Settembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
LE ORE TRASCORSE IN UN PARCO AL PRENESTINO TRA GENTE UMILE, ANZIANI SOLI, EMARGINATI, IMMIGRATI E LE LORO STORIE… CON LA CONVINZIONE CHE SONO LORO I REFERENTI DI CHI VUOLE FARE POLITICA E NON CHI DI POLITICA CI CAMPA
Faccio un bilancio di quest’estate trascorsa in città ,da “minus Habens”,in senso economico (anche se qualcuno pensa che lo sia anche in senso ..mentale).
E’ stata un’estate difficile per il clima, che mi ha fatto vivere male per le difficoltà materiali, a cui non ti abitui mai abbastanza, ma assolutamente positiva per le persone che ho avuto modo di conoscere.
Come tanti che non possono permettersi vacanze, ho trascorso molte ore in un parco, a villa Gordiani, per l’esattezza, splendida villa ingiustamente trascurata dall’amministrazione comunale; si trova in periferia, al Prenestino e due entrate sono rivolte verso un gruppo di case popolari,da cui provenivano molti frequentatori, sopratutto nelle ore serali; ho avuto modo di parlare con tanta gente, che i benpensanti definirebbero “umile”.
La maggior parte di noi possedeva un cane, rigorosamente meticcio e quasi sempre trovatello e quindi avevamo già tanto di cui chiacchierare, pavoneggiandosi ciascuno delle prodezze del proprio amico peloso.
Ma poi gli argomenti variavano, per fortuna poca politica e molta vita quotidiana.
Ho conosciuto gente splendida, una ragazza tossica, o quasi, che ce la sta mettendo tutta, sgobbando come un mulo, a fare le pulizie con una delle tante ditte in circolazione, dalle 4 di mattina alle 12, anche il giorno di ferragosto e muovendosi con i “mezzi” da un punto all’altro della città e che è fiera di sapersi tenere il suo lavoro.
Ho conosciuto due trans, verso i quali ho sempre avuto una certa repulsione e che, giustamente diffidenti all’inizio, poi ti spiegano la scelta difficile che hanno fatto e come ciò che hanno considerato una svolta di libertà si è poi rivelata fonte di umiliazioni ed emarginazione, diventati puri strumento di arricchimento per squallidi papponi.
Ho riso tantissimo con alcuni gay, non di loro ma con loro, canzonandomi loro per la mia ciccia ed io per il loro manierismo, ma il tutto fatto senza malizia. Mi sono commossa conoscendo tanti anziani soli, la cui unica compagnia è un cane e la cui maggiore preoccupazione non è la propria sopravvivenza, ma che gli acciacchi del loro amico peloso abbiano la meglio sull’amore che li lega.
Ho fatto un brindisi con l’aranciata al compleanno di una bambina ecuadoregna, che può camminare solo con il tutore e che, senza bambini con cui giocare, ha trovato in questa umanità varia zii e zie, nonne e nonni e amici,che hanno (abbiamo) intonato gli auguri per lei.
Perchè scrivo tutto questo?
Perchè quest’ estate romana mi ha confermato nella sensazione che covavo da tempo e cioè che l’attività politica che ho cercato di fare in questi 16 anni (tanti sono) da quando mi sono trasferita qui è stata inutile, autoreferenziale, avulsa dalla realtà e troppo spesso utile solo a portare acqua al mulino di qualche politico di professione.
Ho ricordato i tanti anni impiegati a fare il consigliere comunale in una città toscana, la commissione di politiche sociali di cui ho sempre voluto far parte, ciò che ho potuto concretamente fare per i più deboli, per i più fragili, confrontandolo al politichese da cui mi sono lasciata colpevolmente travolgere nella “capitale” e ho deciso che basta così.
Da ora in poi tornerò con i piedi per terra, tra la gente normale, e vaffanculo a chi di politica ci campa.
A. B.
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Settembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
L’ANALISI DI LUCA RIDOLFI: “SI ANDRA’ AL VOTO SENZA SAPERE NULLA SUL DOPO”… LA LEGGE ELETTORALE RACCOGLIERA’ IL PEGGIO DEL MAGGIORITARIO E DEL PROPORZIONALE
È difficile che si voti a novembre, ma è praticamente certo che a novembre comincerà la bagarre.
Mentre il povero Monti, come succede a fine anno a qualsiasi presidente del Consiglio, sarà alle prese con i problemi dei conti pubblici, i partiti avranno tutti la testa già rivolta alle elezioni di primavera.
Ogni gesto, ogni dichiarazione, ogni parola sarà finalizzata ad attirare il maggior numero di voti possibile.
A tutt’oggi, tuttavia, noi elettori siamo all’oscuro di tutto.
Non sappiamo, ad esempio, quanti parlamentari dovremo eleggere.
Non sappiamo se i condannati con sentenza definitiva potranno essere candidati oppure no. Non sappiamo con quale legge elettorale si voterà .
Non sappiamo quante e quali liste saranno in campo.
Anche se non sappiamo nulla, possiamo però fare qualche previsione.
Io ne azzardo alcune, dalla più facile alla più difficile.
Numero di parlamentari: l’auspicata riduzione non ci sarà , penso abbia ragione Arturo Parisi quando dice che i continui rinvii dell’accordo sulla legge elettorale siano stati finalizzati all’obiettivo nascosto di rendere impossibile (con la scusa che «è troppo tardi, ormai») una riforma più organica, che riduca il numero di parlamentari.
Candidabilità dei condannati: sarà perfettamente possibile candidare al Parlamento un condannato con sentenza definitiva.
In questo modo il nostro Parlamento potrà conservare un primato cui evidentemente tiene molto: quello di essere l’istituzione con la massima densità di soggetti condannati e rinviati a giudizio.
Legge elettorale: se non sarà il porcellum (legge attuale), sarà il super-porcellum (legge attualmente in discussione), ossia l’unico sistema capace di sommare i difetti del proporzionale e i difetti del maggioritario.
La legge di cui si parla da settimane, infatti, gode di tre interessanti proprietà : permette ai segretari di partito di scegliere a tavolino una frazione considerevole degli eletti, a prescindere dalle scelte degli elettori; non consente ai cittadini di sapere, la sera delle elezioni, chi le ha vinte e chi le ha perse (si torna ad accordi fatti in Parlamento, come nella prima Repubblica); distorce la rappresentanza, nel senso che, con il premio di maggioranza, conferisce al partito più grande molti più seggi di quanti ne merita in base al voto e, con la soglia di sbarramento al 5%, toglie molti seggi ai partiti più piccoli.
Numero delle liste: saranno tantissime, come sempre, ma quelle «vere», ossia con ragionevoli chances di superare il 5% dei consensi, saranno solo 7.
Quali liste: qui viene il bello.
Secondo me lo schema delle prossime elezioni sarà un 4 + 3 + «fricioletti» (pescetti fritti, come il mio maestro Luciano Gallino chiamava i libri che una biblioteca seria non dovrebbe mai ordinare, perchè costano e durano poco).
Ci saranno quattro formazioni che, se non sbagliano clamorosamente strategia e se non sono cannibalizzate dalle liste di disturbo, possono aspirare a un risultato non lontano dal 20%.
Due di esse, Pdl e Pd, sono vecchie ma si presenteranno con sigle più o meno rinnovate, il Pdl con un nome e un simbolo nuovi, il Pd con qualche segno che indichi l’annessione di Sel e di Vendola al super-partito della sinistra.
Le altre due liste sono nuove di zecca, e sono il movimento di Grillo (Cinque Stelle) e quello nascente di Montezemolo (Italia Futura), più o meno ibridato con movimenti di ispirazione simile.
Ci saranno poi tre formazioni che possono aspirare a qualcosa più del 5%, e cioè l’Udc, l’Italia dei Valori e la Lega, anch’esse più o meno riverniciate e restaurate per non sembrare troppo vecchie.
E infine i fricioletti, almeno 20 liste e listarelle (alcune di nobili tradizioni, altre inventate per l’occasione), implacabilmente destinate a restare sotto il 5%, quando non sotto l’1%.
Quel che è interessante, però, è il tipo di competizione politica che si prepara.
Potrò sbagliare, ma a mio parere quel che sta accadendo nell’elettorato italiano è molto simile a quel che accadde venti anni fa, nel periodo di sbriciolamento non solo delle istituzioni ma anche delle strutture mentali della prima Repubblica.
Fra il 1992 e il 1994 diminuì drasticamente la quota di italiani che ragionavano prevalentemente in termini di destra e sinistra, e aumentò sensibilmente la quota di quanti ragionavano in termini di vecchio e nuovo.
Ci fu un momento, anzi, in cui questo gruppo risultò più numeroso del primo.
Oggi sta succedendo qualcosa di molto simile.
Gli elettori che andranno al voto si divideranno, innanzitutto, fra chi è ancora disposto a scegliere una forza politica tradizionale e chi invece preferisce puntare su una forza nuova.
I primi, i «vecchisti», potranno comodamente ragionare in termini di destra e sinistra, scegliendo una fra le tre opzioni disponibili: Pdl, Udc, Pd, i tre partiti che hanno sostenuto il governo Monti. I secondi, i «nuovisti», dovranno invece abituarsi a ragionare in termini molto diversi, perchè l’offerta politica delle due principali liste nuove è molto più polarizzata: da una parte c’è l’anticapitalismo anti-euro e antiEuropa di Grillo, dall’altra c’è il turbo-liberalismo di Italia Futura e dei gruppi ad essa vicini, come «Fermare il declino» di Oscar Giannino.
Qui destra e sinistra c’entrano davvero poco, quel che conta – e divide – sono le ricette per affrontare la crisi: con meno Europa e meno ceto politico se voti Grillo, con meno tasse e meno Stato se voti Montezemolo. E dintorni.
Sono due modi di porre i problemi che, in questo periodo, hanno entrambi un grande appeal.
I sondaggi mostrano da almeno cinque anni che le spinte anti-partitiche e i dubbi sull’Europa sono molto radicati nell’elettorato.
Ma un interessante sondaggio di Renato Mannheimer di qualche tempo fa segnalava anche un’altra e assai meno nota novità : per la prima volta da molti anni sono più gli italiani che si preoccupano dell’eccesso di tasse che quelli che si preoccupano di salvare lo Stato sociale.
Insomma, se fossi il leader di una forza politica tradizionale sarei preoccupato, molto preoccupato.
La forza d’urto dell’onda anti-partiti potrebbe essere assai forte, specie sotto l’ipotesi Ber-Ber: un Pd guidato da Bersani (l’usato sicuro) e un Pdl guidato da Berlusconi (lo strausato insicuro). E molto mi sorprende che, quando si parla di premio di maggioranza, se ne discuta come se potesse andare solo al Pd o al Pdl, o addirittura come se la corazzata Bersani-Vendola avesse già la vittoria in tasca.
Se fossi Bersani non sottovaluterei nè l’area Montezemolo nè quella di Grillo, specie nella sciagurata eventualità che i partiti continuino a restare insensibili al «grido di dolore» che, da tanti anni e da tante parti d’Italia, i cittadini levano contro la politica e i suoi indistruttibili, irrottamabili, rappresentanti di sempre.
Luca Ridolfi
(da “La Stampa”)
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Settembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
UN TEST BOCCIA GLI ITALIANI: IGNORANZA E PREGIUDIZI
Quanti sono gli immigrati in Italia? «Sicuramente meno di due milioni».
Sbagliato.
Gli irregolari? «Oltre un quarto del totale, una marea». Falso.
E i cinesi? «Li trovi ovunque, è la comunità più numerosa ». Altro errore.
Se l’immigrazione fosse una materia d’esame, gli italiani verrebbero bocciati in massa.
Cosa sappiamo infatti dei lavoratori stranieri che vivono nel nostro Paese? Poco o niente.
Perchè siamo frastornati da informazioni distorte e luoghi comuni.
Cinese, clandestino, bracciante agricolo, poco utile al benessere nazionale: eccolo l’identikit deforme dell’immigrato-tipo tracciato dagli italiani.
A stilare la deludente pagella è uno studio della Fondazione Leone Moressa, che a fine luglio ha “interrogato” 600 italiani.
Sempre più spesso al centro delle notizie che affollano le prime pagine dei giornali e delle tv, l’immigrazione pare rimanere però in gran parte un pianeta oscuro.
La nuova sanatoria, pronta a scattare il 15 settembre prossimo, promette di riportare il tema al centro dell’attenzione
A fronte di questo costante flusso d’informazioni la Fondazione Moressa si è chiesta quanto effettivamente conosciamo i “nuovi italiani”.
Ecco i risultati
Innanzitutto pensiamo che siano pochi: tra 1 e 2 milioni, a fronte di un dato reale di 4,5 milioni (Istat, 2011).
Sovrastimiamo la clandestinità : gli irregolari sarebbero oltre un quarto degli stranieri (il 26,7%), mentre non superano il 10,7% (Fondazione Ismu).
Vediamo cinesi ovunque: stando alle risposte degli italiani sarebbero loro la prima comunità , mentre sono solo la quarta (dopo romeni, albanesi e marocchini).
Anche rispetto al lavoro mostriamo un po’ di confusione: l’agricoltura viene indicata come primo settore di occupazione degli stranieri, a seguire il lavoro domestico e le costruzioni.
Nella realtà invece gli immigrati sono maggiormente occupati nel settore dei servizi alla persona (tra cui lavoro domestico), nell’industria e nelle costruzioni.
E l’agricoltura? Arriva solo all’ultimo posto.
Veniamo bocciati pure alla domanda sulla percentuale di ricchezza (Pil) che producono gli immigrati: il 38,2% indica una quota tra il 2% e il 5%, quando si tratta invece del 12,1% (Unioncamere).
Non solo: l’88% sbaglia quando, interrogato su chi abbia maggiormente subito un aumento della disoccupazione a causa della crisi, indica gli italiani, mentre si tratta
degli stranieri.
Infine, più della metà (63,6%) pensa erroneamente che un bambino nato in Italia da genitori stranieri acquisti la cittadinanza italiana.
Da noi, invece, lo ius soli è ancora un miraggio, la nostra legge resta invece inchiodata al vecchio ius sanguinis (il bambino acquista solo la cittadinanza dei genitori stranieri).
Quando poi dal piano delle conoscenze si passa a sondare quello delle opinioni degli italiani, il quadro che emerge risulta contraddittorio: riteniamo che coi migranti aumenti la criminalità , ma siamo favorevoli a concedergli il diritto di voto dopo cinque anni in Italia.
E ancora: siamo convinti che gli stranieri siano utili a compensare l’invecchiamento della popolazione italiana, ma non pensiamo che contribuiscano positivamente ai bilanci dell’Inps (e che quindi paghino in parte anche le nostre pensioni).
Insomma, in “immigrazione” i voti degli italiani restano ben al di sotto della sufficienza.
La colpa? Dei media.
Il 75% degli intervistati punta infatti il dito contro un’informazione giudicata incompleta e fuorviante. Insomma, la brutta pagella non sarebbe da imputare agli “studenti” che non si applicano, ma ai “cattivi” testi sui quali studiano.
Vladimiro Polchi
(da”La Repubblica“)
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Settembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
ECONOMIA SEMPRE IN RECESSIONE E STIME NEGATIVE PER IL PROSSIMO ANNO… SIAMO IL FANALINO DI CODA PER L’INCREMENTO DEL PIL
Giù il pil e giù la produttività , sia quella totale che quella del lavoro.
La fotografia dell’azienda Italia che emerge dalle statistiche ufficiali è oltremodo sconsolante.
Nel periodo 2001-2010 la crescita del Pil in Italia è stata complessivamente del 4,1%: si tratta certifica l’Istat dopo la revisione delle stime di fine 2011, del risultato più modesto tra tutte le economie europee.
Basti pensare che l’insieme dell’Unione europea a 27, nello stesso periodo, ha messo a segno una crescita del 14%: +11,9% la Germania, +12,1 la Francia addirittura +17,1 il Regno Unito e +22,6% la Spagna.
«Dieci anni sprecati», sintetizza giustamente il presidente dell’Istat Giovannini.
Quasi ovunque, rilevano le statistiche, la crisi del 2008-2009 ha avuto l’effetto di ridurre la crescita complessiva a confronto con il periodo 2001-2007: la contrazione è stata particolarmente rilevante per economie cresciute in maniera significativa negli anni precedenti come i paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), ma anche per Irlanda e Grecia.
Ed è stata pesantissima per l’Italia: nel nostro paese, già in fondo alla classifica di crescita insieme al Portogallo, «si è avuta un’erosione di oltre la metà dei progressi realizzati dal 2000: 6,1 punti percentuali nel biennio 2008-2009, e 4,7 punti tenendo in conto anche il recupero del 2010».
L’Italia è in fondo alla graduatoria europea anche per la crescita della produttività oraria del lavoro, che nel 2010 era solo l’1,4% più elevata rispetto al picco del 2000, mentre nell’Ue27 era salita dell’11,4% (+13,6% in Germania e +10,4 in Spagna).
Se si allarga lo sguardo all’intero decennio scorso il confronto con i nostri partner resta sempre impietoso: per l’intero periodo 2001-2010, la performance dell’Italia è stata infatti pari a circa 1/3 rispetto a quella franco-tedesca per la dinamica del valore aggiunto e ad appena il 12-15% se si considera il contributo della produttività , entrambi gli andamenti risultano ancora inferiori rispetto a Regno Unito e Spagna.
La crescita del 2,7% dell’immissione di nuova forza lavoro, «l’input» come lo chiamano gli esperti, all’opposto, è risultata seconda solo a quella della Spagna, e a questa è corrisposto un calo delle ore medie lavorate (per effetto dello spostamento dell’economia verso attività e prestazioni ad orario ridotto) superiore rispetto a tutte le economie considerate.
Per questo, l’occupazione è cresciuta di ben il 7,5%, contro il 3% in Germania, il 5,1% in Francia e il 5,7% nel Regno Unito.
Non è un caso dunque se il ministro dello Sviluppo e l’intero governo hanno messo ai primi posti nella loro agenda i temi della crescita e della competitività .
Un tema che a partire dal primo incontro di dopodomani tra governo e imprese sarà il vero banco di prova della ripresa autunnale.
«Si sono persi inutilmente nove mesi di tempo» annotava ieri con una punta d’amarezza il leader della Uil Angeletti.
Nel periodo pre-crisi, la distanza dell’Italia rispetto a Francia e Germania in termini di crescita economica non era ancora notevole (tra il 30 e il 40%), mentre la crescita dell’input di lavoro è stata addirittura pari al 7,2%, contro valori inferiori al 3 e 4% in Francia e nel Regno Unito, e una contrazione di oltre il 2% in Germania; la crescita della produttività , di riflesso, già in questo periodo è stata molto modesta.
Come in Italia, anche in Spagna quasi tutta la crescita in questo periodo è stata ottenuta attraverso l’allargamento della base occupazionale.
Di recupero di efficienza neanche a parlarne.
E non è un caso dunque se la nostra economia è ancora in recessione e tutte le stime per il prossimo anno convergono un un dato decisamente non positivo: ancora 12 mesi a crescita zero.
Paolo Baroni
(da “La Repubblica”)
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Settembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
IL COORDINAMENTO FLI SICILIA RINVIATO E BLINDATO… E’ RIBELLIONE IN SICILIA CONTRO IL DIKTAT DEI VERTICI DI FLI DI APPOGGIARE IL VICE-MINISTRO DI BERLUSCONI… CENTINAIA DI MILITANTI PROTESTANO SUL WEB E NEL TIMORE DI CONTESTAZIONI (E DI NON AVERE LA MAGGIORANZA) VIENE RINVIATA LA RIUNIONE DEL COORDINAMENTO
Sembrava tutto scontato: ancora una volta i vertici nazionali di Futuro e Libertà avevano deciso sulla base dei loro giochetti di potere e di convenienza.
Mentre la base dei militanti aveva scelto Fabio Granata come candidato presidente per la Regione Sicilia, magari attraverso un ticket con il magistrato antimafia Russo, o in subordine una trattativa con Crocetta, all’improvviso Fini, Bocchino e Briguglio hanno dirottato il partito verso un appoggio al berlusconiano Miccichè, divenuto ora autonomista e dal passato ben poco confacente ai principi del manifesto di Bastia Umbra.
Un golpe che ha scatenato l’ira dei militanti sul web, dei giovani dirigenti di Fli e di tanti elettori che avevano scelto Fli per le sue battaglie per la legalità , non per appoggiare un personaggio che i siciliani conoscono fin troppo bene.
Domani avrebbe dovuto tenersi il coordinamento regionale per “ratificare” la cocca sul nome di Miccichè, ma ecco la prima sopresa.
“La riunione del Coordinamento regionale di Fli, in vista delle elezioni regionali in Sicilia, e’ stata rinviata a lunedi’ prossimo, 10 settembre, alle 17, e si terra’ presso l’Hotel Cristal, in via Roma a Palermo”.
E’ quano si legge in una nota di Futuro e Liberta’ per l’Italia.
All’ordine del giorno, prosegue la nota, “la relazione del coordinatore regionale Carmelo Briguglio sulle elezioni regionali; gli interventi dei coordinatori provinciali su liste e candidature”.
Dopo il dibattito, le conclusioni saranno tenute dal vicepresidente nazionale di Fli Italo Bocchino.
La riunione e’ riservata ai membri del coordinamento.
La paura di non avere la maggioranza fa sì che la riunione venga rinviata e “blindata”: solo pochi autorizzati potranno intervenire.
La presenza di Italo Becchino testimonia la volontà di celebrare le esequie del partito, visto che Miccichè non verrà mai votato dalla base futurista.
Commenta Granata: “Il rinvio del coordinamento regionale e la sua “perimetrazione”rigida non rappresentano una soluzione alle questioni politiche che Fli deve affrontare e risolvere con equilibrio ma anche con coerenza. La Sicilia poteva rappresentare il rilancio di Futuro e Liberta’, evitiamo che diventi il suo capolinea”.
Ma non è certo l’unico: Alberto De Luca, Costanza Messina e David Migneco, dirigenti nazionali di Generazione Futuro, movimento giovanile di Fli, insieme con i Coordinatori Provinciali eletti del movimento giovanile Damiano Cerami (Ct), Simone Digrandi (Rg), Marco Meloni (Sr) e Simone Cusimano (Cl) affermano in una nota che “Gianfranco Miccichè non può essere il volto di Fli per le elezioni regionali del 28 ottobre, non rappresentando il profilo politico-programmatico e i valori di Futuro e Libertà ”.
“Di conseguenza — prosegue la nota — chiedono a nome dei propri iscritti, al coordinatore regionale di FLI On Carmelo Briguglio, di riconsiderare l’argomento in occasione del prossimo coordinamento regionale, verificando la possibilità di soluzioni alternative che già erano state prospettate a partire dall’On Fabio Granata, esempio di acclarati requisiti morali e politici e già da tempo ufficialmente designato quale candidato di FLI alla Presidenza della Regione Siciliana”.
Viene anche organizzata una petizione via web, mentre si levano proteste da tutte le province siciliane contro una scelta suicida.
Solidarietà ai “contestatori” stanno pervenendo da tutta Italia.
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Settembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
NASCE A CATANIA “IMPEGNO E TERRITORIO”, FONDATO DA AMMINISTRATORI LOCALI CHE LASCIANO IL PDL UFFICIALE PER ANDARE CON IL SECONDO CANDIDATO DEL PDL… CONTANO UNA CINQUANTINA TRA SINDACI, ASSESSORI E CONSIGLIERI
Fabio Mancuso ha aperto la porta. E in tanti lo stanno seguendo.
La fuga dal Pdl è iniziata.
E si sta estendo soprattutto nella Sicilia orientale, dove una cinquantina di amministratori hanno scelto: addio al partito di Berlusconi, e creazione di un nuovo movimento, dal nome “Impegno e Territorio” che scenderà in campo, nelle prossime elezioni regionali, a sostegno di Gianfranco Miccichè.
Un movimento voluto fortemente anche da Filippo Drago, sindaco di Aci Castello ex deputato nazionale con una passato nell’Udc.
Passato nel 2008 al Pdl, Drago ha deciso di rompere con gli azzurri e lanciare la nuova forza politica.
Con lui e Mancuso, poi, ecco altre personalità politiche del Catanese, come il consigliere provinciale Carmelo Pellegriti, e l’ex assessore della provincia etnea Giovanni Bulla.
E con loro, anche una cinquantina di consiglieri comunali della provincia di Catania. Un piccolo “scisma azzurro”, insomma.
“Insieme ad un gruppo di amici e di cittadini – spiega Filippo Drago — abbiamo dato vita ad una formazione civica autonoma e territoriale, svincolata da ogni logica di partito nazionale, vicino alla gente, ben salda a valori quali il rispetto delle regole e la coerenza delle idee”.
Inomma, come previsto, dal Pdl sono in arrivo le truppe cammellate al seguito di Miccichè.
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Settembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
I SONDAGGI SONO PESSIMI E ARRIVA IL CONSIGLIO DEL CAVALIERE… ALEMANNO: “SI’, PURCHE’ NON MI SOSTITUISCA UN EX AN”… GIORGIA MELONI POTREBBE ESSERE L’ALTERNATIVA CHE IL SINDACO ATTUALE RIFIUTA
“Gianni, ma li hai visti i sondaggi? Se ti ripresenti, Roma è persa. Che ne dici di fare un passo indietro e lasciare che a candidarsi col Pdl sia qualcun altro?”.
Silvio Berlusconi gioca d’anticipo. A otto-nove mesi dalle Comunali 2013 è intervenuto personalmente in una missione che, nella capitale, va avanti da mesi: convincere Gianni Alemanno a non correre per il secondo mandato.
Qualche giorno fa, il leader del Pdl ha telefonato al sindaco di Roma per sondare il terreno. Perchè nonostante le dichiarazioni ufficiali e la presenza, un mese fa, del segretario Angelino Alfano al battesimo della lista civica di Alemanno per le prossime elezioni, il vero obiettivo è quello di cambiare cavallo.
Possibilmente prima che la corsa parta ufficialmente, per riuscire a trovare un candidato che, al netto dell’alto numero di indecisi e del prevedibile boom dei grillini (l’ultimo sondaggio li dava al 10%) possa mettere realmente in difficoltà Nicola Zingaretti, l’uomo su cui punta il centrosinistra.
La consapevolezza di perdere, infatti, nel Pdl romano è piuttosto alta.
Salvo, appunto, non si cambi candidato, abbandonandone uno dall’immagine ormai opaca (la rete è piene di ironie su Alemanno e la neve, il maltempo e il traffico) e affidandosi a un nome nuovo che catalizzi un po’ di entusiasmo.
Lo scenario capitolino, per ora, è inchiodato in attesa che si chiarisca il quadro nazionale.
Ma la cerchia ristretta degli interlocutori dell’attuale sindaco (compresi i suoi due maggiori sponsor nel 2008, il senatore Andrea Augello e il deputato Fabio Rampelli) da mesi sta provando a convincerlo a fare un passo indietro.
Ora arriva la “moral suasion” di Berlusconi.
Di fronte alla quale Alemanno ha preso tempo, provando a dettare le sue condizioni, conscio che una via d’uscita da Roma (verso il Parlamento), alla luce dei sondaggi negativi, potrebbe anche giovargli: “Se io mi faccio da parte, però – ha risposto – il candidato del Pdl non deve arrivare dalle file degli ex An. Anzi, potrebbe essere proprio un esterno”.
In questo modo, Alemanno potrebbe fare il gesto nobile di ritirarsi di fronte a un nome capace di allargare la coalizione, intascando magari un accordo con l’Udc.
Per questo nei mesi scorsi aveva molto puntato su Luigi Abete, presidente di Bnl e di Cinecittà studios, che però non ha trovato l’accoglienza sperata, sia dall’attuale sindaco che dallo stesso Abete.
Una candidatura, dunque, che pare tramontata. Così come quella di Giovanni Malagò (presidente del Circolo Canottieri Aniene, ottima rete di relazioni, amicizie trasversali), che sembrerebbe più una boutade estiva.
E allora rimane il nome di Giorgia Meloni, che rappresenta ciò che Alemanno vorrebbe evitare. L’ex ministro, però, è giovane, ha un profilo più nuovo e un ottimo radicamento in città .
Tre giorni fa, l’ex assessore alla cultura Umberto Croppi aveva maliziosamente ipotizzato: “Alemanno parla di primarie, sicuro che non si faranno. La Meloni, però, potrebbe batterlo o metterlo in seria difficoltà “.
Aggiungendo anche che “nel Pdl sanno di perdere ma cominciano a temere che con Alemanno la sconfitta sarebbe più netta”.
Alemanno ha replicato appellandosi alla mozione degli affetti, nella speranza che alle primarie fissate il 26 gennaio prossimo, la Meloni non si presenti: “Io non la temo, con Giorgia siamo amici da molto tempo”.
Una categoria, l’amicizia, sulla quale si sa, almeno in politica, non conviene fare troppo affidamento.
(da “La Repubblica“)
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Settembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
I CONTRATTI A TERMINE? “NELLE AZIENDE NON BASTA IL MORDI E FUGGI”
Ministro Fornero, mercoledì l’incontro con le imprese aprirà il cantiere della produttività ?
«È insieme il cantiere dell’occupazione, della produttività e della competitività . La produttività è un elemento chiave della crescita. Ma da sola non basta».
Si parlerà del taglio del cuneo fiscale da lei anticipato al meeting di Comunione e Liberazione?
«Quando ne ho parlato a Rimini io stessa ho messo le mani avanti per l’esiguità delle risorse. Non ho neanche avuto bisogno di farmelo dire dal ministro dell’Economia, Grilli: pensavo e penso a sperimentazioni virtuose per aumentare la produttività ».
Si tratta solo di esperimenti?
«Il ministro dello Sviluppo, Passera, ha insistito e io sono d’accordo, sul fatto che oltre a pensare a forme sperimentali di decontribuzione per le imprese che abbiano un record positivo di utilizzo della manodopera, bisogna che le parti sociali cerchino di migliorare la loro collaborazione».
L’accordo tra le parti sociali sui contratti non è sufficiente a fare un passo verso il modello tedesco che prevede la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa?
«Quello è un accordo importante ma per andare verso il modello tedesco non basta un passo: ce ne vogliono di più. E per questo il governo ha intenzione di fare quanto è in suo potere, sempre ricordando che ci sono poche risorse, per favorire il dialogo tra le parti sociali».
Il ministro Passera vorrebbe estendere gli sgravi alle «start up» ma chiede flessibilità sui contratti a termine.
«Ne abbiamo parlato molto. Prima di tutto vanno ben definite quali sono queste aziende innovative. E poi lo voglio dire a chiare lettere: è necessario favorire queste start up ma anche fare in modo che le norme del lavoro che si adatteranno a queste aziende innovative siano assolutamente coerenti con la riforma. Le norme per il lavoro nelle start up devono discendere dalla riforma, non rappresentarne in alcun modo una lacerazione».
In questo contesto potrà riaprirsi anche il tema della detassazione del premio di produttività ?
«Ci siamo accorti di questa riduzione più o meno nei giorni in cui era approvata la riforma e sembrava una contraddizione. Ma la decisione non è stata di questo governo. Io sono d’accordo che il merito vada sempre riconosciuto, ma se mettiamo le risorse su questo capitolo sarà più difficile metterle sul cuneo fiscale a favore delle imprese che dialogano con i lavoratori».
Come si fa a individuare queste imprese dialoganti?
«Le imprese hanno un bilancio sociale con un capitolo che riguarda la gestione del personale, le politiche non discriminatorie, quelle di conciliazione. Sono però nozioni non particolarmente illuminanti sull’effettiva politica del personale. Invece il tema delle modalità delle relazioni di lavoro ha permesso alla Germania di uscire dalla crisi».
Come si promuove la partecipazione?
«Tra i nostri adempimenti abbiamo una delega proprio su questo tema. So che è un tema delicato per le imprese; la partecipazione non va imposta. Ma ci stiamo lavorando e vorrei riuscire a condurre la delega in porto».
Anche lei è stata richiamata sull’applicazione della riforma?
«Ho una cartellina che mi sono portata dietro con l’elenco di tutti gli adempimenti. Non abbiamo aspettato che ci venisse chiesto: l’elenco l’avevamo già definito con gli uffici. Adesso stabiliremo, con un cronoprogramma, quando e chi farà che cosa. Intanto il 6 settembre andrò a Bruxelles dal commissario Là¡szlà³ Andor per illustrare la riforma a lui e al segretario dell’Ocse, Angel Gurria».
Ha visto i dati Istat sui precari?
«I dati Istat ma anche quelli europei. In tutto il mondo progredito il tema è quello dell’occupazione. Anche i ministri Ue si sono accorti che va bene restituire stabilità ai bilanci ma ciò che conta è l’economia reale. Il presidente Monti parla sempre di rigore e crescita».
Le imprese sostengono che la sua riforma sta già producendo effetti negativi sulla flessibilità .
«Chiunque parli di lavoro italiano in Europa si sente sempre dire che dobbiamo contrastare il precariato tra i giovani. Non è un’invenzione del ministro Fornero. Era giusto occuparsene»
Sì, ma le imprese dicono che i contratti a termine troppo tutelati salteranno del tutto.
«Questo è uno dei temi su cui stiamo impostando il monitoraggio. Ho molte persone che mi scrivono di situazioni nelle quali il contratto a termine non viene rinnovato. Ma bisogna vedere quanto ciò sia dovuto al fatto che quel contratto non sarebbe comunque stato rinnovato per assenza di domanda e quanto invece al fatto che la riforma ha posto qualche paletto. Serve molto pragmatismo, ma attribuire tutto alla riforma è sicuramente improprio».
Cioè?
«Esistono metodi scientifici che permettono di separare ciò che è attribuibile statisticamente a una causa e ciò che attribuibile a un’altra. Una riforma che ha poco più di un mese di vita non può aver prodotto questi effetti».
Eppure le imprese attaccano.
«Anche i sindacati: ci accusano di avere fatto troppo poco per ridurre la precarietà . A noi pare di avere trovato un giusto equilibrio. E poi le imprese hanno anche avuto rafforzamenti della flessibilità , come l’abolizione della causale per il primo contratto a tempo determinato, e fino a un anno. In fase di dialogo l’avevano fortemente richiesta. Vorrei senza polemica che ci si confrontasse nel merito. Ad esempio sul fatto che la produttività non può nascere da contratti “mordi e fuggi”».
Si spieghi.
«Un lavoratore che sia sempre preoccupato di quello che farà tra due o tre mesi, allo scadere del contratto che ha oggi in corso, non può dedicarsi bene al suo lavoro. Questo recupero di una qualche stabilizzazione nei contratti di lavoro è funzionale al discorso della produttività ».
Il fatto è che molti datori di lavoro non hanno in questo momento una prospettiva lunga
«Capisco che in fase di recessione sia difficile fare questo discorso ma insisto: il lavoro “buono” è l’unico lavoro produttivo. Un lavoro che porta a una remunerazione più alta produce domanda e crescita. Tutto si tiene».
I sindacati sono preoccupati per gli ammortizzatori sociali.
«È uno dei temi su cui le parti sociali hanno avuto resistenza al cambiamento. Ma questi comportamenti radicati non erano consoni a un’economia che si sviluppa perchè erano a favore di tutele lunghe per un numero limitato di lavoratori senza alcuna preoccupazione sulla loro ricollocabilità nel mercato del lavoro. Bisogna lavorare per l’occupabilità delle persone».
Il problema è che i casi Alcoa si moltiplicano.
«La preoccupazione sul cambio del sistema in un periodo di recessione è fondata. Tuttavia era importante che la riforma degli ammortizzatori, e in particolare l’Aspi, partisse all’inizio del 2013, pur sovrapponendosi al mantenimento della mobilità fino al 2014».
Non è preoccupata per la tenuta sociale?
«I sindacati sono stati molto responsabili. Sono anche convinta, e ho avuto la prova all’Alenia, che i lavoratori sono disposti al dialogo. Quando le situazioni e le difficoltà sono spiegate in maniera onesta e aperta sono comprese. Ritengo si possa dire che i lavoratori preferiscono un confronto chiaro piuttosto che incassare illusioni a cui sono i primi a non credere».
Antonella Baccaro
(da “Il Corriere della Sera”)
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Settembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
NUOVI TAGLI IN ARRIVO PER LA DIA, IL SOGNO DI GIOVANNI FALCONE… SI COLPISCE NUOVAMENTE L’INDENNITA’ AGGIUNTIVA. GIA’ RIDOTTA DEL 65%
Per la sentenza di morte bastano tre parole: “Spese non obbligatorie”.
Nel silenzio più assordante di quasi tutta la classe politica (anche di quella che fa dell’antimafia una bandiera), l’uccisione del sogno di Giovanni Falcone ora è davvero vicina. Dovendo obbedire alla spending review, il governo non ha saputo fare di meglio che abbattere la scure dei tagli nuovamente sull’“indennità accessoria al personale in servizio presso la Direzione investigativa antimafia”: il cosiddetto Tea (trattamento economico aggiuntivo), o “indennità di cravatta”, la misura voluta dall’allora direttore Gianni De Gennaro per fidelizzare i suoi uomini, renderli orgogliosi di lavorare nella Dia e allo stesso tempo evitare che svolgessero (come accade in tutti gli altri reparti) un secondo lavoro.
Per intenderci, parliamo di circa 250 euro al mese per un ispettore con 30 anni di servizio.
Non una cifra con cui diventare ricchi, ma neanche una che passa inosservata sul bilancio di una famiglia media.
E invece già lo scorso anno, il 12 novembre, la legge di stabilità aveva drasticamente ridotto il Tea: nonostante alcune interrogazioni parlamentari, di centrodestra e centrosinistra, nonostante le proteste — sotto Montecitorio — degli stessi poliziotti della Dia, si era passati al 35 per cento di quella somma.
Ora, però, arriva (in sordina) la mazzata finale.
Il Viminale dovrà risparmiare in tutto, per la spending review, ben 131 milioni.
Con un documento datato 30 agosto 2012, sotto la voce Si.Co.Ge. (il sistema informativo di contabilità che fa capo alla Ragioneria dello Stato, quindi al ministero dell’Economia) c’è il capitolo 2673 che riguarda il Dipartimento di Pubblica sicurezza del Viminale.
Si tratta di un documento di programmazione in cui vengono stanziate le cifre — 2013/2015 — destinate, appunto, al Tea.
Le cose che saltano agli occhi sono due.
La prima è la somma prevista per l’anno prossimo: 3.655.059 euro.
Ciò significa che, dai 5,7 milioni promessi fino a qualche mese fa, ne sono stati decurtati già due. Oltre un terzo.
Ed è gravissimo, in un momento in cui, tra l’altro, i poliziotti sono spesso costretti ad anticipare le spese di missione.
Ma per fare questo, ed è la seconda cosa che balza agli occhi, si sono dovuti riclassificare gli oneri, passati da “giuridicamente obbligatori” a “non obbligatori”.
“Vuol dire che il ministero ritiene quelli per il personale costi di ‘funzionamento’, quindi soggetti a decurtazioni”, commenta amareggiato un funzionario.
Il tutto con un atto amministrativo passato a fine agosto.
Per avere un termine di paragone, basti pensare che nel 2001 erano iscritti a bilancio della Dia 28 milioni di euro.
Ci si credeva, era la creatura di Giovanni Falcone, che per primo comprese l’importanza di avere un’unica struttura (polizia, carabinieri e finanza) per affiancare i magistrati impegnati nella lotta alla mafia.
E invece oggi non solo il personale è sotto-dimensionato (mancano circa 200 unità ), si creano gruppi interforze ad hoc per il controllo degli appalti (quando la Dia ha già , al suo interno, un Osservatorio centrale sugli appalti), e si decurta il Tea, ma quello stesso Tea non viene neanche pagato: sul Viminale pesa un ricorso presentato da 500 tra ufficiali e sottufficiali che non si sono visti corrispondere, come del resto tutti gli altri colleghi, l’indennità dal novembre 2011.
L’Avvocatura dello Stato ha scritto al Dipartimento chiedendo perchè non sono stati erogati quei fondi.
“I provvedimenti del ministero continuano a essere irrazionali — commenta Enzo Marco Letizia, segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia — e puniscono quelle donne e uomini che più di altri contribuiscono alla confisca dei beni delle mafie. C’è un accanimento contro la Dia, si colpisce la motivazione degli appartenenti che sono stati protagonisti integerrimi delle inchieste più scottanti degli ultimi anni. Ma lo Stato sembra proprio averli abbandonati”.
Silvia D’Onghia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: criminalità, denuncia, mafia | Commenta »