Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
IN GIRO PER ROMA DOPO IL COMIZIO, I RAGAZZI SPIEGANO: “PAGA TUTTO IL CONSIGLIERE SCIARRONE”
“Non siamo iscritti, ma è tutto pagato pure l’albergo Tutto a gratis”. In tre parole il racconto del viaggio con pernotto dei fan del Cavaliere accorsi per soccorrere il loro capo nel giorno della decadenza da senatore.
Palazzo Chigi alla loro destra, la Galleria Sordi a sinistra. Un gruppo di giovani sostenitori di Silvio Berlusconi avanza in ritirata, lungo via del Corso, dopo il comizio e commiato da senatore del loro leader.
Cantano e ballano, non sembrano dispiaciuti per il “colpo di stato”, la “morte della democrazia”. Per loro, i giovani con bandiere e vessilli, la storia è diversa.
Qualcuno intona un “Viva la patata, viva la patata”, esplicito riferimento goliardico al sesso femminile mentre i turisti imbambolati osservano l’invasione pacifica.
È l’età del divertimento, il tempo per le rivendicazioni arriverà . Si fermano per raccontare la loro giornata, il video è sul fattoquotidiano tv. “Veniamo da Gioia Tauro, Calabria”.
Un lungo viaggio per sostenere il leader abbattuto dalla magistratura comunista e dalla sinistra giacobina. “Quando ripartiamo? Domani o la mattina o il pomeriggio”. Spaesati sulla tempistica, sono più pronti a raccontare altro: “Il consigliere provinciale Rocco Sciarrone ha organizzato tutto, questa sera dormiamo a Roma, tutto gratis”. Sciarrone è consigliere provinciale a Reggio Calabria, eletto con il Pri a sostegno del centrodestra, ed ha organizzato, raccontano i ragazzi, il tour per la democrazia.
Ma dove dormono i gladiatori della libertà ? “Non ricordiamo, è un poco fuori Roma, però dicono che è bello, uno dei migliori alberghi”.
Poi rammentano: lo Sheraton golf club. Niente male, 4 stelle.
C’è l’ultima domanda da porre ai giovani se sono iscritti a Forza Italia, la risposta degli intervistati è “No”.
Ci sarà tempo per farlo. Un racconto che ha trovato conferma, visto che il Fatto Quotidano ha riscontrato la prenotazione all’albergo.
Mentre la democrazia muore i giovanotti si trastullano per la vacanza “a gratis” e si godono la notte romana.
Nello Trocchia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
QUANDO MUSSOLINI PARLAVA DA PALAZZO VENEZIA, VIA DEL PLEBISCITO ERA RISERVATA AL PARCHEGGIO DELLE AMBULANZE…. LA CARICATURA DI UNA PIAZZA PER UNA CARICATURA DELLA DESTRA
Pigiati come sardine sembriamo centomila, ma siamo meno di mille, la parodia di una folla oceanica nel
budello stretto e corto di via del Plebiscito.
E siamo addossati al palco dal quale lui con la pacchiana uniforme tutta nera di pingue “drag queen” del bunga bunga, celebra il “momento fatale” come «lutto della democrazia».
Non “Forza Italia” dunque ma “Senza Italia” è l’inno che solennizza, tanto per parodiare Stefan Zweig, la data storica, l’ora stellare e il minuto vertiginoso: le 17.43 del 27 novembre 2013: «Non lo dimenticherò mai».
Dunque la Decadenza, l’avvenimento che tutto decide e tutto dispone, è subito parodia, ma più di Dita Von Teese, la regina del Burlesque, che di Napoleone, l’eroe sconfitto a Waterloo.
Anche via del Plebiscito è la caricatura di una piazza. Non è neppure un palcoscenico, ma è una ridotta, un foyer che sembra affollato anche quando non c’è pubblico come stasera.
E infatti questo è il luogo che il fascismo riservava al parcheggio delle ambulanze (“lettighe” le chiamavano) durante le adunate (vere) nella vicinissima piazza Venezia.
Ed è parodia anche la gioia armata che Berlusconi esibisce subito: «il Senato è di sinistra» grida «e ha ordinato al tempo di fare freddo». E lo dice per sottolineare che è qui senza cappotto.
Sa che le telecamere inquadreranno lui che sfida il gelo e poi, per contrasto, la folla tutta imbacuccata, con i colli incassati nei toraci: è un cartoon orrendo che dà la sensazione della patacca, della maschera di cera.
L’ho guardato attentamente, con il vecchio binocolo del cronista, e soprattutto quando è sceso e la sua devota fidanzata, che per tutto il tempo del comizio aveva inalberato il cartello «oggi decade la democrazia », gli ha baciato la mano. Ebbene, sotto il girocollo nero, si intravede qualcosa di molto aderente, non la maglia della salute ma una più efficace muta Mares da sub che è l’ultima grottesca trovata per parodiare Superman.
Gli slogan sono i soliti ed è stato anzi un po’ fiacco quando ha attaccato le istituzioni italiane soprattutto «la magistratura che soggioga il Parlamento». Sembrava una copia, sbiadita dalla carta carbone, della manifestazione di agosto, nello stesso posto e con la stessa gente. Mancavano solo le lacrime e il respiro che gli tagliava la gola.
Erano identici anche i trucchi di regia del potente pretoriano Roberto Gasparotti (ancora quello della calza) che si sta applicando con passione a truccare come oleografie televisive le ultime cartucce del padrone.
Dunque anche ieri sera la telecamera montata sul braccio mobile, – si chiama jimmy jib – si allontanava piano piano e, dando l’effetto di profondità , moltiplicava le teste della folla. Se fosse dipeso da lui, ieri sera Gasparotti avrebbe disposto un diluvio di fuochi d’artificio (finti) per illuminare il sublime istante dell’uomo dalla finta natura indomita.
Di sicuro questo exit di tricche e ballacche non ha precedenti e paragoni storici nazionali, nè Cola di Rienzo nè Machiavelli nè Mussolini, nè Craxi, non gli uomini delle Signorie e neppure i Cincinnato della storia romana: solo le sceneggiate dei caudilli sudamericani deposti, forse la corruzione di Mubarak e le amazzoni di Gheddafi. Insomma non c’è il codice italiano, non c’è l’Italia.
Ma la parodia più comica è quella dei Comitati di salute pubblica o forse dell’esercito della salvezza: «Faremo in tutta Italia i club che hanno voluto chiamarsi “Forza Silvio”, e mille saranno pronti già il prossimo otto dicembre, evviva ».
È il carnevale dell’insurrezione: «saranno soldati», «saranno missionari», e anche questa è la smorfia del codice estremista.
Fa appunto il verso alla rabbia degli antagonisti, dei no global, dei no tav, dei grillini. E infatti anche qui, a sorpresa, denunziano «la polizia che reprime », e «hanno portato via un nostro manifesto con su scritto “colpo di stato”», e «hanno bloccato i pullman fuori Roma» e «ci boicottano » e «attenti ai provocatori» … sino al paragone tra magistratura e Brigate rosse.
L’idea era ben fissata nei cartelli che alcuni sparuti manifestanti ieri tristemente inalberavano fin dal mattino, «Berlusconi è prigioniero politico delle Br», mentre da Palazzo Grazioli ogni tanto qualcuno spostava le tende bianche per guardare cosa accadeva nel budello e allora c’era sempre quello che gridava «eccolo, eccolo» e giurava di averlo visto e di avere pure visto sullo sfondo la donna che ama «che se ne stava lì con Dudù in braccio …».
È un delirio di macchiette che vedono quello che vogliono vedere, gridano al golpe ma fanno ciao alla telecamera, sono ancora una volta parodie, persino del mattoide Paolini. È un raduno di spennacchiati e di ex ministri, tutti sotto il palco: la Prestigiacomo, la Gelmini, Brunetta, la Santanchè, Verdini, Capezzone, Mantovani paradossalmente sembravano persone normali abbracciati e baciati dai mostri di Dino Risi che, brandendo cellulari, volevano la foto con il semivip della politica.
Per me che ero presente nel giorno in cui Berlusconi esordì a Roma, al suo primo comizio nella capitale nel febbraio del 1994, «a portare – disse – la luce come gli elettricisti» e si muoveva sul palco imitando Frank Sinatra, il paragone tra l’entrata e l’uscita di scena è obbligato, imposto dalla memoria.
Ebbene, quel che mi colpisce non è la decadenza sua, ma del suo mondo.
L’Italia con la cravatta è scappata via, al posto di quel vigoroso terriccio vegetale di commercianti, professori, industriali, viaggiatori di commercio, avvocati, ufficiali e magistrati, qui ci sono solo le caricature che, certo, sono tipiche dei comizi, di tutti i comizi: c’è quello che si spoglia, una è vestita da fuoco, e viene avanti una signora avvolta in tre bandiere … insomma sono i soliti mattoidi italiani.
Ma il punto è che qui ci sono solo loro, niente più lettori di libri, sono andati altrove gli uomini in completo di Brooks che passavano un mese al mare, prenotavano la settimana bianca, rispettavano il matrimonio, arrossivano quando li scoprivano con l’amante, quelli che vestivano all’inglese o alla marinara e portavano i colori del reggimento della Fininvest come medaglie (la cravatta, le nacchere, la coccarda…).
Ecco, è questa la vera decadenza, oggi l’Italia di Berlusconi è l’Italia degli avanzi, residuale, una specie di lumpenborghesia marginale come i falchetti – pappagalli che neppure si mobilitano per lui, sono solo un fenomeno di casting, non simboli della rigenerazione ma della degenerazione.
D’altra parte, nonostante i giornali di Berlusconi celebrino appunto il momento fatale qui la caduta di Bisanzio è una miserabile condanna per frode fiscale confermata dalla Cassazione, Wellington è nientemeno il giudice “Vabbuò chillo nun poteva nun sapere”, e fa ridere Brunetta nel ruolo di Dostoevskij “l’hanno strappato al sonno di notte, clangore di sciabole nelle casematte” e la Santanchè è ancora e sempre parodia della Marsigliese, la sua nuova Forza Italia che ricomincia da oggi fa la smorfia al calendario della rivoluzione francese quando i mesi divennero Brumaio, Ventoso …. Ecco, nella riforma del calendario della Santanchè, il novembre della Decadenza diventerà il Ricomincioso.
Francesco Merlo
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
L’ADUNATA NON È UN SUCCESSO… ANCHE L’ORGANIZZAZIONE È POCA COSA: CI SONO MOLTI CAMPANI, POCHISSIMI MILITANTI PROVENIENTI DALLA CAPITALE…. UNO DICE: “TRADITO COME GESÙ”
Che delusione, che grandissima delusione.
Erano arrivati da Sant’Antimo, Napoli, chiamati da Giggino ‘a Purpetta il loro leader, si erano arrampicati da Nardò e da Mesagne organizzati da Raffaele Fitto, falco in servizio permanente effettivo e aspirante vicerè delle Puglie, dalla Toscana (pochi) portati da Denis Verdini, finanche dalla Calabria (minoranza sparuta, visto che il grosso delle truppe berlusconiane Giuseppe Scopelliti, Peppe dj, padrone della regione, lo ha portato in omaggio agli alfaniani), insomma avevano marciato su Roma nel giorno più nero per Silvio ed è finita con le candele in mano.
Come a un funerale.
Che non ci fosse aria di chiamata alle armi lo si era capito fin dall’inizio. Un gruppo aveva attaccato uno striscione proprio sotto palazzo Grazioli con la scritta “È un colpo di Stato”, glielo hanno fatto togliere, subito, di corsa e senza discussioni.
Qualcosa non ha funzionato nel “nuovo” partito di Silvio, da Roma non si sono capiti bene con quel che resta dei gerarchi locali.
Che avevano preparato torpedoni, pranzi al sacco e striscioni, bandiere e parole d’ordine.
Un florilegio di accuse. “Napolitano come Stalin, Grasso uguale alla Boccassini, Alfano finito nel tritacarne”. Tanti con “oggi muore la democrazia”, “è un golpe”. Uno aveva fatto un fotomontaggio con la foto di Aldo Moro dietro il simbolo delle Br nella prigione del Popolo, sostituendo l’immagine del leader Dc con il volto di Silvio. Un altro agitava un cartello “Schifoso Schifani”, un gruppo esponeva uno striscione enigmatico: “Lupi confessa”. Cosa non si è capito.
“Sono traditori, hanno mangiato per anni alla tavola di Berlusconi e ora gli voltano le spalle”. “Gente che non era nessuno, non valeva una lira, si è ritrovata presidente del Senato, e ora ha accoltellato Silvio alle spalle”.
Il riferimento è a Renato Schifani. “Ma lei lo sa cosa faceva quel grandissimo c…to prima di incontrare Silvio?”, ci dice urlando un fedelissimo di Berlusconi arrivato dalla Sicilia (in mano la bandiera di Grande Sud, quella del figliol prodigo Gianfranco Miccichè). Non lo sappiamo. “L’autista, il portaborse di un sindaco Dc”.
Umori neri, rabbia, capannelli che discutono di articoli della Costituzione e di legge Severino come al Bar dello Sport, ognuno ha la sua ricetta, la sua formazione ideale. No, qualcosa non ha funzionato nel nascente partito dei club.
Si chiamerà Forza Italia, o forse Forza Silvio, chissà ? Per il momento tutto nei filmati trasmessi dai maxi-schermi, parla del passato.
Berlusconi nel ’94 , il Paese che amo, le vittorie, la sinistra sconfitta… sì, ma oggi, e soprattutto domani?
Anche le musiche sono tristi. Gli altoparlanti mandano l’inno di Forza Italia, il refrain ripete che “la sfida è dura ma la vinceremo noi”, e quelli in piazza, accalcati sotto palazzo Grazioli, non capiscono che la madre di tutte le battaglie l’hanno già persa: il loro amato leader, stanco come non mai, spompato, perso in parole d’ordine che non entusiasmano più nessuno, non è più in Parlamento.
“È come Gesù tradito da troppi Giuda”, dice un giovane militante con l’asta della bandiera di Forza Italia ricoperta di palme. “Presidente, siamo tutti con te”. Chi siete? “Circolo di Forza Italia della IV Municipalità di Napoli, zona Poggioreale”.
Il Cavaliere li vede e fa gli scongiuri, a Poggioreale c’è il carcere.
Quando lui, Silvio sale sul palco gli amplificatori sparano l’Inno nazionale. “Siam pronti alla morte…”. Ma chi?
La piazza ha freddo, Silvio non è in forma. Parla e parla ma non attacca mai Napolitano, Alfano, i traditori.
Finisce così, con i ceri che in pochi accendono e in pochissimi trascinano fino al Senato.
Dove qualcuno brinda (i 5Stelle), altri si fanno i loro conti (Pd e alfaniani), altre, le senatrici amazzoni del Cavaliere, sono di nero vestite.
A lutto.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
DA UNA PARTE IL “BRUNELLESCHI DEL VENTESIMO SECOLO” E UN PREMIO NOBEL PER LA FISICA, DALL’ALTRA CORTIGIANI MIRACOLATI SENZA UN MESTIERE… “ESSERE ATTACCATO DA BONDI E GASPARRI E’ SUBLIME, PURA BEATITUDINE”
«Vergogna!». L’urlo dei senatori di Forza Italia contro Renzo Piano, Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo
riassume da solo il senso di vent’anni all’insegna del rovesciamento d’ogni valore.
È la frase storica di una giornata che non ne ha prodotta nessuna. Proviamo a guardarla, la scena, con occhi stranieri.
Come la vedono nel resto del mondo civile, non assuefatti come i nostri da decenni di talk show dove tutto è uguale a tutto.
Da una parte stanno un genio dell’architettura, il “Brunelleschi del ventesimo secolo” (New York Times), un premio Nobel per la fisica degno erede della tradizione di Enrico Fermi e una ricercatrice stimata nei circoli scientifici internazionali.
Dall’altra un pugno di cortigiani miracolati senza un mestiere, ben rappresentati da Bondi e Gasparri, felici di riverire un padrone già piduista, datore di lavoro di boss mafiosi, ora condannato in via definitiva per frode fiscale, in primo grado per prostituzione minorile, sotto processo per corruzione di giudici e politici, considerato un «clown» da mezza stampa mondiale. E questi dicono a quelli «vergognatevi!».
«Sublime» l’ha definito Piano, a ragione.
Nella logica sotto-culturale del berlusconismo il tutto, s’intende, non fa una piega. Se Berlusconi vincerà ancora, probabilmente avremo una via di Palermo intitolata a Vittorio Mangano, eroe.
E se il capo mandamento di Porta Nuova e killer della mafia è un eroe, ne consegue che un premio Nobel debba vergognarsi, e noi con lui.
L’odio viscerale dei berluscones per chiunque si ostini a onorare il nome dell’Italia nel mondo è del resto antico quanto il berlusconismo.
Prima di Rubbia e Piano, il bersaglio preferito degli strali dei cortigiani di re Silvio era Rita Levi Montalcini, anche lei macchiata da un premio Nobel.
«Una vecchia rimbambita », «le porteremo le stampelle a casa» (Storace), «è molto meglio Scilipoti di quella là » (Bossi).
La gloria scientifica, in effetti, rischia di rovinare all’estero la solida fama degli italiani come puttanieri, mafiosi, frodatori del fisco e corrotti, che per fortuna altri personaggi pubblici continuano a tenere ben alta e con malcelata fierezza.
È questo disprezzo per l’eccellenza ad animare il livore sempiterno dei berluscones. Naturalmente poi bisogna cercare un pretesto.
In questo caso si sono scagliati contro le troppe assenze dei senatori a vita, che pure in media sono stati presenti alle votazioni del Senato molto più del loro beneamato leader Berlusconi.
Il quale, peraltro, non ha neppure l’alibi di essere impegnato in studi cruciali per il futuro dell’umanità come Rubbia, o di avere una dozzina di cantieri aperti in tre o quattro continenti, come Piano.
Per quanto, certo, il bunga bunga prenda un sacco di tempo e di energie.
Il rovesciamento della realtà e dei valori è del resto tanto più efficace quanto più è radicale e insistito. Con l’aiuto dei talk show siamo, infatti, l’unica nazione nella storia della democrazia che sta discutendo da mesi se è proprio il caso di interdire dalle cariche pubbliche un delinquente.
Si tratta del capolavoro finale dell’egemonia culturale berlusconiana di un intero ventennio.
La totale perdita di senso delle parole.
“Vergogna” nel dizionario italiano, “è il turbamento o il timore che si provano per azioni sconvenienti, indecenti, indecorose che sono o possono essere causa di disonore e rimprovero”. Ma è evidente che ormai lo Zingarelli, così come la Costituzione, è vecchio e va riscritto.
Curzio Maltese
(da “La Repubblica”)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
NEL GIORNO DEL GIUDIZIO ANCHE CHI INDOSSAVA IL LUTTO
Nessun applauso, nessun grido accoglie alle 17,43 di un plumbeo mercoledì le parole del presidente Grasso che annuncia burocraticamente “la mancata convalida del senatore Silvio Berlusconi, proclamato eletto nella Regione Molise”, una formula gelida e spenta che riduce il leader di Forza Italia a semplice rappresentante dei molisani.
Anzi ex, da quel preciso momento. Paolo Romani si attacca al telefono. La segretaria-senatrice Mariarosaria Rossi si rimette il golfino nero. Sandro Bondi si fruga nelle tasche.
Non c’è la drammaticità dell’espulsione, nè lo schiaffo della decadenza, solo una fredda “mancata convalida”: l’uomo che fu il più potente d’Italia in un attimo scivola via in silenzio e senza farsi vedere da quel Parlamento che voleva riformare perchè faceva solo perdere tempo al suo governo.
Nessuno si aspettava che il B-Day, il giorno del giudizio che gli uomini del condannato sono riusciti a rinviare per quattro mesi, alla fine si consumasse con un rituale stanco e sfilacciato.
Ma il fatto che tutto fosse già stato detto – e che il voto palese togliesse ogni incertezza all’esito dell’ultima disperata battaglia – non esentava i pretoriani del Cavaliere e i berlusconiani di complemento dal compito di difendere una trincea ormai perduta.
Così la seduta tanto a lungo rinviata e tanto a lungo temuta si apre con i senatori di Forza Italia che rimettono in campo uno dopo l’altro tutte le argomentazioni contro la decadenza: la norma è retroattiva, la legge è incostituzionale, bisogna aspettare la Corte europea, non si può votare a scrutinio palese.
Ma quando il presidente della Giunta per le elezioni, Dario Stefà no, spiega all’aula come si è arrivati alla proposta di far decadere Berlusconi, il fedelissimo Sandro Bondi dopo un po’ non ce la fa più e sbotta: “Basta! Senatore Stefà no, lei è un azzeccagarbugli!”.
Bondi è elettrico, ha deciso che qualcuno deve pagare per questo insopportabile affronto ed è venuto in aula con il coltello tra i denti.
Quando si trova davanti a Formigoni gli grida “Vergogna!”, e se non li separassero in tempo i due arriverebbero alle mani.
Dirà più tardi la senatrice Annamaria Bernini che “oggi non è un 25 aprile, come pensa la sinistra, ma l’8 settembre delle istituzioni”.
In realtà , tra i banchi di quello che fu il Pdl si respira più un’aria da 25 luglio. E infatti Alessandra Mussolini, la nipote del duce, parla apertamente di “tradimento”. Chiama Alfano “il piranha”, ma anche “Al-Fini”, che per lei è un’offesa mortale.
Si rivolge a Lupi, “il cui cognome è tutto un programma” a grida ai “poltronisti” traditori: “Io non avrei accettato il vostro appoggio, ipocriti!”.
Ascoltandola, Bondi salta in piedi: “Brava!”. Poi vede arrivare in aula Renzo Piano, e chiede subito la parola. Per chiedere “se è moralmente opportuno e accettabile” che quel senatore a vita che lui ha visto poco a Palazzo Madama “si presenti oggi per votare sulla decadenza del presidente del centrodestra italiano”.
Una domanda alla quale lui ovviamente ha la risposta: “Vergogna!”. Gasparri, che è nei pressi, si accoda subito: “Piano non è mai venuto in aula!”. Poi, fuori dall’aula, ringhia: “Quello è venuto solo per l’esecuzione. Come architetto mi tolgo il cappello, ma come politico può lustrarci le scarpe, che sono impolverate”.
A loro, l’archi-star dà una lezione di eleganza zen: “Essere attaccato da Bondi e da Gasparri è sublime. Pura beatitudine”.
Poi è una raffica di avvertimenti alla sinistra, la sequenza degli interventi del centro-destra. D’Anna (Gal) paragona Berlusconi nientemeno che a Nelson Mandela e alla Timoshenko. Minzolini profetizza una resurrezione del Cavaliere: “Si pensa di eliminare un avversario ma lo si trasforma in un martire se non in un eroe”. La Bernini arriva a citare (molto liberamente) Bertold Brecht: “Prima toccò ad alcuni, poi ad altri, e alla fine verranno a prendere anche noi”. Lei si considera già in lutto, e per questo è venuta in aula di nero vestita, come altre quattro senatrici (Alberti Casellati, Rossi, Bonfrisco e Rizzotti, ma non la Mussolini che con il nero ci va cauta) anche loro in total black funebre.
Eppure non c’è tensione nell’aula, almeno fino al momento in cui la grillina Paola Taverna parte in quarta elencando tutti i reati per i quali il Cavaliere è stato indagato, processato o condannato.
Per arrivare rapidamente a una conclusione perentoria: “Il senatore Berlusconi, anzi il signor Berlusconi, è un delinquente abituale e recidivo!”. Apriti cielo.
“Dillo agli italiani che lo votano” grida Manuela Repetti. “E’ un senatore della Repubblica!” protesta Malan. “Basta, sono sette mesi che li sopportiamo, questi grillini” urla Cardiello.
Il resto era già scritto. L’orgogliosa difesa del capogruppo del Pd, Zanda, della scelta di far applicare la legge Severino (“E’ la prima volta nella mia vita che sento definire colpo di stato il rigoroso rispetto della legge e delle sentenze”).
La scelta della Lega di restare accanto all’alleato condannato, votando contro la decadenza.
E anche l’assedio finale al presidente Grasso, al quale prima Malan, poi Nitto Palma, quindi Compagna e infine Bruno chiedono con ogni motivazione possibile il voto segreto.
Ma lui risponde no, no, no, no. “Si assuma la responsabilità di dirci di no” insiste Caliendo.
“Ma quante volte me la devo assumere, questa responsabilità ?”, domanda spazientito il presidente.
Anche Bondi getta la spugna: “Cari amici, non serve a niente. Hanno già deciso”. Alla fine si vota non sulla decadenza, ma sugli ordini del giorno che contestano la proposta di decadenza decisa dalla Giunta.
Vengono bocciati tutti, l’ultimo per 192 a 113, con due astensioni.
E allora, in un silenzioso brusìo, Grasso legge la formula prevista dal regolamento: “Si intendono pertanto approvate le conclusioni delle Giunta, nel senso di dichiarare la mancata convalida…”. Così, alle 17,43, Berlusconi diventa un ex senatore.
Sebastiano Messina
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
UNA LUNGA OPPOSIZIONE POTREBBE PORTARE A UN LENTO DECLINO, MA LE CONDIZIONI DI UNA SPALLATA NON CI SONO
Alle elezioni a breve non crede più. Perchè le condizioni di una spallata non ci sono. 
E c’è un motivo se Silvio Berlusconi, appena finito il comizio, spiega ai suoi che l’appuntamento vero sono le Europee: “Siamo in campagna elettorale. Ora dobbiamo usare questi mesi che ci separano dalle europee per organizzarci”.
La speranza è che quel voto ci sarà la grande conta tra paese reale e maggioranza del governo Letta.
Il Cavaliere confida che Forza Italia andrà benissimo così come andranno benissimo Grillo e Renzi.
E il risultato di quelli che nel suo discorso ha definito i leader reali rappresenterà un avviso di sfratto per Letta.
Non è dato sapere il confine tra auspicio e strategia. Epperò, a parlare con la cerchia ristretta del Cavaliere, si capisce che stavolta qualcosa sia cambiato.
Berlusconi teme che una lunga opposizione possa accompagnare un lento declino.
E che possa trasformarsi in una traversata nel deserto diversa dalle altre. È la prospettiva ad essere avvolta nelle nebbie dello sconforto di una giornata “tra le più brutte che io abbia vissuto” (così si è sfogato coi suoi).
Perchè stavolta non è come ai tempi del Prodi 1 o del Prodi 2. Stavolta c’è la certezza che al termine della traversata non sarà comunque il candidato a palazzo Chigi.
È questo alone triste di fine di un’epoca il fardello più pesante da reggere.
Stanco al punto da accettare il consiglio dei familiari e del medico Zangrillo di annullare tutto e rientrare ad Arcore, il Cavaliere riempie la giornata di gesti e parole tutti tesi ad esorcizzare quel senso della fine che vive come un incubo.
Non è un caso che il discorso sia tutto calibrato per evitare l’effetto Craxi e mostrarsi ancora come un leader in campo.
Che c’è e ci sarà .
Anche i toni sufficientemente pacati verso Alfano o la mancanza di attacchi al Colle sono un modo per non apparire vittima del rancore, perchè in una giornata del genere il rancore avrebbe comunicato l’idea di un leader colpito a morte.
A fine giornata l’ex premier blocca pure un’iniziativa venuta in mente alla Santanchè nel lungo pomeriggio passato in San Lorenzo in Lucina.
L’idea prevedeva una fiaccolata di tutti i parlamentari al Quirinale per chiedere udienza al capo dello Stato, modello un po’ sit in, un po’ processione del venerdì santo.
Roba da cacciare gli amuleti scaramantici dai cassetti.
Al posto di ogni forma di protesta davanti al Colle, viene dato mandato ai capigruppo di chiedere al capo dello Stato un incontro con una delegazione di parlamentari.
È in quella sede che sarà formulata nuovamente la richiesta di un confronto in parlamento e di un voto di fiducia sul governo perchè “il quadro politico è cambiato” e il voto sulla legge di stabilità non può considerarsi esaustivo.
Un’iniziativa che nella consapevolezza dei promotori avrà effetti nulli, visto che la posizione del Quirinale è nota. Tuttavia tutto serve in questa fase per aggiungere fascine nel gran falò dell’opposizione.
È necessario tenerla viva, animare le truppe col miraggio della spallata. Anche perchè la traversata del deserto stavolta è piena di rischi.
Al momento il gruppo dei senatori si muove come una falange, ben controllata e gestita da tutte le vecchie volpi che stanno a palazzo Madama.
Ma sul lungo periodo chissà . Cresciuto alla scuola del Cavaliere, Alfano ha imparato a utilizzare le lusinghe del potere per attrarre nuovi compagni di viaggi.
Si vedrà . Alle 17,43 quando le agenzie battono la notizia della decadenza, Berlusconi è palazzo Grazioli.
Affettuosissimo con tutti i parlamentari che vanno in processione a trovarlo, li abbraccia, ringrazia per “tutto quello che state facendo per me”, a ognuno una parola buona: “Mi raccomando, siamo in campagna elettorale. Ci aspetta un lavoro straordinario”.
Augusto Minzolini, all’uscita, non ha dubbi: “La sinistra ne ha fatto un eroe. Oggi vinceremo le elezioni”.
Oggi. Domani chissà .
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
“LA NOSTRA LINEA E’ QUELLA DI NON RISPONDERE”: E I SENATORI SONO AUMENTATI DA 30 A 32
Da una parte Alfano, in pubblico “La nostra linea è quelle di non rispondere” (alle critiche, durissime, ndr.) dice in chiaro durante la conferenza stampa. Dall’altra Alfano, in riunione interna. “Mi raccomando, non rispondete alle provocazioni, da qualsiasi parte provengano, non cadiamo nel loro gioco”.
Il leader del Nuovo Centro-Destra, nonchè vicepremier e ministro dell’Interno, Angelino Alfano, esprime davanti ai giornalisti e impartisce all’interno questa e solo questa ‘consegna’.
Primo motivo: tenere a freno i suoi deputati e senatori (che, da trenta, sono già diventati 32: uno dei nuovi acquisti è Ulisse Di Giacomo, molisano di Isernia che subentrerà , in qualità di primo dei non eletti, e con sua somma gioia, al Cavaliere…) dopo il voto che ha sancito, una volta per sempre, la decadenza del senatore Silvio Berlusconi.
Le ‘provocazioni’ contro gli alfaniani arrivano, infatti, da una sola parte: i berluscones duri e puri, gli azzurri in servizio permanente effettivo, che parlano, a botta calda, di “disgusto” e “ipocrita messa in scena”, come li scudiscia Sandro Bondi, o di “favole” cui “non credono neppure loro, Alfano, Schifani e gli altri”, come li mette in guardia Renato Brunetta.
Convocati nella saletta della commissione Difesa di palazzo Madama appena dopo il voto dell’aula e poco prima che inizi la conferenza stampa con cui Alfano esprimerà da un lato tutto il suo ‘dolore’ politico e umano per una giornata che segna “una pagina nera e buia della democrazia”, i parlamentari del Nuovo Centro-Destra e la loro compagine ministeriale (Lupi, Di Girolamo, Lorenzin, Quagliariello) hanno facce buie e corrucciate come a voler mostrare, loro e Alfano, dolore, ira e sgomento.
Il guaio è che la ‘messa in scena’ non riesce benissimo.
Saranno anche tristi, gli ‘alfaniani’, e sinceramente ‘addolorati’ per il triste destino cui sta per andare incontro il loro (ex) leader, ma la ‘pratica’ decadenza non vedevano l’ora finisse alle spalle, con tanti saluti e auguri alla ‘nuova’ Forza Italia.
Persino lo stesso Alfano -incalzato dalle domande dei giornalisti che vorrebbero sapere di assetti di governo, legge di Stabilità , rapporti col Pd – a un certo punto dell’incontro si rende conto che quando troppo è troppo, pure nel genere ‘carità pelosa’ e annuncia che “domani vi riconvocheremo per una nuova conferenza stampa sui temi politici…”.
Certo, il documento ‘politico’ messo a punto dai gruppi parlamentari di NCD letto, durante la conferenza stampa, dal neocapogruppo al Senato, Maurizio Sacconi, ripreso dal suo omologo alla Camera Enrico Costa e dall’ex capogruppo Pdl, Renato Schifani, intervenuto in Aula per NCD, e poi dallo stesso Alfano riassume una ‘tiritera’ ant-giudici, anti-toghe rosse e teoria del Grande Complotto’ ordito dalla sinistra ‘comunista’ già ai tempi di Tangentopoli e di Mani Pulite che avrebbe reso orgoglioso, solo pochi mesi fa, Berlusconi, ma ieri risuonava più come moneta falsa e mendace. Una sorta di ‘tributo delle armi’ al Cavaliere ormai isolato e sconfitto, pronti – gli alfaniani – a voltare pagina e vogliosi di occuparsi di ben altro, a partire da quel governo di cui loro fanno parte e Forza Italia non più.
Certo – nota, a latere della conferenza stampa di Alfano, il saggio e pacato (oltre che ex relatore del caso Berlusconi in Giunta) Andrea Augello – “anche Silvio ha dato un chiaro ordine ai suoi: ‘non spingere’ troppo il pedale sulla rissa e la polemica. Lo si è visto dall’atteggiamento dei lealisti in aula. Volendo, Bondi, Mussolini e molti altri potevano mettere in campo un cinema, tenerci ore a discutere, invece hanno limitato al massimo gli interventi e sono corsi a Grazioli. Avevano ricevuto l’ordine di stare calmi” chiude Augello, a giustificare il ‘clima’ da funerale comune a molti (forzisti e alfaniani), in Aula, ma resta il punto.
Il Nuovo Centro-Destra, che si è anche riappropriato del suo nome (Italo Bocchino, che lo aveva registrato, glielo ha gentilmente restituito…) ma va ancora cercando simbolo e sede, è tutto proiettato e concentrato sull’azione di governo, le riforme, il futuro e la mega-convention che, il 7 dicembre, terrà nei mega-studios di Tiburtina. Tanto che Paolo Naccarato alla provocazione dei renziani (“Nel Pd siamo 300, loro sono trenta…”) replica con una battuta sprezzante ma indicativa: “senza i nostri trenta i loro trecento non contano un c…” (nel senso che il governo non durerebbe). Berlusconi, per Alfano e i suoi, è ‘solo’ il passato.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
NESSUNO AVEVA AVVERTITO BERLUSCONI DEL RITARDO DEL VOTO AL SENATO, LUI FINISCE IL COMIZIO MEZZ’ORA PRIMA DEL VOTO A PALAZZO MADAMA
Più che un colpo di stato doveva essere un colpo di teatro. 
La sfida in diretta di Silvio Berlusconi al voto, al destino e alla decadenza.
Da Palazzo Grazioli a Palazzo Madama. Ma stavolta la regia ha fallito sul più bello.
E quando è giunta la notizia del verdetto del Senato, il protagonista della tragedia era già sceso dal palco.
Hanno votato? E’ decaduto? Quanti? Come? Pronto, mi senti?
La signora col barboncino bianco tra le braccia sorride soddisfatta: “Questa è Kyra, la fidanzata di Dudù. Gliel’ho appena presentata e lui ha fatto ciao con la mano”.
Ma è sicura? “Eccome, no?”. Potenza dell’immaginario, e della smorfia.
Perchè c’è pure chi annota i numeri, per la ruota di Roma: 16 e 44 (inizio del discorso); 17 e 17 (fine del discorso); 17 e 43 (la decadenza).
E mentre Silvio stringe ancora mani, in doppiopetto e maglioncino di cashmere girocollo, il signore che mi sta accanto rimette in tasca il foglietto e tenta una sintesi della storica giornata: “Hai visto mai ci scappa una quaterna!”.
Il prologo al comizio, nella drammaturgia studiata dall’ignoto regista che poi sbaglierà la tempistica dell’ultima scena dell’ultimo atto, è una celebrazione del ventennale per immagini, che gli schermi rilanciano nel gelo di via del Plebiscito.
Lui e Putin. Applausi. Lui e Bush Junior. Applausi. Lui e D’Alema. Fischi. Lui e Prodi. Fischi.
E ogni volta che la finestra del balcone si schiude, parte un coro: “Eccolo! Eccolo!”.
Falsi allarmi. Silvio è nel suo appartamento.
Sta ascoltando la fine del discorso in aula della senatrice Anna Maria Bernini di Forza Italia, vestita a lutto. Intanto, nella strada è successo di tutto. Hanno rimosso lo striscione “E’ un colpo di stato” e portato via di peso una delegazione di operai campani che si stavano denudando nell’atrio del palazzo per convincerlo ad ascoltarli (“Sono 14 mesi che siamo senza stipendio, lui è amico nostro”).
E poi luci, fumogeni, altoparlanti col volume a palla sull’inno di Mameli, ma senza alcuna speranza di riscaldare la folla dei sostenitori (scarsina) e quella dei giornalisti (al gran completo).
Lui spunta sul palco alle 16 e 44, appunto.
Mentre la Pascale se lo rimira dalla prima fila. Silvio parla per mezz’ora, interrotto da una ventina di applausi che scandiscono le parole chiave del discorso: noi (di Forza Italia), qui (nella piazza), pacifica (la manifestazione), loro (la sinistra), palese (il voto), assoluzione (la sua), libertà (di tutti), piccoli leader (gli altri), presidente della Repubblica (elezione diretta del), commosso (sempre lui), cuore (di Forza Italia), andati (i traditori), elettori (che vanno convinti), giornata (questa), Italia (paese), Silvio (lui stesso).
Il fatto è che nessuno lo avverte del ritardo sul voto al Senato. Proprio per colpa dei suoi che fanno ostruzionismo. E così la decadenza viene certificata da qualcuno incollato all’Iphone, ma senza che il protagonista sia più sul palco.
Doveva essere un colpo di teatro, è stato un altro comizio.
La delegazione venuta da Bologna torna a casa convinta che la campagna elettorale sia già cominciata. Anche nella città rossa. “Lì siamo in tanti lì, anche se lo dicono in pochi”, spiega una signora che stringe la bandiera arrotolata di Forza Italia come un testimone.
“E sa perchè?”. No. “Perchè sono dei coglioni”.
E su queste parole, dal cielo di via del Plebiscito spariscono pure i gabbiani.
(da “l’Huffingtonpost“)
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Novembre 28th, 2013 Riccardo Fucile
APPROVATA LA DECADENZA… SCELTA CIVICA SI SPACCA…500 GIORNALISTI IN AULA
Dalle 17.43 di mercoledì 27 novembre Silvio Berlusconi non è più un parlamentare della Repubblica.
Lo ha deciso il Senato votando a scrutinio palese sì alla decadenza del Cavaliere, come prescritto dalla sentenza definitiva per il processo dei diritti tv Mediaset.
In realtà un vero voto non c’è stato, visto che il presidente ha dichiarato approvata la decadenza dell’ex premier una volta preso atto che erano “stati respinti tutti gli ordini del giorno presentati in difformità dalla relazione della Giunta per le Immunità che proponeva di non convalidare l’elezione di Berlusconi”.
La decisione è arrivata dopo un lungo dibattito e un paio di ore dedicate alle dichiarazioni di voto.
Tra i primi a parlare il capogruppo di Gal, Mario Ferrara. “Votiamo contro” la decadenza “perchè in futuro l’infamia sia soltanto vostra”, ha annunciato.
Sel.
Sì alla decandenza invece dal gruppo di Sel. “Quello che stiamo per approvare oggi corrisponde solo e unicamente all’applicazione della legge e all’affermazione di un principio, e cioè che la legge è uguale per tutti e quindi che anche i potenti devono sottostare alla supremazia del diritto e della legge”, ha detto la capogruppo Loredana De Petris.
Lega.
“Forse alla fine sono più i dubbi e le perplessità che non le certezze. I dubbi e le perplessità sono sulla costituzionalità della Legge severino”. Ha sostenuto la senatrice della Lega, Erika Stefani, annunciando il voto contrario alla decadenza.
Nuovo centrodestra.
A parlare per il nuovo gruppo di ex Pdl è stato il presidente Renato Schifani. “Voteremo contro per prendere le distanze da una pagina buia della nostra democrazia parlamentare. E’ uno strappo di carattere istituzionale e costituzionale sulla trasparenza delle regole che sono state violate. E non ci stiamo. Le regole sono garanzie di un sistema e vanno applicate senza guardare il colore politico. La legge è uguale per tutti ma noi crediamo che l’articolo 3 non sia stata applicato nei confronti del cittadino Silvio Berlusconi”, ha sostenuto Schifani.
Movimento 5 Stelle.
E’ stato un vero e proprio atto d’accusa quello pronunciato dalla presidente dei senatori del M5S Paola Taverna. Silvio Berlusconi, dice, “è un delinquente abituale e recidivo” che “non è sceso in campo per il bene del Paese, come dice lui, ma per salvare le sue aziende” ed “era in Senato per architettare reati e incrementare il suo patrimonio”. “Sentiremo molto la sua mancanza”, aggiunge ironicamente ricordando “lo 0,01% di presenze in aula” del Cavaliere. “Parliamo della decadenza di un senatore – ha sottolineato – che il suo mandato non lo ha nemmeno lontanamente svolto”.
Forza Italia.
“Consegnare Silvio Berlusconi a questa magistratura significa consegnare la sovranità popolare. Oggi non è il 25 aprile di liberazione dal nemico storico ma l’8 settembre delle istituzioni democratiche”. Così la senatrice di Forza Italia Anna Maria Bernini annunciando lo scontato voto contrario del suo gruppo.
Un intervento salutato dal coro “Silvio-Silvio” da parte dei senatori fedeli al Cavaliere.
Pd.
“E’ la prima volta in vita mia che sento definire ‘colpo di Stato’ il rigoroso rispetto delle leggi”, ha affermato il capogruppo Pd Luigi Zanda annunciando il voto favorevole del gruppo democratico. “Primo – ha sottolineato – bisogna essere prudenti, evocare la piazza con toni forti è molto pericoloso per la democrazia. Secondo: gli insulti gratuiti e infimi al presidente Napolitano sono una brutta pagina della nostra vicenda istituzionale. Sono errori seri e gravi, soprattutto perchè hanno guastato un dibattito pubblico che per mille ragioni avrebbe dovuto avere un altro contenuto”.
Scelta civica esplode.
Il voto sulla decadenza è stata anche l’occasione per sancire la definitiva deflagrazione di Scelta civica, incapace di trovare una posizione unitaria. Alla fine i senatori Gabriele Albertini e Tito Di Maggio si sono astenuti.
Gli Odg.
Otto gli ordini del giorno presentati in difformità con la relazione e quindi contrari alla decadenza e al voto segreto. Posizione, quest’ultima, ribadita anche da un intervento in aula del senatore Nitto Palma e alla quale il presidente di Palazzo Madama Piero Grasso ha ribadito il suo no. “Se richiamate la mia responsabilità di arbitro, dovreste accettare anche la mia decisione di arbitro”, ha affermato.
Un ultimo tentativo di salvare Berlusconi che ha ritardato di circa un’ora il voto finale, ma non ha prodotto altri effetti visto che tutti gli odg sono stati bocciati.
Evento mediatico.
Il voto al Senato sulla decadenza ha richiamato in massa sia i giornalisti, italiani che stranieri. Se ne contano più di 250 a cui vanno aggiunti oltre 200 operatori radio-tv italiani e 40 appartenenti a testate internazionali.
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