Giugno 9th, 2014 Riccardo Fucile
I GRILLINI SI CONSOLANO CON I DUE NUOVI SINDACI, MA FALLISCE L’OPERAZIONE MODENA E VANNO MALE IN EMILIA ROMAGNA E LIGURIA
Si riparte dai porti italiani, Livorno e Civitavecchia. E si continua con gli ingegneri sindaco.
Non è il vinciamopoi promesso dopo il 20.1% delle elezioni europee. Ma è un piccolo sospiro di sollievo per il Movimento Cinque Stelle che porta a casa un altro capoluogo di provincia (Livorno), dopo Parma e Ragusa.
E si attesta in Lazio con Antonio Cozzolino, altro ingegnere informatico 37enne, che si va aggiungere alla schiera degli esperti informatici primi cittadini del Movimento. Nel porto del Lazio, l’esponente dei pentastellati ha ottenuto praticamente due terzi dei voti (66,57% contro il 33,43% del sindaco del Pd Pietro Tidei, fermo al 33,4% dei voti).
Ma è Livorno la vittoria che riesce a risollevare di più il Movimento che espugna una roccaforte rossa. Una vittoria, quella di Livorno che per certi versi ricorda quella di Federico Pizzarotti a Parma, quando ancora erano lontane le nuvole del dissenso con Grillo e Casaleggio.
E se il neo sindaco di Livorno Filippo Nogarin, ingegnere (aerospaziale questa volta) festeggia la vittoria con un «Mi sento emozionato, è una grande responsabilità ce ne rendiamo conto, ma faremo molto bene. Domani andrò a prendere le chiavi dell’ufficio, anzi ci vuole un fabbro che c’è da cambiare una serratura», da Parma arriva la benedizione di Pizzarotti da Twitter (dopo la mancata partecipazione al comizio di Livorno per evitare dispiaceri a Grillo e Casaleggio): «Filippo Nogarin (M5S) è il nuovo sindaco di Livorno. Più siamo, e più saranno i risultati che porteremo avanti per il paese».
Parole che però non nascondono le difficoltà di questi ultimi mesi e un rapporto con Milano e Genova sempre più teso, al limite della rottura.
I sindaci a Cinque Stelle insomma continuano la loro corsa mentre Grillo e Casaleggio tessono le trame delle alleanze a Bruxelles (entro fine mese gli attivisti dovrebbero votare con un referendum sul blog gli apparentamenti proposti dal guru e dal leader del M5S). E c’è chi scommette che è proprio da loro, dalla carica dei primi cittadini, “I guerrieri del ballottaggio” come li aveva chiamati Grillo sul blog”.
Poche le donne per il momento, solo Cinzia Ferri a Montelabbate. I sindaci a Cinque Stelle sono quasi tutti uomini e ingegneri.
Il profilo è molto simile: tra i 35 e i 45, per lo più esperti in informatica.
Difficile però non vedere anche l’altra faccia della medaglia, quella delle sconfitte a Modena, a Correggio (qui si pagano i contrasti e le frizioni interne che hanno lacerato i Cinque Stelle emiliani) e a Novi Ligure, tra la Liguria e l’Emilia Romagna, terre rosse da cui il Movimento Cinque Stelle è partito e nelle quali ha mosso i suoi primi passi.
Poi non si passa a Rubano, Fano, Piossasco, Rivoli, Bagheria, Certaldo e San Giuliano Terme.
Ma ora Grillo e Casaleggio guardano a destra, rivedono la strategia di comunicazione, strizzano l’occhio a Farage e si preoccupano di colmare il vuoto lasciato da Forza e Italia e dalla Lega.
Non importa se le origini sono lontane.
Marta Serafini
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 9th, 2014 Riccardo Fucile
SI PENSA AL DOPO ELEZIONI: “CON LA LEGA FUNZIONA”… IL VOLTO NUOVO ROMIZI CONQUISTA PERUGIA
«Fino a oggi mi sono morso la lingua per evitare danni ai ballottaggi. Ma da oggi la priorità sarà
chiuderla con questa storia delle liti interne. In un modo o nell’altro. Perchè questi dissidi ci fanno perdere voti di sicuro».
All’una di notte, Silvio Berlusconi e quelli della sua cerchia ristretta invocano un time out.
Qualcuno si lascia scappare che «poteva andare molto peggio». Qualcun altro esalta «l’asse con la Lega» ma ricorda che alla fine «abbiamo vinto solo dove c’erano i candidati di Salvini». Altri ancora segnalano che «contro il Pd in molte città sembra che i grillini abbiano votato per noi (Potenza e Perugia) mentre i nostri hanno votato per i grillini (Livorno)».
Il resto, e cioè la maggioranza, rimanda ogni commento a stamattina.
Perchè quello che l’ex premier e i suoi hanno davanti agli occhi in piena notte è un puzzle di cui è difficilissimo comporre i pezzi.
A Pavia c’è il tonfo di Alessandro Cattaneo, che solo qualche settimana fa era stato elevato al rango di dirigente nazionale di Forza Italia.
Al contrario, a Padova il leghista Massimo Bitonci rovescia il risultato del primo turno e sottrae al centrosinistra la giunta comunale.
A Bergamo, invece, l’asse col Carroccio si sbriciola, e a sorridere è Giorgio Gori. Mentre a Perugia, inaspettatamente, il centrodestra si presenta a un improvviso appuntamento con la storia e conquista col giovanissimo Andrea Romizi la roccaforte rossa da sempre.
Carta che vince, carta che perde. Gioie inaspettate da un lato, dolori cocenti dall’altro. Il tutto così, in una rapida sequenza che vede il fronte berlusconiano lasciarsi scappare Biella e Vercelli, Verbania e Cremona, e – dall’altro lato – conquistare Potenza (grazie ai voti del M5S) recuperando quasi trenta punti.
Senza dimenticare che a Cesano Boscone, uno dei posti che suo malgrado l’ex Cavaliere frequenta di più, alla fine la spunta il Pd.
«Questo voto dimostra che c’è bisogno di facce nuove», dicono nella cerchia ristretta di Berlusconi segnalando l’ecatombe di molti sindaci che si fermano al primo mandato.
Ma basteranno il miracolo padovano e l’impresa perugina per risollevare l’umore dell’ex Cavaliere? Difficile dirlo. «Dobbiamo ricompattare il partito», è l’ordine di scuderia che da domattina partirà da Arcore.
Fuor di metafora, insomma, l’ex premier ha intenzione di prendere di petto la voragine interna che s’è aperta dopo il consolidamento dell’area che fa capo a Raffaele Fitto.
Ha due date cerchiate in agenda, Berlusconi.
La prima è il 10 giugno, e cioè domani, quando andrà in scena un ufficio di presidenza di Forza Italia che all’ordine del giorno, però, ha solo questioni di bilancio.
Il timore è che gli uomini dell’ex governatore pugliese, pronto a volare a Bruxelles dopo il bagno di preferenze del 25 maggio, possano provocare in extremis un confronto sulle primarie.
«E questo va evitato a tutti i costi», è l’adagio più gettonato tra i berlusconiani ortodossi.
Ancora più complicata, almeno per il momento, è la «pratica» del 17 giugno, venerdì, quando a Napoli sono (ancora) in programma due manifestazioni contrapposte.
Nella prima, quella «ufficiale», sfileranno Toti, il coordinatore regionale De Siano e – chissà – magari anche Francesca Pascale.
Nella seconda, che era stata organizzata prima, il protagonista sarà Fitto, che ringrazierà i suoi elettori.
Ieri pomeriggio, qualcuno ha lasciato intendere all’ex Cavaliere che, alla fine, l’eurodeputato pugliese avrebbe fatto marcia indietro. E, in effetti, dal partito campano è partito un pressing all’indirizzo di Fitto perchè rinunciasse alla sua kermesse.
Fatto sta che l’ex governatore – raggiunto al telefono da un amico – ha chiarito che «no, per adesso nessuna marcia indietro, sto avendo le conferme dai pullman che verranno alla mia iniziativa che infatti, al momento, è confermata».
Possibile che il mister preferenze del Sud Italia aspetti un gesto del «Presidente» per bloccare la sua iniziativa? Possibile.
Perchè, in caso contrario, venerdì a Napoli andrebbero in scena le prove generali di un qualcosa che assomiglia tanto a una scissione.
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 9th, 2014 Riccardo Fucile
VIA ALLA RIORGANIZZAZIONE DEL PARTITO SUL TERRITORIO
Quella «stanchezza» che contagia gli elettori ai ballottaggi, Matteo Renzi l’aveva prevista.
Il premier aveva messo nel conto il crollo dell’affluenza, ma certo non si aspettava che il terremoto giudiziario veneziano avrebbe avuto un tale impatto sul secondo turno, guastando con un tocco amaro il sapore della vittoria di maggio.
Da ieri notte sulla roccaforte rossa di Livorno, che fu la «culla del Pci», sventolano i vessilli del M5S. «Una ferita», titola L’Unità .
Il Pd è sconfitto a Urbino e Civitavecchia e perde due forzieri di voti come Perugia e Potenza.
L’effetto-Renzi è mancato anche a Padova, conquistata dalla rinata alleanza tra Lega e Forza Italia.
«Siamo amareggiati per Livorno – ammette a caldo il vicesegretario Lorenzo Guerini -. Le sconfitte bruciano, ma il Pd è passato da 15 a 19 capoluoghi amministrati».
Hai voglia a dire che i Comuni al ballottaggio erano pochi e che, dunque, il valore nazionale della competizione è scarso… La frenata del Pd c’è stata e le conseguenze arriveranno presto.
Quando tornerà dalla missione tra Vietnam e Cina, Renzi metterà la testa sui problemi del territorio e i suoi prevedono una rivoluzione che fa rima con rottamazione.
«Ci vuole gente nuova, anche nelle città » è il leitmotiv intonato ieri notte dai renziani del giro ristretto. «La rottamazione è solo iniziata», conferma Francesco Nicodemo.
Guerini assicura che la polemica tra vecchia e nuova guardia non ha avuto ripercussioni sulla campagna elettorale, nè effetti sul risultato: «Si sono impegnati tutti, vecchi e nuovi».
Eppure il tema aleggia. Di chi sono gli aspiranti sindaci sconfitti? «Renziani non sono», rispondono nell’entourage del leader buttando la croce sulla sinistra del Pd. L’arresto di Giorgio Orsoni a Venezia ha diviso i «dem», già provati dai fatti dell’Expo e dall’arresto del deputato siciliano Francantonio Genovese per associazione a delinquere.
Ma, anche qui, Guerini smentisce che i ballottaggi siano stati un test sulla tenuta di Renzi dopo gli scandali: «Il Mose non c’entra nulla».
Sfumato l’en plein, niente foto di gruppo al Nazareno. I dirigenti hanno atteso i risultati nei vari comitati, su e giù per l’Italia. E anche Stefano Bonaccini parla di «amarezza per le sconfitte a Perugia, Padova e Livorno».
I numeri intaccano lo straordinario risultato del 25 maggio, quando le Europee hanno consentito a Renzi di trainare il Pd anche nei comuni. Alfredo D’Attorre cerca il termine giusto: «È un cappottino… Il Pd amministrava 14 Comuni capoluogo, ora siamo a 20 su 28».
A Livorno il M5S ha giocato duro ed è riuscita a spingere i Democratici verso l’autogol, in una città simbolo per la sinistra da sempre.
Le liti fra correnti hanno indebolito il Pd locale e bruciato candidati anche validi. Renzi ha scelto di non farsi vedere al secondo turno in nessuna piazza d’Italia e così a Livorno, in rappresentanza del leader, sono andati Lotti e Nardella.
Risultato: il candidato di Grillo, in asse con la sinistra-sinistra, si è preso la città umiliando Marco Ruggeri, primo candidato sindaco nella storia della sinistra livornese ad aver subìto l’onta dello spareggio e poi della dèbà¢cle.
«Sconfitta pesante – ammette deluso – Ci saranno riflessioni e fortissimi cambiamenti da fare».
Per riorganizzare e svecchiare il partito anche sul territorio, Renzi ha affidato a Guerini il compito di avviare una ricognizione campanile per campanile, con l’obiettivo di dirimere contrasti e spazzar via correnti.
Anche a Modena il Pd ha tremato. Nella città della Ghirlandina, dove la sinistra aveva sempre vinto al primo turno, il colore rosso sembrava essersi scolorito.
Gian Carlo Muzzarelli, braccio destro del «governatore» bersaniano Vasco Errani, ha dovuto lottare fino all’ultimo per trionfare sul grillino Marco Bortolotti.
A Padova invece, dove i venti burrascosi del Mose soffiano forte, il leghista Massimo Bitonci ha avuto facile gioco nel finale di partita, potendo mettere in carico all’ex sindaco reggente Ivo Rossi i «legami del Pd con gli arrestati».
A Bergamo, per portar via la poltrona al sindaco Franco Tentorio, Giorgio Gori si è visto costretto a combattere contro i tabù della sinistra, che gli rimprovera di aver lavorato a Mediaset.
A Bari, infine, la vittoria di Antonio Decaro era già scritta nei 24 mila voti di scarto con Domenico Di Paola, il candidato del centrodestra.
«Abbiamo battuto in maniera sonora Fitto e tutto quel che rimane del centrodestra», esulta Michele Emiliano.
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 9th, 2014 Riccardo Fucile
“PERDIAMO DOVE CI SIAMO CHIUSI, DOVE HA PREVALSO LA LOGICA DEL VECCHIO, VINCIAMO DOVE ABBIAMO SAPUTO ESPRIMERE VOLTI E PROGRAMMI NUOVI”
Renzi è partito per il Vietnam alle otto di sera con lo schema preparato da Stefano Bonaccini, il
capo dell’organizzazione del Pd.
Previsioni, numeri, l’ipotesi del record di 20 capoluoghi vinti su 28 ma anche il realismo delle contese in bilico. Alla fine il bilancio mostra qualche città simbolo ceduta, alcune conquiste significative.
Ma è una frenata rispetto al trionfo di 15 giorni fa.
«Del record mi è sempre interessato poco – è il ragionamento del premier –. Il risultato delle Europee unito a quello delle amministrative non può essere messo in discussione. Non dimentico le regioni Piemonte e Abruzzo, le vittorie del primo turno. E le riforme vanno avanti, abbiamo la forza per farle».
Sono parole indirizzate a Forza Italia, ai suoi ultimatum sulla riforma del Senato. Ma anche e soprattutto al Partito democratico.
Si sta già aprendo infatti il confronto tra vecchio e nuovo al Nazareno. Come sulle inchieste di Venezia. C’è il rischio di una resa dei conti.
Il corso renziano, lì dove si è perso, ha fatto fatica a farsi largo. Anzi, ha dovuto cedere il passo. Questa è la versione dei fedelissimi. La stessa che ispira il premier. «Perdiamo dove ci siamo chiusi, dove ha prevalso la logica del vecchio. Vinciamo dove ci siamo presentati con nuovi volti e nuovi programmi», è l’analisi dei renziani in contatto comunque via telefono con l’aereo in volo per l’Asia.
Come dire che l’effetto Renzi deve ancora fare breccia nel Pd.
Ci sono le ferite di Padova, Perugia, la sconfitta simbolo di Livorno con la rivincita dei 5stelle.
Attenzione dunque a un Partito democratico dove neanche il 40 per cento mette al riparo da dissidi intestini.
Al Nazareno si fanno i conti con alcune realtà «dove il Pd del passato ha mostrato la corda, dove dobbiamo ancora rinnovare».
È chiaro il riferimento a Padova, la città del bersaniano Zanonato che ha visto la corsa perdente del suo vice Rossi. E a Perugia, dove i renziani puntano l’indice contro il sindaco uscente Wladimiro Boccali, cuperliano, esponente di una sinistra «legata a una logica vecchia».
Come tutta l’Umbria democratica, dicono al Nazareno, una regione rossa che rischia di cambiare verso nel senso di una rendita di posizione ormai logora.
È un colpo duro da digerire la Livorno perduta dopo 70 anni ma, dicono, «in Toscana abbiamo vinto al primo turno Firenze e a Prato strappandola al centrodestra ».
È uno choc anche Perugia, altro simbolo di un potere decennale. Non saranno indolori questi insuccessi, in particolare per i rapporti interni, alla vigilia dell’assemblea dem, se il ragionamento è “i nuovi vincono, i vecchi perdono”.
Ma Renzi ha lasciato detto ai suoi fedelissimi che non si cambia strategia. Basta un niente per mettere in difficoltà le accelerazioni volute da Palazzo Chigi. Serve dunque la spinta finale per non avere ostacoli sulla strada del governo.
Questa poi è la settimana decisiva per chiudere la partita con le correnti in vista dell’assemblea nazionale di sabato dove si sceglierà anche il presidente del partito.
Già venerdì, nel consiglio dei ministri, andranno in porto la riforma della pubblica amministrazione del ministro Madia e il pacchetto anticorruzione in cui saranno compresi i poteri di Raffaele Cantone.
Sono anche sette giorni importanti per l’abolizione del Senato.
Per dare spazio alla discussione e per non forzare, il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi ha fissato la nuova scadenza per l’approvazione in prima lettura della riforma: «Prima della pausa estiva».
Non a fine giugno ma entro luglio dunque. La partita però sarà più chiara da subito. Questa settimana verranno illustrati gli emendamenti.
Va valutata la posizione di Roberto Calderoli relatore di minoranza e di Anna Finocchiaro.
Dalle scelte della Finocchiaro si capirà quali sono le aperture del governo a modifiche. Il no al Senato elettivo rimane.
Di Forza Italia Palazzo Chigi continua a fidarsi. «Semmai – dicono – vediamo come reagirà il Pd dopo i ballottaggi e di fronte a un primo passaggio istituzionale ». Non dimentica, Renzi, che sull’Italicum ha dovuto cedere: fissando la riforma solo per la Camera in attesa dell’abolizione del Senato.
Le resistenze sono state solo seppellite per le elezioni e grazie al risultato straordinario delle Europee ma nessuno scommette sulla loro scomparsa definitiva.
A partire dalla discussione tra vecchio e nuovo destinata ad aprirsi fin da oggi. Dice già in serata Bonaccini: «Il successo generale rimane. Ma sulle ferite delle città simbolo dovremo aprire una riflessione».
Goffredo De Marchis
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Giugno 9th, 2014 Riccardo Fucile
“OCCORRE RADICAMENTO, VA VALORIZZATO IL RICAMBIO MA SENZA DEMAGOGIE”
«Speriamo che ora a Roma capiscano che non basta il leader, per governare ci vuole il radicamento, altrimenti non si va avanti a lungo». Massimo Cacciari, filosofo, ex sindaco di Venezia, fa un bilancio a caldo dei risultati: «Il traino di Renzi è minore nelle amministrative. Gli scandali hanno influito sull’affluenza».
Cacciari, affluenza in caduta libera: gli scandali, quest’ultimo del Mose in particolare, hanno influito nella disaffezione e anche sui risultati?
«Il calo consistente mostra che gli scandali di corruzione hanno avuto un peso. Se a Padova in fatto di astensione è andata un po’ meglio, è perchè lì c’era un testa a testa che ha mobilitato. Non credo però che c’entrino con i risultati».
L’arresto di Orsoni ha spostato?
«Orsoni non ha nessun ruolo nel Pd. Se anche lo scandalo fosse avvenuto prima delle europee, avrebbe potuto al massimo spostare uno o due punti localmente».
I ballottaggi sono stati la prova del nove per Renzi? E comunque a Livorno si va verso il ribaltone con il grillino in testa. A Padova in testa è il leghista.
«Sono votazioni assolutamente non comparabili. Qui alle amministrative conta molto il fattore personale delle candidature locali. L’effetto traino di Renzi non è determinante. Se a Pavia la vittoria del centrosinistra era facile profezia, a Padova è stata incertezza fino alla fine».
Un’incertezza che derivava da quello che è accaduto in Veneto?
«Intanto in Veneto c’è stato il salto più clamoroso del Pd alle europee. Immaginiamoci cosa sarebbe accaduto se il coinvolgimento nell’inchiesta del Mose per Galan e per Chisso fosse avvenuto prima delle europee. Per Forza Italia sarebbe stato un massacro, sotto il 10%».
A Padova lei come si aspettava andasse a finire?
«La situazione lasciata da Zanonato era difficile. Zanonato ha smesso di fare il sindaco, la mollato cioè la città e ha fatto il ministro senza successo. E il candidato del centrosinistra Ivo Rossi, persona che stimo, non sembrava avere carisma. Inoltre il rischio previsto era che i grillini pur di fare un dispetto al Pd votassero per l’antagonista ».
Nel Pd veneto c’è una situazione compromessa?
«Non vedo perchè. Moltissimi democratici erano sulle mie posizioni. Il Pd veneto non deve sentirsi responsabile delle faccende connesse al Mose. Abbiamo sempre portato avanti una linea molto critica. Orsoni aveva anche lui una linea critica. Dalle accuse sembra che abbia fatto questa mega galattica scemenza di prendere dei finanziamenti. I Dem veneziani ne escono a testa alta, diverso è per il centrosinistra nazionale. I governi di centrosinistra e di centrodestra e tutto il Pd nazionale si facciano le pulci a casa loro».
Però il Comune ha ora un problema?
«Bisogna rinnovare l’amministrazione comunale con una squadra giovane, competente, capace».
Ma lei condivide la rappresentazione: “vecchia guardia” come la bad company del Pd?
«Non c’entra niente. Va valorizzato un ricambio, al di là delle rottamazioni, delle renzine, delle demagogie».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Giugno 9th, 2014 Riccardo Fucile
LA TENDENZA E’ QUELLA DI SFIDUCIA VERSO CHI GOVERNAVA, PREVALE IL CAMBIAMENTO
Alle 23, sul totale di 139 comuni (sono esclusi i comuni di Friuli Venezia Giulia e Sicilia),
l’affluenza è stata del 49,50%.
Al primo turno, alla stessa ora, aveva votato oltre il 72%.
Sta anche in questo dato la piccola rivoluzione che si è determinata in gran parte dei comuni capoluoghi di provincia che sono andati al ballottaggio: sono più le amministrazioni che cambiano colore di quelle confermate.
Primo dato interessante, svanisce l’effetto Renzi: il Pd perde città importanti come Livorno, Padova, Potenza, Foggia e Perugia.
Ne conquista però altre come Bergamo, Pavia, Pescara, Vercelli, Verbania, Biella e Cremona.
I Cinquestelle vincono a Livorno grazie al centrodestra e all’estrema sinistra, ma perdono a Modena dove il Pd regge.
Mastica amaro anche il centrodestra che perde due roccaforti come Bergamo, Pavia e tutti i balllottaggi in Piemonte, ma trova motivo di consolazione nel centrosud.
Gol della bandiera della Lega a Padova, anche se esce da tutti i comuni del nord dove governava insieme al Pdl.
Un elemento siginificativo è che la corsa del Pd senza Renzi esposto in prima persona ha subito un rallentamento.
Poi ovviamente ognuno troverà un risultato da sbandierare per poter dire che ha vinto.
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