Maggio 12th, 2015 Riccardo Fucile
LA SCUOLA STA DIVENTANDO LA CAPORETTO DI RENZI: L’ARROGANZA NON PAGA
Gli studenti delle scuole superiori boicottano i test Invalsi. E il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone replica su twitter: “Si può essere contro il governo, legittimo. Ma boicottare le prove Invalsi è indecente. È ingiusto per i ragazzi”.
I timori della vigilia si sono concretizzati questa mattina, quando in tantissime seconde classi delle superiori – dove l’Invalsi aveva calendarizzato le due prove di Italiano e Matematica, più il Questionario studente – gli alunni non si sono presentati.
Classi vuote e addetti al test con le braccia conserte in moltissimi licei, istituti tecnici e professionali.
Mentre gli osservatori inviati dall’istituto di Frascati per controllare che, soprattutto nelle classi campione, tutto si svolgesse per il meglio sono rimasti disorientati.
Non era mai successo dal 2007, quando l’istituto avviò il Sistema nazionale di valutazione.
Ancora non ci sono dati ufficiali. Ma stando alle cronache dalle singole scuole o dalle singole città , l’invito a boicottare i test nazionali sarebbe stato raccolto da molti studenti. L’adesione allo sciopero dei test dovrebbe superare il 10-12 per cento già registrato nella due giorni di prove – lo scorso 6 e 7 maggio – nelle seconde e quinte elementari.
Quando, sull’onda lunga dello sciopero del 5 maggio e delle polemiche che hanno travolto l’Invalsi “reo” di avere spostato le prove dal 5 al 6 maggio, i genitori avevano appoggiato l’iniziativa.
Oggi, la protesta viaggiava su due binari: lo sciopero dei docenti delle scuole superiori, indetto dai Cobas della scuola, e l’invito a boicottare le prove rivolto agli allievi di tutte le scuole italiane dall’Unione degli studenti.
Ma a raccogliere i maggiori consensi sembra essere stata quest’ultima iniziativa.
Mentre la Rete degli studenti medi, pur condividendo molte delle ragioni contro i test, si è limitata a protestare con flashmob.
Da Torino a Palermo, intere scolaresche interessate ai test hanno dato forfait.
Ieri, un sondaggio di skuola.net aveva confermato l’intenzione di uno studente su quattro di
boicottare le prove.
Nel capoluogo piemontese “colazione sociale-boicottaggio dentro le classi, colazione sociale e tornei sportivi fuori da scuola”, scrivevano i ragazzi dell’Unione degli studenti su Facebook.
A Napoli studentesse e studenti che hanno boicottato le prove si sono riversati nelle piazze per un corteo, “per un’altra idea di valutazione e un’altra idea di scuola radicalmente opposte a quelle presenti nel ddl Renzi”.
Scuole semideserte anche a Bari e Bologna.
“Anche a Pescara, come in tantissime altre città , abbiamo registrato una percentuale altissima di studenti che hanno scelto di boicottare le prove”.
E nella Capitale chi ha boicottato i test #Invalsi2015 ha partecipato al presidio #‎noinvalsi organizzato dalla ACSR presso il parco San Paolo.
Al Volta e al Sereni aule completamente vuote.
A Brindisi, boicottaggio che ha sfiorato il 100 per cento al Carnaro, al Pertini, al Fermi, al Monticelli, al Palumbo, al Giorgi, al Ferraris, al Majorana di Brindisi.
A Palermo, l’adesione al #noinvlasi dei liceali è stata da record: il 92 per cento.
In altre parole, soltanto in 13 delle 162 seconde classi di classico, scientifico, linguistico, delle scienze umane e artistico si sono svolte le prove.
E in parecchie c’erano tanti alunni assenti.
(da “La Repubblica“)
argomento: scuola | Commenta »
Maggio 12th, 2015 Riccardo Fucile
PER SUCCEDERE A VENDOLA L’EX SINDACO DI BARI HA IMBARCATO TUTTI
Non sono soltanto questioni etiche, c’è anche l’estetica a far ritenere che Michele Emiliano abbia
oltrepassato la soglia del non ritorno.
Le sue liste all inclusive hanno incolonnato le più screanzate facce del centrodestra, fornendo al mercato della politica “che cambia” i protagonisti della conservazione, nella logica che De Gaulle illustrò con una frase illuminante: “Il potere non si conquista. Si arraffa”.
“Sarò il domatore di questi qua e userò il frustino se sgarreranno”, garantisce il governatore in pectore e segretario regionale del Pd.
Il circo di Puglia è pieno di trapezisti, saltatori all’insù, eccellenze nel movimento carpiato.
Forza Italia svuota l’arsenale umano e l’Udc, un rassemblement di devoti nella virtù della famiglia, fornisce braccia e numeri di telefono.
Ma lui, Emiliano il domatore, non si spaventa.
“Quelli che si oppongono alla mia giunta sono tutti al suo fianco”, dice Paola Natalicchio, sindaco di sinistra di Molfetta, stordita dal fatto che i protagonisti della stagione più torbida della città che lei ha espugnato con un progetto fondato sulla pulizia e sul rinnovamento oggi festeggino all’idea che Michele, il suo candidato naturale, divenga governatore.
Non c’è discussione e non c’è da temere: Emiliano stravincerà .
Un sol boccone farà del centrodestra, oggi squinternato e piegato nella guerra che Raffaele Fitto ha ingaggiato con Silvio Berlusconi.
E non c’è da discutere anche sulla moralità del protagonista di questa campagna elettorale al rovescio: Emiliano è onesto. Ed ha dato prova di essere un buon amministratore.
Natalicchio usa la memoria per analizzare il tempo che fu: “Non posso dimenticare che qui a Molfetta lui, al tempo in cui era magistrato , ci mandò gli elicotteri della polizia per sgominare le bande criminali. E non dimentico che ha buttato giù, da sindaco di Bari, la vergogna di Punta Perotti, ha restituito il Petruzzelli alla città , ha realizzato un sistema di trasporto in ferro. Non lo dimentico perciò mi angoscio. Lo voterò, certo, ma ho paura di allestire un palco in piazza. Perchè con lui rischio di trovarmi alla tribuna coloro che ritengo i più grandi nemici della mia città ”.
Emiliano ha invece preso per mano, anzi stretto la mano a Francesco Spina, che qualche mese fa è stato eletto dal centrodestra a presidente della Bat, una provincia nata morta che raccoglie le città di Bari, Andria e Trani.
La “Spina” del centrodestra
Spina, pure sindaco di Bisceglie, ora è divenuto il coordinatore delle liste del centrosinistra. Ed Emiliano, il domatore col frustino, si è fatto immortalare sotto i volti di Moro e Berlinguer proprio con Spina.
“Sarei un pasticcione soltanto perchè ritento la carta del compromesso storico?”, ha chiesto polemico il candidato governatore.
Le buon’anime — fossero state in vita — l’avrebbero denunciato per abuso della credulità popolare.
Invece, beati loro, non ci sono più.
Enrico Berlinguer non potrà assistere allo scempio di vedere svuotata la cassaforte di voti del Tavoliere, sempre appannaggio del centrodestra, e trasferita — tal quale — all’avversario.
Infatti, da Foggia, il nord della Regione, due soggetti con le mani perennemente in pasta come Carlo Mongiello e Angelo Cera stanno trasportando truppe e valori, chiamiamoli così, al leader dello schieramento avversario.
Sul punto una notizia: Emiliano vuole stravincere perchè da governatore acclamato vorrà avanzare contro Matteo Renzi, il fiorentino abituato allo scasso con destrezza. Alle europee, dopo averlo incoronato capolista del Sud, lo infilzò sostituendolo all’ultimo minuto con Pina Picierno.
Il gran gioco per l’assalto al renzismo
Emiliano si ritirò in buon’ordine. Adesso è venuta l’ora della rivincita. E dunque ha stabilito di sviluppare omeopaticamente le difese immunitarie. Renzi fa il partito della Nazione?
Lui aumenta le dosi e arriva fino ai fasci. Accoglie in casa Eupreprio Curto, già Msi, poi An e poi eccetera eccetera.
Da senatore si ricorda una sua strabiliante e decisiva puntualizzazione sul numero (modesto) dei raccomandati che aveva fatto assumere al paese, Francavilla Fontana. “Non più del dieci per cento”.
Oggi Curto sta con Emiliano, tale e quale alle tre personalità baresi che, nell’ultima corsa alle comunali, sostenevano candidati diversi da quelli del Pd, il partito, è bene ricordarlo ancora una volta, di cui è segretario regionale.
A Bari alcuni personaggi che alle ultime elezioni hanno lavorato per far perdere il candidato, oggi sindaco, Decaro, sono tra i suoi fan.
Un trittico di esuberanti portavoce, tra cui si segnala la spinta, chiamiamola così, che al candidato governatore offrirà la signora Anita Maurodinoia, dal curriculum politico incerto ma dal cuore d’oro.
Userà il frustino Emiliano. E sarà un bello spettacolo vederlo alle prese con una platea di consiglieri con un cursus honorum segnato da gravosi infortuni.
Può darsi che abbia ragione e che teorizzando le conversioni di San Paolo i cementificatori di ieri saranno gli ambientalisti di domani.
E i nuovi moralizzatori sbucheranno dal guscio delle clientele e gli affaristi dai borghi proletari.
“Non ti fidi di me?”.
È la parola d’ordine di Emiliano, che vuole fare il sindaco di Puglia e insieme allontanare il fantasma di Nichi Vendola. “Azzerare quella stagione, mi sembra chiaro.
Lui non si fida della sinistra e nemmeno del suo partito”, dice Guglielmo Minervini, che contro di lui ha combattuto perdendo.
Emiliano, coprendosi a sinistra, ha messo in lista Ernesto Abaterusso, traino dalemiano nel Salento, in sostituzione del figliolo incappato in una grana giudiziaria e perciò incandidabile.
Il papà — traghettatore di parecchi voti d’ogni ordine e grado — ha accettato per spirito di sacrificio e adesso batte palmo a palmo la provincia.
A dargli man forte alcuni giorni fa è sceso Andrea Orlando, il ministro della Giustizia. Un bel comizio proprio alla vigilia di un procedimento in cui Abaterusso è imputato per truffa ai danni dell’Inps.
E qui si aprirebbe di nuovo la questione estetica.
Antonello Caporale
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Costume | Commenta »
Maggio 12th, 2015 Riccardo Fucile
I CITTADINI ITALIANI HANNO PAGATO IN TASSE IL GRANDE EVENTO MA NON HANNO DIRITTO A CONOSCERE IL NUMERO REALE DEGLI INGRESSI
E’ italiano, pesa solo 45 chili e ha tre bracci d’acciaio Inox.
Se potesse anche parlare potrebbe dire quello che gli altri non dicono: se l’esordio dell’Expo, enfatizzato da più parti, è un successo oppure no.
Perchè a 12 giorni dall’inaugurazione una risposta certa non c’è.
Gli organizzatori dell’evento hanno adottato la politica di non comunicare il numero di ingressi effettivi ma limitarsi agli 11 milioni di biglietti venduti finora, un dato che in realtà dice poco sulla reale capacità d’attrazione della manifestazione, visto che 10 sono stati venduti in prevendita, a scatola chiusa e cantieri ancora aperti.
Non è impuntatura. Gli italiani hanno contribuito in tasse all’avventura del 2015 per un importo analogo al costo del biglietto.
Anche quelli che non ci andranno ne sono azionisti. E dunque, avrebbero motivo di sapere come va il loro piccolo “investimento”. E invece non lo possono sapere.
Silenzio, c’è Expo. Il gioco dei numeri che nessuno dice
Il commissario Giuseppe Sala spiega così il silenzio: “Non diamo numeri perchè nelle manifestazioni di questo tipo ci sono molte variabili e poi si aprono polemiche sul nulla. Si correrebbe il rischio di esaltarsi o deprimersi mentre io voglio che il mio team rimanga concentrato sulle cose da fare”. Punto.
La società annuncia che mercoledì 13 maggio farà un primo bilancio in una conferenza stampa e quella potrebbe essere l’occasione per fornire dati sulle effettive presenze.
Tuttavia i numeri — ufficiosi — girano fin dal primo giorno.
Le agenzie di stampa, facendo riferimento a non meglio precisate fonti Expo, annunciavano 200mila presenze all’inaugurazione del primo maggio, ma lo stesso Sala non ha confermato.
Il secondo giorno è stata una nota del Comune di Milano a riferire di 220 mila ingressi, anche stavolta non confermati.
Il bilancio “ufficioso” della prima settimana, secondo fonti vicine alla società , si chiuderebbe con circa 500mila presenze, non proprio confortanti rispetto alle attese, come rileva anche il Sole24Ore. Ma sempre di numeri incerti si tratta.
Li contiamo tutti, ma facciamo finta di no
Il paradosso è che a contare i visitatori è lo stesso tornello che li fa entrare. E lo fa con grande perizia, in tempo reale e senza margini d’errore.
Lo ha progettato ad hoc per Expo la trevigiana Came Group, azienda di Dosson leader nel settore delle automazioni che ha firmato, tra gli altri, i dissuasori del Pentagono a Washington.
Come funziona? Ogni dispositivo può gestire fino a 25 ingressi al minuto e dislocati ai quattro cancelli di Expo ce ne sono 230.
Ognuno è dotato di uno speciale lettore ottico che registra tutti i biglietti: cartaceo, Qr Code, Rfid o Nfc oltre a tablet, telefonino Telecom e carta di credito Banca Intesa.
La connessione ethernet “nativa” trasmette immediatamente il dato (in entrata e in uscita) al “main operation center” della centrale operativa dislocata in via Drago che dista meno di un km da all’era Expo (foto).
Il sistema è dunque congegnato proprio per monitorare e fornire le presenze in tempo reale, quelle che tutti chiedono di conoscere e nessuno rivela. Insomma quel dato, se mai ci fossero stati dubbi, c’è. Solo non viene diffuso.
Il messaggio universale: la trasparenza può aspettar
I motivi di tanta discrezione? Stanno tutti nel quadro economico.
L’operazione Expo ha richiesto investimenti pubblici per 1,3 miliardi e dovrebbe generare ricadute economiche per cinque.
La partita del pareggio e dei ritorni si gioca tutta sulle effettive presenze. Se mai ci fosse un bollettino giornaliero, e questo attestasse una visibile diminuzione degli ingressi, finirebbe per fare pubblicità negativa all’evento, rendendolo meno attrattivo. Il messaggio universale che arriva da Expo è che in Italia finisce sempre così: dal G8 alle grandi opere, quando ballano certe cifre la trasparenza e la cassa smettono presto di andar d’accordo.
Il principio del silenzio si è trasmesso lungo la filiera Expo da precise scelte di gestione.
Su tutte, quella di sopperire ai mancati investimenti pubblici con il matrimonio d’interesse con i privati, ai quali viene offerta la possibilità di gestire in proprio (e senza gare) servizi strategici come la biglietteria e la gestione degli ingressi.
Senza vincoli e contratti con la società Expo. E dunque obblighi di pubblicità e trasparenza verso terzi. Bussa pure, che non ti rispondono.
Ma andiamo con ordine, i conti.
Lo Stato ha coperto il miliardo e 300 milioni per la realizzazione della “cittadella” ma non ha messo un euro per coprire i costi di gestione di questa gigantesca macchina che gira 24 ore su 24 e che alla fine dei sei mesi — tra personale, pulizie, ammortamenti e servizi — dovrebbe presentare un conto da 800 milioni.
Dagli sponsor ne sono arrivati cash 370, meno della metà . Per coprire la differenza tocca assolutamente vendere 24 milioni di ingressi.
È dunque, come detto, è sui ticket e sulla capacità di conquistare turisti che l’evento si giocherà più della metà dei ricavi operativi. Finora ne sono stati venduti 11 milioni, il 40% di quanto previsto per circa 200 milioni. Ma non tutti gli “assegni” vengono incassati subito e su quelli futuri non c’è certezza.
Interessi pubblici&affari privati. Il silenzio è d’oro
E’ chiaro che, se venissero a mancare, salterebbe tutto.
E qui arriviamo dritti al secondo motivo del voto di silenzio. La ricca partita dei biglietti d’ingresso a Expo2015 è finita tutta nelle mani di privati.
Dalla vendita all’incasso e fino alla “consumazione”. Una scelta che si impone nel 2012, quando la società di gestione di ritrova in grande in affanno.
E’ partecipata dal governo al 40% ma scopre che non avrà soldi pubblici per quel miliardo e rotti che costa accendere le luci del grande Luna Park.
Si rischia di non partire neppure. Expo Spa gioca allora l’unica carta possibile: quella dei partner privati cui chiede di partecipare attivamente all’evento investendo, in cambio di soldi ma anche di corrispettivi in servizi (remunerativi) e ritorni d’immagine.
E le invita direttamente a rispondere a una “Request for proposal”.
Gli esperti del settore le definiscono “gare atipiche”, soprattutto per l’alto valore economico dei servizi. Ma anche per l’attenuazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza, già che il “fornitore” in realtà è un partner direttamente coinvolto.
Il relativo contratto con Expo, per dire, sul sito ufficiale dell’evento non c’è. E il tentativo di ottenere informazioni va a vuoto: “chiamate Expo Spa”. Punto. E si torna da capo.
Siamo tutti azionisti. Paghiamo il biglietto (senza entrare)
La manifestazione è internazionale, gli investimenti sono in gran parte statali (1,3 miliardi). In ballo ci sono tante aspettative sull’indotto, l’occupazione e il Pil.
A scendere c’è la stessa Expo Spa (e i soci pubblici), chiamati a chiudere i conti in equilibrio.
Dietro, tutte le società private che hanno fatto investimenti diretti e si sono accollate rischi d’impresa. Insomma, gli interessi in gioco impongono qualcosa oltre la prudenza: il silenzio.
Ecco perchè si prende la temperatura a Expo e si lascia che solo una ristretta platea di soggetti possa a sapere davvero come sta.
La controindicazione è che ad oggi non lo sanno gli italiani, anche se finora hanno pagato tutti il biglietto e senza neppure andarci.
Facciamo due conti: lo Stato ci ha messo 1,3 miliardi, diviso per i 41,3 milioni di contribuenti attivi fa 31,4 euro a testa. Il biglietto d’ingresso a data fissa ne costa 34. E tuttavia il cittadino qualsiasi, il visitatore e il contribuente non può sapere come va l’involontario investimento in conto Expo.
Si deve rassegnare. Il tornello hi-tech, purtroppo, ancora non parla.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 12th, 2015 Riccardo Fucile
PRESSIONE FISCALE AL MASSIMO, MA NON TUTTI SONO VESSATI ALLO STESSO MODO… IL CONFRONTO CON ALTRI PAESI EUROPEI E’ IMPIETOSO
La teoria è semplice – quasi banale: lo stato esiste per servire i propri cittadini. 
A volte invece succede il contrario, soprattutto nei momenti di difficoltà . Dall’inizio della crisi economica il conto è diventato sempre più salato, e a pagarlo sono state le tasse dei cittadini: anche quelle sul lavoro.
I dati Ocse mostrano che rispetto al 2007, ultimo anno prima della crisi economica, tasse sul lavoro e contributi sono aumentate per quasi tutti i tipi di famiglie – per alcune molto più di altre.
Prendiamo una famiglia con un solo coniuge che lavora e guadagna uno stipendio nella media – intorno ai 30mila euro lordi l’anno.
Per loro, due figli e spina dorsale della classe media italiana, in sette anni il cuneo fiscale è passato dal 35,7 percento al 39 percento.
Non ci vuole molto neppure per essere considerati ricchi: il secondo incremento più consistente è per i single senza figli con un reddito lordo sui 50mila euro – per un guadagno di circa 2.500 euro netti al mese -, che fra tasse e contributi passano al 53,8 percento contro il 51,4 percento del 2007.
Aumentano le pretese dello stato anche verso i lavoratori single senza figli, nonchè per le coppie in cui un coniuge ha reddito medio e l’altro invece molto basso, sui 10mila euro. Unica eccezione, i single con un reddito medio-basso, per i quali invece il cuneo fiscale è diminuito – anche se di poco.
Eppure tassare il lavoro ha due effetti collaterali. Il primo – più evidente – è che sottrae reddito alle persone, così che ogni mese hanno meno da spendere o risparmiare.
Il secondo è più sottile ma non meno importante: tanto più un datore di lavoro si trova costretto a pagare contributi elevati, tanto più sarà difficile mantenere i dipendenti che ci sono già – per non parlare di assumerne nuovi.
È una cosa che può succedere a chiunque.
Poniamo di aver bisogno di una persona che si occupi delle pulizie, qualcuno che badi a un anziano in famiglia. Se aumentano le tasse sul lavoro non ci sono molte alternative: o troviamo qualcuno che si accontenta di guadagnare poco – magari meno bravo -, oppure è necessario dargli uno stipendio più alto per compensare. E se salgono i contributi il risultato non cambia.
Ma noi non siamo ricchi, nè possiamo spendere troppo, soprattutto in tempi incerti come questi. Forse abbiamo soltanto qualcuno che dia una mano ogni tanto, senza troppe pretese.
Così, invece di prendere qualcuno, lasciamo perdere e facciamo noi uno sforzo in più. Risultato: meno lavoro. L’esatto contrario di quanto sarebbe necessario mentre la disoccupazione cresce .
Se invece confrontiamo l’Italia con altre nazioni europee la troviamo nel gruppo di quelle che il lavoro lo tassano di più.
Allora forse non è un caso che tanti italiani decidano di trasferirsi a Londra, visto proprio in Gran Bretagna per un single senza figli e con un reddito medio-basso – una situazione comune per tanti giovani espatriati – tasse e contributi incidono per il 26 percento.
Nella stessa identica situazione, per una persona nel nostro paese ammontano invece al 42 percento: un differenza che vale diverse migliaia di euro – ogni anno.
Non sono l’unico gruppo: in generale nel Regno Unito il cuneo fiscale è più ridotto per tutti i tipi di famiglie e risulta generoso soprattutto verso i single con due figli a basso reddito, per i quali non arriva neppure al 6 percento.
Anche in Spagna le famiglie sono meno pressate dalle tasse. Qui però la differenza maggiore con il nostro paese riguarda le coppie con figli e reddito medio basso, che sono più tutelate.
Ma poichè in Europa il paese iberico è il più simile all’Italia – sotto tutti i punti di vista – sorprende trovare un sistema fiscale tanto diverso dal nostro.
Francia e Germania, d’altra parte, hanno livelli di tassazione sul lavoro pressappoco equivalenti all’Italia. Non identici, però: se Londra sembra essere un rifugio per i giovani lavoratori, Parigi va in senso opposto – lì il cuneo fiscale per quel tipo di persone è persino più elevato che in Italia.
La Germania è un caso a parte, e riesce ad avere allo stesso tempo tasse elevate e un livello di disoccupazione molto basso , anche per i giovani.
Certo tasse e contributi sul lavoro sono una parte importante dei balzelli che cittadini e datori di lavoro devono versare allo stato, ma certo non gli unici. In realtà il loro aumento, negli ultimi anni, è andato di pari passo con una crescita generalizzata della pressione fiscale.
Mentre la crisi imperversava già da tempo, Berlusconi rassicurava il paese. “I ristoranti sono pieni”, diceva ancora nel 2011, evitando di prendere misure – anche minime – per attenuare la gravità degli eventi. Così la situazione è diventata ancora più grave.
Dopo di lui il governo tecnico di Monti, la cui manovra economica ha pesato di più proprio dal lato delle imposte: in questo modo l’Italia arriva ad avere una pressione fiscale pari al 43,5 percento del prodotto interno lordo.
Ogni dieci euro prodotti dai 60 milioni di abitanti della penisola, quattro e 35 centesimi si trasformano in tasse dovute allo stato. È un livello mai raggiunto prima durante la Seconda Repubblica.
Il governo guidato da Enrico Letta, più avanti, non modifica questo rapporto in maniera sostanziale. Nè le cose cambiano con Renzi e il suo bonus di 80 euro, che secondo le convenzioni statistiche internazionali vale come ulteriore spesa pubblica – anch’essa a livelli record .Così si torna al punto di partenza mentre l’economia resta ferma, e con lei il reddito degli italiani – soprattutto di chi ha meno.
Davide Mancino
(da “L’Espresso”)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 12th, 2015 Riccardo Fucile
PAITA 28-28,5% , TOTI 26,5-27%, SALVATORE 24-25,5%, PASTORINO 10-11%, MUSSO 7,5-8%
In Liguria sarà lotta all’ultimo voto, ma l’ago della bilancia potrebbero essere gli indecisi, in quanto i giochi sono ancora tutti aperti.
Il successo della renziana Paita non è più così scontato, ma anche Toti arranca e la Cinquestelle Alice Salvatore potrebbe essere la clamorosa sorpresa in base al detto “tra i due litiganti il terzo gode”.
Il quadro che gli istituti di ricerca Ipr e Tecnè hanno illustrato a Porta a Porta combacia nella sostanza e la forbice tra la Paita e Tosi è tra 1 o 2 punti, tra la Paita e la Salvatore di 3 o 4 punti, ma con una osservazione di fondo: sia la Paita che Toti
fino a due settimane fa era dati oltre il 30% e ora sembrano in caduta, mentre la Cinquestelle ha recuperato almeno 4 punti.
In leggero calo il civatiano Pastorino che però resta determinante nella crisi della Paita.
La vera sorpresa è Enrico Musso con la sua Liguria Libera che dal 3% di due settimane fa è salito al 7,5%-8%.
Una lista civica di centrodestra fatto di persone non inquisite con un candidato governatore stimato docente universitario di area centrodestra.
E non a caso Liguria Libera oggi lancia un appello agli elettori: “aiutateci a prendere un voto in più di Forza Italia per far nascere un nuovo centrodestra”.
A 15 giorni dal voto tutto può ancora accadere.
argomento: Genova | Commenta »
Maggio 12th, 2015 Riccardo Fucile
L’UNICA CHE RIGUARDA IL MERIDIONE E’ SU LAMPEDUSA: TUTTO IL RESTO SONO MARCHETTE A FAVORE DEI SUOI FEUDI ELETTORALI PADAGNI
“Se abbiamo avuto toni eccessivi in questi anni sul Sud e i meridionali, chiedo scusa”. Così il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, parlava lo scorso febbraio nel giorno del suo “sbarco in Sicilia” annunciando una nuova fase.
E la sua passione meridionalista è proseguita in Puglia con il tour previsto per l’11 maggio.
Solo che l’accoglienza non è stata calorosa con lanci di uova e pomodori a Foggia, dove la polizia ha caricato i manifestanti.
Stessa tensione a Lecce, solo che in questo caso gli agenti non hanno usato la forza.
A Bari c’è stato un grande dispiegamento di forze dell’ordine, ma non si sono verificate proteste.
Salvini ha comunque tirato dritto, parlando di “accoglienza stupenda” in Puglia.
Sarà . Evidentemente per lui il Sud si è trasformato in una tale folgorazione da non consentirgli più neanche di riconoscere le contestazioni più plateali.
IL SUD PUO’ ATTENDERE
Eppure, carte alla mano, la conversione leghista non trova riscontri nell’attività parlamentare.
Ilfattoquotidiano.it ha controllato le proposte di legge del Carroccio depositate in Parlamento dall’inizio di questa legislatura.
Tra tutti i testi, solo uno è rivolto al Sud. Si tratta dell’iniziativa in favore dell’Istituzione della zona franca — con l’istituzione di benefici fiscali per vari beni di consumo — a Lampedusa e Linosa, sostenuta dal senatore Giacomo Stucchi.
Per il resto non c’è traccia del Mezzogiorno.
Al contrario, il Nord è sempre presente tra le priorità dei gruppi parlamentari della Lega.
Tra Camera e Senato si contano almeno 25 proposte, che a vario titolo puntano ad avvantaggiare Regioni o dare contributi alle amministrazioni settentrionali.
Tutto normale, per carità , visto che i parlamentari sono stati eletti in circoscrizioni del nord. Ma rispetto alle promesse, agli impegni e le dichiarazioni d’amore per il Meridione del leader del Carroccio, qualcosa decisamente non quadra.
ROMAGNA MIA
Il deputato Gianluca Pini ha molto a cuore l’Emilia-Romagna. Tra i 10 disegni di cui è primo firmatario, quel territorio risulta il suo chiodo fisso tanto da aver avanzato la proposta dell’istituzione della Regione Romagna formata dalle “Province di Forlì-Cesena, di Ravenna e di Rimini” e dai Comuni di “Borgo Tossignano, Casalfiumanese, Castel del Rio, Dozza, Fontanelica, Imola e Mordano nella Provincia di Bologna”.
E dopo la Regione a sè stante, secondo Pini la Romagna dovrebbe avere anche una propria Università costituita dalle “sedi decentrate di Ravenna, Forlì, Cesena e Rimini” ora ritenute dal parlamentare “mere appendici della prestigiosa università di Bologna, in un’università di serie A”.
A completare il quadro ci sono la proposte di istituzione della Corte d’Appello di Forlì, quella del “distacco dei Comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla Regione Marche alla Emilia-Romagna”, e anche del “distacco del comune di Sant’Agata Feltria dalla provincia di Rimini e la sua aggregazione alla provincia di Forlì-Cesena”. Nel menù non poteva mancare il dialetto con la proposta di legge sulla “la tutela del patrimonio linguistico romagnolo e delle sue varianti locali”.
TRA PIEMONTE E BRIANZA
Il deputato Stefano Allasia è invece molto concentrato sul Piemonte.
Così ha firmato la proposta “in materia di tutela della lingua storica piemontese”. Ma non solo.
Nell’elenco delle sue iniziative c’è “l’attribuzione dello statuto di autonomia provinciale alla provincia del Verbano-Cusio-Ossola” e il “distacco del comune di Carema dalla regione Piemonte e la sua aggregazione alla regione Valle d’Aosta, ai sensi dell’articolo 132, secondo comma, della Costituzione”.
Il deputato Paolo Grimoldi ha molto cuore la Brianza. Tre i suoi disegni di legge, fermi nei cassetti della Camera: c’è la “dichiarazione di monumento nazionale e contributo per il recupero, il mantenimento e la conservazione del tracciato storico dell’autodromo di Monza”.
Costi previsti? 500mila euro per “interventi di recupero, di mantenimento e di conservazione delle parti storiche del tracciato”.
Ancora: la lista della spesa (per lo Stato) include “l’istituzione del Museo delle carrozze storiche lombarde nella Villa Reale di Monza”, con uno stanziamento di 3 milioni di euro.
Infine, un altro progetto di Grimoldi punta all’istituzione “del Museo del mobile di design brianzolo-medese”. Ma questo senza aggravi per il bilancio pubblico.
AMORI NORDISTI
All’appello non manca il capogruppo alla Camera, Massimiliano Fedriga. Il presidente dei deputati leghisti ha depositato un testo per chiedere un “finanziamento statale di 10 milioni di euro per lavori di restauro della cinta muraria” del Comune di Palmanova, in provincia di Udine.
Obiettivo? “La riqualificazione dello spazio urbano e di immobili di proprietà demaniale”.
Non chiede soldi, ma meno tasse il deputato Nicola Molteni che ha proposto “l’Istituzione zona franca nelle province di Como, Sondrio e Varese”.
Il senatore Stefano Candiani è sulla stessa lunghezza d’onda con “l’istituzione di una Zona Economica Speciale nella aree territoriali della Lombardia confinanti con la Svizzera”.
Il collega di Palazzo Madama, Gian Marco Centinaio, ha pensato invece alla “dichiarazione di monumento nazionale e contributo per l’esecuzione dei restauri interni ed esterni della Basilica di San Michele a Pavia”.
E ancora Sergio Divina si è preoccupato di proporre il “distacco del comune di Pedemonte dalla regione Veneto e la sua aggregazione alla regione Trentino-Alto Adige/Sà¼dtirol e quello dei “comuni di Asiago, Conco, Enego, Foza, Gallio, Lusiana, Roana e Rotzo dalla regione Veneto” per aggregarli “alla regione TrentinoAlto Adige/Sà¼dtirol”.
Non proprio le regioni meridionali visitate in campagna elettorale.
Stefano Iannaccone
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: LegaNord | Commenta »
Maggio 12th, 2015 Riccardo Fucile
IL MOVIMENTO SARA’ PRESENTATO NEI PROSSIMI GIORNI A ROMA E CONFLUIRA’ NEL GRUPPO EUROPEO DEI “CONSERVATORI-RIFORMATORI”… BERLUSCONI NON VUOLE METTERE LA FACCIA NELLA SCONFITTA IN PUGLIA E RIDUCE LA SUA PRESENZA A UN SOLO COMIZIO… MOLTI ALTRI PARLAMENTARI STANNO BUSSANDO ALLA PORTA DI FITTO
Una nuova associazione politica, “embrione” di una nuova destra, che farà capo a Raffaele Fitto. 
Dopo il misero 4 per cento raccattato alle elezioni in Trentino Alto Adige, la scissione dentro Forza Italia sembra sempre più vicina.
Nella associazione, che confluirà nel gruppo dei conservatori-riformatori del Parlamento europeo, sarebbero infatti pronti a entrare 30 parlamentari azzurri.
Non più un cambio generazionale interno a Forza Italia quindi, ma l’ipotesi sempre più concreta di un nuovo partito che abbia alla base “i valori fondanti dell’ex Popolo della Libertà ”, proponendosi come guida e riferimento per tutti i moderati italiani e raccogliendo l’eredità del movimento lanciato da Silvio Berlusconi nel 2007 e sospeso 6 anni dopo per convergere nel rilancio di Fi.
Del resto, diceva ieri lo stesso Fitto a margine di una iniziativa di sostegno del candidato in Puglia Francesco Schittulli, Forza Italia “non c’è più”: “Non lo dico io, lo dicono loro stessi che Forza Italia non c’è e non ci sarà più. E purtroppo lo dicono gli elettori che in massa l’hanno abbandonata e che oggi hanno lanciato un segnale chiaro. Le elezioni di Bolzano di Trento mi sembra che siano indicative: percentuali imbarazzanti”.
Sono dati, secondo Fitto, che “testimoniano come il centrodestra non si possa rifondare con qualcuno che decide chi e come debba riunirsi ma su programmi seri e sistemi che si richiamino veramente alle esperienze degli altri Paesi, a partire da quella dei repubblicani americani che affidano agli elettori con le primarie la decisione su chi deve avere un ruolo o meno”.
Il riferimento, manco a dirlo, è alla leadership consunta ed evidentemente poco attrattiva dal punto di vista elettorale di Silvio Berlusconi, che da un lato annuncia il grande avvento di un “partito Repubblicano”, dall’altro si ritrova a capo di un piccolo partito balcanizzato nelle posizioni politiche dopo l’avanti-indietro sul patto del Nazareno e sulle riforme del governo Renzi.
E non è un caso che l’annuncio del nuovo soggetto arrivi nel giorno in cui lo stesso Silvio Berlusconi ha deciso di sciogliere le riserve sulla sua visita elettorale proprio in Puglia, terreno della frattura insanabile tra l’ala dei Ricostruttori legata a Fitto e il cerchio magico fedele all’ex Cavaliere.
L’ex premier avrebbe dovuto spendere due giorni girando in lungo e in largo il tacco d’Italia per dare sostegno ad Adriana Poli Bortone.
Al momento invece, sembra che l’ex premier si presenterà per un unico comizio a Lecce il 15 maggio.
La Puglia è notoriamente terreno di Raffaele Fitto, lì l’ex governatore ha la sua base elettorale, e potrebbe quindi trasformarsi in una esposizione mediatica in negativo per Berlusconi proprio all’indomani della sonora bastonata incassata a Trento e Bolzano, dove il partito è sceso al 4%. L’entusiasmo del commissario Vitali non ha convinto i fedelissimi dell’ex premier, che hanno dovuto rimediare all’annuncio dettato dall’euforia senza incappare nell’incidente diplomatico.
E se gli alleati-nemici della Lega Nord gongolano vedendo la difficoltà dell’ex leader, intanto Fitto prosegue la sua marcia: la nuova associazione politica, che sarà presentata a Roma nei prossimi giorni, avrà rappresentanti in tutte le regioni.
L’iniziativa si sarebbe rafforzata in un dialogo con l’area politica che fa riferimento a David Cameron, reduce dal trionfo alle elezioni in Gran Bretagna.
E l’obiettivo sarà “evitare una transumanza verso il Pd”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Maggio 12th, 2015 Riccardo Fucile
“RENZI HA UNA CONCEZIONE AUTORITARIA DI OCCUPAZIONE DELLE ISTITUZIONI”… “L’ITALIA È UN PAESE AD ALTA DIGERIBILITà€, CHE AMA L’UOMO FORTE”
La parola più spesso pronunciata è responsabilità . Quella soltanto accennata, che sta dentro tutte le altre, è nostalgia.
“So cosa vuol dire, perchè l’ho già provata”, ha detto Ferruccio de Bortoli ai suoi giornalisti prima di lasciare via Solferino.
Era il 30 aprile, oggi ci riceve nel suo ufficio alla Fondazione Vidas: “Non ho fatto un giorno di vacanza”.
Sorride: “Sai, pensavo che la mia esperienza come direttore finisse con il Sole 24 Ore. Ho anche goduto di un tempo supplementare. Il ricambio, a tutti i livelli, è necessario”.
Parla di politica?
Non solo. Partiamo da una considerazione preliminare: la nostra classe dirigente ha progressivamente perso l’idea di quella che chiamo ‘responsabilità nazionale’. Insieme all’etica pubblica. La classe dirigente privata ha criticato spesso gli apparati pubblici e la politica per difetti che ha finito per mutuare, ingigantendoli. Questo è lo spaccato in cui sono venute meno anche le figure di riferimento morale.
La vostra generazione ha delle responsabilità .
Non c’è dubbio. Abbiamo avuto buoni maestri, siamo stati cattivi maestri. È successo nell’intera società : abbiamo avuto ottimi padri, che si sono sacrificati moltissimo, ma non sempre siamo stati all’altezza del nostro ruolo quando lo siamo diventati noi. Lo dico anche per esperienza personale. È chiaro che ci sono tante eccezioni, però è vero che è un po’ svanita la coscienza collettiva. Pur con i suoi difetti, il secolo dell’ideologia aveva un’idea complessiva di bene comune, che non è affatto la sommatoria degli interessi privati. Ecco, da noi il bene comune è diventato una sorta di res nullius, che non ci appartiene. Gli spazi pubblici fatichiamo a sentirli nostri, tant’è vero che li trattiamo molto male. In questo senso dico che la classe dirigente ha perso per strada il ‘sentimento’ della propria responsabilita’
Per esempio?
Nel continuo pensare che lo Stato debba svolgere un ruolo di supplenza; nel fatto che in tutti questi anni gradatamente si sono trasferiti costi privati sul pubblico; abbiamo vissuto per molto tempo al di sopra delle nostre possibilità : fenomeni che hanno finito per ridurre il senso di responsabilità della classe dirigente. Tutti siamo consci di difetti e problemi, ma molto raramente si fa autocritica. Carenze, limiti, fragilità appartengono sempre al nostro vicino, sono la caratteristica decisiva del nostro nemico, del nostro avversario. L’autocritica, sostanziale e costruttiva, non c’è stata dentro i corpi sociali, da Confindustria al sindacato, non c’è stata all’interno degli ordini professionali. Così si è arrivati alla balcanizzazione della situazione italiana.
Questo è vero anche per i giornali?
Sul mondo dei media sono molto critico, però rifiuto l’accusa di un’informazione che non fa il proprio lavoro. Perchè lo si dice pensando a un’informazione che dovrebbe avere un ruolo ancillare, essere una proiezione della comunicazione politica o d’impresa. L’informazione, e l’ho scritto, è per sua natura scomoda, deve illuminare gli aspetti oscuri. Dove non c’è informazione non c’è riconoscimento del merito, dei risultati; non c’è equità , non c’è concorrenza, non c’è nemmeno crescita economica. Abbiamo discusso a lungo dei costi di un’informazione sbagliata o reticente. Ma abbiamo parlato assai poco dei costi della non informazione, cioè spazi di società che non vengono toccati da un’informazione corretta, indipendente, perfino irritante. Quando i media non fanno sconti a nessuno c’è una maggiore circolazione delle idee, un maggiore confronto, e anche una maggiore legalità .
A cosa si riferisce?
I poteri — quello politico e quello finanziario — dovrebbero essere osservati, analizzati, seguiti con maggiore scrupolo e rigore. Penso anche al funzionamento degli organi pubblici, alla burocrazia, a legami sotterranei. Questo è un tema sul quale sono intervenuto più volte. Altrove si parla molto tranquillamente del ruolo di alcune associazioni.
La massoneria. Un argomento ricorrente nei suoi discorsi, a partire dal famoso editoriale sul patto del Nazareno e “l’odore stantio di massoneria”.
Come ho chiarito, non volevo dire affatto che il premier appartiene alla massoneria. Giravano molte voci ed era lecito porre una domanda di chiarezza. La libertà di associazione in Italia esiste. Ma se scelte o nomine di carattere pubblico o privato sono determinate da appartenenze di questo tipo, legittime ma non trasparenti, si deve sapere.
E dire che in Italia c’è stata la P2, il Corriere ne sa qualcosa.
Quello che è accaduto con la P2, come spesso capita per i fatti molto gravi, è stato dimenticato. L’Italia ha un rapporto difficile con la sua memoria, specie per quanto riguarda il passato prossimo. Così però si perde la percezione di credibilità , affidabilità , livello di onestà dei protagonisti della scena pubblica.
Abbiamo dimenticato Mani Pulite?
È stata rimossa. Tangentopoli è stata, diciamo, una fase in cui si è tentato di moralizzare il Paese, anche se non possiamo negare i limiti dell’azione giudiziaria, che credo abbia fatto luce solo su una parte del malaffare dell’epoca. Però dobbiamo dirlo: a differenza di adesso, era un malaffare indirizzato soprattutto ai partiti, mentre oggi mi sembra tutto indirizzato alle persone o ai gruppi di potere. Quella lezione non l’abbiamo storicizzata. Per esempio riguardo alla sostituzione dell’etica con la norma penale nel discorso pubblico: un tema che meriterebbe una riflessione ampia. Alla fine tutto si richiude: l’Italia è un Paese ad alta digeribilità , che non impara dai propri incidenti. Ci si rifà molto facilmente una verginità , e si cambia di aspetto e di maschera con grandissima velocità .
La politica è il miglior esempio.
Credo che il trasformismo sia una delle caratteristiche peculiari del nostro Paese, non solo nella politica. Uno degli straordinari difetti dell’Italicum, che peraltro il Fatto ha ben sottolineato, è che aumenterà il grado di trasformismo della politica. Il partito della Nazione è il trionfo del trasformismo. Ma come: ci siamo divisi tra bianchi e neri, tra guelfi e ghibellini, per una vita e poi improvvisamente confluiamo tutti in un grande partito!
Perchè è possibile adesso?
Intanto perchè c’è un solo grande protagonista, al quale ovviamente dobbiamo riconoscere grandi meriti
…e talenti, come lei ha scritto.
Matteo Renzi è uno straordinario comunicatore, è un politico raffinato. E poi c’è il disfacimento del centrodestra, di partiti che si erano in qualche modo stabilizzati in un bipolarismo molto claudicante nella Seconda Repubblica…
Berlusconi è finito?
Anche lui è stato un grande solista, ora incapace di passare il testimone: rischia di mangiare le proprie creature e di lasciare un’eredità che fa addirittura torto a quello che ha fatto. Comunque: in questa grande decomposizione del quadro politico l’Italicum favorisce il trasformismo, forse anche nella certezza di chi comanderà . Però il trasformismo, attenzione, è una malattia che mina alla base la democrazia. Vedo il rischio di un distacco tra la società e la politica: con la nuova legge elettorale non decidiamo più i nostri eletti, per il 60-70%, a Montecitorio
Lei è favorevole al monocameralismo.
Sì, ma dubito molto delle funzioni di un Senato ridotto a una Camera di secondo grado, eletta dai consigli regionali. Il pericolo è un progressivo distacco dei cittadini che non credono più nel governo, nella politica, nello Stato e nella possibilità di stare insieme. L’effetto collaterale dell’Italicum sarà di aumentare l’astensionismo: se l’offerta politica si riduce a un Partito della Nazione, e ad alcuni residuali cespugli, che non hanno la minima attrattività perchè sono perdenti nati… È avvenuto un cambio sostanziale nella forma di governo, siamo passati a un premierato forte: un passaggio che si è concretizzato con leggerezza colpevole. L’Italia, una democrazia immatura, ama l’uomo forte. Mentre la partecipazione è fatta da contrappesi, istituzioni che si rispettano. Siamo passati dal berlusconismo, che occupava le istituzioni anche con fini personali, a un impoverimento delle istituzioni, un indice importante del grado di salute della nostra democrazia.
I giornali sono stati all’altezza del passaggio?
Credo che in generale la media della stampa italiana sia stata più internazionale del proprio Paese, più avanzata sui temi dell’economia e della politica. Penso abbia svolto una funzione di stimolo e critica: dopodichè il giornalismo non fa mai abbastanza. Deve essere il più possibile acuminato, e contemporaneamente sapere che alla libertà si accompagna la responsabilità . Quando si sbaglia bisogna riconoscerlo. Per esempio credo che ci debba essere un maggiore rispetto per le persone: quanti abbiamo ‘condannato’ sulla base di inchieste che si sono rivelate totalmente infondate? Non ce la possiamo cavare con una breve in una pagina interna. Dobbiamo porci il problema di restituire a quelle persone la dignità . Più rispetto vuol dire anche più libertà : credo che questo sia un modo per immettere nel giornalismo anticorpi che possono difenderlo da una serie di condizionamenti subdoli, per esempio quelli del mondo pubblicitario, anche considerando che il settore non attraversa un periodo felicissimo dal punto di vista economico.
Lei ha detto che Renzi è allergico al dissenso, che mal sopporta le critiche. Le sue pare lo abbiano fatto particolarmente arrabbiare.
Non lo so. Vorrei ricordare che la novità di Renzi è stata salutata, anche da me, come una novità positiva: ha portato la sfida della modernità all’interno di un partito ancorato a vecchi schemi ideologici. Dopodichè, a me pare abbia mutuato dalla controparte molti dei modi con i quali gestisce il potere. La sua è una concezione autoritaria di occupazione delle istituzioni. A mio parere dovrebbe imparare — se vuole paragonarsi ai leader europei — che l’informazione non è un male necessario. L’informazione è scomoda, per lui come lo è stata per le persone che ha ‘rottamato’. Non può pensare che la stampa lo applauda costantemente. Questo riflesso personale autoritario m’inquieta.
Vi siete scambiati sms: che dicevano?
Diciamo che i rapporti sono stati sempre tesi, ho ricevuto critiche per scelte che magari erano spiacevoli per lui. Ma non ci sono state solo posizioni contrarie: abbiamo elogiato la sua politica economica, per esempio.
L’avversione del premier ha inciso in questo suo travagliato anno al Corriere?
Assolutamente no. All’epoca delle leggi ad personam ho avuto una lunghissima querelle giudiziaria con Ghedini e con Pecorella, avvocati di Berlusconi. E con D’Alema ebbi tutta una serie di procedimenti che si interruppero quando diventò presidente del Consiglio, subito dopo Prodi. Con Berlusconi da tanto tempo non ci sentiamo più. Penso che il giornalista debba fare il proprio mestiere, cercare di farlo il meglio possibile. Mentre da noi c’è sempre una visione un po’ amicale del rapporto tra giornalista e politico. Ci si dà troppo spesso del tu, si va a cena. In questo, ho commesso degli errori anch’io.
Cioè?
Ho capito che bisogna essere un po’ più rigidi, altrimenti la tua fonte pensa che tu non abbia regole. Io non chiedo a un imprenditore o a un finanziere di non fare il suo mestiere. Non vedo perchè loro debbano chiedere a me di non fare il giornalista.
Questo è un problema nostro: le persone ci trattano come noi permettiamo loro di fare.
È vero. Il giornalismo, quando è temuto è autorevole, quando è indipendente si fa rispettare. Nel momento in cui accetti una mediazione o un compromesso, è la linea dalla quale non torni più indietro.
Le notizie non sempre piacciono ai protagonisti.
Il giornalismo deve nutrire l’opinione pubblica di verità , non sempre piacevoli. Deve far ragionare, mettere la classe dirigente nella condizione di valutare le priorità . Deve esercitare una pressione che induce a prendere decisioni, a tendere al meglio, a valutare molti aspetti di ogni singola questione. Dove non c’è opposizione, dove non c’è il controllo democratico da parte di giornali che sono i cani da guardia del potere, è chiaro che il potere non si comporta bene. Il potere tende a prendere pessime abitudini che fanno male alla democrazia.
Questo accade perchè come categoria abbiamo parecchio scodinzolato, più che abbaiato.
Sì. E forse abbiamo fatto anche molti sconti. Uno dei difetti principali del giornalismo odierno è quello di essere parte della scena che deve descrivere.
Questo si vede molto bene in tv.
Se fai questo mestiere, come dovrebbe essere anche per i magistrati, non devi avere nè amici nè sentimenti. Devi dire crudamente quello che succede e devi porti delle domande, essere inopportuno e temuto. Solo così il giornalista ha un ruolo. Perchè il grande giornalismo anglosassone, quello vero, magari dice sì alla guerra, però poi non diventa il gazzettiere delle forze armate. Mentre qui abbiamo molti colleghi che sono, anche inconsapevolmente, enbedded.
Le è capitato di essere in difficoltà nel pubblicare una notizia?
Una volta i magistrati ci chiesero di non pubblicare la notizia del rapimento di Alessandra Sgarella, che era avvenuto a Milano: ritenevano che ci fossero altissime possibilità che l’ostaggio venisse ucciso durante la notte. Però c’era un altro aspetto: il governo era di centrosinistra e l’allora ministro dell’Interno aveva detto che con il suo governo i rapimenti non c’erano più. Non pubblicare quella notizia diventava anche una scelta politica. Per questo chiamai Ezio Mauro e gli altri direttori, dicendo ‘dobbiamo uscire’. Andai a dormire con l’angoscia di sentirmi poi responsabile se per caso fosse successo qualcosa alla persona rapita: fortunatamente non accadde niente.
Nel suo Rendiconto d’addio ha parlato dei suoi “fin troppo litigiosi azionisti”. Molte pressioni
È stata una separazione consensuale. Ho sofferto la grande litigiosità dei miei azionisti, però non vorrei toccare questo tema: fa parte del passato. Ho avuto problemi con molti di loro, alla fine devo riconoscere che il giornale me l’hanno fatto fare. Sono contento perchè sono stato sostituito da Luciano Fontana: lui era la mia proposta iniziale. Sono convinto che proseguirà , innovando e facendo molte più cose meglio di me.
Il direttore del Corriere della Sera è un mestiere a sè, anche nel mestiere a sè del direttore. Molti azionisti da tenere a bada.
Nella prima direzione di più. Nella seconda meno, i rapporti si sono allentati. Forse è molto più difficile per un direttore avere un azionista unico, che gli chiede cose cui è difficile dire di no. Comunque la libertà è direttamente proporzionale alla capacità del giornale di essere autorevole e di avere le notizie.
Ezio Mauro dirige Repubblica da 19 anni, lei e Mieli avete diretto, con la doppia staffetta, via Solferino per un ventennio…
Sono diventato direttore per la prima volta nel ’97, succedendo a Paolo. Credo che il nostro tempo sia finito. La nostra generazione non ha favorito ricambi, anche perchè si sono affrontate negli ultimi anni molte ristrutturazioni, che purtroppo si sono risolte a danno dei giovani: si sono tutelati di più gli anziani. Ecco, questa responsabilità generazionale l’ho sentita. Cioè, se devo fare una critica a me stesso, probabilmente ho fatto crescere molti giovani, ma avrei dovuto fare di più e meglio. Dopodichè, è chiaro che noi siamo ancorati a una visione un po’ novecentesca della politica, dell’economia, della società . Ho notato che la mia capacità di interpretare la realtà si è costantemente ridotta. Mi sono reso conto che l’angolo di visuale con cui guardavo il mondo e quindi con cui facevo il giornale si era ristretto.
Che cosa significa?
Alcuni fenomeni, non capendoli, abbiamo preferito non affrontarli. Per esempio la cultura digitale. Per esempio i movimenti giovanili, le tendenze della cultura e della società : eravamo meno preparati di come avremmo dovuto essere per affrontare questi temi. All’inizio del nostro ventennio probabilmente saremmo stati degli innovatori più capaci. Forse ci siamo trasformati, siamo diventati conservatori. Del resto quelli che quando eravamo giovani noi vedevamo come anziani, erano molto più giovani di noi adesso.
Si perde la capacità di stupirsi?
Sai qual è la malattia senile del giornalismo? Quando accade qualcosa e tu pensi di sapere già come andrà a finire. E allora, credendo di sapere, hai un atteggiamento un po’ scettico e superficiale rispetto a quello che accade. Invece ti devi stupire, incuriosire, indignare. Sempre. Tu devi essere attratto dal sistema. Cioè, la tua carne, il tuo corpo, devono essere attratti dalle notizie. Ma quando tu ti soffermi sul ciglio — con la tua giacca e cravatta come faccio io — e giudichi dall’alto, sei superficiale, superbo. E alla fine fai male il tuo mestiere.
È preoccupato per il Corriere? Si parla dell’ennesima, sanguinosa, ristrutturazione.
Come ho detto, il mio rapporto con gli editori si è interrotto il 30 aprile. Il mio legame affettivo con il giornale è indissolubile, continuo, e anche in questi giorni ne provo profondissima nostalgia. Ma sono convinto che il ruolo del Corriere rimarrà quello di prima, anzi, sarà estremamente potenziato dalla direzione di Luciano Fontana. Il Corriere ha sempre generato utili, anche quando era in amministrazione controllata. Mi sono sempre battuto per la centralità del Corriere all’interno del gruppo e credo che anche in questa fase gli editori riscopriranno e rilanceranno la centralità del Corriere.
Ora scrive sul Corriere del Ticino. Libri in cantiere?
Non so neanche se sono capace di scriverlo, un libro. Non è così facile scrivere un libro, sai? Io sono sempre stato, e resto, un giornalista.
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Stampa | Commenta »
Maggio 12th, 2015 Riccardo Fucile
TRITON COME MARE NOSTRUM, SOCCORSI A 50 MIGLIA DALLE COSTE… SARANNO IN TOTALE 40.000 I PROFUGHI RIDISTRIBUITI IN EUROPA
Le navi di Triton potranno stazionare su una rotta a 50 miglia dalle coste italiane nelle acque del
Mediterraneo per controllare il traffico e salvare altre vite umane.
L’agenzia per la vigilanza delle frontiere Ue, Frontex, ha imbastito un’intesa col governo italiano per dare un più ampio spettro di azione alla missione, oltre le attuali 30 miglia. L’orientamento replica il profilo di Mare Nostrum, l’operazione chiusa in autunno perchè accusata di «attirare i migranti».
Si ritiene anche di ampliare il mandato al «search & rescue» (ricerca e salvataggio) considerata una svolta importante.
I leader Ue sono favorevoli; i tecnici di Frontex, a cui tocca la delibera, ritengono che si possa e si debba fare.
Più mezzi e soldi
L’Europa ha cambiato idea. Jean-Claude Juncker ha contestato chi ha lasciato Roma «da sola nel Mediterraneo» e, con la sua Commissione, prova a cambiare scena.
Più mezzi per sorveglianza e salvataggi. Più soldi, in tutto 190 milioni di nuovi fondi e un sistema di distribuzione su base obbligatoria, 20 mila sbarcati sarebbero smistati tra i Ventotto in base a Pil, popolazione, occupazione.
A noi ne toccherebbero 2000; ai tedeschi più o meno 2500.
Da aggiungere altri 20 mila rifugiati. In totale: 40 mila.
Non un dato immenso visto che nel 2014 gli illegali giunti in Italia sono stati 170mila.
La bozza di Agenda per l’Immigrazione che l’esecutivo comunitario conta di approvare domani ha superato senza danni la riunione dei capi di gabinetto.
È un segnale forte, in parte per i numeri (relativi), ma soprattutto perchè introduce il principio della distribuzione obbligatoria e proporzionata dei migranti.
Con una maggiore solidarietà «forzata», l’Ue potrebbe ora cominciare a dire di avere un approccio integrato, se non proprio una vera politica unica per l’Immigrazione.
Gentiloni: principio giusto
La Commissione sa che non sarà uno scherzo, in particolare quando la palla finirà nel campo del Consiglio, cioè dei governi nazionali. L’Italia ovviamente spinge. Ieri in un’intervista alla «Cnn», il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha detto che «una condivisione dell’accoglienza sulla base di un sistema di quote sarebbe un principio giusto».
L’ira del Regno Unito
Parigi è d’accordo: il ministro degli Interni Bernard Cazeneuve ha affermato che «la proposta è in parte ispirata a idee della Francia».
Favorevoli alle quote anche Germania, Austria e Paesi Bassi. Per approvare la ripartizione occorre una maggioranza qualificata: almeno 15 Paesi in rappresentanza del 65% della popolazione. «In questo momento c’è», assicura una fonte Ue.
L’opposizione è a Est, in Polonia e Ungheria, fra romeni, cechi e slovacchi.
Decisa la reazione dei britannici che si chiamano chiaramente fuori dalla manovra.
«Ci opporremo a ogni distribuzione non volontaria dei migranti», ha assicurato un portavoce del ministero degli Interni britannico — e non parteciperemo ad alcuna legislazione che imponga un sistema obbligatorio di rilocazione o redistribuzione».
Piano in sette punti
La proposta di Bruxelles è basata su sette azioni chiave.
Si parte con Triton, la cui riforma è attesa per fine mese: fondi triplicati e maggiore campo di azione.
Due: sostegno a un’operazione antiscafisti Ue-Onu nel Mediterraneo e sulle coste libiche. Tre: attivazione in giugno del sistema di emergenza con la ripartizione obbligatoria dei migranti.
Quattro: approvazione entro l’anno di un sistema permanente per ripartire chi arriva e ha diritto di restare.
Cinque: sistema di ricollocamento (rifugiati) per un approccio permanente oltre il 2016. Sei: 30 milioni per i programmi nei Paesi terzi. Sette: creazione di un centro pilota in Niger entro il 2015, una novità assoluta.
Inedita anche l’idea di creare un «approccio hotspot» che permetta a Frontex, all’Ufficio Ue per l’asilo e a Europol di lavorare sul terreno fianco a fianco con gli Stati per il segnalamento degli stranieri, partecipando anche alla creazione di strutture di smistamento gestite dall’Europa dove gli stranieri saranno ospitati fino all’avvenuta identificazione.
È uno schema di raccordo che suscita dubbi in alcune fonti del Viminale, secondo cui si tratta di «un oggettivo commissariamento».
Il piano operativo dell’intero pacchetto sarà presentato dalla Commissione entro maggio. I ministri europei ne parleranno a metà giugno, prima del vertice Ue dei giorni 25 e 26 che dovrebbe chiudere la contesa.
Ci saranno anche fondi aggiuntivi: 50 milioni per reinsediare i rifugiati, 30 per i programmi nei Paesi terzi, un centinaio per Triton e una decina di fondi vari. Fanno 190 milioni. Oltre il doppio di quanto c’era finora in cassa alla voce «Immigrazione».
(da “La Stampa“)
argomento: Diritti civili | Commenta »