Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
LA MELONI: “I PROFESSORI NON CI PIACCIONO”
“Una freddezza agghiacciante”. Il militante di Atreju, Cesare, 25 anni, è sbalordito dopo aver ascoltato l’intervento del ministro Fornero alla festa dei giovani Pdl di fronte al Colosseo.
“Hai davanti duecento giovani, che sono interessati ai temi del lavoro e della precarietà , e non ci hai messo il cuore nemmeno un secondo”.
Accusa sferzante, in linea con questa realtà giovanile che, pur gravitando nel Pdl romano — quello finito nelle inchieste per sottrazione di fondi — ci tiene a mantenere una visione della politica fatta di militanza e di passione.
Elsa Fornero arriva puntuale a un appuntamento fissato diversi mesi fa.
Era stata Giorgia Meloni, tosta deputata cresciuta alla corte di Gianfranco Fini ma rimasta berlusconiana, a invitare il ministro durante dei lavori parlamentari.
Atreju si svolge ogni anno, è famosa, soprattutto, per la presenza di Berlusconi prevista per venerdì prossimo. È sicuro? Chiediamo a Meloni: “Sì, me lo ha confermato la settimana scorsa”.
Forse anche per il ricordo dei dibattiti del Cavaliere, anche il ministro Fornero è venuta convinta di dover tenere un incontro-confronto con i ragazzi della destra ex aennina, mentre invece si trova catapultata sul palco in un classico dibattito da festa di partito, con sei ospiti e l’ex ministro Sacconi che ne approfitta per attaccare il governo Monti.
Che la “location” non sia quella auspicata, il ministro lo fa capire subito all’inizio del proprio intervento quando sottolinea che la platea non è poi “tutta così giovane” (e ha ragione).
Poi, si lancia nella classica lezione che da lei ci si aspetta.
“Il paese era sull’orlo del disastro”, “Ricordatevi l’estate scorsa che situazione grave che c’era”, “Mi hanno assegnato due compiti, riforma pensioni e riforma mercato del lavoro, e io li ho svolti”.
Del resto, chiede alla platea esigendo la risposta, “La precarietà esiste o no? Rispondete!”.
Qualcuno dalla sala dice “sì, è vero” e lei prosegue spiegando che le norme sulla flessibilità sono state pensate proprio per ridurla. Non entusiasma, anzi non convince proprio.
Ma non convince più di tanto nemmeno Maurizio Sacconi che, ovviamente, gli applausi li riceve.
“Il fatto è che a quest’area i tecnici non piacciono” spiega al Fatto Giorgia Meloni.
“A noi piace la politica vera, non le persone calate dall’alto. Andava meglio quando invitavamo Bertinotti o Vendola. Quest’anno volevo Renzi o Landini ma l’imminenza della campagna elettorale induce a mantenere le distanze”.
I tecnici, sembra di capire, addormentano il confronto, la politica ne risente e le passioni vanno a farsi benedire.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
ANZIANI E CON INVALIDITA’ DI SERVIZIO DEVONO ANDRSENE PER FARE POSTO AD ALTI FUNZIONARI… “MINISTERO DEGLI INTERNI VERGOGNOSO”
A Roma, l’emergenza abitativa coinvolge anche gli ex poliziotti in pensione e le loro famiglie.
Dopo aver vissuto per decenni in uno stabile demaniale assegnato loro dal ministero dell’Interno, adesso le trenta famiglie residenti al civico 33/35 di via Trionfale dovranno restituire le chiavi di quegli alloggi.
Molti sono anziani — in alcuni casi ultraottantenni — altri hanno subìto un’invalidità in servizio.
E per servire lo Stato c’è anche chi è morto e in quelle case ci ha lasciato la moglie e i figli.
Ma per quello stesso Stato adesso sono tutti degli abusivi da sfrattare.
E sembra quasi una beffa che ad eseguire lo sgombero — come sempre accade nei casi di procedure coatte — sarà la Polizia di Stato.
Arrivati davanti al portone dell’edificio già ieri mattina — provocando anche alcuni attimi di tensione —, gli uomini delle forze dell’ordine hanno concesso agli inquilini altri due giorni di tempo.
Poi, hanno fatto sapere, inizieranno a sgomberare quattro appartamenti per volta. Dovranno farlo: l’ordinanza della Prefettura parla chiaro.
Il provvedimento, che intimava le famiglie degli ex poliziotti di lasciare gli immobili, era stato però notificato l’anno scorso. In quell’occasione in molti avevano subito fatto ricorso al Tar, che però dopo alcuni mesi si era dichiarato incompetente a decidere.
A quel punto su consiglio dello stesso Tribunale amministrativo del Lazio, gli inquilini di via Trionfale avevano presentato ricorso al Tribunale civile.
Presso il quale, ad oggi, la controversia risulta essere ancora pendente.
Come fanno sapere i legali che assistono alcune delle famiglie degli ex poliziotti, l’ordinanza di sfratto sarebbe perciò illegittima.
Ancor di più se si pensa che in questi giorni, al civico 33 di via Trionfale, non è stato notificato alcun atto scritto, solo un annuncio orale al citofono da parte di due poliziotti.
E che quello pervenuto la scorsa estate invece — visto che preavvertiva l’arrivo della “forza pubblica entro dieci giorni” — è ormai scaduto.
Questa vicenda in realtà risale a quasi dieci anni fa, quando il ministero dell’Interno inizia ad attivare le procedure per liberare quegli appartamenti.
Da qui partono subito le iniziative e le mobilitazioni per salvaguardare le famiglie.
Per sollecitare le istituzioni a trovare una soluzione adeguata e definitiva, si attiva anche il Municipio Roma XVII (circoscrizione in cui si trova lo stabile) e in particolare il presidente del consiglio municipale e membro del Prc romano, Giovanni Barbera.
Viene presentato ricorso al Consiglio di Stato, che però è rigettato.
Intanto la Prefettura di Roma (organo periferico del ministero dell’Interno) arriva addirittura a rifiutare i pagamenti del canone che arrivano da via Trionfale.
Rivuole indietro gli appartamenti. E basta.
Passano gli anni e Palazzo Valentini riesce finalmente a liberare un appartamento, quello di un anziano signore di ottant’anni. Le altre famiglie tengono duro.
Ad un certo punto però ad alcune di loro iniziano ad arrivare richieste di pagamento degli arretrati con cifre da capogiro, superiori addirittura ai cento mila euro.
Per molti è un chiaro ricatto per convincerli ad andar via.
Ieri il terrore dello sfratto è ripiombato.
“E’ una situazione vergognosa — denuncia a ilfattoquotidiano.it il presidente del Consiglio del Municipio Roma XVII, Giovanni Barbera — anche perchè queste famiglie, che verranno buttate in mezzo alla strada, hanno un reddito medio-basso. Non possono permettersi quindi di pagare un canone d’affitto, nè tantomeno acquistare una casa, con i prezzi attuali del mercato immobiliare”.
Quelli per le abitazioni concesse al personale di polizia sono infatti canoni calmierati, “che permettono a pensionati, come gli inquilini di Via Trionfale, di poter sopravvivere. Si cerchi almeno un’altra soluzione — auspica Barbera — come quella trovata per i familiari dei militari, trasferiti in alloggi comunali”.
Quello che però suscita ancora più indignazione è che, una volta liberati e elegantemente ristrutturati — naturalmente a spese dei contribuenti — quegli appartamenti a due passi dal Vaticano verrebbero concessi a titolo gratuito ad alti dirigenti del ministero dell’Interno o della Polizia di Stato.
“Come già — fa sapere Barbera — è avvenuto in passato. La Prefettura insomma (e quindi il ministero dell’Interno) si sta comportando come un Robin Hood al contrario: sottrae un tetto a chi ne ha bisogno, per regalare appartamenti di lusso alla casta della polizia”.
Sono in tutto circa 230 gli alloggi distribuiti nei quartieri più centrali della Capitale assegnati, secondo un dossier realizzato alcuni mesi fa dalla Silp Cgil, a funzionari e prefetti.
Della drammatica situazione delle famiglie di via Trionfale, lo scorso dicembre, era stato messo a conoscenza anche il ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri.
Ma dal Viminale una risposta, alla lettera inviata dal capogruppo della Federazione della Sinistra alla Regione Lazio, Ivano Peduzzi, non è mai arrivata.
E così ieri stesso è partita anche la seconda missiva.
Intanto già da domani inizieranno i primi sfratti.
E chissà quale sarà lo stato d’animo di quei poliziotti che dovranno sgomberare alcuni ex colleghi e le loro famiglie.
Gabriele Paglino
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
MAOMETTO RITRATTO COME IMPOSTORE E MENTRE FA SESSO… GIRATO DA UN EBREO CALIFORNIANO, PRODOTTO DA EGIZIANI COPTI RESIDENTI NEGLI USA
«L’innocenza dei musulmani». Si chiama così il lungometraggio che ha scatenato l’attacco in Libia in cui sono morti l’ambasciatore Usa Chris Stevens e tre funzionari americani.
Girato dal regista californiano Sam Bacile – che descrive se stesso come ebreo israeliano -, prodotto da egiziani coopti emigrati negli Stati Uniti, il film è stato postato su YouTube e accusa Maometto di essere un impostore, lo mostra mentre fa sesso, invoca «massacri» e denuncia le stragi dei cristiani in Egitto.
IL FILM
Il regista – 56 anni, agente immobiliare che ora si trova in un luogo segreto -, aveva parlato prima dell’attacco di Bengasi al Wall Street Journal
Il film, che dura due ore, è costato circa 5 milioni di dollari ottenuti – ha spiegato Bacile – grazie alle donazioni di un centinaio di persone di origine ebraica.
Realizzata in circa tre mesi nell’estate del 2011 in California, alla pellicola hanno lavorato circa 60 attori e uno staff tecnico di 45 persone.
Obiettivo del film, aggiunge Bacile, è presentare il personale punto di vista del regista, secondo il quale «l’Islam è una religione piena d’odio, un cancro». «La pellicola è un film politico, non un film religioso» ha detto ancora Bacile.
RESPONSABILITA’
Contattato al telefono dopo l’attacco, Bacile ha ammesso che non si aspettava una reazione così furiosa e si è detto dispiaciuto per la morte del funzionario Usa ucciso nel consolato di Bengasi.
Ma ha attribuito la responsabilità per l’accaduto alla mancanza di adeguate misure di sicurezza. «Penso – ha affermato – che il sistema di sicurezza nelle ambasciate non funziona. L’America dovrebbe fare qualcosa a questo proposito».
Bacile ha anche aggiunto che per il momento ha respinto le offerte di distribuzione del filmato: «Il mio piano è di produrre una serie di 200 ore».
IL REVERENDO
Tra i promotori del film – evidenzia la stampa Usa – c’è anche il pastore Terry Jones, che in passato ha diverse volte bruciato copie del Corano innescando proteste in tutto il mondo arabo.
Il pastore Jones, ha reso noto di voler mostrare uno spezzone di 13 minuti nella sua chiesa di Gainesville, in Florida.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
UN GIOVANE CHE RAPPRESENTA L’ITALIA MIGLIORE… VITTIMA DELLA VORACITA’ DELLE MULTINAZIONALI, DELL’INDIFFERENZA DEL PAESE E DELL’INCAPACITA’ DEI GOVERNI
“Sono qui per loro, perchè se a me tolgono il futuro, a loro due strappano l’avvenire”. La bandiera con i quattro mori che lo avvolge, il caschetto da lavoro in testa, e al collo una foto a colori delle sue due bambine.
Come il profugo di una guerra che cerca i suoi figli tra le macerie di una città distrutta. Antonello Casula, 32 anni, sardo del Sulcis e operaio dell’Alcoa è a Roma.
Insieme ai suoi compagni è sotto la sede del ministero dello Sviluppo in via Molise, un budello a due passi da via Veneto che l’impotenza di un governo terrorizzato dalle crisi e dalle proteste dei lavoratori hanno trasformato in una tonnara.
Padri di famiglia, ragazzi giovani, donne operaie, guardati a vista da un imponente schieramento di poliziotti, carabinieri e finanzieri.
Sopra le loro teste un elicottero.
L’unica risposta di questa Italia ad Antonello, alla sua giovane moglie e ai suoi compagni di lotta e di sventura.
“Ho 32 anni, lavoro all’Alcoa da quando ne avevo 22. Dieci anni, uno stipendio da signore. Perchè io posso definirmi un signore con 1400 euro al mese. Soldi che in questi anni mi hanno permesso di costruirmi una vita. La famiglia, la casa lasciata dai suoceri e ristrutturata come piaceva a noi. I figli. Li vedi? Giada e Noemi. Per loro nella testa ho mille progetti”.
à‰ classe operaia, è Sardegna, Antonello è tutto questo: uno dei mille volti della crisi che sta desertificando la sua terra.
“Il lavoro in fabbrica è l’unica possibilità che abbiamo di sopravvivere dove il lavoro non esiste più. Un ragazzo di Roma mi ha guardato e mi ha chiesto perchè eravamo qui. Gli ho detto che stavamo lottando per il lavoro, gli ho raccontato cos’è la Sardegna. Lui dell’isola conosceva solo i villaggi turistici e i locali alla moda, mi ha guardato perplesso e poi mi ha detto perchè non vai a rubare? Bella questa. A rubare, ma a chi?, in un posto dove i più ricchi sono gli operai con il loro stipendio”.
Sorride, Antonello Casula quando racconta quel dialogo surreale.
Si incupisce quando qualcuno vuole far passare lui e i suoi compagni come poveracci che chiedono assistenza.
“Ma li senti gli slogan che dicono no alla cassa integrazione? Noi vogliamo solo continuare ad alzarci la mattina, andare in fabbrica e produrre alluminio.
Alcoa non è una delle tante fabbriche devastate dalla crisi economica. No, Alcoa chiude perchè è stanca del sistema Italia che non ci consente di avere energia a basso costo. Ha un piano: abbassare la produzione dell’alluminio per aumentare i prezzi sul mercato mondiale. E poi sento mille discorsi sul datevi da fare. Ministri che parlano a vanvera dei giovani e del loro futuro. Io il mio l’ho costruito con il sudore. Ero in fabbrica e studiavo all’università , andavo avanti a Red Bull e camomille. Passavo notti sui libri e alla fine ci sono riuscito. Ho conquistato la mia laurea, ora sono un esperto ambientale. Mia moglie è laureata, insegna. Fa centinaia di chilometri al giorno per poche ore di supplenza. Noi ci si siamo rotti la schiena e abbiamo fatto il nostro dovere di cittadini. Senza chiedere. E ora quel piccolo castello che abbiamo costruito ci sta crollando addosso. Demolito dalla voracità di una multinazionale, dall’indifferenza di un Paese intero e dalla incapacità di un governo che sta assistendo con indifferenza alla distruzione del lavoro”.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
GLI EPURATI DANNO VITA A “MOVIMENTO REVOLUTION” CON IL FINE DI RITROVARE LE RAGIONI ORIGINARIE DEL PROGETTO… “PUO’ IL SIMBOLO DEL PARTITO APPARTENERE A UNA SOLA PERSONA?”
Dissidenti. Eretici. Addirittura rivoluzionari.
Con un solo obiettivo: restituire il MoVimento Cinque Stelle alla sua funzione originaria: salvare l’Italia.
Andando oltre “il milionario” Beppe Grillo e rompendo l’egemonia esercitata tra i grillini da Gianroberto Casaleggio, un “padrone dai capelli settecenteschi”.
Si autodefiniscono “MoVimento Revolution” e in rete stanno raccogliendo da mesi denunce e racconti.
Che aprono uno squarcio sull’assenza di democraticità interna del movimento di Grillo.
E il capo politico del MoVimento viene equiparato, in modo spietato, alla “vecchia politica” che vuole cancellare.
Si parte dal loro sito ufficiale.
In apertura una lettera indirizzata a tutti i grillini. C’è un invito: “Andiamo oltre, oltre Beppe Grillo, oltre la vecchia politica, oltre tutte le dispute che ci sono state fino ad oggi, andiamo oltre, per salvare l’Italia”.
Il motivo è una profonda insoddisfazione per i metodi utilizzati dall’ex comico.
“Ci hanno chiesto mille volte di attaccare Federico Pizzarotti”, il neo sindaco di Parma. Ordini arrivati dall’alto, dai vertici del MoVimento. E che hanno provocato fratture insanabili con chi era “entrato animato dalle migliori intenzioni”.
Poi il caso Favia. Che per i membri del MoVRevolution è solo l’ennesima prova, l’ennesima dimostrazione, di quanto il movimento di Grillo sia lontano dalla democrazia diretta che dice di voler esercitare.
Gli eretici non salvano nessuno: Favia è solo un “ragazzo subdolo” e Grillo è talmente preso dal proprio potere che non riesce neanche a vedere semplici verità .
Come la creazione, all’interno dei Cinque Stelle, di gruppi che utilizzano la popolarità del MoVimento per poter arrivare a gestire e a occupare posizioni di potere.
E le denunce partono da lontano. Da alcuni video postati su Youtube da Gaetano Vilnò, ex cinque stelle, tacciato da Grillo di essere “un infiltrato della destra”.
Vilnò è netto: “Spesso si entra in buona fede, poi ci si ritrova ad avere a che fare con una situazione ingestibile”.
Ovvero: “Grillo fa le regole, decide le iniziative, ha fatto il programma senza sapere neanche chi lo ha stilato e senza voto elettronico, decide i candidati”.
Ancora: “Lui fattura 5 milioni l’anno, ma i grillini non devono prendere soldi, e se rivestono qualsiasi carica devono firmare delle dimissioni in bianco”.
Tutto arriva su Facebook.
Dove le denunce, raccolte nel gruppo “Vaffa Beppe Grillo”, aumentano giorno dopo giorno. Dai racconti in prima persona, a chi solleva questioni politiche: “E’ normale che un candidato per le prossime elezioni regionali in Sicilia del MoVimento 5 stelle sia anche coordinatore di un nuovo movimento di un consigliere provinciale che è uscito da poco dal Popolo delle libertà ?”.
Ma Movimento Revolution non fa solo controinformazione in rete. Anzi.
Tra le iniziative un esposto all’Agcom sull’utilizzo del simbolo dei Cinque Stelle. Scrive Francesco Vicari, tra gli animatori dei “dissidenti”: “Nel 2007, a Bologna, Grillo tenne il primo V-Day, in pratica la nascita del suo movimento.
E qui rischia di trovare ora un inaspettato altolà .
Infatti l’Agcom, l’autorità garante della concorrenza e del mercato, dovrà pronunciarsi, sul quesito contenuto in un esposto presentato da alcuni degli “epurati”: può un simbolo politico essere di proprietà di una singola persona, senza alcun organismo di controllo, anche amministrativo?”.
Carmine Saviano
(da “La Repubblica“)
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
VIAGGIO NEL PD SULLA GIOSTRA DELLE PRIMARIE
La distanza fra la politica delle parole e i fatti della vita Stefano Fassina l’ha misurata col centimetro sulla sua pelle nell’arco di tre giorni.
Il giorno 8, sabato, era al tavolo dei relatori del magnifico auditorium Loris Malaguzzi di Reggio Emilia a spiegare ad una platea di trenta-quaratenni che Bersani farà meglio di Monti, platea del resto a priori convintissima, perchè non si fanno riforme senza consenso e se c’è un posto dove il Pd deve stare è quello di chi lavora: Carbosulcis, Mirafiori, Almaviva.
Avanti, a sinistra.
Il giorno 10, lunedì, era appunto lì, tra i lavoratori dell’Alcoa in protesta, ed è lì che è stato contestato: una spinta, vattene, andatevene, non sappiamo che farcene delle vostre promesse, ci avete abbandonati ora è tardi.
Se ora sia davvero tardi, questo è il punto. Se sia troppo tardi per colmare il vuoto che separa le parole dei convegni e degli articoli di giornale dai fatti che, lontano dalle sale insonorizzate, colorano di rabbia, di stanchezza, di fragilità e infine di disperazione le reali vite delle persone alle quali il Partito democratico guarda come al suo elettorato ma che sempre meno, invece, da quel partito si sentono rappresentate.
Un bacino enorme di delusi che ingrossano le fila del ribellismo politico, della disillusione incapace di distinguere. Questa è la sfida.
Questa la posta in gioco della campagna elettorale appena cominciata, le primarie del Pd in vista delle elezioni di primavera.
Restituire credibilità alla politica, che in concreto significa: proporre come candidate a colmare quel vuoto persone credibili.
Va sotto il nome di rinnovamento, questa sfida. Di niente altro ormai si parla nelle feste democratiche, nei circoli, nelle città e nei paesi percorsi in camper o in bicicletta dai candidati.
Il rinnovamento, il ricambio.
Su Renzi, che del tema si è impadronito per tempo, raccontano a Ravenna questo aneddoto. Ravenna, Romagna, terra di Bersani. Alberto Pagani, segretario provinciale del Pd: «Mi avevano chiesto, come si usa, di fare due conti e vedere chi sta con chi. Ho fatto un sondaggio fra la nostra gente, segretari di circolo funzionari amministratori: tutto a posto, tutti con Bersani. Poi la sera che è venuto Renzi a parlare alla festa ho visto, in platea, il parrucchiere del mio paese, Alfonsine, è da lui che vanno a tagliarsi i capelli tutti i ragazzi. E ho visto anche il direttore della Conad, quella dove vanno le donne a fare la spesa. E poi in fondo il fratello di mia suocera, che fa l’imprenditore e che quando vuol sapere di politica chiede a me. Ho domandato al parrucchiere. Ma stai con Renzi? E lui: ma sì è nuovo è giovane. Poi tanto sono tutti nel Pd, no? Bersani faccia il segretario, Renzi il presidente del consiglio».
È così, annuisce il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci, ex Pci, 55 anni: «Se chiedi ai quadri di partito è un conto, se parli con la nostra gente, anche coi vecchi, è un altro: in tanti pensano che sia venuta ora di rinnovare e io credo che in fondo in Renzi ci vedano i loro figli, i loro nipoti. Anche se non li convince fino in fondo ci vedono la generazione dei ragazzi che hanno a casa e pensano che possa dar loro una chance».
Certo che non può essere solo una questione di età : messa nei termini dello scontro generazionale «è stupida e stucchevole, sono d’accordo con Alfredo Reichlin», dice Alessandra Moretti, vicesindaco di Vicenza: «Noi non vogliamo uccidere i nostri padri. Abbiamo quarant’anni: noi “siamo” padri e madri».
E tuttavia è in questi termini che la pongono tutti, ormai, a partire da Bersani: che sgombra il palco della festa di Reggio per salirci da solo, che invita i suoi trenta-quarantenni, la generazione T/Q, i giovani turchi, a farsi avanti.
Tra gli autoconvocati di Reggio Emilia, al centro Malaguzzi, ci sono al completo gli uomini dello staff del segretario, uffici stampa passati e presenti, bracci destri e portavoce.
C’è Aurelio Mancuso, ex Arcigay ora Equality: «Qui ci si prepara allo scontro, ci si mette in luce per una eventuale compagine di governo, ci si segnala. Troverà anche molti della corrente ex Marino, perchè sui temi dei diritti civili queste sono le posizioni più a sinistra. Poi qualche ex franceschiniano, qualche lettiano. Il grosso però è formato dalla componente organica agli ex Ds: se Renzi le mette sullo scontro generazionale bisogna opporgli la stessa carta, no?». Organici, partitici, keynesiani in economia, vicinissimi alla Cgil, camussiani osservanti.
Parlano uno dopo l’altro dal palco di “Rifare l’Italia” e tutti somigliano a qualcuno dei padri. Fassina a Bersani, Alessandra Moretti ad Anna Finocchiaro, Andrea Orlando a Violante, Matteo Orfini a D’Alema persino nelle pause e nel tono di voce, nelle battute sarcastiche, nella qualità del silenzio di chi ascolta.
Nessuno somiglia a Veltroni «perchè il vero erede di Veltroni è Renzi», sorride una giovane volontaria della Festa venuta qui, dice, solo a «dare un’occhiata: difatti Renzi in questa platea è il nemico».
Con Renzi, che si prepara a partire da Verona vento in poppa, si sono schierati finora tutti quelli che hanno molto da guadagnare e poco da perdere.
Giovani dirigenti e amministratori come Matteo Richetti, Davide Faraone, Roberto Reggi. Nessun dirigente con una posizione consolidata, nessuno che abbia messo a rischio una rendita nè una promessa.
Le grandi manovre si sono chiuse un paio di mesi fa, quando il gruppo che un tempo si chiamava dei “piombini” – Civati, Serracchiani, Scalfarotto, lo stesso Renzi – ha provato a puntare su Debora Serracchiani.
L’ipotesi era più che concreta, dicono: Renzi diceva «dobbiamo vincere, se Debora ha più possibilità di me rinuncio, ma dev’essere una cosa ben fatta e sicura».
Non è stata ben fatta nè sicura, evidentemente. Serracchiani oggi corre per la presidenza del Friuli Venezia Giulia e sulle primarie si dice perplessa.
Parla dal palco della festa di Reggio seduta accanto a Martina, Sandro Gozi, Nico Stumpo. «Dico che rischiamo di essere quelli che mentre il palazzo crolla si fermano a scegliere le tendine del bagno», applausi tiepidi di una platea di età avanzata, bersaniana senza se e senza ma, incerta sul cognome di Gozi.
«Non ho capito bene come si chiama? Cozzi?”, domanda un vecchio volontario.
Di martedì, ieri, Pippo Civati presentava a Milano con Stefano Boeri il libro di interviste a esponenti pd “Ma questa è la mia gente” di Ivan Scalfarotto, quarantenne vicepresidente del partito.
«La questione del rinnovamento generazionale nasconde quella, più seria, della contendibilità del potere – dice Scalfarotto – questo è un partito in cui cambia il contentitore, anche il nome, ma mai il contenuto».
Al contrario dei grandi partiti democratici dove il contenitore è sempre lo stesso, l’identità del partito più forte di quella di chi lo abita, e cambiano i protagonisti.
«Il problema delle nuove generazioni è che sono fatte a loro volta di persone cooptate al potere. Non è colpa loro, funziona così: se non sei in quota a nessuno non entri in Parlamento. Si sa da dove vieni, chi ti porta. La conseguenza è che per emanciparti devi personalizzare lo scontro, fare le tue piccole battaglie in diretta tv. Battute, battibecchi, e pazienza per la credibilità del partito che è di tutti. Quando la gente da casa vede scontrarsi Boccia e Orfini, un giovane lettiano e un giovane bersaniano, e sente che poi alle primarie sono sullo stesso fronte, contro Renzi: ecco, la gente cosa capisce? E il lavoro, i diritti, l’Europa, il futuro della conoscenza e il web: non è su questo che si dovrebbe piuttosto chiedere il ricambio in nome di una coesione generazionale?».
Nessuna coesione generazionale, in effetti. Pippo Civati conduce una nuova battaglia interna buona e giusta: sostiene i “6 quesiti referendari al Pd” su questioni come il reddito minimo, la riforma fiscale, il consumo del suolo, i matrimoni gay, l’ineleggibilità di chi ha carichi pendenti, le alleanze.
Non proprio dettagli, come si vede, per quanto il ricorso allo strumento del referendum (pure previsto dallo statuto) segnala che da sole, le sei grandi questioni, non si muovono.
Tendono anzi a ristagnare, ad essere continuamente accantonate come incomode.
Di grandissima attualità quella sulle alleanze, di questi tempi.
La quale, scrive Civati sul suo blog, porta con se l’eterno rovello del sistema elettorale. Che tanto si voleva cambiare ma sinora non si cambiò, «purtroppo ancora nulla si sa del nuovo sistema elettorale ma si teme che dal Porcellum si passi al Prosciuttum, si sente parlare di liste bloccate per quote significative».
Un’aggiustatina, insomma.
Sarebbe proprio un peccato che finisse così: persino tra i giovani bersaniani di Rifare l’Italia c’è chi – Piero Lacorazza, presidente della provincia di Potenza – si azzarda a dire che sarebbe davvero meglio rinunciare alle garanzie e lasciare la possibilità di far scegliere gli elettori.
I giovani di Letta si riuniscono a Dro, in Trentino e parlano – Alessia Mosca, Guglielmo Vaccaro, Francesco Boccia – di quote rosa, cervelli in fuga.
Propongono leggi, elaborano piattaforme: sono l’ala liberal con forte venatura cattolica, sulla carta potrebbero dialogare con Renzi ma si segnalano fedeli alla linea Bersani, invece.
La fassiniana Francesca Puglisi lavora con Marco Rossi Doria, sostenitore di Ignazio Marino ora al Governo, al futuro della scuola.
Ciascuno porta un pezzo e sarebbe anche interessante provare a tessere una tela comune ma è tempo di serrare le fila, ormai.
Chi sta con Renzi e chi sta contro, questo ora è il punto.
“Adesso”, come dice perentorio lo slogan del sindaco.
I sondaggi fanno paura, sottovoce si parla di altri candidati possibili. Una donna, magari.
Un terzo incomodo che riapra i giochi. Chissà .
Molti volevano Barca, ma Barca fa il ministro e non può. «Ragazzi, io Grillo non lo voto ma se non tirate fuori uno diverso da Renzi guardate che ci tocca votare lui», si alza dal pubblico della libreria di Milano una signora di mezza età .
Applausi, sguardi di smarrimento, sorrisi.
La signora, del resto, ha detto: ragazzi.
Concita De Gregorio
(da “La Repubblica” )
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
NEL 95% DEI CASI LO STALKER E’ UN CONOSCENTE DELLA VITTIMA… NEL 15% I DELITTI SONO STATI PRECEDUTI DA DENUNCE
Qual è il paese occidentale in cui dall’inizio del 2012 sono state uccise 90 donne, molte delle quali a causa di possessività , gelosia, problematiche legate alla coppia scoppiata?
La risposta, fornita dall’Osservatorio Nazionale Stalking, è l’Italia, dove i dati aggiornati al 10 settembre scorso parlano di 10 vittime al mese, molte delle quali assassinate da uomini che conoscevano, in seguito a una separazione o a un rifiuto.
Sebbene nel 2011 la cifra fosse addirittura superiore – 127 omicidi – il quadro è tutt’altro che rassicurante.
Anche perchè nel 15% dei casi i delitti erano stati preceduti da denunce per stalking. Una decina di rei confessi inoltre, si è tolta la vita dopo l’arresto.
Secondo l’Osservatorio, che stima il numero di quelle che subiscono in silenzio per paura di ritorsioni assai superiore a quello delle coraggiose tamburine degli abusi maschili, almeno un persecutore su tre è recidivo e dopo la denuncia o condanna torna a molestare la vittima, spesso con ferocia maggiore.
Maggiore successo ha la scomessa sul recupero , come il Centro Presunti Autori istituito nel 2007 dall’Osservatorio Nazionale Stalking che ha già risocializzato 200 stalker.
L’Italia, patria di agguerriti movimenti femministi durante gli anni ’60 e ’70, ha abrogato il delitto d’onore solo il 5 agosto 1981, vale a dire che fino a quel giorno un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l’onore (per esempio l’omicidio della moglie adultera) era sanzionato con pene attenuate rispetto all’analogo delitto di diverso movente.
Oggi che il delitto d’onore cacciato dalla porta principale rientra dalla finestra delle comunità migranti come conflitto generazionale tra padri conservatori e figlie renitenti alla tradizione, le italiane hanno tragicamente imparato a familiarizzare con il termine stalker, un individuo che presenta gravi difficoltà psicologiche ad accettare l’abbandono e perseguita la sua presunta carnefice.
I dati dell’Osservatorio rivelano che nel 70% dei casi si tratta di un uomo, nel 95% dei casi è un conoscente della vittima, nell’80% dei casi è un manipolatore affettivo, nel 70% dei casi ha subito un lutto, un abbandono o una separazione significativa mai elaborata.
Francesca Paci
www.centropresuntiautori.it
www.stalking.it
www.osservatoriosicurezza.it
www.mediacrime.it
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
LA CRISI NON COLPISCE SOLO I GRANDI GRUPPI MA ANCHE LE PMI… UNA VOLTA ERANO LO SBOCCO DEI LICENZIATI DALLE INDUSTRIE, ORA SONO LORO A LICENZIARE
Nel secondo semestre di quest’anno rischiamo di perdere 202.000 posti di lavoro.
Di questi, ben 172.000 sono in forza tra le piccole e medie imprese.
A questo risultato è giunta la Cgia di Mestre che ha elaborato questa stima incrociando i dati occupazionali dell’istat e quelli di previsione realizzati da Prometeia.
Il risultato emerso è preoccupante: rispetto al secondo trimestre del 2012, nella seconda parte dell’anno corriamo il rischio di ritrovarci con 202.000 occupati in meno. Se teniamo conto che circa 30mila esuberi sono riconducibili ad addetti occupati nelle grandi aziende che hanno aperto un tavolo di crisi presso il ministero dello Sviluppo economico, gli altri 172.000 Sono alle dipendenze delle Piccole e medie imprese.
“Premesso che negli ultimi quattro anni la variazione dei posti di lavoro riferiti alla seconda parte dell’anno è sempre stata negativa – dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia – la stima riferita al 2012 è comunque peggiore solo al dato di consuntivo riferito al 2009. Purtroppo – prosegue Bortolussi – in queste ore non si sta consumando solo la drammatica situazione dei lavoratori dell’Alcoa o dei minatori del Carbosulcis, ma anche quella di decine e decine di migliaia di addetti delle pmi che rischiano di rimanere senza lavoro”.
La Cgia, tuttavia, invita il governo ad aiutare le Pmi.
“Le ristrutturazioni industriali avvenute negli anni ’70, ’80 e nei primi anni ’90 presentavano un denominatore comune. Chi veniva espulso dalle grandi imprese spesso rientrava nel mercato del lavoro perchè assunto in una Pmi. Oggi anche queste ultime sono in difficoltà e non ce la fanno più a creare nuovi posti di lavoro. Per ridare slancio alle piccole realtà imprenditoriali che continuano ad essere l’asse portante della nostra economia diventa determinante recepire in tempi brevissimi la direttiva europea contro il ritardo dei pagamenti, per garantire una certezza economica a chi, attualmente, viene pagato mediamente dopo 120/180 giorni dall’emissione della fattura. Bisogna trovare il modo per agevolarne l’accesso al credito, altrimenti l’assenza di liquidità rischia di buttarle fuori mercato. Infine, bisogna alleggerire il carico fiscale premiando anche i lavoratori dipendenti, altrimenti sarà estremamente difficile far ripartire i consumi interni”.
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Settembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
DENUNCIA DEI SINDACATI: “LAVORATORI INTIMORITI DALLE PRESSIONI AZIENDALI
Parlano solo gli ex e in forma rigorosamente anonima.
Sono gli stagionali: camerieri, bagnini, barman, lavapiatti che hanno lavorato al Forte village resort.
Il complesso turistico di extra lusso a Santa Margherita di Pula, provincia di Cagliari, gestito dal gruppo Eleganzia Hotels & Spas — Gruppo Mita s.r.l, colosso del settore, il cui presidente è l’ex numero uno di Confindustria recentemente scesa in campo al fianco di Pierferdinando Casini, Emma Marcegaglia, socio di riferimento insieme ad Andrea Donà delle Rose,
Si tratta di uno dei posti più esclusivi e prestigiosi in cui trascorrere una vacanza, con centro di talassoterapia con sei vasche di acqua salina, parco da 25 ettari e piante tropicali davanti a una spiaggia da sogno.
A disposizione degli ospiti c’è la Sport accademy, chef internazionali e servizi di alto livello tanto da aver fatto guadagnare al Forte village, che esiste da quasi 50 anni, premi internazionali come il World’s Leading Resort, per 14 stagioni consecutive, e nel 2010 e 2011 anche il World Leading Green Resort. Proprio, in virtù, si legge nel sito ufficiale della “combinazione unica di natura, ospitalità , tradizione e servizio”.
Insomma un’esperienza “indimenticabile” per i turisti, 25mila ogni anno, per il 60 per cento stranieri, in gran parte russi, e un’esperienza indimenticabile pure per chi ci lavora.
Perchè anche qui, dove si macinano 62,7 milioni di fatturato l’anno, si sfrutta comunque la manodopera.
Che significa, come minimo, straordinari non pagati. In media, da contratto nazionale, le ore settimanali sarebbero 40 e quelle giornaliere circa 8.
E invece al Forte i lavoratori sono a disposizione per 12-14 ore al giorno per uno stipendio medio, sempre da contratto, che si attesta sui 1.100-1.200 euro.
Così la paga netta di un qualsiasi addetto vale quanto tre notti trascorse a metà settembre da un solo adulto nella struttura Il Villaggio: 1.155 euro, 385 al giorno.
O anche una sosta flash di 24 ore se sceglie la Villa del parco (1.128,75 euro) o Le Dune (1.426 euro).
Il tutto in un periodo di media stagione.
Secondo fonti sindacali le persone che ci lavorano tutto l’anno, con contratto a tempo indeterminato, sono circa 80 che da giugno a settembre diventano anche 400 con contratti a termine, gli stagionali appunto.
Per alcuni c’è una proroga in caso di eventi speciali, soprattutto congressi.
Nulla di nuovo sul fronte turistico, dal nord al sud della Sardegna.
Anche al Forte “gli straordinari non si contano, è la prassi — dice uno degli ex — perchè puntano sulla miseria, sull’assoluta mancanza di lavoro nell’isola e sul fatto che se ti lamenti non torni di certo la prossima estate”.
Tutti hanno bisogno di lavorare e chi esce dal giro ha chiuso. E soprattutto si insiste sui giovani che a loro volta, racconta: “giustificano tutto in virtù della gavetta da fare, per imparare e arrivare in alto”.
E anche chi difende il metodo ne parla così “tante ore di lavoro, sottopagati… tentativi di svalutare la tua autostima, a volte anche mobbing. Ma nessuno è obbligato a rimanerci e nessun firma un patto a vita con quella struttura”.
In gran parte gli stagionali sono sardi, ma arrivano anche da altre regioni. Chi non regge, va via a metà .
E tranne per i novizi le condizioni di lavoro sono il solito segreto di Pulcinella, di cui però nessuno parla.
Così, a fine stagione, ha fatto clamore una lettera firmata su un blog cagliaritano che racconta un’esperienza come tante.
E i tanti commenti che seguono sono soprattutto di denuncia, con qualche lancia in favore del metodo e del nome Forte village.
Tutti però con la solita verità : orari senza fine, straordinari non pagati.
E nessuno iscritto al sindacato, nessuno.
“Come si fa — dice un ex cameriere — di certo l’anno successivo non lavori se fai delle storie”.
E la conferma ci arriva anche dalla segretaria regionale della Filcams Cgil, Simona Fanzecco: “Non abbiamo rappresentanti interni, forse qualcuno, ma sto parlano di 30 anni fa. Poi il vuoto, l’azienda ha fatto delle pressioni e noi non abbiamo i mezzi per intervenire, non abbiamo nemmeno delle informazioni”.
Al punto che: “I pochissimi con cui siamo venuti in contatto a fine stagione vogliono aprire vertenze per il dovuto, straordinari, tfr, o il riconoscimento dei livelli ma non sempre possiamo procedere perchè non si trovano colleghi che vogliano testimoniare. E portare in giudizio questi casi può essere rischioso per gli stessi lavoratori”.
È una situazione diffusa tra gli stagionali, ma al Forte Village c’è una situazione particolare: “Intimoriscono il personale che teme per la chiamata dell’anno successivo. E poi c’è la questione delle referenze che altri datori di lavoro potrebbero richiedere in futuro”.
Continua Simona Fanzecco: “Negli alberghi e villaggi più piccoli la situazione è più controllabile, lì no”. La pensa così anche Viviana Leoni che fa parte della segreteria regionale Fisascat Cisl: “Il Forte… è proprio una fortezza blindata. Fanno in modo che non esca nulla e sugli straordinari è difficile anche provare. Loro rispettano quello che è scritto, di solito. Ma per il resto…”.
E racconta che, qualche tempo fa, tutte e tre le sigle confederali avevano curato una parte di formazione all’interno del Forte village, ma “i dipendenti che potevano partecipare erano tutti stati scelti con cura dai dirigenti, e nessuno, poi, ci ha mai contattato”.
C’è poi il giro degli stagisti e delle scuole di formazione, trampolino di lancio.
E sono i primi a invocare l’Ispettorato del lavoro.
Chi ha fatto lo stage da commessa e poi ha rinunciato al lavoro, chi invece ha pagato 4mila euro per un corso e con il lavoro della stagione non si è nemmeno ripagato le spese.
Insomma, il retrobottega degli alloggi del personale, dall’altro lato della statale, è distante anni luce dallo sfavillio della vacanza dorata delle residenze.
Ma qualche spiraglio c’è tanto da destare l’indignazione di un illustre ospite del Resort che si è lamentato con i piani alti.
Eppure è difficile avere un riscontro dalla dirigenza.
Per correttezza e completezza di informazione è stato contattato l’ufficio stampa del Forte village resort, ma in due giorni non è stato possibile parlare nè con il direttore del personale, nè con il direttore generale.
L’unico contatto è stato quello con lo studio legale che segue il Forte village. L’avvocato Giuseppe Macciotta sostiene che “in più di dieci anni nessuna rivendicazione sugli orari di lavoro è mai stata portata all’attenzione dei magistrati, nessuna”.
E ancora: “Noi non abbiamo evidenza di prestazioni del personale contrarie alle norme”.
Insomma, sulle carte del Forte gli straordinari non pagati non esistono.
Monia Melis
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Lavoro, sindacati | Commenta »