“NON SIAMO OBBLIGATI A PAGARVIâ€: COSÃŒ IL GOVERNO UCCIDE L’ANTIMAFIA
NUOVI TAGLI IN ARRIVO PER LA DIA, IL SOGNO DI GIOVANNI FALCONE… SI COLPISCE NUOVAMENTE L’INDENNITA’ AGGIUNTIVA. GIA’ RIDOTTA DEL 65%
Per la sentenza di morte bastano tre parole: “Spese non obbligatorie”.
Nel silenzio più assordante di quasi tutta la classe politica (anche di quella che fa dell’antimafia una bandiera), l’uccisione del sogno di Giovanni Falcone ora è davvero vicina. Dovendo obbedire alla spending review, il governo non ha saputo fare di meglio che abbattere la scure dei tagli nuovamente sull’“indennità accessoria al personale in servizio presso la Direzione investigativa antimafia”: il cosiddetto Tea (trattamento economico aggiuntivo), o “indennità di cravatta”, la misura voluta dall’allora direttore Gianni De Gennaro per fidelizzare i suoi uomini, renderli orgogliosi di lavorare nella Dia e allo stesso tempo evitare che svolgessero (come accade in tutti gli altri reparti) un secondo lavoro.
Per intenderci, parliamo di circa 250 euro al mese per un ispettore con 30 anni di servizio.
Non una cifra con cui diventare ricchi, ma neanche una che passa inosservata sul bilancio di una famiglia media.
E invece già lo scorso anno, il 12 novembre, la legge di stabilità aveva drasticamente ridotto il Tea: nonostante alcune interrogazioni parlamentari, di centrodestra e centrosinistra, nonostante le proteste — sotto Montecitorio — degli stessi poliziotti della Dia, si era passati al 35 per cento di quella somma.
Ora, però, arriva (in sordina) la mazzata finale.
Il Viminale dovrà risparmiare in tutto, per la spending review, ben 131 milioni.
Con un documento datato 30 agosto 2012, sotto la voce Si.Co.Ge. (il sistema informativo di contabilità che fa capo alla Ragioneria dello Stato, quindi al ministero dell’Economia) c’è il capitolo 2673 che riguarda il Dipartimento di Pubblica sicurezza del Viminale.
Si tratta di un documento di programmazione in cui vengono stanziate le cifre — 2013/2015 — destinate, appunto, al Tea.
Le cose che saltano agli occhi sono due.
La prima è la somma prevista per l’anno prossimo: 3.655.059 euro.
Ciò significa che, dai 5,7 milioni promessi fino a qualche mese fa, ne sono stati decurtati già due. Oltre un terzo.
Ed è gravissimo, in un momento in cui, tra l’altro, i poliziotti sono spesso costretti ad anticipare le spese di missione.
Ma per fare questo, ed è la seconda cosa che balza agli occhi, si sono dovuti riclassificare gli oneri, passati da “giuridicamente obbligatori” a “non obbligatori”.
“Vuol dire che il ministero ritiene quelli per il personale costi di ‘funzionamento’, quindi soggetti a decurtazioni”, commenta amareggiato un funzionario.
Il tutto con un atto amministrativo passato a fine agosto.
Per avere un termine di paragone, basti pensare che nel 2001 erano iscritti a bilancio della Dia 28 milioni di euro.
Ci si credeva, era la creatura di Giovanni Falcone, che per primo comprese l’importanza di avere un’unica struttura (polizia, carabinieri e finanza) per affiancare i magistrati impegnati nella lotta alla mafia.
E invece oggi non solo il personale è sotto-dimensionato (mancano circa 200 unità ), si creano gruppi interforze ad hoc per il controllo degli appalti (quando la Dia ha già , al suo interno, un Osservatorio centrale sugli appalti), e si decurta il Tea, ma quello stesso Tea non viene neanche pagato: sul Viminale pesa un ricorso presentato da 500 tra ufficiali e sottufficiali che non si sono visti corrispondere, come del resto tutti gli altri colleghi, l’indennità dal novembre 2011.
L’Avvocatura dello Stato ha scritto al Dipartimento chiedendo perchè non sono stati erogati quei fondi.
“I provvedimenti del ministero continuano a essere irrazionali — commenta Enzo Marco Letizia, segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia — e puniscono quelle donne e uomini che più di altri contribuiscono alla confisca dei beni delle mafie. C’è un accanimento contro la Dia, si colpisce la motivazione degli appartenenti che sono stati protagonisti integerrimi delle inchieste più scottanti degli ultimi anni. Ma lo Stato sembra proprio averli abbandonati”.
Silvia D’Onghia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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