Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
DIETRO LA PROTESTA DEI LAVORATORI SOLO IL RIFIUTO DI ACCETTARE PER IL SECONDO ANNO UN TAGLIO DI 8 MILIONI SUGLI STIPENDI… L’ALTERNATIVA E’ IL FALLIMENTO Di AMT
Prima ancora dei privati, la principale paura dei mille lavoratori scesi in piazza ieri per il quarto giorno di fila, contro la delibera del Comune che apre le porte all’ingresso dei privati nell’azienda del trasporto pubblico, sono i tagli.
È la nuova sforbiciata del sindaco Doria che ha messo in allarme i dipendenti.
Perchè se la privatizzazione nel provvedimento del Consiglio comunale è soltanto evocata come extrema ratio per rimettere in ordine i conti della società , la necessità per il 2014 di chiudere il bilancio senza debiti è incontrovertibile.
E qualcuno, alla fine, deve pagare il conto. “Il problema non è la privatizzazione, ma i nuovi sacrifici che il sindaco vuole chiedere ai propri lavoratori”, spiega Antonio Graniero, segretario della Cisl di Genova.
Il sindaco, a scanso di equivoci, l’ha ripetuto anche oggi: “Il Comune di Genova non vuole e non privatizza Amt. È falso dire il contrario”.
Perchè una mobilitazione così massiccia allora? Perchè, privatizzazione o no, il sindaco ha le idee molto chiare.
La municipalizzata fino al 2012 era una macchina da debiti.
Quest’anno, la perdita sarà inferiore ai 700 mila euro.
Un’operazione di risanamento compiuta grazie al pesante sacrificio dei lavoratori con risparmi per 8,3 milioni di euro tra tagli agli stipendi dei lavoratori e ammortizzatori sociali.
Marco Doria ha una data cerchiata sul calendario, il 31 dicembre 2014.
Lì scadrà il contratto di servizio di Amt ed entro quella data l’azienda dovrà arrivare con i conti a posto per presentarsi alla gara di assegnazione della futura agenzia regionale del trasporto.
Come? Ed è qui che la situazione si complica.
Delibera a parte, il comune chiude le porte ai privati. Ma quegli 8 milioni, in un modo o nell’altro vanno trovati.
E una strada può essere proprio quella di rinnovare per il 2014 quanto già fatto nel 2013. Che vuol dire ancora tagli.
“Lo scorso anno – continua Graniero- c’è chi ci ha rimesso anche 4 mila euro. Per qualcuno in busta paga ha voluto dire 200-300 euro in meno al mese. Un prelievo che il sindaco voleva rinnovare anche il 1 gennaio 2014, e abbiamo detto no”.
La questione, insomma, è un po’ più semplice dello scontro pubblico/privato.
“Noi non abbiamo nulla in principio contro l’ingresso dei privati”, dice Graniero. “Però l’esperienza passata dovrebbe dirci qualcosa. La stessa Amt è stata già privatizzata dieci anni fa, quando i francesi di Transdev-Veolia entrarono al 40% nella società . Per fare cosa? Tredici km di corsie preferenziali, che venivano sistematicamente invase dagli altri veicoli. Se ne sono andati senza investire neanche un euro”.
In sintesi, il Comune di Genova ha una scadenza, il 31 dicembre 2014, e un conto da pagare: oltre otto milioni di euro di passivo in arrivo nel prossimo anno.
La strada, se si vuole escludere un privato e mantenere invariata l’occupazione, è sedersi ad un tavolo e chiedere a tutti un sacrificio.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
DOV’ERANO SINDACATI, DIPENDENTI E GRILLO QUANDO NEGLI ANNI SCORSI AMT FU SCIENTIFICAMENTE SMEMBRATA E DISTRUTTA, IL PATRIMONIO SVENDUTO E IL BILANCIO COMPROMESSO?
Premettiamo un punto: siamo sempre stati e siamo per il rafforzamento del servizio di trasporto pubblico.
Detto questo veniamo al punto che nessuno osa dire: tra i carnefici dell’Amt ci sono i lavoratori ed i sindacati.
Con le Amministrazioni Comunali guidati dell’ex teardiano Giuseppe Pericu (voluto sindaco di Genova da Claudio Burlando) è stato prima di tutto adottato un Piano del Traffico che “disincentivava” il trasporto pubblico per favorire quello privato.
Questo era uno dei capisaldi del lavoro prodotto dal superconsulente Bernhard Winkler.
Chi si oppose a questa follia? In pochissimi e tra questi non c’erano i lavoratori dell’Amt (come non c’erano i sindacati e nemmeno il genovese Beppe Grillo)
Passaggio parallelo — e in piena sintonia con il Piano – fu quello di cancellare la realizzazione della tramvia su sede propria in Val Bisagno (l’unica ampia area della città dove non è presente il trasporto ferroviario metropolitano).
Venne cancellata, nonostante vi fosse già il progetto pronto (predisposto dall’Amministrazione Sansa cacciata da Burlando). Si poteva chiedere ed ottenere il finanziamento europeo e quindi partire e realizzarla. Invece fu posta una pietra tombale, propagandando mega progetti futuristici irrealizzabili in quella vallata.
Altro passaggio parallelo — e in piena sintonia con il Piano —fu quello di smontare la tratta dei filobus realizzata durante l’Amministrazione Sansa.
Anzichè ampliarla, come era stato definito, facendola divenire un modello “integrato” con l’Asse Attrezzato in Corso Europa e con la tramvia programmata in Val Bisagno. Il massimo che si riuscì ad avere fu rimettere in funzione la tratta dismessa.
Anche davanti a questi due tasselli, in quanti alzarono la voce contro le scelte del Comune?
In pochissimi e tra questi, ancora una volta, non c’erano i lavoratori dell’Amt (come non c’erano i sindacati e nemmeno il genovese Beppe Grillo).
Poi venne la bancarotta per distrazione…
L’Amministrazione Pericu, con i suoi fidati uomini alla guida dell’Amt, promosse la “scissione” di Amt con la nascita di una nuova società : l’Ami.
All’Ami venne passato il patrimonio, a partire dalle rimesse. Amt venne così svuotata, rimanendo una struttura in perdita senza più patrimonio
L’Ami procedette a vendere le rimesse.
Lo fece con prezzi vantaggiosi per gli acquirenti (e gare che definire trasparenti sarebbe una barzelletta): a chi furono vendute?
Alle Coop rosse per farci appartamenti di lusso (Rimessa di Boccadasse) o per programmare nuovo MegaStore e Albergo (Rimessa Guglielmetti).
Svenduto il patrimonio — che fu di Amt — l’Ami va in liquidazione ed evapora.
Amt invece continua ad affondare verso un inesorabile e scontato fallimento. Anche qui in ben pochi ci si mobilitò per fermare questo scempio.
Mentre la Procura della Repubblica taceva, la Corte dei Conti in primo grado condannò gli Amministratori Pubblici responsabili del danno arrecato. Tra questi venne condannato anche Pericu.. Ma in appello tutto fu ribaltato: assoluzione.
I lavoratori dell’AMT ed i Sindacati avallarono quell’operazione (anche Beppe Grillo, il genovese che tanto tiene al patrimonio pubblico, non pronunciò parola)
E’ lì che fu segnato il destino dell’Amt.
Ma ai lavoratori ed ai Sindacati andava bene, qualche soldo ancora nelle casse c’era e quindi meglio non rischiare nulla in quel momento… meglio aspettare che sia rimasto meno di un osso per scendere in piazza.
Troppo tardi: la responsabilità di quell’Amministrazione Pubblica che ha portato al disastro è la stessa responsabilità che hanno i lavoratori per aver taciuto, accettato e avvallato l’eutanasia dell’Amt
Christian Abbondanza
Casa della Legalità
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
LE ANTICIPAZIONI SUL CONTENUTO DELL’ULTIMO INTERVENTO CHE IL CAVALIERE TERRA’ IN SENATO MERCOLEDI’
“Consegnando me, con questo voto, state consegnando voi stessi alla magistratura”. È attorno a questo concetto che Silvio Berlusconi sta preparando il discorso che pronuncerà in Aula mercoledì. Un concetto politico, che suoni come una chiamata di responsabilità del Parlamento tutto. Che, trasformandosi in un mero esecutore, rinuncia alla sua autonomia e alla sua sovranità . Una “responsabilità storica” che mette la politica, tutta, nelle mani dei giudici e non più del popolo, rosso o azzurro che sia.
L’ex premier parlerà . Alzandosi in piedi, per l’ultima volta, a palazzo Madama.
L’idea di ricorrere a un trucco per guadagnare qualche altro giorno è stata accantonata.
Perchè a questo punto che tutto è scritto la mossa di “dimettersi” in modo che poi l’Aula voti le dimissioni a scrutinio segreto rischia di apparire un gesto “vile”.
Il Cavaliere vuole chiudere la sua esperienza parlamentare da lottatore. E da “statista”.
È questo il temine che ha usato con i suoi ai quali, a partire da Giuliano Ferrara, ha chiesto un bel po’ di appunti, per poi mettere mano al discorso personalmente.
Ma i contorni sono già definiti: “Voglio fare un discorso che passi alla storia” ha confidato ai fedelissimi. E un discorso che passi alla storia non è un comizio dai toni feroci.
Sono altre le sedi nelle quali pronunciare i consueti strali contro le toghe.
È politico, il discorso in Aula ed è rivolto alla politica. Capace di non trasmettere nel mondo l’immagine del Condannato sconfitto, astioso, prigioniero del rancore.
Ma capace di trasmettere l’immagine di un paese che rinuncia alla sua sovranità .
Ecco il cuore del messaggio.
La decadenza, il modo in cui ci si è arrivati senza sottoporre la legge Severino a un approfondimento, la scelta del voto palese, la fretta con cui la sinistra si è accodata alle decisioni dei giudici rappresentano una resa di un potere dello Stato a un altro, la resa della politica alla magistratura, una anomalia democratica: “Cacciando me — ripete il Cavaliere che già prefigura il momento in cui scandirà queste parole — state consegnando voi stessi alla magistratura. Con questo atto vi state assumendo una responsabilità storica, rinunciando a rappresentare la sovranità popolare che si esprime nell’autonomia del Parlamento e limitandovi ad eseguire le decisioni della magistratura. Da questo momento i leader democratici li sceglierà non più il popolo ma i pm”.
Berlusconi non ha ancora deciso se l’arringa sarà lunga o breve. Ma ha deciso che sarà senza astio e senza troppi riferimenti a quello che in privato chiama il disegno di “magistratura democratica”.
Perchè solo un discorso “politico” può trasmettere il messaggio che quella che appare la fine di una storia diventi l’inizio di una “nuova battaglia per la libertà ”.
Solo così si può evitare “l’effetto Craxi” di un leader al suo ultimo discorso. Non è un caso che proprio “evitare l’effetto Craxi” sia stata la regola di ingaggio consegnata ai fedelissimi in vista di mercoledì.
Ma anche ai big del partito cui ha chiesto di portare fuori dal Senato e davanti a palazzo Grazioli “un po’ di gente”.
Avere il suo popolo fuori non è solo un modo per sentire il calore in una giornata che si annuncia gelida. Ma è anche un modo per non lasciare la piazza ai grillini, considerati gli eredi di coloro che tiravano le monetine di fronte al Rafael: “Non farò la fine di Craxi” ripete Berlusconi in questi giorni. Perchè “continuo a combattere, non mollo”. E “non scappo”.
E c’è un motivo se, di tutte le voci e le congetture che circolano in questi giorni vissuti da molti come la fine di un epoca ce n’è una che dà al Cavaliere particolarmente fastidio: le chiacchiere sulla fuga.
È invece un nuovo tempo della “battaglia di libertà ” iniziata nel ’94 il messaggio che vuole comunicare l’ex premier. A tutti.
Ai nemici di sempre, la sinistra che per Berlusconi — oggi come allora – usa le procure per eliminare i leader che non batte nelle urne.
Al Colle, non contrasta la violazione dei diritti oggi come allora, quando Giorgio Napolitano da presidente della Camera non pronunciò una parola sull’abuso delle carcerazione preventiva, anche di fronte ai suicidi, e rinunciò a difendere un Parlamento paralizzato dal tintinnar di manette. La “resa”, appunto.
Ma è un discorso col quale l’ex premier vuole scuotere le coscienze anche di coloro che allora stavano con lui, e oggi si sono accodati, buoni ultimi, al partito di Napolitano, come Alfano.
Non è un caso che negli ultimi giorni Berlusconi ha cominciato a leggere le mosse di Angelino sotto una nuova luce.
Angelino che parla di “partito degli onesti” quando Berlusconi scricchiola a palazzo Chigi, che diventa praticamente montiano nell’anno del Professore e lancia le primarie per “andare oltre Berlusconi”, Angelino che conduce le trattative con Letta per fare col governo ciò che non è riuscito a fare nel partito trasformandolo nella cabina di regia della scissione.
La decadenza ha scavato un solco tra i due.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
“ROMANI TROPPO MODERATO”: RINVIATA LA NOMINA DEL CAPOGRUPPO IN SENATO
È confermato e non ci saranno rinvii. 
Mercoledì 27 novembre Berlusconi decadrà da senatore. Se Palazzo Madama non dovesse fare in tempo ad approvare la legge di stabilità , i lavori verrebbero interrotti e ripresi giovedì.
La macchina è ormai avviata, il Pd non ammette colpi di freno e slittamenti: la settimana prossima il Cavaliere sarà un leader extraparlamentare e Forza Italia abbandonerà le larghe intese per passare all’opposizione.
Un passaggio che potrebbe avvenire anche prima, già martedì 26 novembre, in occasione del voto di fiducia sulla legge di stabilità autorizzato ieri dal Consiglio dei ministri.
In aula i forzisti faranno fuoco e fiamme, presenteranno ordini del giorno, mozioni per invalidare la decisione della giunta sulla decadenza, lo stesso Berlusconi potrebbe intervenire con un discorso roboante e tutto questo mentre fuori dal palazzo si svolgerà una manifestazione organizzata dal partito.
Tutti intorno al Cavaliere, appassionatamente, come se Forza Italia fosse veramente unita. Invece non lo è.
Il volo delle colombe verso un altro nido non ha portato pace e amore. È in atto una guerra all’ultimo sangue tra falchi, lealisti e coloro che prima della scissione venivano chiamati mediatori.
Tra questi c’era Paolo Romani che doveva assumere la carica di capogruppo pro tempore di Fi al Senato.
Berlusconi era d’accordo, poi ieri si è riunito il gruppo e sono volati gli stracci. Romani impallinato e fatto fuori dai falchi guidati da Nitto Palma, Bondi, Minzolini e dai lealisti come Bernini e Donato Bruno.
Riunione aggiornata a lunedì.
Cosa non va in Romani? Ha la colpa di essere stato troppo dialogante con i cugini che si sono separati.
Alla presidenza del gruppo Forza Italia, dicono gli impallinatori di Romani, ci vuole una personalità che interpreti in maniera più aggressiva la nuova fase all’opposizione. Motivazioni politiche dietro le quali si celano ambizioni personali di chi vuole fare il capogruppo e controllare il partito.
E anche su quest’ultimo terreno non mancano gli scontri all’arma bianca su chi farà il coordinatore nazionale.
I lealisti di Fitto, Gelmini, Carfagna e Polverini non vogliono in prima fila Verdini, Capezzone, Bondi e Santanchè.
I quali chiedono un profilo tutto d’attacco per Forza Italia, rischiando di aumentare l’emorragia elettorale e di dirigenti locali verso il Nuovo Centrodestra.
Tutti i «superstiti», così li ha chiamati il Cavaliere, temono di essere rottamati dalle nuove leve. Il Cavaliere li ha rassicurati: ci sarà un mix di vecchi e nuovi, un assetto da combattimento, perchè ci sarà molto da combattere.
«Io non mollo», è il mantra dell’ex premier che proclama la sua innocenza contro le sentenze. Lo proclamerà in aula fino al 27 novembre, poi in tv e nelle piazze.
Facendo crescere volti nuovi come Marcello Fiori, ex braccio destro di Bertolaso, che organizzerà il Club Forza Silvio.
Nuova linfa e giovani che ha incontrato ieri sera a cena, i ragazzi guidati da Anna Grazia Calabria. Sabato chiuderà la convention del movimento giovanile.
Sarà l’occasione per gridare la sua rabbia contro i magistrati, per dire «dovete fare ancora i conti con me».
Intanto non riesce a mettere d’accordo i superstiti.
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa“)
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
NEI CIRCOLI PUGLIESI RENZI AL 42% RISPETTO AL 33,6% DI CUPERLO, MA IL FEUDO D’ALEMIANO HA RETTO L’ONDA D’URTO
Per chi è cresciuto a pane e politica è un appuntamento di quelli che mai si potrebbero perdere. L’8 dicembre non è solo il giorno in cui il Partito Democratico sarà chiamato a scegliere il segretario nazionale tra Matteo Renzi, Gianni Cuperlo, Pippo Civati e Gianni Pittella.
In Puglia, è soprattutto il giorno dello scontro diretto tra i due titani del Pd di queste parti: Massimo D’Alema e Michele Emiliano.
Il primo capolista per Cuperlo, il secondo candidato a guidare la squadra del collega fiorentino. Entrambi nelle prossime ore ufficializzeranno le proprie candidature con il beneplacito di chi assapora già un congresso scoppiettante.
E nel tacco d’Italia, inevitabilmente, l’aria si fa frizzante.
Sia tra chi ha tentato invano di far desistere l’ex premier dal candidarsi per l’ovvio svantaggio di partenza e sia tra chi inizia a temere di non avere la vittoria in tasca come credeva.
La fase precongressuale, infatti, ha consegnato una geografia democratica decisamente rinnovata rispetto a qualche mese fa.
La Puglia si è scoperta renziana con un rotondo 42% rispetto al 33,6 raggranellato dallo sfidante. Il feudo dalemiano, però, ha retto l’onda d’urto del fiorentino sia a Bari che nel Salento.
Qui Gianni Cuperlo ha battuto di gran misura Matteo Renzi. Ed è proprio qui che, ora, scendono in campo direttamente i pezzi da novanta.
E l’animo con il quale vivono questo appuntamento è diametralmente opposto. Ironico e pungente Michele Emiliano, silenzioso e operativo Massimo D’Alema.
“D’Alema si candida? — commenta divertito il sindaco di Bari – ci sono rimasto malissimo. Pensavo si occupasse di cose più importanti”. In che senso? “Una persona che potrebbe fare il presidente della Repubblica o della Commissione europea, che perda tempo a candidarsi in una elezione primaria”.
Sebbene poco prima Emiliano avesse, senza ironia alcuna, definito Cuperlo “la provocazione di D’Alema, che una volta eletto segretario non avrebbe alcuna autonomia”.
Più moderata la virata arrivata in serata. “Non si candida contro di me — ha twittato il primo cittadino fumando il calumet della pace — Sarà un appassionato confronto”.
Dall’altro lato, invece, silenzio assoluto. D’Alema non si scompone e non lancia, per ora, frecciate al suo “avversario”, ma basterà attendere pochi giorni visto che in Puglia approderà non appena fischierà il novantesimo per la presentazione delle liste.
Gli ambienti a lui vicini, digerita questa discesa in campo diretta, fanno notare che ad essere stupito per l’altrui candidatura dovrebbe essere in realtà proprio l’ex segretario dei Ds, visto che quello dell’8 dicembre sarà il terzo appuntamento con l’assemblea nazionale che lui attende da Bari.
Le squadre dei quattro candidati sono a lavoro.
Fatte salve proroghe delle ultime ore — potrebbe slittare dal 25 al 28 la scadenza per la presentazione delle liste — le prossime saranno ore febbrili per completare le liste che dovranno far pendere la bilancia per l’uno o per l’altro.
I dalemiani serrano le fila per recuperare terreno. Non sono pochi i segretari dei circoli cittadini del barese e del leccese che avrebbero ricevuto dai maggiorenti del partito l’ordine di cambiare la rotta di navigazione, spostandola da Renzi a D’Alema rinforzando, con nomi convincenti, le liste cuperliane.
Cosa che crea non poche preoccupazioni in chi, ora, dovrà cercare di spiegare ai propri tesserati l’inversione di marcia. E naturalmente scatta il toto nomi in ogni provincia.
A Lecce i sostenitori del sindaco di Firenze hanno incassato il colpo.
A parte la quasi scontata candidatura del giovane renziano della prima ora, Paolo Foresio, per il resto le caselle sono ancora vuote.
L’area Franceschini e quella Letta non si sono dimostrate un forte sostegno nella prima fase del congresso. Spetterà , dunque, a Renzi in persona decidere se concedere loro ampio spazio come da accordi nazionali oppure sacrificarli per rinforzare la sua lista con nomi attinti dalla società civile.
In casa Cuperlo, spaccature a parte, il gioco è molto più semplice. Può contare su molti big del partito, a cominciare dall’avvocato Friz Massa.
A Brindisi, invece, il parlamentare renziano ed ex dalemiano Nicola Latorre dovrà battere la concorrenza dei consiglieri regionali Epifani e Amati.
“La cosa rilevante è che vinca Renzi. Quanto alle liste io ho minor talento per il Porcellum rispetto a Latorre”, commenta ironico l’ex assessore regionale che — fa notare — essere diventato renziano “già da quando si pensava potessimo finire a Guantanamo”.
Ancora in alto mare le liste nelle altre province. Quindi, si lavorerà alacremente per tutto il fine settimana.
La notizia della candidatura di D’Alema rimescola le carte e costringe i più a rivedere le bozze approntate fin qui. “La volpe del Tavoliere — commenta un alto dirigente — non ha nessuna intenzione di perdere il pelo”.
Mary Tota
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Novembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
IL NEOPRESIDENTE JOSEPH DAUL FRENA SUL VIA LIBERA AL PARTITO DEL CAVALIERE… IL PDL IN EUROPA DIVISO IN TRE TRONCONI
Forza Italia nel Partito popolare europeo? “Mia moglie dice sempre di riflettere prima di agire”. 
Parola del neo presidente del Partito popolare europeo, il francese Joseph Daul.
Già , perchè la resurrezione del primo partito di Silvio Berlusconi in Italia implica una sua collocazione anche all’interno delle grandi famiglie politiche internazionali.
Ma l’entrata nel Ppe non è certo scontata, sia per la forzosa convivenza con le altre formazioni risultanti dall’implosione del Pdl, sia perchè tra Berlusconi e Daul i rapporti non sono proprio idilliaci.
“Prenderò le decisioni che si devono al momento opportuno” ha dichiarato Daul, che ha aggiunto di stare “cercando di capire che cosa sta succedendo in Italia ma non ce l’ho ancora fatta”.
Il politico francese, precedentemente capogruppo dei Popolari al Parlamento europeo, è stato nominato presidente del Partito popolare europeo (raggruppamento che comprende 73 partiti di 39 Paesi) lo scorso 12 novembre a stragrande maggioranza, dopo la morte del belga Wilfried Martens.
Il suo consenso è quindi fondamentale affinchè un partito sia accolto all’interno del Ppe. E per quanto riguarda la rinata Forza Italia vige un grosso punto interrogativo.
Il rapporto tra Berlusconi e Daul si è incrinato lo scorso gennaio, in piena campagna elettorale per le elezioni politiche italiane.
I due ex amiconi hanno litigato dopo l’endorsement di Daul a Mario Monti del 16 gennaio: “Il candidato del Ppe è il signor Monti ma come sempre in Italia la situazione è molto complicata, perchè abbiamo anche l’Udc ed il partito di Berlusconi”, aveva detto a margine di una conferenza stampa.
Che Monti fosse la stella polare italiana del Ppe non era certo un mistero.
Era apparso evidente poche settimane prima, quando Monti era stato eccezionalmente invitato all’incontro dei capi di Stato e di governo Ppe a Bruxelles, riunione che tradizionalmente precede ogni Consiglio europeo.
L’appoggio pubblico di Daul a Monti, nonostante le rettifiche del giorno seguente, avevano fatto saltare sulle sedie gli eurodeputati Pdl e fatto andare su tutte le furie Berlusconi che, lasciando da parte il politically correct, aveva risposto: “Daul è semplicemente uno dei quattordici vicepresidenti del Ppe, evidentemente ha delle sue mire personali, parla tedesco meglio che francese, perchè è di Strasburgo.
Vorrà compiacere qualcuno in vista di una sua possibile carriera”.
Sta di fatto che Daul “carriera” l’ha fatta davvero, visto il passaggio dalla presidenza del gruppo politico più importante del Parlamento europeo a quella del Partito dei popolari europei, la formazione internazionale più grande del continente
Il resto è storia. La lista di Monti, nonostante l’appoggio europeo, non ha raggiunto il risultato elettorale sperato, mentre la coalizione di centrodestra di Berlusconi ha superato il 29 per cento.
Dopo l’abbandono di Mauro Mauro, passato a Lista Civica e poi diventato ministro della Difesa nel governo Letta, la delegazione Pdl al Parlamento europeo ha tenuto più o meno il colpo fino alla gemmazione di questi giorni di tre nuovi delegazioni: Forza Italia, Nuovo Centrodestra e Fratelli d’Italia.
Giovanni La Via, responsabile di dossier importanti come quelli sul bilancio europeo, non ha aderito a Forza Italia ed è stato nominato capo delegazione del Nuovo Centro Destra.
Il risultato è che ad oggi il destino di Forza Italia in Europa resta più che incerto.
Una possibile esclusione dal Ppe del partito di Berlusconi costituirebbe un caso quasi più unico che raro.
Solo due i precedenti: l’austriaco Joerg Haider e l’ungherese Viktor Orban.
Nel 2000 il primo vide il suo partito venir sospeso dal Ppe a causa di alcune dichiarazioni avventate su Bruxelles e posizioni ultranazionaliste (fu il premier spagnolo Josè Aznar ad imporre la linea dura).
Orban, è da mesi al centro di accesi dibattiti, anche in seno al Ppe, per la svolta autoritaria data all’Ungheria con il suo partito Fidesz.
Ma fino adesso l’ha fatta franca.
Alessio Pisanò
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