Settembre 1st, 2012 Riccardo Fucile
MA CHE FALSA: IL SUO COLLABORATORE ALESSANDRO MARTELLO (CHE ENTRAVA AL MINISTERO CON LA COCAINA GRAZIE ALL’AUTORIZZAZIONE DI MICCICHE’) HA PATTEGGIATO UNA CONDANNA A 1 ANNO DI RECLUSIONE
” Da giovane ho fumato qualche canna, ma una volta mi andò via la testa a tal punto da spaventarmi e quindi dissi basta. Da allora fumo solo sigarette, ma sono a favore della legalizzazione delle droghe leggere. Sarebbe una cosa giusta da fare. Una legalizzazione controllata toglierebbe forza alla mafia e allo spaccio”. Lo dice Gianfranco Miccichè, ex Pdl, leader di Grande Sud e candidato alla presidenza della Sicilia, ai microfoni della Zanzara su Radio 24.
“Fosse per me – aggiunge Miccichè – legalizzerei anche la prostituzione, inimmaginabile che oggi ci sia ancora questo spettacolo con poca sicurezza per chi vi lavora e che è in mano alla criminalità “.
Ma il leader di Grande Sud assicura di non aver mai pagato una escort in vita sua. “No, mai. Berlusconi invece qualche volta credo di sì”.
E lei ha mai provato droghe pesanti? “Da giovane sì – risponde Miccichè – mentre quella storia che uscì fuori quando ero al ministero risultò completamente falsa. Non rinnego nulla di quello che ho fatto, ma oggi direi ai ragazzi di non farlo”.
Peccato che qualcosa non quadri nel racconto di Miccichè: sarà un liberalizzatore di tutto, forse anche dei pass di entrata al Ministero dell’Economia quando rivestiva il ruolo di vice-ministro?
Visto che l’informativa dei carabinieri (riportiamo sintesi sotto) accusava un suo collaboratore, Alessandro Martello, di recapitare proprio a Miccichè dosi di cocaina.
Per il vice-ministro non sarebbe stato un reato (ben altra cosa il risvolto politico) in quanto consumatore, ovviamente : la stessa cosa che peraltro gli era già accaduta a Palermo nel 1988 (evitò l’accusa di spaccio, ammettendo di essere consumatore abituale di stupefacenti).
Ma sostenere che la vicenda delle visite al ministero di Martello “si è rivelata completamente falsa” è una balla grossa come una casa.
Miccichè dimentica un piccolo dettaglio che gli ricordiamo qua sotto: la condanna di Martello ( che si rifiutò di indicare il destinatario della cocaina) a 1 anno di reclusione e a 2.000 euro di multa grazie al patteggiamento che evitò un imbarazzante processo con sfilata di testimoni e ascolto di intercettazioni.
Tanto per non passare per fessi…
DROGA AL MINISTERO, MARTELLO PATTEGGIA LA PENA
CONDANNATO A UN ANNO DI RECLUSIONE E A 2.000 EURO DI MULTA IL COLLABORATORE DEL VICE-MINISTRO ALL’ECONOMIA MICCICHE’, ACCUSATO DI AVER INTRODOTTO COCAINA AL MINISTERO
Ha patteggiato Alessandro Martello, il collaboratore del vice ministro dell’Economia Miccichè accusato di aver introdotto cocaina al ministero.Il processo a sue carico si è concluso davanti al giudice dell’udienza preliminare Guglielmo Muntoni con una condanna ad un anno di reclusione e al pagamento di una multa di 2000 euro.
Il magistrato ha concesso il patteggiamento, negato in un primo tempo dal suo stesso ufficio a causa del riserbo mantenuto dall’imputato a proposito dei destinatari della droga.
“Abbiamo preferito patteggiare la pena – ha spiegato il suo legale, Mauro Torti – per chiudere la vicenda processuale ed evitare la gogna del dibattimento. Il patteggiamento non costituisce un ammissione di responsabilità , peraltro sempre negate da Martello, che ha sostenuto di essere stato un consumatore, mai uno spacciatore”.
L’inchiesta risale all’agosto del 2002 e ha portato in carcere 11 persone.
A far partire le indagini fu la morte per overdose di un giovane tossicodipendente. Alessandro Martello fu ripreso dalle telecamere mentre entrava al Ministero dell’Economia con 20 grammi di cocaina.
Lo scandalo coinvolse anche il vice ministro forzista: la guardia di finanza accertò che l’ingresso di Martello al ministero fu autorizzato proprio su richiesta di Miccichè.
Che ha, tuttavia, sempre negato qualunque coinvolgimento nella vicenda e ha sempre sostenuto di “conoscere appena” il suo collaboratore.
Sospeso dal suo incarico di consulente esterno del gruppo Moccia Martello, dice il suo legale, è adesso in attesa di riprendere a lavorare.
14 febbraio 2003
(da “Antimafia e “Girodivite”)
LE VICENDE CHE RIGUARDANO MICCICHE’
L’11 gennaio 1988 Miccichè, che all’epoca lavorava presso Publitalia, venne interrogato nell’ambito di un’inchiesta sul traffico di droga a Palermo, in quanto sospettato di essere uno spacciatore. Miccichè rispose: “Non sono uno spacciatore ma solo un assuntore di cocaina”.
Non comportando il fatto reato, la posizione venne archiviata mentre gli spacciatori vennero arrestati il successivo 14 aprile
L’8 agosto 2002 venne invece diramata un’informativa dei Carabinieri che sostanzialmente accusava Gianfranco Miccichè di farsi recapitare periodicamente della cocaina presso gli uffici del ministero delle Finanze, in cui all’epoca ricopriva il ruolo di vice ministro.
L’informativa fu emessa in seguito ad indagini testimonianti, anche tramite supporti audiovisivi, le “visite” che il presunto corriere Alessandro Martello faceva indisturbato presso il ministero, pur non essendo un soggetto accreditato ad entrarvi.
Anche le intercettazioni confermerebbero la versione degli organi di polizia.
(sintesi Wikipedia)
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Settembre 1st, 2012 Riccardo Fucile
MANI PULITE I RAPPORTI ITALIA-USA…”LA CIA SAPEVA DEI SOLDI AL PSI MA POI CI MOLLO’”… I RAPPORTI DI PIETRO CON GLI USA
Gianni De Michelis, lei nel 2003 scrisse un libro (La lunga ombra di Yalta, 2003) in cui delinea la sua teoria sui metodi del pool Mani pulite e sul ruolo non secondario degli Usa.
«E infatti per me non è stato sorprendente leggere le interviste a Reginald Bartholomew e Peter Semler: mi è sempre stato chiarissimo che l’inchiesta si è basata in gran parte sulla carcerazione preventiva come mezzo per ottenere confessioni, e ho sempre attribuito all’operazione Mani pulite una valenza essenzialmente politica».
Cioè?
«Non tutti i partiti hanno avuto lo stesso trattamento. La storia più famosa è quella di Primo Greganti alla cui vicenda il procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio diede una lettura particolarmente favorevole».
Perdoni ma non è così. Nonostante abbia subito una lunga carcerazione, Greganti ha sostenuto di aver intascato i soldi per sè. I giudici non gli hanno creduto, come dicono le sentenze, ma non hanno potuto dimostrare il coinvolgimento del Pci.
«Pensa che se Greganti fosse stato socialista sarebbe finita così?».
Questo è soltanto un sospetto.
«E il miliardo di Raul Gardini? Antonio Di Pietro ha raccontato di aver seguito i soldi fin sul portone di Botteghe Oscure, ma di non aver mai scoperto chi lo intascò. Ma come? Ma stiamo scherzando?».
Che il Pci c’entrasse in Mani pulite come gli altri è appurato.
«Benissimo, allora quello che voglio dire è che Bartholomew, e naturalmente mi spiace sia morto, quando si lamenta di certi sistemi degli inquirenti si lava la coscienza: lui e il suo paese avevano preso atto che la vecchia classe politica non c’era o non serviva più, e cominciò a dialogare con altri. Il gruppo dell’ex Pci doveva servire per vent’anni».
Un po’ poco per sostenere che gli Stati Uniti indirizzarono…
«La vostra intervista a Semler è illuminante. Il console dice che Di Pietro lo avvertì nel ’91 che presto il Psi e la Dc sarebbero stati spazzati via».
Per Di Pietro, Semler si è confuso.
«Ma siamo seri. Semler è un console, mica si confonde. I casi sono due: o dice la verità o mente. E io penso dica la verità ».
Quindi?
«La Cia coprì l’apertura del Conto Protezione per il finanziamento illecito al Psi. Sapeva tutto. Il giorno dopo il disfacimento dell’impero comunista, la Cia ha preso e se n’è andata lasciandoci con il cerino in mano. Se ne andò perchè l’Italia non aveva più un ruolo geopolitico e non c’era più da garantire l’equilibrio di Yalta. Da noi prevalse l’Fbi, interessata ad evitare che la mafia prendesse troppa forza».
Così paradossalmente voi e la Dc, che avevate garantito Yalta, venite lasciati nelle mani della magistratura.
«E nel ’92 Luciano Violante, del Pds, diventa presidente della Commissione antimafia. In quel ruolo ha un rapporto stretto con Louis Freeh, dell’Fbi. Niente di oscuro, s’intenda. Non parlo di complotti. Ma tutto si lega: l’ex Pci – con l’ambasciatore, con l’Fbi – diventa interlocutore dell’America. E al Pci non si applica il “non poteva non sapere”. Curioso no?».
C’è qualcosa che non torna. Sta dicendo che l’Fbi si occupa di mafia con lo Stato italiano e col Pds. Ma sono gli anni della trattativa, se trattativa ci fu. Furono gli americani a volerla?
«Non sono in grado di dirlo. Dovreste chiederlo a Di Pietro».
A Di Pietro?
«Sì, a Di Pietro. Dovreste chiedergli la natura dei suoi viaggi in America. Dovreste chiedergli di che cosa si parlò, che cosa avevano in testa gli americani in quegli anni, perchè fu invitato dal Dipartimento di Stato».
Perchè era l’uomo più importante d’Italia.
«No, era l’uomo politico più importante d’Italia. Altrimenti lo avrebbe invitato il Dipartimento della Giustizia, non il Dipartimento di Stato. Di Pietro aveva rapporti particolari e privilegiati con Washington, e sa molte cose su cui tace. E mi domando per quale ragione oggi torni fuori la trattativa: perchè – è la mia sensazione – il disegno americano di impostare la Seconda repubblica è sostanzialmente fallito, e perchè la magistratura è oggi frazionata su varie posizioni. È un altro equilibrio che si rompe».
Una teoria complicata ma chiara. Se è così, Bartholomew e Samler giocano la stessa partita: uno fa il poliziotto buono e uno il poliziotto cattivo.
«Esatto. A parte che Bartholomew racconta un fatto fondamentale: chiamò un grande giurista come Antonino Scalia e riunì sette alti magistrati italiani per parlare degli abusi del pool di Milano. A parte questo, Semler anticipava l’entrata dell’Fbi e Bartholomew compensava l’uscita della Cia. E’ lui, e lo racconta, che sceglie i nuovi interlocutori».
Aveva tutto questo peso, Bartholomew?
«Ma Bartholomew non era mica uno qualsiasi. Era un ambasciatore di rango. Era uno tosto, ascoltatissimo alla Casa Bianca. A un certo punto – non ricordo che incarico avesse all’epoca – si era persuaso nonostante le nostre rassicurazioni che Carlo De Benedetti se la facesse con l’Unione Sovietica. Nell’89 io e Francesco Cossiga andammo in vista dal presidente George Bush senior e anche lui ci parlò di De Benedetti. Voleva che prendessimo contromisure e non fu facile convincerlo che non era il caso».
Per dire quanto contasse Bartholomew?
«E per dire che la cortesia non ci fu restituita».
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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Settembre 1st, 2012 Riccardo Fucile
“HO LA CERTEZZA CHE IN QUEL PEZZO NON C’ERA UNA RIGA DEL CONTENUTO EFFETTIVO DI QUELLE CONVERSAZIONI”
Sono un lettore di giornali da decenni, un vostro collega pubblicista da qualche mese, ma in vita mia non ho mai visto un articolo così costruito come quello pubblicato da Panorama.
Con tutto il rispetto per la professionalità dell’autore non ho mai visto trattare un tema così incandescente e potenzialmente destabilizzante senza un fatto o una notizia”.
E quindi?
“Hanno titolato “Ricatto a Napolitano”, alludendo alla Procura di Palermo — spiega Ingroia — ma il ricatto lo hanno fatto altri. E l’obiettivo principale non è neanche il Quirinale, ma la magistratura di Palermo.
Fuga di notizie o, come lei stesso ha detto, giornalismo delle invenzioni?
Lo ha già detto il procuratore Messineo, ho la certezza che in quel pezzo non c’era una riga del contenuto effettivo di quelle telefonate coperte dal segreto.
E allora?
Ho colto il sapore di una manovra proveniente dalle fonti. L’intero pezzo è costruito senza una notizia, è solo una ricostruzione giornalistica fondata su una lettura analitica comparata sugli articoli di tre testate, peraltro fra loro agli antipodi. Una lettura fondata sulla base dell’illazione indimostrabile, e indimostrata, che i tre autori degli articoli fossero in possesso del testo delle telefonate intercettate.
Sta pensando per caso all’inizio di una nuova stagione di veleni provenienti dagli stessi ambienti giornalistici figli del conflitto di interessi protagonisti in passato della costruzione di dossier infamanti e notizie infondate?
Sto pensando a una campagna di stampa orientata e finalizzata a gettare discredito su molte istituzioni. E l’obiettivo principale non è neanche il Quirinale, ma la magistratura di Palermo.
Famiglia Cristiana si chiede: cui prodest? Secondo lei?
Non giova certamente alle istituzioni e ai cittadini, giova a chi ha interesse a creare un clima di diffidenza e conflitto tra il Quirinale e la procura di Palermo: ricordo che fu proprio Panorama a sollevare per primo la questione delle intercettazioni del Quirinale parlando di “siluro”. Giova a chi non vuole la verità sulla stagione stragista e tra chi non la vuole non c’è certamente nè la Procura di Palermo nè il Quirinale.
Qual è adesso una possibile via d’uscita? Se paradossalmente Panorama vi chiedesse di rendere pubbliche quelle telefonate per dimostrare la fondatezza di quanto scritto, cosa rispondereste?
Risponderemmo ovviamente no. Se bastasse pubblicare notizie infondate su temi coperti da segreto per poi verificarne la fondatezza, non sarebbe più possibile indagare. à‰ una tesi improponibile. Sulla fuga di notizie (o di bufale) il procuratore Messineo ha già annunciato una verifica sull’apertura di un’inchiesta.
Indagherete voi o i colleghi di Caltanissetta?
È ancora prematuro parlarne. Certo, se ci fosse stata una fuga di notizie sarebbe competente l’ufficio del pm di Caltanissetta, ma il punto è se c’è una notizia.
Il 19 ottobre la Consulta deciderà se ammettere il ricorso del Quirinale sul conflitto di attribuzioni. Se dovesse accoglierlo i pm rischierebbero conseguenze disciplinari e forse anche penali. Preoccupato?
Per nulla. Attendiamo serenamente la decisione della Corte e non credo che l’esito sia scontato. Leggeremo la sentenza e soprattutto le motivazioni.
Giuseppe Lo Bianco
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 1st, 2012 Riccardo Fucile
L’EX CALCIATORE, SIMBOLO DELL’ISOLA DENUNCIA: “POI NON VENGANO A DIRE CHE SONO UN POPOLO DI BANDITI: SONO STATI PRESI PER IL CULO MENTRE SI REGALAVANO MILIARDI AGLI IMPRENDITORI”
Gigi Riva è sardo per scelta, per indole, per natura insulare e per storia.
Non è importante che sia nato nel Varesotto.
à‰ sardo e basta: è arrivato nell’isola nell’aprile del ’62 vivendo la cosa come una punizione e non se n’è più andato.
“Ho capito che sarei rimasto — ha detto una volta — quando andavamo in trasferta a Milano e ci chiamavano pecorai. O banditi”.
Gigi Riva è sardo perchè è il santo laico dell’isola, l’immaginetta che la gente appende accanto alla Madonna, perchè il suo Cagliari, alla Sardegna, ha regalato nome e orgoglio quando ancora non l’aveva.
È sardo e parla da sardo di questa estate in cui i nodi del falso sviluppo stanno venendo al pettine: dalle fabbriche alle miniere fino alla campagna.
Quando lo chiamiamo, dice subito: “Non voglio fare interviste”.
Poi capisce quale sarà l’argomento e parte da solo perchè anche con 67 primavere addosso è ancora “Rombo di Tuono”, il soprannome che gli diede il simpatetico Gianni Brera: “Sono in Sardegna da cinquant’anni e una situazione di questo genere non l’ho mai vissuta. Basta farsi un giro per strada a Cagliari per capire: vedi i negozi che non lavorano e nelle vetrine solo i cartelli affittasi. Qui vivono anche i miei due figli e tre nipoti e le dico che la situazione non ha vie d’uscita”.
Non le sembra di essere troppo pessimista?
Questa situazione non ha una via d’uscita: troppe famiglie sono senza lavoro, senza mangiare. Oggi se ne accorgono anche in regione e dicono di voler intervenire, ma la verità è che non hanno i mezzi. È una marea che monta: le fabbriche e i negozi che chiudono, è troppo tardi…
Non ha nessuna speranza nel futuro?
Ma mica è solo il Sulcis che è in crisi… E l’Alcoa e la Vinyls a Porto Torres e i pastori e il commercio? à‰ spaventoso. Chiudono e basta e questa gente non ha più niente nonostante che, per anni e anni, pur di avere un posto e uno stipendio se n’è andata a lavorare dentro queste fabbriche pericolose, velenose. Ecco cosa hanno fatto i sardi per poter lavorare.
Ma di chi è la colpa di questa situazione?
à‰ una cosa che nasce da lontano, da quando c’era la cosiddetta ‘Rinascita della Sardegna’ (il Piano di rinascita è del 1962, ndr) e hanno regalato soldi a questo e quell’altro: gente che veniva qui portandosi dietro macchinari usati e facendoseli pagare per nuovi. E adesso si vedono i risultati.
Quindi che succederà in Sardegna?
Lo ripeto: è una situazione delicata e pericolosa perchè c’è troppa disperazione e i sardi li vedo decisi. Poi non vengano a dire che sono un popolo di banditi, perchè questa gente, ai tempi della rinascita, è stata presa per il culo mentre si regalavano miliardi a imprenditori del continente e stranieri.
Potrebbe intervenire il governo, magari, fare investimenti nell’isola.
Ma che devono fare? Se almeno nel Paese ci fossero risorse… e invece c’è la crisi. Lo vede? Anche questo governo è già incasinato: i politici non possono nemmeno aspettare di vedere che risultati porta che già vogliono tornare al potere. Sono abituati a mangiar bene e non possono rinunciare nemmeno al dolce.
Anche la regione ha presentato dei progetti per il rilancio delle industrie.
Cappellacci, il presidente, è una brava persona, io lo conosco, posso dire che è un mio amico, ma è stato messo lì. Come tutti i politici sardi, d’altronde, che sono solo impiegati di quelli del continente. Sono convinto che se potesse fare qualcosa, lo farebbe, ma non può, è troppo tardi.
E allora?
Nelle scuole bisognerà ricominciare a dire ai bambini che la Sardegna è collegata con tutta Europa e bisogna andare a prendere il lavoro dove c’è, in Portogallo, in Germania o in Lussemburgo. Succederà come quando, molti anni fa, andai con un mio amico a Seui, un paesino, e c’erano solo vecchi perchè i giovani lavoravano fuori.
E la stampa? Come si occupa della Sardegna?
I giornali benestanti mettono la notizia, dicono che c’è la crisi, ma non la spiegano, non la trattano. Non ne hanno bisogno.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 1st, 2012 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER CADE A VILLA CERTOSA, I FEDELISSIMI SONO IN DECLINO… DA BONAIUTI A FEDE CHE PROVA A FARSI IL PARTITO PERSONALE… SI SALVA MINZOLINI
Se non fosse stato per un laconico “non ne so nulla” sullo scambio tra “Fantantonio” Cassano e Giampaolo Pazzini, quest’estate potrebbe passare agli annali della storia politica del Paese come quella in cui il Cavaliere scomparve. Dai siti di gossip come dalle cronache sportive.
Per non parlare, poi, di politica, dove il sipario sulla loquacità di Silvio è calato il 22 giugno scorso.
Ma ieri ha fatto notizia una sua caduta, con lieve contusione a un polso e a una spalla.
Basso profilo anche per il suo entourage.
Si registra un unico comunicato vergato da Paolo Bonaiuti, portavoce in disarmo, vacanze nella natia Toscana e poi a villa Certosa.
In attesa di volare — forse — alla presidenza della commissione Cultura di Montecitorio.
Bonaiuti, 71 anni, potrebbe lasciare il posto di portavoce forse a Maria Rosaria Rossi, la “badante” ufficiale di Berlusconi.
Persino il solitamente loquace Denis Verdini alza le braccia al cielo. “E ‘un lo so…”, risponde in stretto toscano a chi gli chiede numi sulle mosse del Cavaliere. Eppure Verdini è quello che lo ha visto di più, il Cavaliere, in questo periodo.
Ha fatto la staffetta tra il Senato e villa Certosa per cercare di trovare la quadra sulla nuova legge elettorale.
Poi, l’altro giorno, quelle parole che vengono fatte trapelare, su Silvio che direbbe di sì a un accordo, ma solo per andare al voto a novembre, e Pier Luigi Bersani che dà lo stop.
Eppure Verdini giura che “Silvio è pronto a ripartire”. Sarà .
Ma intanto domina il silenzio.
Che solo l’avvocato deputato Niccolò Ghedini ha rotto, non tanto per fare il punto su intercettazioni e legge anti-corruzione al Senato, ma per limare le note (dolenti) del (non) accordo sul divorzio da Veronica Lario.
Lei non molla, Silvio neppure.
E lui soffre, come ha raccontato un invece loquacissimo Emilio Fede, presto in campo con il suo nuovo partito “Vogliamo vivere”, con il quale si candiderà “per non lasciare il centrodestra nelle mani di Daniela Santanchè”, comparsa a Venezia con Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, addirittura sul red carpet.
A ben guardare, al Cavaliere non gliene sta andando bene una.
Mediaset è al tracollo.
Ci si è messo — ieri — persino Mauro Crippa, direttore generale dell’informazione del Biscione, a provocare il panico a Cologno Monzese aprendo le porte a un ingresso di Augusto Minzolini: un brutto segnale.
Il Milan, poi, meglio lasciar perdere.
Nenche l’ex ministro Claudio Scajola, reduce da una visita all’amico Francesco Bellavista Caltagirone, in carcere per la questione del porto di Imperia, inchiesta nella quale anche Scajola risulta indagato, è riuscito a tirarlo su di morale.
Sul Milan “Silvio soffre”.
Molto più di quanto ha sofferto quando è caduto nel parco della Certosa.
“Due giorni fa eravamo come sempre nel parco a fare un lavoro alternato di corsa e di cammino veloce — ha raccontato Giorgio Puricelli, fisioterapista del Milan e consigliere regionale del Pdl in Lombardia — è scivolato, è caduto e fortunatamente ha parato il colpo con la mano”.
Niente di grave, già tutto risolto.
Ma il morale di Silvio resta a terra.
Dicono che riemergerà dal silenzio nella crociera con i lettori del Giornale, prevista tra il 15 e il 16 settembre.
Oppure durante la festa di Atreju, dei giovani del Pdl, in agenda sempre a metà settembre.
Per ora, però, tace.
E continua a cadere.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 1st, 2012 Riccardo Fucile
IL LEADER DI SEL CHIUDE SIA AD UNA ALLEANZA ELETTORALE CHE A UN FUTURO ACCORDO DI GOVERNO CHE COMPRENDA L’UDC… E CERCA DI RICUCIRE TRA PD E IDV: “SPERO SI CONCENTRI SUL PROGRAMMA E LA SMETTA DI ATTACCARE IL QUIRINALE”
Il presidente di Sinistra e Libertà Nichi Vendola chiude a un’alleanza di governo con l’Udc, confermando la linea già espressa nei giorni scorsi dal segretario del Pd Pierluigi Bersani e, però, se possibile indurendola. “Con Casini non si può governare il Paese – ha detto il leader di Sel – Senza Casini prendiamo più voti”.
Il partito oggi è in assemblea nazionale: “Il fronte progressista – aggiunge – è più forte se si presenta con chiarezza” e una eventuale alleanza con l’Udc “non aiuterebbe”. Tuttavia, se Bersani aveva spiegato che il centrosinistra deve essere “aperto” al dialogo con le forze moderate, Vendola esclude questa prospettiva, quando dice che con l’Udc non si può neanche governare.
“Di Pietro sbaglia quando attacca il Colle”.
A differenza di Bersani Vendola spera che Antonio Di Pietro possa far parte dell’alleanza di centrosinistra perchè rappresenta un “pezzo prezioso del centrosinistra”.
Ma con una riserva: “Spero che Di Pietro – spiega Vendola – possa concentrarsi sempre di più sull’agenda programmatica e la smetta di investire sulle macerie”. Secondo Vendola “è un profondo errore da parte di Di Pietro assediare il Quirinale anche perchè questo crea un solco con il centrosinistra”.
Anzi Vendola rivela che sta lavorando alla ricucitura con l’Italia dei Valori tanto che conferma che sarà ospite di Di Pietro a Vasto a metà settembre indipendentemente dalle scelte che farà Bersani: “Non ho nessun motivo di praticare una rottura con Di Pietro, anche perchè sto lavorando alla ricucitura”.
“Di Di Pietro – insiste – non condivido l’assedio polemico nei confronti del Quirinale, ritengo uno sport berlusconiano dare calci negli stinchi dell’arbitro, ma penso che anche votare il Fiscal compact o il pareggio di bilancio in Costituzione, come ha fatto il Pd, rappresenti un fatto grave. Queste divergenze non ci impediscono comunque lo sguardo sul futuro, in passato ci siamo molto divisi, ma ci possiamo unire nel voltar pagina e in questo chiedo a Di Pietro di concentrarsi sull’Italia in macerie e di non infierire su queste macerie, ma di adoperarsi per la ripresa”.
“Napolitano ha una storia limpida”.
Per rafforzare questa tesi Vendola chiarisce che “quella di Giorgio Napolitano è una storia limpida che nessuno può scalfire”.
Per il governatore della Puglia con gli attacchi al capo dello Stato “è tornata la storia più torbida per l’Italia.
Tirare dentro la palude il Quirinale con insinuazioni è una cosa che appartiene ai veleni che ammorbano il Paese”.
“Napolitano – ha concluso Vendola – è il custode dei valori costituzionali e gli italiani per questo lo rispettano. Ha fatto bene a porre correttamente il problema del vuoto normativo esistente sulla privacy del presidente”.
“E’ del tutto evidente – prosegue – che c’è chi gioca la partita del torbido. C’è chi pensa di far saltare la legittimazione e la credibilità anche delle istituzioni di garanzia, persino del Quirinale. Bisogna reagire con estrema durezza a questo tentativo di aggressione, sapendo tuttavia che chi occupa le stanze del Quirinale è un inquilino non ricattabile”.
Contro il Super Porcellum.
Il leader di Sel conferma la contrarietà all’attuale legge elettorale: “Io sono stato contrarissimo al ‘Porcellum’ e ho raccolto le firme per il referendum, ma passare dal premio di maggioranza per la coalizione a quello per il singolo partito vuol dire trasformare il ‘Porcellum’ in ‘Super Porcellum’ e io lo contrasterò in ogni modo”.
Il programma secondo Nichi.
E allora il programma. Cosa pensa Vendola?
“Se vogliamo governare questo Paese per affermare l’emancipazione ed i diritti e fissare un punto di chiusura alle politiche di austerity – ha detto – l’alleanza con Casini non si può fare: le nostre politiche sono il contrario del montismo, dell’austerity e dei totem e tabù del liberismo che, con il governo Monti si sono presentate come istanze tecniche, ma che sono invece politicamente di destra”.
“No a Monti fino all’eternità “.
Infine la crisi e l’operato del governo guidato da Mario Monti.
“Il centrosinistra deve mettere apunto un’agenda per il cambiamento e rendere così credibile la proposta per l’alternativa anche perchè diciamo con forza no a Mario Monti di qui all’eternità “.
Vendola non condivide per esempio i contenuti delle misure per lo sviluppo proposte dal ministro Corrado Passera.
E ha fatto ricorso ad una celebre battuta di Al Capone nel film Gli Intoccabili: “Sei solo chiacchiere e distintivo”. “All’interno di questo governo – ha aggiunto Vendola – Passera si è distinto per essere l’uomo che più si avvicina a questo slogan cinematografico”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 1st, 2012 Riccardo Fucile
I PRECARI SONO SALITI A 3 MILIONI… TRA I GIOVANI DAI 15 AI 24 ANNI IL TASSO E’ ARRIVATO AL 33,9%, PICCO PER LE RAGAZZE DEL SUD AL 48%
Record del tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) che nel mese di luglio è salito al 35,3%, in aumento di 1,3 punti percentuali su giugno e di 7,4 punti su base annua.
Lo rileva l’Istat (dati destagionalizzati e provvisorie).
Il ritmo di crescita annuo della disoccupazione giovanile è triplo rispetto a quello complessivo.
Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 618 mila.
Nel secondo trimestre del 2012 il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale al 33,9%, dal 27,4% del secondo trimestre 2011.
È il tasso più alto, in base a confronti tendenziali, dal secondo trimestre del 1993, inizio delle serie storiche.
Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24enni) sempre per il secondo trimestre 2012 tocca un picco del 48% per le ragazze del Mezzogiorno.
Nel secondo trimestre 2012 i lavoratori dipendenti a termine sono 2 milioni 455 mila, il livello più alto dal secondo trimestre del 1993 (inizio serie storiche).
Lo rileva ancora l’Istat, aggiungendo che sommando i collaboratori (462 mila) si arriva a quasi tre milioni di lavoratori precari
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Settembre 1st, 2012 Riccardo Fucile
SICUREZZA GLI INCIDENTI STRADALI, L’ITALIA FA MEGLIO DELLA FRANCIA… NEL 1972 LE VITTIME FURONO OLTRE 12.000
La cronaca ci insegue con tanti, troppi incidenti stradali. Di continuo.
Ma le statistiche ci dicono anche che finalmente le morti sulle strade sono in deciso calo.
Secondo le ultime stime di Aci e Istat, nel 2011 l’Italia ha pianto 3.800 vittime. Sempre troppe.
Ma l’anno prima erano 4.090. E solo 5 anni fa, nel 2007, le vittime erano state 5.131. Eravamo la vergogna d’Europa per numero di decessi.
Quest’anno non più.
Nel 2011 ci sono state più vittime in Francia, con 3.963 morti, circa 160 più degli italiani.
Un altro obiettivo centrato, ancor più importante della finanza pubblica, dopo che nel 2007 ci eravamo impegnati con l’Europa a far qualcosa di serio contro la strage delle nostre strade.
Da allora si sono verificate alcune cose serie: un piano sicurezza stradale, un incremento esponenziale dei controlli con gli etilometri, una legge severa contro chi guida in stato di ebbrezza, tecnologie di controllo come Autovelox e Tutor.
E poi da ultimo ci si è messa la crisi: è evidente che se calano i volumi di traffico, se le autostrade e le statali sono meno intasate, di conserva calano anche gli incidenti. Specialmente quelli gravi.
Il trend di decrescita delle morti da incidente stradale è effettivamente costante. Secondo i dati raccolti dall’Asaps, associazione amici della polizia stradale, le morti sono diminuite con regolarità : cinquecento morti in meno ogni anno.
E così siamo arrivati al bel risultato di lasciare in testa i francesi, che pur avendo qualche milione di abitanti in più di noi, negli ultimi dieci anni avevano sempre avuto meno vittime della strada.
Il dato del calo è omogeneo anche se si va a guardare ai numeri del ministero dell’Interno, che raccoglie soltanto le statistiche di polizia e carabinieri e non quelli delle polizie municipali: a Ferragosto, risultavano 87.605 incidenti stradali nell’ultimo anno; l’anno prima erano stati 105.000.
E se anche ci si ferma ai morti registrati da polizia e carabinieri, e non alle diverse polizie municipali, che appunto sfuggono ai conteggi del ministero dell’Interno per via delle bizantinerie italiane, si scopre che a Ferragosto la ministra Annamaria Cancellieri aveva potuto vantare un buon risultato, passando da 2.458 a 2.058 vittime della strada in un solo anno.
Un piccolo miracolo italiano che si porta dietro una sforbiciata allo spread del dolore e dei costi sociali.
Un dato agghiacciante, sempre calcolato dall’associazione Asaps: l’Italia dal 1950 a oggi ha avuto più di 400 mila morti per incidente stradale e 14 milioni di feriti. L’anno peggiore della serie storica è stato il 1972: addirittura quell’anno furono 12.750 morti.
Fissato il successo di quest’anno, c’è però da fare di più.
Nei primi sette mesi del 2012, ad esempio, su 155 morti in incidenti stradali che si sono verificati sulla rete autostradale, ben 32 erano pedoni travolti.
Di questi, sedici erano scesi dal veicolo per una avaria al veicolo come un guasto al motore, una foratura, o addirittura perchè la vettura era rimasta senza carburante; dieci stavano camminando a piedi lungo l’autostrada (spesso stranieri scesi da autocarri) o stavano correndo per prestare soccorsi in precedenti incidenti; sei vittime sono definiti «superstiti da altro evento» ovvero si tratta di persone incorse in un precedente incidente e che, scese dal loro veicolo sotto choc, sono state travolte da un altro mezzo sopraggiunto.
L’Asaps spinge per una campagna di informazione su quanto sia pericoloso muoversi a piedi sull’autostrada.
In Parlamento, intanto, si ragiona su una modifica al codice della strada.
Mario Valducci, presidente della commissione Trasporti, ha annunciato che si potrebbe arrivare alla sospensione della patente fino a 15 anni per chi causa un omicidio stradale e viene trovato in stato di ebbrezza o sotto effetto di sostanze stupefacenti.
Se la Camera la voterà entro ottobre, potrebbe essere legge prima di Natale.
Francesco Grignetti
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Settembre 1st, 2012 Riccardo Fucile
DENUNCIA DELLA CGIA DI MESTRE: L’ITALIA E’ L’UNICO PAESE AD AVER REGISTRATO UN AUMENTO NEI PAGAMENTI TRA PRIVATI… NEL PUBBLICO LA SITUAZIONE E’ DRAMMATICA: SERVONO 180 GIORNI, CONTRO I 65 DELLA FRANCIA, I 43 DELLA GRAN BRETAGNA, I 36 DELLA GERMANIA
Dall’inizio della crisi alla fine di giugno di quest’anno, i fallimenti in Italia hanno sfiorato le 46.400 unità .
E’ la stima della Cgia di Mestre che rileva come tra questi poco meno di 14.400 (poco più del 30%) siano maturati a causa dell’impossibilità , da parte delle aziende, di incassare in tempi ragionevoli le proprie spettanze.
L’associazione dei piccoli artigiani veneta ricorda che secondo i dati di Intrum Justitia, la percentuale di aziende che in Europa falliscono a causa dei ritardi dei pagamenti è pari al 25% del totale.
Dato che nel nostro Paese i ritardi superano la media europea di circa 30 giorni, la Cgia ha stimato che la media italiana di aziende che falliscono a causa dei ritardi si attesta intorno al 31% del totale.
“Indubbiamente — rileva la Cgia — anche la crisi economica ha contribuito ad aggravare questa situazione, anche se, tra i principali Paesi dell’Unione europea, l’Italia è l’unico ad aver registrato, tra il 2008 ed i primi mesi del 2012, un aumento dei tempi effettivi di pagamento: + 8 giorni nelle transazioni commerciali tra le imprese private, + 45 giorni nei rapporti tra Pubblica amministrazione ed imprese. Drammatica la situazione per quelle attività che lavorano per lo Stato centrale o per le Autonomie locali. Se in Italia il pagamento avviene mediamente dopo 180 giorni, in Francia le aziende vengono saldate dopo 65 giorni, in Gran Bretagna dopo 43 giorni, mentre in Germania il pagamento avviene dopo appena 36 giorni”.
“Nonostante il Governo Monti abbia messo in campo alcune misure che entro la fine di quest’anno dovrebbero sbloccare una parte dei pagamenti che i privati avanzano dalla Pubblica amministrazione — commenta Giuseppe Bortolussi, Segretario della Cgia di Mestre — è necessario che venga recepita quanto prima la direttiva europea contro il ritardo nei pagamenti. La mancanza di liquidità sta facendo crescere il numero degli sfiduciati, ovvero di quegli imprenditori che hanno deciso di non ricorrere all’aiuto di una banca. E’ un segnale preoccupante — conclude Bortolussi — che rischia di indurre molte aziende a rivolgersi a forme illegali di accesso al credito, con il pericolo che ciò dia luogo ad un incremento dell’usura e del numero di infiltrazioni malavitose nel nostro sistema economico”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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