Giugno 25th, 2014 Riccardo Fucile
LE MISURE SUL RIENTRO DEI CAPITALI ALL’ESTERO REGOLARIZZERANNO ANCHE CHI HA NASCOSTO CAPITALI IN ITALIA, RIDOTTE LE SANZIONI
Sanare, oltre al rientro dei capitali dall’estero, anche le posizioni, indirettamente connesse all’operazione, di chi ha evaso esclusivamente redditi in Italia.
E’ questa l’ultima novità del disegno di legge sul rientro dei capitali, prevista da un accordo della maggioranza, contestato da grillini e Sel, pronta oggi alla ripresa dell’iter del provvedimento in Commissione Finanze della Camera.
Il meccanismo farà perno sul nuovo istituto del «ravvedimento speciale»: si tratterà di una norma ad hoc che utilizza lo schema del «ravvedimento operoso», già in vigore nel nostro ordinamento e in base al quale ci si può ravvedere con sanzioni ridotte entro un anno dall’evasione.
Il «ravvedimento speciale», che consentirà di sanare le posizioni dei contribuenti che hanno evaso esclusivamente redditi prodotti in Italia, avrà invece un arco temporale più ampio e consentirà di regolarizzare più annualità .
Un varco per un nuovo condono? Dalla maggioranza si assicura di no.
L’emersione non sarà anonima e per sanare si pagherà l’intera imposta anche se con sanzioni fortemente ridotte.
Inoltre la regolarizzazione dell’evasione, i cui proventi sono rimasti in Italia, dovrà avere un collegamento indiretto con l’esportazione di capitali.
La misura, del resto, è stata pensata per non creare disparità tra i contribuenti e favorire l’adesione.
In molti casi, i vari soci di aziende o componenti di una stessa famiglia, dopo la costituzione della provvista di denaro evaso, potrebbero aver fatto scelte diverse: dirottare le risorse all’estero o mantenerle in patria.
In questa ipotesi chi denuncia l’estero denuncia anche il partner che ha mantenuto il denaro in Italia, che si troverebbe senza protezione.
L’arrivo della volontary disclosure è imminente e si dà per certa l’approvazione entro i primi giorni di luglio.
Non è un condono perchè le imposte evase si pagano interamente, ma certo di sanatoria si tratta.
Anche se i paletti sono rigidi: le imposte non versate e gli interessi si pagano per intero, le sanzioni invece vengono ridotte (e l’atteso emendamento del governo dovrebbe alleggerirne ancora di più il peso).
Naturalmente, per consentire l’emersione, le sanzioni penali vengono o cancellate o alleggerite.
Viene stabilita la non punibilità per omessa dichiarazione e il dimezzamento della pena per frode fiscale: l’emendamento del governo potrebbe estendere la non punibilità anche ai casi di omesso versamento Iva e alle ritenute non operate come sostituto d’imposta.
Per incoraggiare gli imprenditori, ci saranno anche benefici fiscali per chi impiega i capitali rientrati nell’azienda collegando le misure alla nuova tassazione Ace sugli utili reinvestiti.
Come si sanerà ? Coloro che non hanno dichiarato nel quadro RW della dichiarazione dei redditi la somma esportata, ma sulla quale sono state già pagate le tasse in Italia, potranno limitarsi ad una sanzione.
Un secondo caso è quello dei capitali detenuti all’estero dove non si sono pagate le tasse sui rendimenti: in questo frangente si calcola un rendimento presuntivo del 5% dell’investimento finanziario all’estero e una aliquota forfettaria del 20% che un emendamento del Pd porterà al 27.
Infine il caso dell’evasione e del trasferimento all’estero di fondi più clamoroso: risorse prodotte dall’evasione e trasferite all’estero.
Se il contribuente non è in grado di dimostrare che provengono da un attività già tassata in Italia si presume che siano frutto di evasione e dunque ci si dovranno pagare tutte le tasse, più interessi e sanzioni.
Roberto Petrini
(da “la Repubblica”)
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Giugno 25th, 2014 Riccardo Fucile
LA TITOLARE DELLA FARNESINA POTREBBE ASSUMERE UN RUOLO EUROPEO… E DOPO LE ELEZIONI NCD, SCELTA CIVICA E UDC TEMONO IL RIDIMENSIONAMENTO
Salgono le quotazioni del ministro degli Esteri Federica Mogherini per il ruolo di Alto rappresentante Ue per la politica Estera e la Sicurezza e, in parallelo, crescono i timori dei centristi per l’ipotesi di un possibile rimpasto di governo.
Che, inutile dirlo, penalizzerebbe in modo robusto Nuovo Centrodestra, Scelta Civica e Udc, decisamente sovradimensionati rispetto al peso registrato alle Europee.
Renzi ha evitato — dopo il boom elettorale del Pd — rivoluzioni a caldo. Ma la promozione della Mogherini nella commissione europea (simile a un salto mortale: lo scorso anno, in questo periodo, era una semplice deputata franceschiniana) può diventare il pretesto per dare il via a un valzer di poltrone.
Un restyling che potrebbe finalmente coinvolgere anche Angelino Alfano che nel Pd ormai mal sopportano da settimane se non da mesi, che ne ha combinate una dopo l’altra e che dalle elezioni è uscito malino.
“Prima i contenuti poi le nomine”, sceglie il low profile Matteo Renzi, in vista del decisivo Consiglio europeo di fine mese.
Ma il tam-tam, ormai è partito, anche se Palazzo Chigi frena e sposta l’eventuale ‘ritoccò a dopo l’estate. Se tra i nomi già in lizza per la Farnesina c’è quello di Marta Dassù (sottosegretario e poi viceministro agli Esteri con Giulio Terzi di Sant’Agata, Monti ed Emma Bonino), è quello di Roberta Pinotti, primo ministro donna della Difesa e molto apprezzata dal presidente del Consiglio, a scatenare l’incubo rimpasto nei centristi.
Se la Pinotti liberasse una casella nel governo, l’effetto domino non potrebbe che far saltare gli equilibri attuali, con un ridimensionamento dei 5 ministri di area centrista (Alfano, Lupi, Lorenzin per Ncd, Stefania Giannini per Sc e Gianluca Galletti per l’Udc) su un totale di 16: un terzo della compagine governativa.
Dopo il 40,8% spuntato da Renzi alle Europee, contro neppure il 5% dei centristi, lo squilibrio rispetto alla squadra Pd a Palazzo Chigi risulta evidente.
Interpellati, Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi negano il possibile ridimensionamento. Ma diversi altri esponenti del Nuovo centrodestra e di Scelta Civica ammettono che la questione è sul tappeto e lo danno invece per certo.
“Renzi pensa di ridimensionarci — spiega un esponente di vertice di Ncd — e l’occasione potrebbe dargliela la Mogherini in Europa. E poi lui cambia sempre, ama scompaginare. Basta pensare alla storia della Giunta a Firenze…”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 25th, 2014 Riccardo Fucile
DISCORSO ALLE CAMERE: LA RIFORMA DEL LAVORO CI SARà€ SOLO ALLA FINE DEL SEMESTRE EUROPEO…. INTANTO PROMETTE DI GOVERNARE “MILLE GIORNI” ARRIVANDO A FINE LEGISLATURA
Bisogna sforzarsi per cogliere qualcosa di concreto nel duplice discorso europeo di Matteo Renzi davanti a Camera e Senato.
Il premier non parla alle aule semivuote, ma al pubblico che da casa vedrà la sintesi nei telegiornali e quindi è tutto un “tenetevi la vostra moneta ma lasciateci i nostri valori” e “L’Europa non può impedirti di saldare i debiti della pubblica amministrazione perchè violi il patto di stabilità e poi sanzionarti perchè non li hai pagati”. E così via.
Spazio anche per qualche citazione, tipo la necessità di “civilizzare la globalizzazione” (Edgar Morin).
La sostanza politica dietro gli slogan è da decodificare.
Primo punto: Renzi trasforma il lancio del semestre europeo a presidenza italiana (180 giorni circa) nell’occasione per evocare un programma di legislatura (“1000 giorni, dal primo settembre 2014 al 28 maggio 2017).
Messaggio a uso interno: per ora niente elezioni anticipate.
Ma c’è anche un uso europeo: tranquilli che le riforme che vi prometto le farò io. Comprensibile che debba rassicurare, visto che la cancelliera tedesca Angela Merkel, da quando è al potere, ha avuto a che fare con cinque diversi presidenti del Consiglio italiani, ognuno con la sua agenda di riforme, sempre meno credibile.
Il secondo punto concreto che emerge dal discorso di Renzi riguarda la riforma del lavoro: finora si è visto soltanto un decreto legge dalle ambizioni limitate, la cosiddetta “riforma Poletti” che liberalizza i contratti a termine, prima o poi arriverà un disegno di legge delega.
Più poi che prima: Renzi annuncia che il vertice europeo (convocato dalla presidenza italiana) dedicato al tema della disoccupazione non si terrà più l’11 luglio, cioè all’inizio del semestre, ma verso la fine.
Così da avere il tempo di approvare anche la legge delega (che richiede diversi mesi). Anche qui c’è un doppio livello di lettura: non si ha traccia alcuna che il governo abbia le idee chiare su cosa vuole fare sul mercato del lavoro e sugli ammortizzatori sociali, già la riforma della pubblica amministrazione sta causando più problemi del previsto, anche con i sindacati.
Meglio non offrire adesso altri spunti polemici.
Poi c’è un piano europeo: Renzi — come Mario Monti ed Enrico Letta prima di lui — sa che l’unico modo per strappare qualcosa alla Germania è fare leva sulle politiche contro la disoccupazione.
Funzionava quando la Cdu della Merkel era al governo con i liberali, ancora meglio ora che è in coalizione con i socialisti.
Finchè Renzi tiene aperta la riforma, può sperare di approfittare del nuovo clima europeo per ottenere qualche margine di manovra sul bilancio. sarebbe stupido chiudere subito la riforma e chiedere poi a Bruxelles e Berlino di aumentare la spesa corrente, il diniego sarebbe garantito
La disoccupazione elevata è servita anche a Renzi e al suo ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan a giustificare il rinvio di un anno, dal 2015 al 2015, il pareggio di bilancio strutturale.
In teoria per questo l’Italia rischia una procedura d’infrazione per debito eccessivo, ma ora il premier è convinto di poter stare tranquillo, dopo che sia il presidente uscente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, che Angela Merkel hanno parlato di “flessibilità ” nel rigore.
“Viola i trattati chi parla soltanto di rigore dimenticandosi la crescita”, dice Renzi, che si riferisce al fatto che il famoso “patto di stabilità ” in realtà si chiama “patto di stabilità e crescita”.
Complice la fumosità dei contenuti, il doppio discorso di ieri di Renzi sarà però ricordato soprattutto per il problema partita.
Il premier arriva al Senato e consegna il testo scritto per la Camera, “sarò breve, visti gli appuntamenti del pomeriggio”.
Poi, tra primo e secondo tempo, dice ai cronisti: “Ho un impegno istituzionale da seguire”.
Il suo tifo non basta a Mario Balotelli e compagni.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 25th, 2014 Riccardo Fucile
L’ASCESA DELLA MADIA, AMICIZIE GIUSTE E LA CAPACITA’ DI “PORTARE IN DOTE LA SUA INESPERIENZA”
“Poi Marianna vi dirà tutto”. Anzi, di più: “Con il ministro Madia entrerete nei dettagli, fatemi spiegare solo quelle quattro o cinque cose che credo vi servano…”. Quel grandissimo caporedattore che è Matteo Renzi dieci giorni fa impostò i giornali (come sempre più spesso gli succede) e indicò ai giornalisti titoli e sommari per l’ultima rivoluzione di casa Italia, quella grandiosa riforma della pubblica amministrazione che tutti aspettiamo, e, per non perdere tempo che l’ora delle rotative era prossima, puntò lo sguardo su Marianna e affidò a lei le curiosità di rito: quanti articoli contiene la legge, di quante pagine, e con che corpo è scritta.
Dettagli utili ma non fondamentali. Chi avesse voluto avrebbe comunque potuto farci una chiacchierata: “Domattina credo che il ministro vi convocherà ”
Il ministro alla Curiosità è una donna di trentatrè anni che nel 2008 fu impiccata alla più bella, soave e giusta considerazione che la gioventù possa autorizzare.
“Porto in dote la mia inesperienza”, disse quando dovette spiegare con quale spirito sarebbe entrata nella Camera dei deputati dove Walter Veltroni l’aveva condotta in trionfo, nominandola sul campo capolista del Pd nel Lazio.
Inesperienza non vuol dire incompetenza nè ingenuità . E Marianna, mamma di un bimbo di due anni e una bambina praticamente partorita al ministero (era all’ottavo mese di gravidanza quando Renzi la chiamò al governo), ha dimostrato di saperci fare. Amica di Veltroni per via di papà (giornalista e consigliere comunale prematuramente scomparso), e di Giovanni Minoli per la stessa via.
Amica di Enrico Letta per via di Veltroni, amica di Bersani per via di Letta, e amica di Renzi per via di Bersani.
Come se non bastasse anche simpatica a Massimo D’Alema, al quale ha dato una mano alla Fondazione Italianieuropei, Marianna è l’unica che ha mostrato di navigare tra le correnti senza guastarsi mai.
Pulita è entrata in politica con la sua figura botticelliana, il viso incoronato da lunghi capelli intrecciati, la vocina sempre stupita, come se scendesse dal pero ogni volta che c’è chiasso, e pulita è rimasta.
Felice in amore, e anche un pochino fortunata, diciamolo. Prima una love story con Giulio Napolitano (“Ma al tempo di quel flirt il papà era solo un illustre ex dirigente del Pci”, precisò), poi un legame coronato dal matrimonio con Mario Gianani, produttore cinematografico e socio — guarda un po’ tu — di Fausto Brizzi, il regista della Leopolda, la cupola renziana.
Insomma, Marianna è un crocevia di conoscenze e un deposito di opportunità . Che ha saputo mettere a frutto come una formichina.
Si è specializzata nelle materie del lavoro, affinate durante un’esperienza all’Arel, il centro studi di Letta, che ha poi sfruttato in Parlamento, quando ha presentato la legge sul contratto unico del lavoro. Sgobbona anche.
Si è diplomata col massimo dei voti alla scuola francese di Roma, laureata con lode in Scienze politiche, master in economia del lavoro all’Imt di Lucca.
Vogliosa di mostrarsi, espandere amicizie, e fare carriera. Si è fatta largo sgommando un po’, si è fatta sentire quando si accorse che il partito la stava consegnando all’oblio: “Esistono in questo partito tante piccole associazioni a delinquere”.
Ma guarda un po’. Si è poi guadagnata la ricandidatura con un buon successo alle primarie. Poi è giunto Matteo. Che (ariguarda un po’ tu), l’ha subito convocata al governo. “Stavo guardando con mio figlio Peppa Pig”, esclamò stupita
Invece… E certo non finisce qua la storia di Marianna.
Promettente, coccolata, ambiziosa e previdente.
Antonello Caporale
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 25th, 2014 Riccardo Fucile
GLI INCONTRI RISERVATI E LA STIMA RECIPROCA… “PAIETTA E’ UN GRANDE COMBATTENTE CHE HA SEMPRE PAGATO DI PERSONA, RISPETTATELO SEMPRE”… LA VISITA COMMOSSA DELL’EX CAPO PARTIGIANO ALLA CAMERA ARDENTE DI GIORGIO
Questa è una storia che risale più o meno a mezzo secolo fa, anche se sembra passato molto più tempo.
È la storia di un periodo italiano in cui si poteva essere nemici in politica ma al tempo stesso rispettarsi. È la storia dei rapporti di Giorgio Almirante con i vertici del Pci.
E in particolare con Enrico Berlinguer, Giancarlo Pajetta e Nilde Iotti.
La racconta a Il Tempo Massimo Magliaro, che di Almirante fu l’inseparabile capoufficio stampa. Oltre che l’amico.
GIORGIO ED ENRICO
Per una volta è meglio partire dalla fine. Dal 12 giugno 1984. Quando Almirante, sorprendendo collaboratori e opinione pubblica, andò a rendere omaggio alla salma di Enrico Berlinguer.
A Botteghe Oscure, nella tana del nemico.
«Arrivai a casa sua alle 8.30 – ricorda Magliaro – e vi trovai un Almirante scosso. Ho sempre pensato che, oltre al dolore, fosse anche colpito da come era morto Berlinguer. Forse era la morte che avrebbe voluto anche lui, sul campo, da combattente. Poi io, Giorgio e Mario, il suo autista, salimmo in macchina per recarci a via della Scrofa. Solo che all’altezza del Palazzo delle Esposizioni, in via Nazionale, Almirante chiese a Mario di non girare per via del Traforo e di proseguire per piazza Venezia. Mario mi guardò attraverso lo specchietto retrovisore, eravamo sbiancati, sapevamo cosa stava succedendo a Botteghe Oscure, c’era la camera ardente di Berlinguer».
Il resto fa parte della storia nazionale. Almirante che, a piedi, passa attraverso una folla stupita – ma non ostile – che si apre come il Mar Rosso davanti a Mosè.
Il leader del Msi che entra a Botteghe Oscure (e inizialmente sbaglia l’ingresso, scegliendo quello delle persone “normali” invece che quello dei politici) e viene ricevuto da Pajetta e Iotti. All’uscita, poi, torna da Magliaro e gli dice: «È andato tutto bene, puoi chiamare mia moglie e dirle che è andato tutto bene».
Donna Assunta, a differenza di tutti, sapeva della scelta del marito. Insieme ne avevano parlato la notte precedente. E, ovviamente, era molto preoccupata.
I VENERDàŒ A MONTECITORIO
Almirante stimava Berlinguer, lo ripeteva spesso. Apprezzava il suo essere «una persona perbene». Ma c’era dell’altro.
Sì, perchè lontano da occhi indiscreti i due leader si erano incontrati a più riprese. Donna Assunta ha parlato dei «vertici» a Villa Borghese. Magliaro svela quelli alla Camera.
«Ho assistito a quattro incontri. Accadde sempre di venerdì pomeriggio, al quarto piano di Montecitorio, tra le 16 e le 17. Il momento in cui praticamente non c’era più nessuno a parte qualche commesso. Io accompagnavo Almirante, con Berlinguer c’era Antonio Tatò. I due leader parlavano tra di loro, io e Tatò stavamo lontano senza poter ascoltare quello che si dicevano».
Erano gli anni più bui del terrorismo, facile immaginare di cosa parlassero i due leader.
«Credo che discutessero di come fronteggiare i canali di continuità tra i propri partiti e le frange estremiste». Tanto Almirante che Berlinguer erano considerati dai terroristi dei «traditori» da eliminare.
«Un giorno – racconta ancora Magliaro – Almirante aprì il suo portacarte sulla scrivania e vidi una cartolina postale che gli era arrivata dal carcere dell’Isola d’Elba. L’aveva mandata Mario Tuti, fondatore del Fronte Nazionale Rivoluzionario. C’era scritto: “Il tribunale ti ha condannato a morte”».
«RISPETTALO SEMPRE»
Fare politica, all’epoca, significava rischiare la vita. L’odio tra le diverse fazioni era tale che tra «comunisti» e «fascisti» era vietato persino salutarsi. E questo non valeva solo per i leader, ma anche per i parlamentari di terza fascia. Per lo meno in Italia.
All’estero, lontani dall’ipocrisia dell’arco costituzionale e della «conventio ad excludendum» nei confronti del Msi, le cose andavano diversamente.
E poteva capitare che – rivela Magliaro – nel 1984 Giorgio Almirante, Pino Romualdi e Giancarlo Pajetta sedessero insieme in un ristorante a Strasburgo, vicino all’Europarlamento, mangiando stinco di maiale e scherzando. Perchè quanto valeva per Berlinguer, Almirante lo pensava anche per Pajetta.
È il 1963. Almirante entra a Montecitorio per la seduta inaugurale della legislatura. Accanto a lui c’è il fedelissimo Franco Franchi, che richiama l’attenzione del leader su una persona dall’altra parte dell’emiciclo: «Ma è Pajetta quello lì?».
«Sì, ricordati di rispettarlo sempre – gli risponde Almirante – perchè è un grande combattente che ha sempre pagato di persona».
Non c’è da stupirsi se quando ad andarsene fu il leader del Msi, alla camera ardente si presenterà proprio l’ex partigiano.
«Rimase raccolto davanti alla salma per un tempo che mi sembrò lunghissimo – racconta Magliaro – fu un momento di grande partecipazione, non un gesto formale».
L’omaggio di un combattente a un altro.
LA DONNA DEL «MIGLIORE»
Quel giorno a via della Scrofa c’era anche Nilde Iotti. Era la presidente della Camera.
Normale, quindi, un suo omaggio a uno dei parlamentari più importanti. «Ma i rapporti erano già all’insegna del rispetto e della stima reciproca – ricorda Magliaro – e me ne accorgevo quando i due si incontravano nell’ufficio della Iotti a Montecitorio. Almirante aveva il suo modo di fare galante, le faceva il baciamano. Lei non si comportava in maniera fredda, come ci si sarebbe potuti aspettare da colei che era stata la compagna di Togliatti, il “Migliore”.
Non faceva come Pertini, insomma, che quando Almirante si recava al Quirinale per le consultazioni lo ascoltava a stento.
E la sua umanità si percepì anche davanti alla salma di Giorgio. Rimase per molto tempo a parlare con Donna Assunta, si tennero per mano».
Altri tempi.
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo”)
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Giugno 25th, 2014 Riccardo Fucile
METAMORFOSI DI UN LEADER
La legge sull’immunità parlamentare da concedere anche ai fortunati sindaci e consiglieri regionali che siederanno nel nuovo Senato minaccia di far finire in anticipo sul previsto la luna di miele tra Matteo Renzi e il suo 40 per cento di elettori.
Tre giorni di goffo scaricabarile tra gli esponenti del Pd sulla paternità del provvedimento, amplificati dall’eloquente e imbarazzato silenzio del premier, bastano (e forse avanzano) per riportare alla mente le molte dichiarazioni in materia di privilegi della casta che tanto avevano reso popolare Renzi quando ancora era sindaco di Firenze.
Frasi forti e ricche di buon senso che oggi paiono essere state pronunciate da una persona diversa dall’attuale inquilino di Palazzo Chigi: “Se dobbiamo parlare degli articoli della costituzione che parlano dei parlamentari bisognerebbe avere il coraggio di dire che i parlamentari andrebbero dimezzati e che andrebbe dimezzata anche la loro indennità ”.
“L’immunità aveva un valore in un altro momento, in un altro contesto”. E ancora: “Non abbiamo bisogno di dare altre garanzie ai parlamentari, ma di farli diventare sempre più normali”.
Intendiamoci, non è una novità che le bugie vadano di moda tra chi fa politica. Due secoli fa il barone Otto Von Bismark, avvertiva: “Non si mente mai così tanto prima delle elezioni, durante la guerra e dopo la caccia”.
Stupisce però che, passate le Europee, Renzi non si ponga più il problema del consenso.
Solo chi non si cura del parere dei cittadini, quasi fosse certo di essere destinato a non dover più subire nell’urna il loro giudizio, può davvero credere che, in Paese rapinato e offeso dalle malefatte della propria classe dirigente, sia popolare l’idea di permettere in futuro a 95 fortunati nuovi senatori di rubare in casa propria (regioni e comuni) per poi salvarsi a Palazzo Madama.
Eppure il premier tace. Segno che per lui le questioni più importanti da risolvere sono altre. In sua vece parlano però i renziani secondo i quali “non è il caso di di mettere a rischio la riforma della Costituzione per un solo articolo” (Ivan Scalfarotto) visto che la “questione non è centrale” (Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme).
Ovviamente non è vero.
Far eleggere 95 senatori da mille consiglieri regionali, un terzo dei quali sono attualmente indagati, imputati o condannati, significa popolare l’assemblea di palazzo Madama di personaggi il cui principale obbiettivo sarà quello di entrare in Senato per difendersi dai processi e regolare i propri conti con la giustizia.
Per esorcizzare il dubbio di molti (a questo punto, perfettamente legittimo) che l’emendamento sull’immunità non sia frutto di cialtroneria, ma di calcolo, il ministro Boschi ha tentato di levarsi d’impaccio accusando il presidente della commissione affari costituzionali, Anna Finocchiaro, di essersi mossa all’insaputa del governo.
Poi quando documenti alla mano la compagna di partito le ha dimostrato che il governo sapeva (e condivideva) ecco che il ministro ha cambiato registro.
E ha spiegato che tutti i gruppi, tranne il Nuovo centro destra, avevano presentato emendamenti per garantire il privilegio pure ai nuovi senatori non eletti dai cittadini.
Ora, anche a voler sorvolare sui distinguo, il così fan tutti della Boschi, è utile forse per ripulirsi la coscienza, ma non certo per tranquillizzare gli elettori.
Mentre a Venezia l’ex sindaco Orsoni dice ai magistrati di aver incassato finanziamenti illeciti per ordine del partito (lo avrebbe mai fatto se scelto come senatore?) e gli investigatori sono sulle tracce di personaggi sospettati di aver creato fondi neri “per esponenti milanesi di Forza Italia”, un fatto è chiaro: l’impunità torna prepotentemente di moda.
A poco a poco il combinato disposto tra la nuova legge elettorale e riforma del Senato appare per quello che è: un sistema per espropriare definitivamente i cittadini dalla possibilità di scegliere i propri rappresentanti (alla camera le liste saranno bloccate) e consegnare in toto la nomina delle due Camere alle segreterie dei partiti.
Che in qualche caso, come monarchi illuminati, concederanno al di fuori di ogni controllo e regola il divertissement delle primarie. Povera Italia e poveri italiani. Votando Renzi pensavano di abbattere la casta.
Ma se continua così molti di loro si convinceranno che l’unica rottamazione in corso è quella della speranza.
Peter Gomez
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