, anche se bene intenzionati, finiscono per alienare la gente che li subisce. Guardi l’Iraq: lo abbiamo liberato da Saddam come abbiamo liberato la Libia da Gheddafi, ma i nostri rapporti con esso sono tesi. L’Iraq sta aiutando l’Iran a fornire armi e approvvigionamenti alla Siria contro gli insorti».
Di qui il suo timore che l’America resti isolata nel mondo islamico?
«Per ora non siamo isolati. I Paesi sunniti del Golfo Persico e del Medio Oriente ci sono amici, e appoggiano i nostri sforzi per impedire che l’Iran, una repubblica sciita, si procuri l’atomica. Ma l’isolamento diverrà probabile se continueremo a sbagliare politica. In Medio Oriente, con la possibile eccezione della Tunisia, non ci sono democrazie filoamericane, e nel Golfo Persico abbiamo come alleati regimi autoritari, cosa che fa il gioco del radicalismo islamico».
Non puntavate sulla Primavera araba?
«Sì, ma è una scommessa che potremmo ancora perdere. I movimenti “liberal” e democratici sono deboli, e non riescono a riempire il vuoto provocato della caduta dei despoti. Il vuoto lo riempiono o le forze armate o le forze religiose. Avremmo dovuto saperlo ed essere più previdenti. Al momento possiamo solo sperare che le forze armate e quelle religiose si equilibrino a vicenda, come sembra si stia verificando in Egitto tra i Fratelli musulmani e l’esercito. Perchè? Perchè così lasciano spazio a una terza forza, quella della società civile, per svilupparsi e per emergere in prosieguo di tempo».
Che cosa può fare allora l’Occidente?
«In primo luogo deve prevenire nuove guerre nel mondo islamico e deve mediare nelle rivoluzioni, o la sua instabilità minaccerà la pace mondiale. In secondo luogo deve mantenere i rapporti con i suoi governi, che a mio parere cambieranno con frequenza e non sempre per il meglio. Per ultimo, l’Occidente deve trovare il modo di difendere e di aiutare la società civile emergente nell’Islam. Più regimi moderati sorgeranno e più facile sarà guidare questi Paesi alla democrazia».
Ennio Caretto
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
IL TETTO DELL’ESPOSIZIONE TEDESCA FISSATO IN 190 MILIARDI, QUELLO TOTALE SUI SALVATAGGI SARA’ DI 420 MILIARDI… L’ITALIA ALLA FINESTRA, IN ATTESA DELLE DECISIONI DELLA SPAGNA
Un tempo per queste cose c’era Wikileaks, presto ci sarà il Bundestag.
Finiremo tutti per navigare sul sito web della Camera Bassa del Parlamento federale tedesco per scovare i segreti che i governanti d’Europa non vorrebbero che noi sapessimo.
Quelli che ancora oggi sono i vincoli di riservatezza dei ministri europei, i protocolli sigillati, l’epica da Trattato di Versailles degli accordi in stanze piene di fumo, tutto spazzato via con una sentenza ieri a Karlsruhe.
Le toghe (letteralmente) rosse della Corte costituzionale tedesca hanno stabilito che il Parlamento deve sapere tutto ciò che viene deciso per salvare l’euro e i suoi Paesi più indebitati, perchè lì è la sede della sovranità popolare.
Nessun rischio di perdite patrimoniali affrontato dal governo tedesco per salvare gli altri Paesi dell’euro è ammissibile senza un via libera, per niente formale, da parte dei deputati.
Per questa ragione, questi ultimi devono poter disporre di un quadro chiaro della situazione
In realtà già in passato il Bundestag, nel votare il salvataggio dell’Irlanda e poi quello delle banche spagnole, aveva diffuso sul web dettagli vitali che i governi di Dublino e Madrid stavano nascondendo ai loro elettori.
Ma stavolta è tutto più formale e soprattutto in contraddizione con il dettato dell’Esm, il fondo europeo per i salvataggi sulla cui costituzionalità la Corte di Karlsruhe era stata a pronunciarsi da molti ricorsi.
All’articolo 34 il trattato dell’Esm fra i 17 Paesi dell’euro fissa quello che definisce il «segreto professionale» dei negoziatori europei.
Ministri e ex ministri, membri presenti o passati dell’Esm che avrà un capitale sottoscritto da 700 miliardi di euro, «sono tenuti a non divulgare informazioni protette dal segreto professionale». Per esempio: quanti titoli spagnoli avranno comprato, a quali prezzi, di quanto saranno in perdita o in profitto ai prezzi correnti.
Ma Karlruhe puntualizza che questi sono soldi dei cittadini contribuenti, non una liberalità dei governi. Al punto 5/5 (130) della sua sentenza di ieri conferisce alla commissione bilancio del Bundestag il potere di eliminare a maggioranza il «segreto professionale» dei ministri, e non è difficile immaginare come finirà .
Chi non ama l’idea che per saperne di più dipenderemo da un palazzo prussiano in pietra nera, dal tetto bombardato e rifatto in cristallo, può riflettere a quanto segue: il massimo dell’esposizione tedesca sull’Esm è di 190 miliardi, quella totale sui salvataggi è di 420 (inclusi il primo pacchetto Grecia, più il primo fondo europeo Efsf) e i firmatari di ricorsi contrari alla Corte costituzionale di Karlsruhe sono stati 37 mila.
E l’Italia?
La soglia di esposizione all’Esm è di 125 miliardi, quella totale è di 277 e i firmatari di ricorsi alla Consulta sono stati zero.
Lo furono anche nel 2008, quando nella distrazione generale la Banca centrale europea prestò 130 miliardi alla Germania per salvare la banca EuroHypo.
Anche per questo, da ieri il Parlamento italiano ha meno prerogative del Bundestag.
Ma appunto se il controllo dell’informazione conferisce centralità e potere, quel passaggio della sentenza di ieri ne è la sintesi perfetta.
La Corte tedesca conferma che in democrazia non si può ignorare la sovranità del popolo. Poichè la cancelliera Angela Merkel si è battuta perchè in luglio i due terzi del Bundestag votassero per il fondo, la Corte su questa espressione della volontà popolare ha basato il suo via libera.
Ma ha anche avvertito che qualunque sfondamento del tetto di esposizione tedesca sull’Esm oltre i 190 miliardi dovrà passare per un nuovo voto del Bundestag.
Di qui i paletti della Corte: se la Spagna, l’Italia o qualunque altro Paese dovessero richiedere programmi d’aiuto molto grandi, tali da spingere la Germania oltre la soglia dei 190 miliardi, la Camera bassa in Germania dovrebbe prima dare disco verde.
Il governo non può impegnarsi ad aumentare la quota di capitale sottoscritta dell’Esm senza un assenso della maggioranza.
Ciò può dare al Bundestag potere di veto di fatto su ogni piano di salvataggio e sulla formulazione delle condizioni da richiedere a un Paese in crisi.
A maggior ragione, ciò può succedere se l’Italia o la Spagna ritirassero le loro quote dall’Esm come si prevede quando un Paese viene finanziato: a quel punto gli altri dovrebbero colmare l’ammanco
Non è detto che andrà così. Il tetto dei 190 miliardi per la Germania per ora tiene, perchè l’Esm è strutturato in maniera solida e gli eventuali aiuti non saranno troppo onerosi: il fondo Esm rileverà non più della metà dei bond a lungo termine emessi da qualunque Paese in crisi, mentre è alla Bce che spetta il grosso degli interventi in acquisto dei bond fino ai tre anni di scadenza. Ma la Corte di Karlsruhe non ha cambiato la sostanza: il Bundestag aveva già prima un potere di veto di fatto sui piani di salvataggio, con le relative condizioni, e adesso la Corte lo conferma. Gli interventi vanno decisi all’unanimità o a maggioranza dell’80% dei voti dei Paesi dell’Esm, in entrambi i casi la Germania è determinante ma il governo di Berlino non può decidere senza il Parlamento.
Mariano Rajoy conosce bene questi vincoli, dunque prende tempo.
Il premier di Madrid programma di presentare la nuova finanziaria entro il 27 settembre con nuovi sacrifici, per poi probabilmente chiedere l’intervento dell’Esm e della Bce il mese prossimo.
Spera di poter presentare le prossime misure di austerità come una scelta autonoma, non come l’imposizione dell’Europa o del Parlamento tedesco.
Nel frattempo gli investitori devono aver percepito che Madrid si avvicina alla richiesta di aiuto, perchè le ultime settimane hanno cambiato un po’ l’ordine gerarchico dei tassi d’interesse: a metà giugno la Spagna era in ritardo di oltre cento punti base rispetto all’Italia sui titoli a dieci anni, ieri sera invece aveva quasi dimezzato a 56.
E dopo il via libera di Karlsruhe all’Esm, gli spread di Madrid e di Dublino sono scesi, rispettivamente, il doppio e il quadruplo di quelli di Roma.
Il mercato si prepara alle elezioni politiche del dopo governo tecnico e al giorno in cui la Spagna e l’Irlanda beneficeranno degli interventi della Bce e dell’Esm.
Probabile che in Italia, dopo il sì di Karlsruhe, si voglia fare di Rajoy una sorta di assaggiatore ufficiale del memorandum d’impegni e degli aiuti da concordare con il Bundestag.
Tutti scruteranno il suo stato di salute (politica) dopo il grande passo.
Ma i tempi dell’impero romano sono lontani.
Federico Fubini
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
SIMONE CASAGRANDE E’ ANCHE IL CUGINO DEL CONSIGLIERE REGIONALE UDC LEMONCINI CHE AVEVA DIFESO GLI AGGRESSORI, CREANDO MOLTO IMBARAZZO NELLA GIUNTA REGIONALE LIGURE DI CENTROSINISTRA
Ha un nome il giovane in giacca e cravatta presente al pestaggio di un cittadino marocchino a Verzi di Lorsica, sulle alture di Chiavari, a metà di agosto: si tratta nientemeno che dell’assessore di un paese vicino, Coreglia Ligure.
Si chiama Simone Casagrande, 31 anni, eletto nella lista civica ‘Per la nostra gente’ (area Pd) e diventato assessore senza alcuna esperienza politica, come si apprende dal sito del Comune, ma ”con delega ai contatti con la frazione di Deserega”.
E proprio oggi Casagrande si è dimesso dalle cariche di assessore e consigliere comunale dopo esser stato inserito tra gli indagati per tentato omicidio in corcorso di Yassine Aaboudi.
Anche Casagrande dovrà dunque intervenire all’incidente probatorio di lunedì prossimo, presso il Tribunale di Chiavari, che metterà a confronto, per la prima volta, in un faccia a faccia, la vittima e i suoi aggressori, tutti residenti a Cicagna: il suocero di Casagrande, Mauro Trucco, 58 anni, imprenditore dell’ardesia; il cognato di Trucco, Ivo Nolentini, 52 anni e un operaio Paolo Suma che avrebbe fatto l’autista del commando.
L’avvocato di Casagrande, Andrea Gotelli, ha confermato la presenza del suo assistito, affermando però che avrebbe avuto un ruolo marginale.
Secondo procura e gip il pestaggio è stato premeditato, razzista, violentissimo e nelle spedizione è stata usata anche una roncola, trovata pochi giorni fa in un bosco vicino a Verzi dove è avvenuto il pestaggio.
Aaboudi, secondo i suoi aggressori, sarebbe stato l’autore di svariati furti in paese. Secondo gli inquirenti i sospetti si sarebbero piuttosto concentrati su di lui perchè mesi fa era stato colto in flagrante e denunciato per un tentato furto da un videopoker in un bar del paese.
Partita da un piccolo borgo dell’entroterra chiavarese, in pieno distretto della pietra lavagna, il pestaggio estivo aveva avuto una grande eco politica dopo che un consigliere regionale dell’Udc, Marco Limoncini, prima sindaco leghista di Cicagna, aveva preso le difese dei suoi concittadini su Facebook.
Per essere ripreso con forza il giorno dopo dal presidente del consiglio regionale Rosario Monteleone.
Ora si scopre che Casagrande è cugino di Lemoncini e i commenti si sprecano sulla opportunità del suo intervento.
Alessandra Fava
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
“I SUOI SONO ORGANIZZATI E CATTIVI: E’ CAPACE DI FARE IL COLPO”…UN VECCHIO MILITANTE LO CHIAMA “IL BUGIA”
L’amore scattò al primo sguardo. Nel luglio 2005 Cecilia Pezza e i suoi amici raccoglievano pomodori a Corleone, nei campi di lavoro confiscati alla mafia.
Arrivò un pullman. Ne scese Matteo Renzi, il giovane presidente della sua Provincia. «Fece un saluto con la mano, da lontano. Si fece fare una foto con noi sullo sfondo e ripartì subito, facendo incavolare tutti. Da allora ha perso 30 chili, si è tolto qualche neo e ha comprato abiti di sartoria. Null’altro da segnalare».
Alle Cascine, tradizionale sede fiorentina della Festa democratica, ma nessuno la chiama così, il sindaco-rottamatore candidato alle primarie e i suoi seguaci non sono di casa.
Neppure graditi, visto che a soppesare i nomi dei partecipanti ai vari convegni la rappresentanza del Pd di matrice renziana è numerosa come i panda sull’Appennino tosco-emiliano.
Tra gli stand del Mugello che sfornano bomboloni alla crema e quelli di Campi Bisenzio, dedicati al sugo di pecora, si aggira Paolone Calosi.
Figura storica del Pci locale, volontario dalla notte dei tempi, spesso bardato con magliette che non lasciano traspirare grande slancio per il sindaco, che chiama «il bugia».
Su quella che indossa stasera campeggia una sciarada non proprio da Settimana enigmistica: «Matteo vuol bene a Renzi, ma chi vuole bene a Firenze?».
La storia del nessuno profeta in patria non è recente, ma qui si esagera.
Tra le tante anomalie delle primarie del Pd, quella di un candidato con un radicamento locale tutt’altro che granitico non è forse la maggiore, ma balza all’occhio.
Patrizio Mecacci, segretario metropolitano del Pd fiorentino, invita ad allargare lo sguardo sui gazebo delle Cascine.
Fino al 2010 qui era campagna, dice. All’ultima festa targata Ds c’erano due stand di volontari, oggi sono 16. Tutti i segretari comunali del Pd provinciale hanno meno di 35 anni, aggiunge per chiarire il concetto. «Noi lavoriamo per cambiare la classe dirigente del partito, senza proclami o arrembaggi».
In quanto all’età , anche Mecacci non scherza.
Classe ’84, trent’anni ancora da compiere, beato lui.
Nel caso il caloroso appoggio a Renzi non fosse del tutto chiaro: «Se vince le primarie non credo che lo appoggerò. Matteo le ha trasformate in una resa dei conti nel partito, creando fratture delle quali non si sentiva il bisogno. Pensa a se stesso, e la sua campagna finora manca di respiro programmatico».
Al tavolino dello stand di Sesto Fiorentino si è seduta anche Cecilia.
Tornata indietro dalla Sicilia si è iscritta ai Ds, poi al Pd. Nel 2009 è entrata in consiglio comunale, dove anima un gruppo di dissidenti che si astengono sulle delibere del sindaco, spesso appoggiate da Fli e Lega per compensare i voti mancanti. «Fa accordi con tutti, e in città questa cosa della destra che voterà per lui alle primarie non è campata per aria. Qui si limita agli annunci. Sul progetto della nuova tramvia che potrebbe liberarci da un traffico infernale tiene tutto bloccato. Perchè i lavori in strada non garbano alla gente, e lui vive di consenso».
Con l’arrivo di Andrea Giorgio, segretario toscano dei giovani del Pd, la passione per Renzi diventa febbre da cavallo.
«Mentre lui predicava la rottamazione, io giravo la Toscana in furgone per parlare ai proprietari delle Pmi: siamo la prima Regione ad aver fatto un accordo per retribuire gli stage lavorativi. Ma per lui siamo un partito di ragazzini, da mandare a casa. Curiosa concezione della democrazia».
Su un punto Renzi ha ragione da vendere. Questi sono davvero giovani.
Messi insieme, Patrizio, Cecilia e Andrea non arrivano a novant’anni.
A voler andare di slogan, il sindaco si ritrova in casa gli aspiranti rottamatori del rottamatore.
La differenza è antropologica: tutte e tre le persone sedute a questo stand hanno preso parte al Forum sociale del 2002, quello che doveva essere Genova 2001 se non ci fossero stati i black bloc e i manganelli della Polizia.
Un nuovo gruppo dirigente fiorentino molto di sinistra e un nuovo sindaco molto cattolico, e chi ci vuole vedere una metafora sulle anime diverse e non sempre conciliabili che animano il Pd nazionale è libero di farlo.
Ma forse la verità è un’altra. Nel 2009 Renzi si è preso Palazzo Vecchio, non il partito. E la sua scalata in solitaria alle primarie cittadine ha piallato la vecchia classe dirigente.
Non c’è più molto, del Pd fiorentino dei primordi. Chi resta di quella stagione, però, ha memoria da elefante. Non perdona lo strappo di Renzi e fa da guida a una generazione nuova che ha riempito il vuoto. Inutile fare divisioni tra bersaniani o dalemiani: a Firenze è anche una questione privata.
Ma tra le invettive dei giovani si percepisce non solo un rifiuto politico, ma anche paura.
Lo conoscono bene. Sanno che lo ha già fatto una volta, può farlo di nuovo.
Cecilia è la più sincera: «Matteo corre per vincere. Non mi piace, ma lui è capace. I suoi sono organizzati, cattivi. Ragionano per occupazione di spazi. Il loro obiettivo ora è il Pd. Non escludo che gli riesca il colpo».
Mecacci concorda. Anche se ad ascoltare le parole della sua amica sembra gli sia entrato un rospo in gola: «Scalano la nostra casa appoggiando la scala all’esterno». Come i ladri, tuonano i volontari che circondano il tavolo.
I tre giovani partigiani del Pd anti Renzi non muovono un muscolo del viso.
Ma si capisce che sono d’accordo.
Marco Imarisio
(da “Il Corriere della Sera“)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
CRESCONO I LABURISTI CHE DIVENTANO IL SECONDO PARTITO… I POPULISTI DI GEERT WILDERS PERDONO QUASI LA META’ DEI SEGGI
L’ultradestra populista di Geert Wilders esce sonoramente sconfitta nelle elezioni politiche olandesi, dove ad affermarsi sono i due partiti filo-europei.
Sono i liberali (Vvd) del Primo ministro uscente Mark Rutte a vincere il confronto elettorale, in vantaggio di 2 seggi sul partito laburista (quando è stato scrutinato il 96% delle schede). Durante lo spoglio si è assistito a un testa a testa tra i due partiti.
Terminato con la vittoria dei liberali.
«È la nostra più grande vittoria», è stato il commento di Rutte, che ha ricevuto per telefono le congratulazione del leader laburista Diederik Samsom, che ha ammesso la sconfitta.
«Domani farò il primo passo verso la formazione di un governo», ha aggiunto Rutte, senza indicare a quali partiti proporrà di formare una coalizione.
È data, però, quasi per scontata la ricerca di un’alleanza con i laburisti.
ALLEANZE
Il partito di Rutte ha conquistato – quando ormai è stato scrutinato più del 90% dei seggi – 41 seggi (ne aveva 31), mentre i laburisti del PvdA sono saliti a 39 (ne avevano 30).
Insieme i due partiti contano quindi 80 seggi (sui 150 della Camera olandese) e – seppure divisi da elementi programmatici – possono sulla carta dar vita a una maggioranza di governo filo-Ue. L’ultradestra populista di Geert Wilders (Pvv), che in aprile aveva fatto cadere il governo nella speranza di cavalcare l’ondata antieuropeista, scende da 24 a 15 seggi.
Perdono, come preventivato, gli alleati storici dei liberali, i cristiano-democratici (da 21 a 13 seggi), penalizzati dalla loro precedente alleanza con Wilders.
In stallo i vetero-socialisti di Emile Roemer (Sp, 15 seggi).
I PROGRAMMI
Lo sconfitto di giornata, Geert Wilders, è un sostenitore dell’uscita dell’Olanda dall’eurozona e dall’Unione europea, mentre i liberali vogliono portare il deficit pubblico sotto la soglia del 3 per cento del 2013, come esige Bruxelles, grazie a un vasto programma di tagli di bilancio.
I laburisti preferirebbero investire nel rilancio dell’economia.
Malgrado queste differenza di posizione di fronte all’austerità , gli analisti danno per assodato che queste due formazioni politiche formeranno un’alleanza per un governo europeista di coalizione.
LIBERALI
La crescita del partito di Rutte nasce con la caduta del suo governo lo scorso aprile, che ha fatto apparire il Vvd l’unico riferimento politico liberista e conservatore credibile dopo la traumatica uscita dalla maggioranza di Wilders e lo sfaldamento dell’ex alleato Cda.
Rutte è sempre apparso serio e preparato e ha intelligentemente mantenuto una stretta connessione fra la coerenza del suo programma di riforme e tagli dolorosi e le necessità del Paese.
Riuscendo a schivare così il malcontento nei confronti dell’Europa e le provocatorie accuse, fattegli soprattutto dalle due ali euroscettiche a destra e sinistra, di essere al servizio degli eurocrati o il galoppino della Germania di Angela Merkel: «Non faccio questo per Bruxelles, ma perchè è un bene per la nostra economia», ha detto Rutte nell’ultimo dibattito in tv.
LA SORPRESA LABURISTA
Più sorprendente il risultato del candidato laburista.
Considerato fuori dai giochi fino a sole due settimane fa, impantanato in sondaggi da «centro classifica», Diederik Samson ha guidato il Partito dei lavoratori (PvdA) a un balzo in avanti, sempre secondo gli exit poll, con brillanti performance televisive nei vari dibattiti fra candidati e nelle altre trasmissioni dov’è stato ospite, a spese soprattutto del rivale a sinistra, il sanguigno socialista Emile Roemer, leader dell’euroscettico Sp.
Nato 41 anni fa a Groningen, nel nord-est, laureato in Fisica all’Università tecnologica di Delft, Samsom ha un passato di militante ecologista negli ultimi anni 90 nelle file di Greenpeace, per la quale ha condotto diverse campagne per le quali ha subito vari fermi e arresti, ma nessuna condanna.
È entrato nel partito laburista nel 2001, eletto per la prima volta in Parlamento nel 2003 e nominato leader del partito il 16 marzo di quest’anno, dopo le dimissioni del popolare Job Cohen.
Ha guidato il suo (fino a poco fa) impaludato partito con energia, ma per molto tempo è stato accusato di apparire in pubblico troppo aggressivo, impaziente e di assumere un’aria «saccente».
Caratteristiche che ha ammorbidito negli ultimi tempi.
Di bell’aspetto, magro, sguardo magnetico, stempiato con i capelli cortissimi, Samsom si professa ateo, vegetariano, salutista e sportivo (nuota e gioca da dilettante a pallanuoto). Ha moglie e due figli con i quali vive a Leida.
In campagna elettorale si è presentato anche in spot che lo ritraggono nell’intimità familiare, mentre prepara la colazione ai figli prima di uscire per andare al lavoro in bicicletta.
In passato ha partecipato a quiz televisivi riservati a persone dall’alto quoziente intellettivo.
(da “Il Corriere della Sera“)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
I “NON ALLINEATI” INSIEME SONO PRIMI… CINQUESTELLE AL 18%, IDV AL 7,5%: SE SI METTONO D’ACCORDO SALTA TUTTO
Altro che Monti-bis o Grande Coalizione con la benedizione del Quirinale. Movimento 5 Stelle e Italia dei Valori già oggi, insieme, sono il primo partito in Italia. Gli ultimi sondaggi dispensano numeri da brividi per la casta della Seconda Repubblica.
Prima puntata di Ballarò, martedì sera.
Al programma di Giovanni Floris su Raitre, Nando Pagnoncelli dispensa le nuove cifre dell’Ipsos sulle intenzioni di voto.
I grillini, nonostante un leggero calo, sono al 17,9 per cento. Terzi dopo Pd, al 25,4, e Pdl, al 21,9.
Ma la sorpresa arriva dall’Italia dei valori di Antonio Di Pietro: 7,5 per cento.
In pratica, l’Idv sembra aver frenato l’emorragia di voti verso il M5S.
E così le due formazioni, se unite, potrebbero andare diritte al governo dopo le elezioni.
Anche con questo sistema elettorale, il Porcellum, che prevede un premio di maggioranza che fa salire al 55 per cento (340 seggi alla Camera) la coalizione vincente.
La loro percentuale, secondo l’Ipsos, è del 25,4, la stessa del partito di Pier Luigi Bersani, che tutti danno per favorito.
Il primato di Grillo e Di Pietro è uno schiaffo sonoro a quanti, da Giorgio Napolitano in giù, collocano con sdegno e paura M5S e Idv nel recinto dell’antipolitica e del populismo.
Addittura il piddino Luciano Violante ha teorizzato la nascita di un nuovo arco costituzionale per escludere questi due movimenti dall’area di governo, come accadde con il Msi di Giorgio Almirante nella Prima Repubblica.
Dall’Ipsos alla Sgw di Roberto Weber la somma non cambia ed è ancora vincente, seppur più bassa: grillini al 18,5 per cento e Di Pietro al 4. Totale 24,5, mezzo punto in più del Pd.
Ipr Marketing, per La 7, fornisce invece un quadro aggiornato a settembre della composizione del voto al Movimento 5 Stelle.
La provenienza è calcolata dalle politiche del 2008 a oggi.
Su cento elettori del M5S, 25 sono dell’area del non voto, 24 del Pd, 23 del Pdl, 9 dell’Idv, 9 dei cosiddetti “altri”, 7 della Lega, 3 della Sinistra Arcobaleno (oggi Sel).
Sostiene Antonio Di Pietro: “Tutti i giorni, anche oggi (ieri per chi legge, ndr), molti esponenti di Pd, Pdl e Udc in privato mi fanno ossessivamente la stessa domanda”. Questa: “Cosa c’è di vero nella lista dei non allineati che vuoi fare con Grillo?”. Continua il leader dell’Idv: “Questa prospettiva sta provocando un terrore enorme. Anche per questo non sanno come cambiare il Porcellum. Vogliono imbrigliarci ma non c’è alcuna legge elettorale che li garantisca. Noi vinceremmo lo stesso, anche con il proporzionale”.
L’alleanza tra Grillo e Di Pietro al momento resta però una suggestione forte.
Il M5S continua a rifiutare apparentamenti anche se qualche spiraglio si può cogliere nelle ultime parole del comico genovese registrate dal Corriere della Sera sull’ex pm: “Brava persona, onesta. Ma non sapeva usare la Rete. È venuto a parlarmi, gli ho presentato un amico, un esperto, ed è passato dal 4 all’8 per cento ma poi è rimasto all’interno di un sistema marcio e così gli capitano gli Scilipoti, per questo non potremo mai metterci d’accordo. Ma è l’unico che salvo, sarebbe un buon ministro dell’Interno o anche il presidente”.
Già un governo Di Pietro.
Dice ancora il leader dell’Idv, che ieri ha annunciato di non voler togliere il suo nome dal simbolo: “Mi sento spesso con Grillo e Casaleggio, due persone che stimo tantissimo. Il mio, voglio specificarlo, è un confronto personale e continuo. Ma adesso non voglio tirare nessuno per la giacca, non voglio mettere in imbarazzo nessuno. Non è ancora il momento, vediamo prima quale legge elettorale verrà fuori”.
L’idea di una lista dei non allineati è stata maturata da Di Pietro a luglio: M5S, Idv e anche Sel di Nichi Vendola.
Oggi il quadro è un po’ mutato, anche se proprio l’altro giorno Idv, Sel e Fiom hanno presentato il referendum contro la riforma Fornero.
Al posto di Vendola, che difficilmente mollerà il Pd di Bersani, potrebbe inserirsi il movimento arancione di Luigi De Magistris.
I rapporti tra Grillo e il sindaco di Napoli sono pessimi ma un dialogo nel segno della ragion di governo, senza personalismi, sarebbe possibile, almeno da parte della lista arancione.
Perchè il punto che muove i ragionamenti a cavallo tra dipietristi e grillini è questo: dopo le amministrative, basta soltanto vincere senza porsi il problema di governare?
Nel frattempo sia Grillo sia Di Pietro devono risolvere notevoli problemi interni.
Per il primo si tratta di sciogliere il nodo della democrazia interna con il caso Favia, il secondo a Vasto il 20 settembre dovrà affrontare i dissidenti filoPd e Napolitano e antigrillini capeggiati da Massimo Donadi, capogruppo dell’Idv a Montecitorio. Anche per questo, ufficialmente, Di Pietro continua a giocare nel campo classico del centrosinistra e insiste sull’area riformista con Pd e Sel ma poi aggiunge: “Pensate che succederebbe se partisse una lista dei non allineati, potrebbe davvero vincere. È solo una battuta perchè Grillo andrà da solo”.
Una battuta per il momento.
Ma i numeri sono lì, sotto gli occhi di tutti.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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