Destra di Popolo.net

IL BIDONE “GARANZIA GIOVANI”, PAGAMENTI BLOCCATI DA MESI

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

“COSI’ SIAMO COSTRETTI A RINUNCIARE”… INPS E   REGIONI SI RIMPALLANO RESPONSABILITA’, IL MINISTERO DORME

C’è chi sta aspettando da settembre. Chi da un anno.
C’è chi deve contare sul sostegno dei genitori e chi, invece, sta meditando di mollare il colpo. E infine c’è anche chi è pronto a scendere in piazza.
Sono i ragazzi delusi da Garanzia Giovani, il programma europeo ideato per favorire l’inserimento lavorativo degli under 30.
In diverse Regioni italiane, i pagamenti sono bloccati da mesi, imprigionati nel rimpallo di responsabilità  tra ente regionale e Inps.
Al di là  di pochi esempi virtuosi, come le Marche, basta fare un giro su Facebook per notare che dall’Emilia alla Puglia, dal Lazio alla Campania, sono fioriti gruppi di denuncia nei confronti dei ritardi nei pagamenti delle indennità . Il ministero del Lavoro ammette le difficoltà . E spiega che sono legate ai controlli da effettuare sui pagamenti, in quanto si tratta di finanziamenti europei.
Allo studio dei tecnici c’è l’ipotesi che le imprese anticipino le indennità  ai tirocinanti. Ma intanto, i problemi restano.
Garanzia Giovani, finanziata con 1,5 miliardi di euro dall’Unione europea, già  negli scorsi mesi ha rivelato le sue fragilità .
Secondo l’ultimo report, sui 944mila giovani iscritti al programma solo 595mila, poco più della metà , sono stati presi in carico, nel senso che i centri per l’impiego stanno lavorando alla loro pratica.
E di questi solo 269mila, il 28,5%, ha ricevuto un’offerta di lavoro, per lo più un tirocinio. Beato chi trova un posto, si dirà .
Ma se poi non arrivano i soldi, c’è poco da festeggiare.
La versione del ministero: “Servono controlli, i tempi non sono quelli di un’impresa”
Dal ministero del Lavoro si confermano i ritardi nei pagamenti in diverse Regioni, precisando come sia “un misunderstanding pensare che l’indennità  di tirocinio sia erogata con i tempi dell’impresa”.
Le Regioni, fanno sapere da via Veneto, “devono effettuare una serie di controlli che comportano una dilatazione dei tempi”.
Controlli necessari in quanto si parla di risorse comunitarie. Per questa ragione, allo studio del ministero c’è la possibilità  che le imprese anticipino l’indennità  ai tirocinanti. Ma resta da capire se le aziende accetteranno di sobbarcarsi questo onere.
Nel frattempo, i pagamenti devono affrontare una trafila burocratica.
L’azienda trasmette i documenti alla Regione. La Regione fa i controlli, compila le liste dei soggetti che hanno diritto all’indennità  e trasferisce i dati all’Inps.
L’Inps verifica che non ci siano anomalie e poi dispone il pagamento.
“Le Regioni hanno difficoltà  nella fase dei controlli, perchè i tirocini sono tantissimi”, si spiega dal ministero.
In particolare, si precisa che la Campania ha problemi sui sistemi informativi, il Lazio nei controlli sulle pratiche, in Emilia Romagna ci sono anomalie di natura tecnica, in Sicilia mancava una raccolta unica dei file da mandare all’Inps. E intanto migliaia di ragazzi aspettano.
La protesta in Lazio: “Ho fatto il tirocinio da commessa per 6 mesi. Non ho visto un euro”
Il Lazio è una delle Regioni dove la situazione è più critica e dove i ritardi si trascinano da più tempo. Qui, i ragazzi delusi da Garanzia Giovani si sono coalizzati su Facebook e il 25 gennaio hanno manifestato davanti alla Regione.
Una delegazione è stata ricevuta dai dirigenti dell’ente: tra loro c’era anche Valentina, 27 anni, della provincia di Viterbo.
“Ci hanno spiegato che c’è poco personale per fare fronte a un numero troppo alto di richieste — racconta la giovane — Ma ci hanno assicurato che nel giro di tre mesi risolveranno i ritardi. Noi torneremo a controllare”.
Lei ha fatto il tirocinio come commessa in un negozio, da luglio a dicembre 2015. “E ancora non ho visto un euro — aggiunge — Ma c’è stato anche chi non ha resistito e ha abbandonato prima”.
In un primo momento, ai tirocinanti laziali spettava un compenso pari a 400 euro, tutto a carico dell’ente pubblico. Ma in seguito alle proteste dei ragazzi, nel maggio 2015 la Regione ha deciso di prevedere un’integrazione di 100 euro, portando a 500 euro l’indennità  complessiva, sia per chi aveva già  completato il tirocinio, sia per chi doveva ancora cominciare.
“Ma nessuno di noi ha ricevuto il conguaglio“, si lamenta Natascia, 28 anni, che ha lavorato per cinque mesi in una casa editrice a Roma. Poi ha lasciato e ha iniziato il servizio civile.
“Sono stata tra i più fortunati, almeno ho ricevuto qualcosa — spiega la giovane — A settembre mi sono arrivati 800 euro per pagare due mesi di tirocinio, maggio e giugno”. Ma da allora più nulla. Tra compensi e conguagli, Natascia aspetta ancora 1.700 euro.
“La sede del tirocinio l’ho trovata da sola — aggiunge la ragazza — Dai centri per l’impiego non ho avuto alcuna indicazione”.
In Emilia Romagna scaricabarile Regione-Inps
“Mi sono trasferita qui apposta e non riesco a pagare l’affitto. Tra poco, sarò costretta a rinunciare a questo tirocinio”. Alice, 28 anni, è di Asti. Ma il suo tirocinio di Garanzia Giovani l’ha attivato a Bologna, in un istituto culturale dove si occupa di revisionare pellicole e archiviare filmati. In Emilia Romagna, ogni stagista è pagato 450 euro al mese: 150 li mette l’azienda, 300 li mette — o meglio, li dovrebbe mettere — la Regione. “L’azienda è sempre stata correttissima nei pagamenti — spiega la ragazza — Mentre gli altri soldi non li ho mai visti. E lavoro da ottobre. L’Inps dà  la colpa alla Regione e la Regione dà  la colpa all’Inps”.
Non si può contare nemmeno sul sindacato: “Ho chiamato anche la Cgil, ma mi hanno dato una risposta approssimativa. Mi hanno detto che non c’è niente da fare, bisogna aspettare”. Così non resta che attivarsi insieme ai compagni di sventura: “Ho creato un gruppo Facebook per raccogliere i ragazzi nella mia stessa situazione. Pensavo che potremmo anche organizzare una manifestazione, come nel Lazio”.
Sei veneto e hai fatto il tirocinio a Reggio? La pratica va in tilt
Ma il record dei ritardi spetta a Tommaso, bellunese, che aspetta da più di un anno. Il giovane ha deciso di fare il tirocinio come addetto alle vendite in un’azienda di Reggio Emilia.
La sua storia ha un bel finale: la società  ha deciso di tenerlo e ora lavora a Hong Kong. Peccato che ad oggi non abbia ancora ricevuto un euro per il suo compenso.
Cominciato a novembre 2014, il suo tirocinio si è chiuso nel maggio 2015. “Ho chiamato più volte in Regione Emilia Romagna — spiega il ragazzo — Ma mi hanno risposto: ‘Il problema è che sei veneto’”.
Insomma, il passaggio del Po ha mandato in tilt la pratica. “A luglio la mia richiesta è stata finalmente approvata — continua il giovane — Ma ho richiamato a ottobre e mi hanno detto che ora il problema è dell’Inps”. Morale della favola: Tommaso aspetta ancora i suoi 1.800 euro.
“Per fortuna l’azienda mi ha sostenuto più di quanto avrebbe dovuto fare — conclude il ragazzo — Senza il loro aiuto, non potevo farcela con le mie gambe”.
“La Regione Campania ha bloccato i pagamenti. Sono tornato a vivere dai miei”
E andando verso sud, la situazione non migliora. Giovanni, 27 anni, ha fatto un tirocinio in Germania, in un’azienda attiva nell’ambito dell’aeronautica, ma alla fine dello stage è stato lasciato a casa.
“La Germania non è l’America che ci descrivono”, dice. E così si è rassegnato a tornare a Napoli per trovare un nuovo lavoro.
A settembre, ha cominciato un tirocinio con Garanzia Giovani in un’azienda attiva nell’ambito della formazione. Gli spettavano 500 euro al mese. Ma siamo arrivati a gennaio e ancora non ha visto un euro.
“Alla mia azienda, l’ente accreditato ha riferito che la Regione Campania ha bloccato i pagamenti senza dare spiegazioni — racconta Giovanni — Ora vivo con i miei genitori, non mi posso mantenere da solo. Vado in perdita, spendo 100 euro al mese di abbonamento per raggiungere la sede del tirocinio”.
“Sui tempi nessuna certezza. Impossibile permettersi un abbonamento o un affitto”
Basta passare gli Appennini per trovare uno scenario simile. Cosimo, 29 anni, abita in provincia di Bari e da settembre sta facendo un tirocinio in una casa editrice.
Anche lui, come tanti colleghi, non ha ancora visto un euro. Pochi giorni fa, dopo quattro mesi di attesa, sembra essere arrivata una notizia confortante.
Il 21 gennaio, l’ufficio regionale preposto ha pubblicato la lista dei tirocinanti che potranno vedere parte dei loro pagamenti sbloccati. Ma si parla di una, al massimo due mensilità , che arrivano fino a novembre 2015.
“Non festeggerò più di tanto — dice il giovane — So che per il pagamento effettivo dovrò aspettare almeno un mese”. Infatti ora la palla passa all’Inps: il documento si limita a “dare atto” che i tirocinanti in lista vanno retribuiti e ad autorizzare l’istituto di previdenza a erogare le indennità .
“Se bisogna fare un abbonamento, o peggio pagare un affitto, — ragiona Cosimo — diventa impossibile effettuare il tirocinio”.

Stefano De Agostini
(da “il Fatto Quotidiano”)

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VITALIZI E INDENNITA’: AL SENATO SI CAMBIANO LE REGOLE PER NON CAMBIARE LO STIPENDIO

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

I COSTI DELLA POLITICA DOPO LA RIFORMA: I FUTURI CENTO ELETTI AL SENATO AVRANNO PIU’ DEGLI 11.100 EURO DI INDENNITA’ REGIONALE

Sono tre parole, ma pesanti come macigni.
«I membri della Camera dei deputati ricevono una indennità  stabilita dalla legge»: ecco la nuova formulazione dell’articolo 69 della Costituzione, che invece prima cominciava così: «I membri del Parlamento…».
Tre parole anzichè una: «Camera dei deputati» invece di «Parlamento». Del resto il presidente del Consiglio Matteo Renzi l’aveva detto ancora prima di insediarsi a Palazzo Chigi, nel discorso di San Valentino di due anni fa alla direzione del Pd con cui aveva sfiduciato Enrico Letta, che i futuri senatori avrebbero svolto il compito gratis.
Il documento interno
Ma si sa come vanno le cose in Italia. Fanno le leggi, però poi quando le applicano salta fuori sempre la sorpresina. Ed è forse ciò in cui confidano gli apparati.
La dimostrazione? C’è un documento interno che circola da qualche giorno, intitolato «Proposte dei collegi dei questori in merito alle integrazioni funzionali tra le amministrazioni del Senato e della Camera», che è illuminante in materia.
Dentro c’è scritto: «Con riferimento allo status dei parlamentari occorre procedere all’armonizzazione delle discipline vigenti presso i due rami del Parlamento circa le competenze spettanti ai deputati e ai senatori, in carica e cassati dal mandato, nonchè ai loro aventi diritto, anche alla luce delle prospettive della riforma costituzionale in itinere».
Chi conosce bene i fatti sa che c’è un precedente.
Poche settimane prima di dare il via libera alla riforma che avrebbe abolito le loro indennità , i senatori approvarono insieme al bilancio interno un ordine del giorno che impegnava il collegio dei questori a completare «il processo di armonizzazione delle discipline relative al trattamento giuridico ed economico dei senatori e dei deputati in vista della creazione dello status unico dei parlamentari». Traduzione: salvare stipendi e rimborsi.
La discussione sulle indennità 
Secondo quanto più volte ha ripetuto Renzi, in quanto espressione dei Consigli regionali i futuri senatori si dovrebbero accontentare dell’emolumento legato a quel ruolo: non più di 11.100 euro al mese lordi e onnicomprensivi.
Il termine «armonizzazione» significa forse che il compenso dovrà  essere adeguato a quello dei parlamentari? E quale in particolare, l’indennità  attuale dei deputati o dei senatori?
I deputati hanno diritto a un’indennità  netta di 5.346,54 euro mensili, più una diaria di 3.503,11 e un rimborso per spese di mandato pari a 3.690 euro, oltre a 1.200 euro annui di rimborsi telefonici e da 3.323.70 fino a 3.995.10 euro ogni tre mesi per i trasporti.
Oggi ai senatori spetta invece un’indennità  mensile netta di 5.304,89 euro, più una diaria di 3.500 euro, più ancora un rimborso per le spese di mandato pari a 4.180 euro, più 1.650 euro al mese di rimborsi forfettari fra telefoni e trasporti.
A conti fatti e senza considerare le eventuali indennità  di funzione, i componenti del Senato intascano ogni mese 14.634.89 euro contro 13.971,35 dei deputati.
Ovvero, 663 euro di più. Differenze da poco, sulle quali però si continua a discutere, anche se questa volta in un clima surreale: la Costituzione sopprime un’indennità  che però a quanto pare si ostina a sopravvivere, magari in altre forme.
I futuri senatori e i vitalizi
C’è poi la questione dei vitalizi, vecchi e nuovi. Ne avranno diritto anche i futuri senatori? La parola «armonizzazione» lo lascia intendere. Ma non finisce qui. Il ruolo unico, cioè la prevista integrazione delle strutture di Montecitorio e Palazzo Madama, pone altre questioni delicate.
Le retribuzioni dei funzionari in che modo saranno anch’esse «armonizzate», tenendo conto delle recenti prese di posizione delle due Camere a proposito del tetto dei 240 mila euro vigente per tutti gli stipendi pubblici?
Facendo appello al principio in base al quale le decisioni di Camera e Senato sono autonome e insindacabili, Montecitorio e Palazzo Madama considerano quel tetto (già  dal Parlamento applicato in modo assai elastico) solo «temporaneo». Con il risultato che dal primo gennaio 2018 tutto dovrebbe tornare come prima.
La battaglia è appena all’inizio, e quel documento la dice lunga a proposito dei problemi che salteranno fuori. Anche se il quadro di fondo è già  piuttosto chiaro.
Tutto infatti si deve tenere insieme: dai servizi sanitari e informatici, alla gestione degli immobili, ai contratti del personale.
E se il Parlamento è uno, può mai essere diverso il trattamento economico dei parlamentari?

Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)

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PRESIDENTE PD BASILICATA INDAGATO PER CORRUZIONE ELETTORALE

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

IL GOVERNATORE PITTELLA COINVOLTO NELL’INCHIESTA PER IL DISSESTO DI POTENZA: BUCO DI BILANCIO DI 24 MILIONI

Il presidente della Regione Basilicata Marcello Pittella è indagato per corruzione elettorale nell’ambito dell’inchiesta per il dissesto di Potenza. S
econdo quanto scrive il Quotidiano del Sud, il governatore Pd è stato iscritto nel registro degli indagati insieme ad altre 35 persone tra cui il consigliere regionale ed ex sindaco Pd Vito Sarsiero, l’ex consigliere regionale dell’Udc Franco Mollica e gli ex assessori dem Giuseppe Ginefra e Federico Pace.
Secondo fonti giudiziarie citate da il Quotidiano del Sud si tratta di un “atto dovuto”. L’inizio dell’inchiesta risale alla fine del 2014, poco dopo che l’amministrazione di Potenza ha dichiarato il dissesto a causa di un buco di quasi 24 milioni di euro.
La notizia riguarda un’inchiesta avviata dalla Procura della Repubblica è divisa in diversi filoni, tra cui la gestione del trasporto pubblico e del servizio di pulizia e, secondo quanto si è appreso in ambienti giudiziari, sulle modalità  con cui si è giunti alla dichiarazione di dissesto.
Nel gennaio scorso, la Procura ha affidato una perizia su alcuni telefoni cellulari che conterrebbero foto e video di un incontro tra alcuni uomini politici su eventuali accordi post dissesto.
Interpellato dall’agenzia Ansa, Pittella — attraverso il suo portavoce — ha detto di essere “sereno e fiducioso nell’attività  della magistratura”.
Il governatore ha ricevuto nei mesi scorsi un avviso di garanzia relativo all’inchiesta: oggi il suo portavoce ha spiegato che il presidente della Regione non ha ricevuto per il momento altri atti.

(da “Huffingtonpost”)

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IL “COMPAGNO” BEPPE SALA COME CHE GUEVARA SU INSTAGRAM

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

“HASTA LA VICTORIA SIEMPRE”: IL MESSAGGIO SUBLIMINALE DEL CANDIDATO SINDACO DI MILANO

Beppe Sala come il “Che”. Il candidato per le primarie Pd di Milano ha pubblicato su instagram un murale che lo ritrae nelle vesti di “Che” Guevara.
All’immagine viene accompagnata la celebre frase: “Hasta la victoria siempre”.
Dopo la sconfitta dell’Inter nel derby della Madonnina per 3 a 0, quello dell’ex commissario Expo è un invito ai neroazzurri a non mollare.
Ma contiene anche un messaggio subliminale.
Sala è infatti considerato il candidato più a destra tra i concorrenti alle primarie del Pd milanese, per la sua vicinanza al segretario del Pd Matteo Renzi e per gli attestati di stima che ha ricevuto da esponenti del mondo di Comunione e Liberazione.
Non solo: l’accusa che gli viene spesso lanciata dai suoi sfidanti, emersa nuovamente nella puntata di domenica 31 gennaio di In Mezz’ora, è di essere il referente milanese del cosiddetto “partito della Nazione”.
Accuse che lui ha sempre rimandato al mittente.
E di certo la sua immagine associata al Che non può che contribuire alla sua “narrazione”.

(da “Huffingonpost”)

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AMMINISTRATIVE, IL CENTRODESTRA NON CAVA UN RAGNO DAL BUCO

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

FORSE FORMALIZZERANNO I CANDIDATI SINDACI DOPO LE ELEZIONI, TANTO NON NE ELEGGERANNO NESSUNO

Al museo di Silvio Berlusconi la biglietteria, per la prima volta, è tristemente vuota: “Beh – sussurra Mariastella Gelmini – diciamo che non abbiamo la fila di candidati. Però c’è ancora tempo”.
Almeno fino a domenica, quando il tema della ricerca dello “sfidante” di Sala o comunque del vincitore delle primarie del Pd renderà  clamoroso il ritardo del centrodestra.
Al punto che quando Salvini ha raccontato ai suoi l’esito della riunione di domenica notte con Berlusconi e Giorgia Meloni, un colonnello lombardo gli ha obiettato: “Ma sei sicuro che Berlusconi non stia giocando a perdere per fare un favore a Renzi? Fa le riunioni dopo il derby, pare disinteressato, non trova il candidato, dice di no alle primarie. O gioca perdere o è completamente bollito”.
Nel dubbio l’unico punto fisso è il “no” alle primarie (o consultazioni analoghe) che il Cavaliere ha scandito di fronte ai suoi alleati: “Sennò diventano la regola”.
Anche quando Giorgia Meloni le ha poste come una soluzione logica e di buon senso: “Se non troviamo il candidato o non si riesce a scegliere, facciamo le primarie o come le vogliamo chiamare, almeno usciamo dall’immobilismo, sennò sembriamo fermi mentre gli altri vanno avanti”. Parole “sacrosante” per Salvini, ma non per Berlusconi che a Milano ha chiesto a Bruno Ermolli di dargli una mano a convincere Stefano Parisi, manager, ex direttore generale del comune di Milano, ad accettare la candidatura.
E che su Roma ha provato a magnificare le doti di Guido Bertolaso, anche se i sondaggi dicono che l’ex capo della protezione civile viene percepito come una gloria del passato con poco appeal, anzi nullo per Salvini che ha detto un “no” esplicito.
Non è il solo. Su Bertolaso in parecchi hanno suggerito a Berlusconi di aspettare e valutare bene se la sua candidatura possa dare inizio a una “guerra dei dossier” o spifferi dalle procure.
Perchè Bertolaso ha ancora qualche guaio giudiziario da risolvere: imputato per corruzione nel processo sulla “cricca” degli Appalti al G8, rinviato a giudizio per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose nel processo grandi rischi bis nel processo all’Aquila.
La verità  è che lo schema su cui si muove il grosso di Forza Italia porta alla candidatura di Marchini. Ma anche in questo caso, attraverso una consultazione dal basso.
Dice Maurizio Gasparri all’HuffPost: “È bene non rinunciare all’ipotesi delle primarie o di una consultazione all’americana con una convention dove possano partecipare tutti. A quel punto è giusto che si candidino Marchini, Storace, Francesco Aracri. So che Giorgia Meloni ha sempre avuto dubbi su Marchini, perchè non è una candidatura di centrodestra ma al centrodestra Marchini si lega con un rito comune, le primarie”.
Il presupposto del ragionamento è che “Giorgia” a questo punto non corra, nonostante ogni indicatore dica che è il candidato più forte in questo contesto post-Mafia Capitale, perchè intercetta il sentimento di rabbia e protesta trasversale tra gli schieramenti. È lei la prima a essere consapevole che la gravidanza rende oggettivamente complicato reggere la fatica di una campagna elettorale a Roma, con trenta gradi e 15 iniziative al giorno.
Il suo veto su “Alfio” resta, se resta lo schema di imposizione dall’alto: “Silvio — ha detto durante la cena — scusa: tu mi chiedi cosa penso di Marchini? Penso che non è accettabile che Marchini pretende il sostegno dei partiti, ma vuole fare una campagna contro i partiti; vuole il sostegno della destra, ma dice che la destra non gli piace. Non credi che per essere candidato almeno dovrebbe dire che è di centrodestra o vincolarsi a una carta di valori?”. O, appunto, fare le primarie nell’ambito di una coalizione.
Al museo di Arcore la parola primarie e confronto sono ancora un tabù.
E la biglietteria è vuota.

(da “Huffingtonpost“)

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ORA LA MELONI DIFENDE ANCHE CHI MINACCIA DI MORTE LA DONNA GIUDICE CHE HA SOLO APPLICATO LA LEGGE

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

LA MELONI SI INDIGNA CHE SIA STATA MESSA SOTTO SCORTA E GIUSTIFICA I “CITTADINI ARRABBIATI” CHE INVOCANO LO STUPRO DEL GIUDICE: MA CHE BELLA DESTRA DELLA LEGALITA’

Giorgia Meloni o non conosce i fatti o difende i delinquenti.
Qualche ora fa ha scritto:
“È stata messa sotto scorta la giudice che ha condannato a 2 anni e 8 mesi e al risarcimento di 325 mila euro Franco Birolo, il tabaccaio di Padova “colpevole” di aver sparato a un ladro entrato di notte nel suo negozio. Gli esperti del Ministero dell’interno hanno paura che possa essere aggredita da qualche italiano arrabbiato che non condivide la sua sentenza. Hai capito, gli arguti! E io che, ingenuamente, avrei assegnato quella scorta a un giudice che ha condannato un mafioso o un criminale incallito o uno dei tanti appartenenti a bande di ladri e rapinatori che si introducono di notte nelle case e nei negozi della gente onesta. E invece no! Quelli pericolosi non sono i mafiosi, i camorristi, i ladri, i rapinatori, i criminali recidivi, sono quei temibilissimi italiani che aprono tabaccherie e negozi e che si difendono se qualcuno gli entra dentro casa. C’è sempre da imparare…
In effetti la Meloni ha molto da imparare, soprattutto a non manipolare i fatti.
Per prima cosa il giudice è stata messa sotto scorta per le minacce dei “cittadini perbene” tanto cari a lei e a Salvini che si esprimono così sul web:

commento 1: “Bisogna andare di persona a far la pelle a quel giudice”
commento 2: “Bisogna fare sul serio”
commento 3: “Organizziamo, dimmi come, dove, quando”
commento 4: “A quel giudice lurido imbecille auguro di subire una rapina con annessa inchiappettata, cosi le piacerà  e se la ricorderà  per tutta vita”
commento 5: “Credo che l’inchiappettata la gradisca, è una donna penso le piacerà ”
commento 6: “Un’altra zoccola che si farà  fottere dai ladri o si prenderà  una percentuale”

E ci fermiamo qua, ci sono nomi e cognomi: in un Paese normale non ci sarebbe bisogno di   scorta al giudice, questi soggetti sarebbero gà  stati prelevati e messi in galera, così si inchiappettano tra di loro (magari a qualcuno piacerà , essendo uomini).
Da un esponente di destra ci saremmo aspettati un richiamo alla legalità . Invece, proprio da una donna sedicente tale, arriva la solidarietà  a chi minaccia di morte e di stupro un giudice donna, rea di aver applicato il codice penale.
Perchè se uno sente suonare di notte l’allarme nel proprio negozio chiama i carabinieri, non scende da casa per sparare alle spalle a un ladro.
Per difendere cosa, poi? Una stecca di Malboro?
E dato che qualcuno potrebbe raccontare la balla della mancanza di sicurezza in quel paese, ecco servita la dichiarazione del responsabile del comando Provinciale dei carabinieri il colonnello Renato Chicoli: “Nel 2011 sono stati registrati 25 furti tra abitazioni e negozi. Nel 2012   i reati di questo tipo sono stati solo due. Quanto accaduto   è stato un episodio isolato, parlare di allarme è sbagliato. La stazione dei carabinieri di Codevigo, che ha più di dieci militari in servizio, copre egregiamente i tre comuni di Arzergrande, Correzzola e Pontelongo. E poi a pochi chilometri c’è la caserma di Piove di Sacco e anche i carabinieri di Rovigo. L’area è molto controllata”.
Quindi il “tabaccaio eroe” della Meloni è solo un omicida che fatto una grossa cazzata, pari a quella di chi difende chi minaccia di morte un giudice.
La legalità  non è in vendita per due voti, qualcuno ogni tanto se lo ricordi.

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NON CI SI CURA PIU’: UN CITTADINO SU SEI RINUNCIA ALLE TERAPIE

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

COLPA DEI TICKET CRESCIUTI DEL 20%, DEI REPARTI CHIUSI E DEI MEDICI CHE MANCANO

Gli italiani che secondo un comune clichè sarebbero ipocondriaci e ansiosi, stanno cambiando atteggiamento e hanno cominciato a trascurare la propria salute.
Colpa dei costi troppo alti dei ticket, dell’eccessiva distanza dei presidi sanitari e delle liste d’attesa. Esasperati dalla crisi e con sempre meno soldi in tasca rinunciano al dentista.
Tra le fasce più povere della popolazione fino al 15 per cento degli italiani si priva delle cure
A lanciare l’allarme non è un semplice centro di studi sociologici e di monitoraggio delle tendenze degli italiani, ma l’Ufficio parlamentare di bilancio, il ferreo presidio di ricerca che ha il compito di fare da cane da guardia ai conti pubblici sulla scorta delle regole europee.
I dati riguardano il 2013, prima dell’esecutivo Renzi, e risentono soprattutto delle politiche di austerità  messe in atto da Monti tra il 2011 e il 2012, ma suonano comunque come un monito rispetto ai potenziali effetti dei tagli al Fondo sanitario nazionale praticati con la nuova legge di Stabilità  2016.
Dalle statistiche fornite dall’Upb, e firmate Eurostat, si scopre che il 7,1 per cento degli italiani rinuncia a farsi visitare perchè — queste le motivazioni addotte — il costo della prestazione è troppo alto, la lista d’attesa è troppo lunga oppure l’ospedale è troppo distante.
Con il diminuire del reddito il disagio cresce: la rinuncia alla cura sale al 14,6 per cento nel caso in cui gli interpellati appartengano al 20 per cento più po-vero della popolazione italiana.
Non è sempre stato così.
Prima della Grande crisi del 2007-2009 e della Grande austerità  europea del 2011-2012, gli italiani che facevano a meno di curarsi erano in numero assai inferiore: nel 2004, ad esempio, solo il 3,6 per cento rinunciava per eccesso di costi e si arrivava al 5,2 per cento considerando anche gli altri elementi di disagio, come la distanza o la lista d’attesa.
A preoccupare è anche il dato delle cure dentistiche: il 18,6 per cento, circa un quinto dei più poveri, ha dovuto scartare l’idea di farsi curare i denti.
Le spiegazioni che gli italiani danno del proprio comportamento sono realistiche? Purtroppo sì, e gli economisti dell’Upb confermano la correlazione tra tagli alla sanità  e aumento dei tassi di trascuratezza nei confronti della salute.
Già  in termini generali la spesa corrente per la sanità  non è alta come comunemente si crede: siamo a due terzi di quella tedesca, a tre quarti di quella francese e addirittura il 60 per cento di quella Usa.
Il rigore degli ultimi anni è stato pesante: la spesa sanitaria corrente, che tra il 2003 e il 2006 cresceva in media del 5,8 per cento, tra il 2007 e il 2010 è salita solo del 2,8 e addirittura nel periodo 2011-2014 è cresciuta a tasso “zero” (dati della Ragioneria generale dello Stato).
A fare le spese dei tagli e della caccia alle risorse ci sono proprio le voci che sembrano stare a monte del disagio denunciato dai cittadini.
Ad esempio il numero dei posti letto negli ospedali è diminuito dal 4 per mille nel 2005 al 3,4 nel 2012 contro una media europea di 5,3 per mille.
La riduzione delle degenze avrebbe dovuto essere compensata dai day hospital, ma — come segnala il rapporto Upb — è sempre di più la gente che si affida al pronto soccorso per superare file e risparmiare.
Contribuisce a limitare l’offerta anche la riduzione del personale: è stata dell’1,8 per cento tra il 2007 e il 2013 e di un ulteriore 0,6 nei primi mesi del 2014.
Vale la pena citare le parole dell’Upb che sintetizzano il senso dello studio diffuso nei giorni scorsi: «Emergono alcuni segni di limitazione dell’accesso fisico (razionamento) ed economico (compartecipazioni) e tracce di una tensione nell’organizzazione dei servizi, legata alla limitatezza delle risorse finanziarie e umane, che potrebbero rive-larsi insostenibili se prolungate nel tempo».
Linguaggio tecnico, ma inequivocabile. Gli ampi passaggi dello studio degli uffici del Parlamento italiano, che riguardano i ticket, confermano la situazione di allarme.
L’Upb spiega che per molte prestazioni l’aumento delle compartecipazioni ha «reso conveniente optare per il settore privato ».
Del resto il rincaro c’è stato ed è evidente: i ticket sono aumentati del 33 per cento tra il 2010 e il 2014. Se si guarda alla sola spesa per ticket farmaceutici l’aumento è stato del 50 per cento, mentre sulla specialista ambulatoriale, a seguito del superticket da 10 euro per ricetta, è salito al 19 per cento nel biennio 2001-2012.
Tagliare ulteriormente e in modo indiscriminato può portare conseguenze disastrose, se non si interviene sull’obiettivo principale: gli sprechi che, come segnala opportunamente l’Ocse, non a caso citata nel rapporto Upb.
Basta guardare alla spesa per beni e servizi, prodotti farmaceutici compresi, che è l’unica a continuare a correre.
La spending review dovrà  servire anche per reindirizzare verso i servizi quello che oggi ingrassa spesso rendita e malcostume.

Roberto Petrini
(da “La Repubblica“)

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LABORATORIO CLANDESTINO PADANO: 9.200 BOTTIGLIE CONTRAFFATTE DI MOET & CHANDON SEQUESTRATE NEL PADOVANO

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

MIGLIAIA DI ETICHETTE PRONTE AL’USO, UN GIRO DI QUASI 2 MILIONI DI EURO, ARRESTATI CONIUGI DI VALDOBBIADENE

La Guardia di Finanza di Padova ha sequestrato 9.200 bottiglie di vino, 40mila etichette e 4.200 scatole: su tutte era riportato indebitamente il marchio dello champagne “Moà«t & Chandon”.
La vendita delle sole bottiglie rinvenute avrebbe fruttato all’organizzazione un introito di circa 350mila euro; importo destinato a lievitare ad oltre 1,8 milioni di euro se si considerano le decine di migliaia di etichette pronte all’uso.
Otto le persone denunciate. Tra il materiale posto sotto sequestro, anche una cuffiettatrice e un’etichettatrice, macchinari necessari per confezionare a regola d’arte le bottiglie, così da trarre in inganno il consumatore.
IL CAPANNONE TRA SELVAZZANO E ABANO.
L’indagine trae origine da un controllo effettuato dai finanzieri del Gruppo di Padova in un esercizio commerciale della provincia, all’interno del quale, tra l’altro, è balzata all’occhio l’etichetta di una bottiglia di champagne priva del lotto di fabbricazione. Partendo da quel dettaglio e dopo una intensa attività  investigativa, tra appostamenti e pedinamenti stradali, le fiamme gialle hanno localizzato un capannone in aperta campagna, al confine tra i comuni di Selvazzano ed Abano Terme, adibito a laboratorio clandestino, nel quale venivano apposte etichette contraffatte di champagne del noto marchio “Moà«t & Chandon” su bottiglie contenenti un semplice vino da pasto spumantizzato, acquistato nella zona di Valdobbiadene (Treviso).
SEQUESTRATE 9.200 BOTTIGLIE.
Nel corso dell’intervento, eseguito poco prima delle ultime festività  natalizie, nel capannone erano presenti otto persone,   9.200 le bottiglie sequestrate, altre 15mila, invece, erano pronte all’etichettatura. Il finto champagne sarebbe poi finito sulle tavole degli ignari consumatori, italiani, ma anche tedeschi e slovacchi. Successivamente, sono state eseguite alcune perquisizioni domiciliari delegate dalla procura della Repubblica di Padova, che hanno portato al sequestro di documentazione ritenuta interessante dagli investigatori.
AI VERTICI MOGLIE E MARITO DI VALDOBBIADENE.
Sono otto, complessivamente, le persone denunciate. In particolare, al vertice dell’organizzazione, c’era una coppia, moglie e marito, residente a Valdobbiadene, nel Trevigiano: C.R., italiano di 47 anni, e A.D., 43enne slovacca, entrambi nullafacenti e con precedenti specifici. I reati loro contestati sono contraffazione e ricettazione di prodotti industriali con segni mendaci.
“VINO BIANCO SPUMANTE”.
L’analisi del vino sequestrato, effettuata dal laboratorio chimico dell’Agenzia delle Dogane, ne ha accertato la genuinità : il prodotto è stato classificato come “vino bianco spumante” con un titolo alcolometrico di 11,62 (molto vicino all’originale che si attesta sui 12 gradi).
Quindi, d’intesa con l’autorità  giudiziaria, le fiamme gialle hanno donato le bottiglie sequestrate, dopo l’asportazione di tutte le etichette e dei segni distintivi del marchio contraffatto, ad alcune associazioni che operano nel Veneto.
Si tratta, secondo gli operatori del settore, di uno dei più ingenti sequestri di champagne con marchio contraffatto eseguiti in Europa.
Le indagini, tuttora in corso, tendono ora ad accertare la provenienza del vino e dei materiali sequestrati.

(da “Padova Oggi“)

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TRUFFE STATALI: IN 10 MESI UN BUCO DA 4 MILIARDI

Febbraio 1st, 2016 Riccardo Fucile

APPALTI   TRUCCATI, ASSENTEISMO E CONSULENZE INUTILE: IL RAPPORTO DELLA GUARDIA DI FINANZA

Ormai si sfiorano i quattro miliardi di euro, cifra record di «buco» nei conti dello Stato.
È la voragine creata dall’attività  illecita di circa 7.000 dipendenti pubblici infedeli. Funzionari corrotti oppure impiegati che non hanno rispettato la legge nello svolgimento delle proprie mansioni e dunque hanno compiuto illeciti che vanno dalle omissioni agli abusi.
Ci sono le truffe nel settore sanitario, i mancati controlli nell’erogazione di pensioni, indennità  ed esenzioni, le procedure truccate per la concessione degli appalti.
Ci sono gli appalti gonfiati e i medici assenteisti, le consulenze inutili e i doppi incarichi tra i casi più eclatanti scoperti dagli investigatori della Guardia di finanza. Sono gli ultimi dati relativi alle verifiche compiute nel 2015 a raccontare l’Italia dell’illegalità  e degli sprechi che provoca danni alla collettività .
Mostrando un andamento che inquieta: in soli quattro mesi, da giugno a ottobre dello scorso anno, la cifra contestata è salita di oltre 500 milioni di euro.
Vuol dire oltre 100 milioni ogni trenta giorni a dimostrazione che molto ancora c’è da fare – soprattutto negli uffici pubblici più periferici – per stroncare il malaffare. Basti pensare che sono ben 3.590 le persone denunciate per aver compiuto reati nel settore delle gare pubbliche.
La sanità  «assente»
A Modena è stato denunciato un medico che – pur risultando in servizio – rimaneva in ospedale appena un paio d’ore. Da almeno cinque anni «la regolare presenza veniva garantita solo una volta a settimana» e per cercare di giustificarsi «ha portato i tabulati del marcatempo di un’altra struttura ospedaliera dove svolgeva attività  libero professionale intramoenia». Gli sono già  stati sequestrati 40 mila euro, ma i controlli sono tuttora in corso.
A Imperia i dottori del dipartimento di Medicina legale «certificavano la morte delle persone pur non avendo effettuato alcuna analisi perchè erano altrove». Sono decine i documenti falsi trovati nel corso delle perquisizioni.
I farmaci inutili
La truffa scoperta a Milano nel giugno scorso era ben più articolata e ha provocato un danno immenso. In una struttura sanitaria convenzionata con il servizio nazionale «sono stati eseguiti oltre 4.000 interventi chirurgici in violazione delle norme di accreditamento relative alla presenza minima di operatori e anestetisti, nonchè di impiego di medici specializzandi».
L’azienda ha comunque «autocertificato il mantenimento dei requisiti richiesti per l’accesso al rimborso della prestazione sanitaria offerta, ottenendo indebiti rimborsi per oltre 28 milioni di euro».
A Brindisi si è scoperto che la prescrizione di 15.541 farmaci per l’ipertensione era stata compiuta in maniera illecita. Sono 482 i medici denunciati per un danno alla Asl pari a 194 milioni di euro.
Falsi moduli per l’Inps
Quello dei benefit percepiti grazie a certificazioni false è ormai un vero e proprio affare che coinvolge migliaia di persone in grado di contare sui dipendenti pubblici amici o parenti.
A Potenza si è scoperto che molti anziani prendevano l’assegno sociale previsto per i residenti, pur avendo deciso di trasferirsi all’estero, grazie agli impiegati che avevano contraffatto i documenti.
Soldi rubati: 259 milioni di euro.

Addirittura 500 milioni di euro sono stati sottratti alle casse dell’Inps a Viterbo dove venivano «modificati i moduli per il riscatto della laurea o la ricongiunzione di periodi contributivi per ottenere indebitamente un notevole “sconto” sull’effettiva somma da versare all’Istituto previdenziale, per il riconoscimento di ulteriori periodi contributivi utili ai fini pensionistici».
I doppi guadagni
A Potenza un dipendente del Comune svolgeva attività  privata negli orari in cui avrebbe dovuto essere in servizio. Faceva il geometra. Compensi rubati: 70 mila euro. A Milano un dirigente della Regione truccava gli appalti e in cambio riceveva favori personali. L’ultimo, la ristrutturazione da favola del suo appartamento. Valore accertato: 150 mila euro.

Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)

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