Febbraio 8th, 2016 Riccardo Fucile
IL PREMIER STOPPA ALFANO MA I DEM TEMONO I VOTI SEGRETI
“La stepchild adoption rimane. Nessuno stralcio perchè non abbiamo nessuna ragione per fermarci”. Il premier Matteo Renzi si presenta estremamente determinato all’incontro con il ministro Maria Elena Boschi e con i capigruppo di Camera e Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda dopo che il leader di Ncd, Angelino Alfano, ha chiesto un ripensamento.
Il vertice del lunedì mattina è una consuetudine a Palazzo Chigi e serve a fare il punto sui lavori parlamentari. Ma questa volta il sapore della riunione è diverso perchè sul tavolo c’è il disegno di legge sulle unioni civili. Il premier spazza via i timori di chi, anche nel Pd, aveva pensato che l’adozione del figlio del partner per le coppie omosessuali non arrivasse in porto.
C’era anche chi tra i dem si era detto pronto a lasciare il partito, nel caso in cui il segretario avesso fatto modificare il ddl Cirinnà . Acqua sul fuoco quindi.
Ma sul vertice mattutino è piombata la paura rappresentata dall’incognita dei voti segreti perchè nel segreto dell’urna, sui singoli emendamenti, lo sgambetto è dietro l’angolo e i mal di pancia dei 24 senatori catto-dem potrebbero manifestarsi.
Per non parlare dei grillini, i cui “sì” alla stepchild adoption dovrebbero essere 28, i contrari invece 3, mentre altri 4 senatori cinquestelle dovrebbero assentarsi al momento del voto.
Ma per i dem non è possibile fare affidamento su di loro.
Secondo qualcuno sarebbe stato un sondaggio, dal quale è emerso che il Movimento 5 Stelle ha un elettorato per lo più di destra, a suggerire la retromarcia.
Retromarcia che Beppe Grillo ha giustificato con un post sul blog in cui si legge che “vengono rispettate la Rete e la coscienza dei parlamentari”, i quali non vengono messi così “nella condizione di votare per costrizione a maggioranza”.
La giravolta non modifica comunque la posizione dei dem nè il testo sulle unioni civili che “resta fermo così com’è”.
“È Grillo l’uomo delle retromarce, non noi”, è stato sottolineato durante l’incontro a Palazzo Chigi. O per dirla con le parole di Rosato: “I 5Stelle sono inaffidabili e restano inaffidabili”. Tutt’al più, ha fatto presente il premier, “potranno esserci dei miglioramenti ma senza stravolgere il testo”.
Tutte le ipotesi, dall’emendamento del senatore Pd Giorgio Pagliari, che rinvia il tema delle adozioni ad una delega al governo entro sei mesi all’emendamento che prevede di scorporare il tema adozioni e di infilarlo nella revisione della legge 40 sulla fecondazione assistita, sono state scartate.
“I voti segreti però rischiamo di non riuscire a gestirli”, è stato il coro unanime che è rimbombato nella sala del palazzo del governo.
Per questo – fermo restando che la decisione spetta al presidente del Senato Pietro Grasso – i vertici dem sperano che siano non più di dieci perchè in una situazione del genere, basti pensare che non c’è il relatore, cioè un regista al centro dell’emiciclo che spiega e illustra la materia, si rischia di stravolgere il testo.
Il destino del disegno di legge Cirinnà è appeso oltrechè ai voti segreti anche al numero degli emendamenti.
Entro martedì pomeriggio, al termine della discussione generale, il capogruppo della Lega Nord dovrebbe ritirare gran parte di quelli proposti, dopo il patto stretto con il Pd. I dem a questo punto ritirerebbero a loro volta il cosiddetto “canguro”, per effetto del quale si voterebbe direttamente la versione iniziale del testo.
In questo contesto, il leader di Ncd, Angelino Alfano, continua a fare la voce grossa ma h visto subito crollare le speranze di correzione al testo che erano state alimentate dalla mossa improvvisa di Grillo.
Nel voto segreto i centristi scaricheranno naturalmente tutti i loro dubbi sulla legge, nella speranza che si aggiungano in quegli scrutini non solo i catto-dem ma anche i grillini che hanno intenzione di mettere il bastone tra le ruote a Renzi e di moderarne gli ardori.
Il ministro Beatrice Lorenzin (Ncd) garantisce che, comunque vada, il suo partito resta il più fedele alleato del premier: “E dunque non ci saranno ripercussioni”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 8th, 2016 Riccardo Fucile
ESPULSO IL CONSIGLIERE AUBERT… E’ GUERRA TRA I FEDELI A SALVINI E QUELLI CHE SI RIFANNO A CALDEROLI
Una cena per ricompattare le truppe. Perchè a un anno dal lancio della lista Noi con Salvini, e a pochi mesi dalla sfida elettorale per il Campidoglio, la costola leghista nella Capitale è già spaccata.
Con due correnti pronte a fronteggiarsi per ottenere un posto al sole.
Da un lato la deputata Barbara Saltamartini, vicina all’ex commissario Raffaele Volpi, che giovedì sera non si è presentata all’appuntamento a tavola con il grande capo; dall’altro, Souad Sbai, espressione capitolina di Matteo Salvini.
Due aree che riflettono lo scontro nazionale tra il leader indiscusso, il segretario del Carroccio, e Roberto Calderoli. Il senatore che vuole strappare al ‘giovane Matteo’ il partito che fu padano.
Così l’incontro di giovedì scorso non è servito solo per discutere dell’ipotesi Alfio Marchini come candidato unitario del centrodestra ma per capire chi sta con chi. Diretta conseguenza di una questione piemontese che si abbatte su Roma.
Calderoli pressa Salvini per candidare la sua compagna, Gianna Gancia, alla segreteria piemontese. Lui risponde picche.
Passando all’attacco, con l’estromissione di Volpi, uomo proprio di Calderoli, dal coordinamento del Lazio. Puntando tutto su Gianmarco Centinaio, capogruppo a palazzo Madama.
A pagare il conto è Barbara Saltamartini. La deputata vicina al vicepresidente di NcS, Volpi, sconta anche la sua vita privata. Sposata con quel Pietro Di Paolo, consigliere regionale, che ha aderito a Cuori italiani: un movimento che guarda al civico Alfio Marchini. “Un leggero conflitto d’interessi”, lo definisce un dirigente del Carroccio.
Così, a tavola con il leader mancano proprio la Saltamartini, che dovrebbe occuparsi dei rapporti con i comitati, e Barbara Mannucci, anche lei nella cabina di regia.
Non si vede Marco Pomarici, presidente del consiglio comunale con Alemanno sindaco, Ncd transitato nella Lega dopo l’elezione alla Città metropolitana: “Non un bell’esempio di coerenza”, aggiunge ancora l’esponente leghista.
A confermarlo l’espulsione di Luca Aubert, consigliere in Municipio I. Con Pomarici condivide il percorso dal Pdl a NcS, passando per Ncd. E che ha disertato la cena di finanziamento.
Così come aveva saltato la raccolta firme al Pantheon per gli emendamenti contro il ddl Cirinnà sulle unioni civili.
Tutto il potere si sposta quindi nelle mani di Centinaio e dei suoi, con Souad Sbai che, dopo aver conquistato il segretario nazionale, stilerà il programma. “Sbagliare nomi e toppare le percentuali su Roma — conclude uno dei commensali di ieri sera —, per Salvini, significherebbe perdere la leadership nazionale in favore di quell’area che, come la Saltamartini e suo marito Di Paolo, scommette tutto su Marchini”.
Perchè la partita più importante, quella di capo indiscusso del centrodestra, passa per il Campidoglio.
Giovanni Santoro
(da Roma Today”)
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Febbraio 8th, 2016 Riccardo Fucile
TOTI E LA MELONI GUIDANO LA RIVOLTA DELLE MAZZE TACCHE CONTRO LA SCELTA DI SILVIO AVALLATA DA UN INTERESSATO SALVINI CHE SI RITROVA UNA LEGA SPACCATA NELLA CAPITALE
La battaglia su Marchini si materializza nelle giro di telefonate che partono dal cellulare di Giovanni Toti, prima del vertice di Arcore, quando il rumore degli endorsement ad “Arfio” di pezzi del centrodestra romano ha fatto scattare l’allarme nella war room del Cavaliere: “È chiaro — dice Toti — che Marchini sta giocando in un’ottica nazionale. Si vuole candidare a Roma per il centrodestra, dopo che Renzi gli ha detto di no, e comunque vada il minuto dopo le elezioni avrà una visibilità e un ruolo nazionale. Partendo da un movimento che su Roma conta il dieci del per cento. Per me la candidatura migliore su Roma resta Giorgia e comunque con la Meloni non si rompe”.
È frenetica, nervosa la ricerca della quadra dei candidati del centrodestra il minuto dopo la vittoria di Sala a Milano. “Con Marchini si vince” dice Tajani al Corriere. Posizione condivisa da Maurizio Gasparri e da pezzi di establishment moderato romano.
Al vertice serale di Arcore, la battaglia. Perchè sul nome di Marchini la Meloni è pronta anche a una clamorosa rottura.
Parlando coi suoi, ha spiegato che è pronta al gioco durissimo: “Si insistono con un candidato che fino a poco fa si diceva di sinistra e ci tirava addosso, riapro il tavolo in tutta Italia: Milano, Torino, Bologna e pure Napoli. Ridiscutiamo tutto, tut-to”.
Il sospetto di Toti sulle ambizioni nazionali di Marchini è diventato, agli occhi di molti, una certezza quando in parecchi hanno saputo che è già pronta la successiva tappa della “scalata” nella politica che conta da parte di Marchini, ovvero il lancio dei “circoli del cuore” — il cuore è il simbolo del suo movimento politico – un po’ ovunque in Italia: “Il punto — prosegue Toti — è tutto politico. Bisogna vedere che interesse abbiamo a far entrare un altro player nel mercato di centrodestra. Rischiamo di fare come le aziende in difficoltà che fanno entrare un fondo di investimento e poi si trovano comprate dal fondo, anche se l’uomo non va neanche troppo sopravvalutato, perchè non è il nuovo Berlusconi anche se vorrebbe esserlo”.
Proprio lo schema del “nuovo Berlusconi” che poco piace ad Arcore, è invece teorizzato e costruito da larghi pezzi del centrodestra romano, che lavorano per Arfio. Alla sua ultima iniziativa al Tempio di Adriano c’era poco civismo e molta destra romana, protagonista di questo ventennio: Augello, il deus ex machina di Alemanno, Quagliariello, i fratelli De Lillo, Malcotti, la Angelilli: “Le perplessità di Berlusconi — è il loro ragionamento — sono legate al fatto che Alfio riproduce lo schema del ’94. Si presenta come estraneo al teatrino della politico, è un imprenditore che ha le risorse proprie da investire in politica, è belloccio e funziona in tv”.
Al “nuovo”, cioè ad “Arfio”, non piace il vecchio Berlusconi, il feeling non è mai scattato anche perchè, insomma, il passato conta.
La sua famiglia costruì Botteghe Oscure, la chiamavano “calce e martello”, lui è stato legatissimo al mondo della sinistra capitolina. Ma soprattutto, raccontano i suoi amici, è impossibile che due narcisi si possano piacere e tra il narcisismo di Marchini e quelli di Berlusconi è una bella lotta.
Per questo, raccontano, non c’è stato contatto diretto tra i due, mentre invece per convincere Stefano Parisi a Milano Silvio Berlusconi lo ha chiamato più volte e più volte a chiesto un aiuto nell’opera di persuasione a Bruno Ermolli.
Marchini piace invece a parecchi ex An e a Tajani, da sempre referente del potere lettiano (nel senso di Gianni Letta) nella Capitale e da sempre giocatore piuttosto autonomo in Europa, come ai tempi del cosiddetto complotto nel 2011, quando non pervenne più di tanto la sua resistenza alla Merkel prima che scattasse la sua simpatia verso Monti.
Insomma, attorno ad “Arfio” si è messa in moto una dinamica che va oltre Roma, nei disegni di pezzi del centrodestra, o di ciò che ne resta.
E chissà se è un caso che, una delle mosse di Marchini è stata proprio, come ha scritto il Corriere, un incontro diretto con Salvini.
Mossa che già lo rende un interlocutore non solo locale. Spiega un alto in grado della Lega: “A Matteo non frega nulla di Roma è chiaro però che ha più convenienze a dare il via libera a Marchini. Mi segua nel ragionamento: la lista Noi con Salvini prende più voti con Marchini o con una candidatura come la Meloni? Se si candida Giorgia, lo svuota”.
Gelosie, sospetti. Veti incrociati. Da Roma dipende l’intero risiko.
Anche perchè gli altri candidati non sono le sette meraviglie.
Sulla leghista indicata per Bologna, tal Lucia Bergonzoni, pesa il suo passato di sinistra e nei centri sociali.
A Milano la scelta è caduta su Stefano Parisi dopo che Salvini ha messo il veto su Lupi, anche dopo che l’ex ministro ha dato la disponibilità a dimettersi da capogruppo di Ncd per correre.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 8th, 2016 Riccardo Fucile
LA REPLICA: “COLPE DEI PADRI NON RICADONO SUI FIGLI, NON SIAMO IN SVIZZERA”
Il sindaco e un assessore 5 Stelle del Comune di Bagheria (Palermo) vivono in case abusive. Lo sostiene un servizio delle Iene di Italia Uno andato in onda la sera del 7 febbraio, lo ammette il sindaco stesso, Patrizio Cinque, classe 1985, in un video pubblicato su Facebook all’indomani della trasmissione.
In entrambi i casi, sostiene, gli abusi sono riconducibili ai genitori e “le colpe non devono ricadere sui figli”.
Per la palazzina della propria famiglia, il sindaco sostiene che si tratti di un abuso già sanato, circostanza rimasta in sospeso nel servizio delle Iene, che anzi definisce l’abuso “insanabile” per la presenza di un vincolo paesagisstico assoluto.
Nel caso dell’assessore all’urbanistica Luca Tripoli, “il padre ha avviato l’iter per regolarizzare la costruzione fatta senza autorizzazione”.
E comunque, ricorda il sindaco ai “dipendenti di Berlusconi” che hanno realizzato il servizio — firmato da Giulio Golia — Bagheria “non è la Svizzera, dove le regole sono sempre state rispettate”.
Di fronte a un possibile nuovo caso Quarto in un altro territorio difficile amministrato dai 5 Stelle al Sud, il sindaco accusa le Iene di aver ordito “un attacco politico”.
E all’indomani della puntata si registrano reazioni dal fronte Pd, fra le quali quella del senatore Stefano Esposito: “Anche a Bagheria si dimostra l’inadeguatezza delle amministrazioni dei 5 stelle. Non c’è una amministrazione che non faccia danni o che non inciampi in qualche ‘mattone’. Aspettiamo qualche video del direttorio che non vede, non sente, non parla in cui ci spieghino cosa accade. A Quarto si trattava di camorra e non lo hanno fatto mentendo”.
Il servizio delle Iene parte dalle ville e palazzine spuntate nel settecentesco parco di Villa Valguarnera, sottoposto a vincoli di inedificabilità assoluta, diventate un caso internazionale, oggetto fra l’altro di un’inchiesta della tv canadese sulla “Mafia road“. Ossia via Sofocle, dove al di fuori di ogni permesso urbanistico hanno editificato le loro dimore Gino di Salvo, considerato il reggente del clan locale, Sergio Flamia, oggi collaboratore di giustizia protagonista del processo sulla trattativa Stato-mafia, e Salvatore Butitta, accusato di aver procurato il tritolo per la strage Borsellino.
Qui, inoltre, ha passato parte della sua quarantennale latitanza il boss Bernardo Provenzano.
Diversi pentiti raccontano che in casa di Di Salvo si svolse una riunione per organizzare la strage di via D’Amelio.
Sullo sfondo, l’incredibile storia della villa, oggi di proprietà della principessa Vittoria Alliata di Valguarnera, che oggi si batte per ripristinare la legalità : 187 cause giudiziarie, racconta alle Iene la principessa, che fu la prima traduttrice italiana di “Il Signore degli Anelli” di JR Tolkien, non sono servite a nulla.
Negli anni Settanta, continua, si fece la villa all’interno del parco persino il custode giudiziario nominato dal Tribunale in seguito a una controversia sull’eredità .
E nel 2013 proprio i 5 Stelle, non ancora al governo nella città raccontata da Dacia Maraini, presenterano interrogazioni in Assemblea regionale e in parlamento.
Secondo Le Iene, i due attuali amministratori dell’M5S vivono oggi in abitazioni abusive “non sanate e non sanabili”.
Il sindaco Cinque sta in una palzzina, interamente di proprietà della famiglia, all’interno del parco vincolato Villa Serradifalco.
Mentre all’assessore tecnico Tripoli, le Iene contestano la trasformazione di un “annesso agricolo” — una sorta di deposito attrezzi — di 37 metri quadri trasformato in uan villa da 120 metri quadri.
Nel servizio, Cinque afferma che l’abuso che lo riguarda “è stato condonato”, ma alla richiesta della relativa documentazione replica che si tratta di carte “private”.
Alla fine promette di farle avere al giornalista che però, a fine servizio, sostiene di non averle mai ricevute.
Nel video su Facebook, il sindaco afferma che il vincolo di inedificabilità assoluta in quella fetta di parco è stato imposto solo nel 1994, quando la palazzina abusiva era già stata costruita, dunque è stato possibile sanarla.
Simile la reazione dell’assessore Tripoli: “Non è vero”.
Poi spiega a Golia di aver avviato la pratica per la regolarizzazione, non ancora concessa dalla soprintendenza perchè “stiamo procedendo agli ademipimenti richiesti”.
Le Iene sollevano un piccolo giallo anche su questa richieste: secondo l’assessore datate 2013, quando la giunta M5s non esisteva ancora, datate 2014, a giunta già in sella, secondo le Iene.
Anche in questo caso, sostiene Golia, le carte promesse non sono mai arrivate.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 8th, 2016 Riccardo Fucile
LA LOMBARDI FA FIRMARE IL DECALOGO AI CANDIDATI SINDACO DI ROMA.. DI FATTO ROMA SARA’ COMMISSARIATA, DECIDERA’ TUTTO CASALEGGIO… E I SOLDINI DEL BLOG RIMANGONO ALLA PREMIATA DITTA
Centocinquantamila euro di multa per chi disobbedisce: è la pena che Gianroberto Casaleggio prevede per punire chi dissentirà dopo le imminenti elezioni per il Campidoglio.
A rivelarlo è un documento di tre pagine, di cui La Stampa è venuta in possesso, relativo alla campagna per la scelta del nuovo sindaco di Roma.
Il paragrafo in questione è inequivocabile: «Il candidato accetta la quantificazione del danno d’immagine che subirà il M5S nel caso di violazioni dallo stesso poste in essere alle regole contenute nel presente codice e si impegna pertanto al versamento dell’importo di 150mila euro, non appena gli sia notificata formale contestazione a cura dello staff coordinato da Beppe Grillo e Gianroberto».
Il documento si articola in dieci punti e Gianroberto Casaleggio – attraverso la faraona romana, Roberta Lombardi – ha preteso che i candidati del M5S alle elezioni per il Campidoglio lo firmassero.
È un decalogo brutale ed eloquente politicamente, pur nella sua impugnabilità giuridica, perchè commissaria di fatto il futuro candidato sindaco del M5S, e i consiglieri eletti, vincolandoli totalmente alla volontà , nell’ordine, di Casaleggio, del suo staff e del direttorio.
Da queste pagine si capisce che gli eletti del M5S a Roma non avranno nessun potere decisionale, che ogni autonomia locale dei territori – tanto sbandierata fin dalla fondazione del Movimento – è disattesa, e soprattutto che al minimo dissenso dall’asse Casaleggio-direttorio saranno sanzionati con l’espulsione e una procedura di richiesta di danni per 150mila euro; persino l’eventuale sindaco non è immune da tali sanzioni.
Immaginate una situazione del genere in una città come Roma e avrete dinanzi lo spettro del caos.
Naturalmente la cosa potrà essere impugnata davanti al giudice, ma il senso politico di questa scrittura privata è chiaro: mentre stanno concedendo «libertà di coscienza» sulle unioni civili – contraddicendo la regola storica del Movimento, che vuole negli eletti dei meri portavoce, non dei rappresentanti «senza vincolo di mandato» – Casaleggio e Di Maio imbavagliano in toto il Movimento romano.
Raccontano le nostre numerose fonti che Roberta Lombardi si è spesa con i suoi metodi, e ha formulato di suo pugno il punto dieci come ve l’abbiamo raccontato. Causando l’ira di tanti, a Roma. Stanno fioccando espulsioni di dissidenti. Ma gli altri punti sono non meno eclatanti.
Al punto 9b (Sanzioni) si sancisce che «il sindaco, ciascun assessore o consigliere assumono l’incarico etico di dimettersi qualora sia ritenuto inadempiente al presente codice», naturalmente, «con decisione assunta da Beppe Grillo o Gianroberto Casaleggio o dagli iscritti M5S mediante consultazione online» – una procedura non trasparente nè verificabile.
In sostanza Casaleggio potrà «dimissionare» in ogni momento il sindaco di Roma, se vincesse il M5S.
Interessanti le regole sul «personale di supporto». Dopo i casi di familismo, o le clientele che il M5S ha ampiamente accolto dentro di sè tra collaboratori e portaborse, la soluzione è quasi peggiore del male: «Le proposte di nomina dei collaboratori (7b) dovranno preventivamente esser approvate dallo staff coordinato dai garanti del M5S» (ossia Grillo e Casaleggio).
Cruciale (ci torneremo meglio in altra occasione) la regola del punto 4a: «Lo strumento ufficiale per la divulgazione delle informazioni e la partecipazione dei cittadini è il sito www.beppegrillo.it/listeciviche/roma».
In pratica tutto il traffico social o non (e anche i video televisivi dei romani) deve esser convogliato sul sito proprietario, che poi ci guadagnerà in pubblicità secondo il sistema rpm (revenue per mille visualizzazioni).
Dalla popolarità , poniamo, di un Di Battista, o di un eventuale sindaco romano, o di un Di Maio, si avvantaggerà economicamente Casaleggio
Il 4b fissa che lo staff di comunicazione «sarà definito da Grillo e Casaleggio in termini di organizzazione, strumenti, scelta dei membri; dovranno coordinarsi col Gruppo comunicazione al Parlamento»; che è già completamente nelle mani del direttorio, non più del gruppo parlamentare.
Importantissimo il punto 2b: «Le proposte di atti di alta amministrazione, e le questioni giuridicamente complesse verranno preventivamente sottoposte a parere tecnico legale a cura dello staff coordinato dai garanti del M5S».
Traduzione, se c’è da intervenire su una buca forse il sindaco potrà decidere ma, poniamo, su cose come un piano urbanistico ogni scelta toccherà a Grillo e Casaleggio.
È la fotografia di una fine: l’epoca del Movimento dei meet up e dei territori non esiste più.
Tutto si gioca nella partita tra Casaleggio e direttorio, con regole completamente ad hoc e a uso del cofondatore.
Roma è commissariata. Del resto, è la città dei commissari.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Febbraio 8th, 2016 Riccardo Fucile
AL PARLAMENTO EUROPEO I LORO 5 CINQUE VOTI DETERMINANTI NEL BOCCIARE LA PROPOSTA CHE AVREBBE OBBLIGATO I COSTRUTTORI DI AUTO A EFFETTUARE I TEST SULLE EMISSIONI IN REALI CONDIZIONI DI GUIDA E NON IN LABORATORIO….DA “PADANIA LIBERA” A “PADANIA INQUINATA”
Mentre l’Italia fa sempre più fatica a respirare a causa della fitta coltre di polveri sottili e di NOx che non accenna a lasciare il paese e mentre le città ignorano le stesse direttive che si erano autoimposte poco prima di capodanno, il Parlamento Europeo ieri ha bocciato la proposta della Commissione Europea con la quale si chiedeva che i costruttori di automobili fossero costretti a effettuare i test sulle emissioni in condizioni reali di guida e non più solamente in laboratorio.
La proposta (sostenuta dai socialisti e dai verdi) è stata bocciata con 323 voti contrari e 317 voti a favore e 61 astenuti.
Per soli 6 voti di scarto, da oggi le case automobilistiche potranno quindi inquinare il 110 % in più e il tutto in assoluto rispetto della legge poichè, grazie al voto di ieri all’interno del Parlamento Europeo, è stato più che raddoppiato il limite di emissione di ossidi di azoto in atmosfera da parte delle automobili, in particolare di quelle a gasolio già messe sotto accusa durante l’affaire dieselgate.
A esultare sono in larga parte i costruttori di auto tedesche che da anni puntano sulle motorizzazioni diesel come segmento di maggiore sviluppo delle proprie politiche industriali.
Il ruolo chiave di Salvini e della Lega
Mentre gli europarlamentari socialisti e verdi si sono ampiamente schierati contro l’innalzamento dei limiti consentiti, i Popolari Europei e la Lega Nord nostrana si sono schierati dalla parte dei costruttori di auto.
Per ribaltare l’esito della votazione sarebbe bastato che anche solo 3 europarlamentari avessero espresso un voto differente e nel nostro continente avremmo avuto maggiori garanzie di respirare aria pulita.
Questi gli europarlamentari italiani che hanno favorito il provvedimento: Mara Bizzotto; Mario Borghezio; Gianluca Buonanno; Lorenzo Fontana e Matteo Salvini (ENF — Lega Nord); Raffaele Fitto e Remo Sernagiotto (ECR) Lorenzo Cesa; Salvatore Cicu; Alberto Cirio; Lara Comi; Elisabetta Gardini; Giovanni La Via; Fulvio Martusciello; Barbara Matera; Alessandra Mussolini; Aldo Patriciello; Salvatore Domenico Pogliese; Massimiliano Salini; Antonio Tajani (PP- Forza Italia, NCD-UDC).
Si sono astenuti: S&D (Partito Democratico): Simona Bonafè; Caterina Chinnici; Silvia Costa; Luigi Morgano; Michela Giuffrida
(da agenzie)
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Febbraio 8th, 2016 Riccardo Fucile
“CON IL CANDIDATO CI SARANNO PROBLEMI”: TRA I SUPPORTER VOLANO GLI STRACCI
“Ti ricordi quella scommessa davanti al caffè? Che cosa ti avevo detto?”. L’incoronazione di Giuseppe Sala a candidato sindaco di Milano si è appena conclusa.
Il pubblico sta già uscendo dal teatro Elfo Puccini, dove i candidati alle primarie del centrosinistra si sono ritrovati dopo lo spoglio.
Il consigliere comunale di Sel Luca Gibillini incrocia il collega del Pd David Gentili, il primo ha sostenuto Francesca Balzani, il secondo Pierfrancesco Majorino.
Il ricordo torna su una scommessa di qualche settimana fa: che unita, la sinistra, avrebbe superato il 50% e avrebbe battuto Giuseppe Sala.
Ma unita, la sinistra della coalizione non è rimasta. Majorino ha sempre rivendicato di essere stato il primo a candidarsi e di avere una sua proposta politica, diversa da quella della Balzani. Lei ha sottolineato anche a urne chiuse di avergli ripetuto fino all’ultimo “che la porta era aperta, che avrei voluto con lui un progetto comune”.
Che poi per Majorino avrebbe voluto dire ritirarsi dalla corsa, cosa mai presa in considerazione.
La vicesindaco, la sua delusione, l’ha espressa subito davanti alle telecamere, appena arrivata all’Elfo Puccini: “Per me, e per molti milanesi, c’è una nota di rammarico”.
Pochi minuti prima erano stati i suoi sostenitori a non trattenerlo più quel rammarico, quando nella sede del comitato elettorale in piazza Oberdan era ormai divenuto chiaro che Sala sarebbe stato imprendibile.
E che Majorino non sarebbe andato così bene come invece previsto dall’ultimo sondaggio, quello realizzato da Ixè per Agorà e contestato per non essere stato divulgato in tv, che lo dava addirittura al secondo posto con il 25-28%.
Majorino invece si è fermato al 23. “Si è preso un bel calcio in pancia”, dice a un certo punto un supporter della Balzani. “E manca la ginocchiata nelle palle che gli darei io”, aggiunge chi gli sta di fianco. Majorino, qui, lo vedono come il colpevole di tutto.
Dal canto suo, l’attuale assessore della giunta Pisapia si mostra soddisfatto: “Il mio risultato è al di sopra delle aspettative”, dice appena entrato in teatro.
E a chi gli chiede se sarebbe stata un’altra storia senza la divisione con la Balzani, risponde: “Dal punto di vista politico siamo di fronte a tre proposte distinte. Dal punto di vista aritmetico mi pare ormai una sciocchezza visto il risultato di Sala”.
In realtà il suo 23% sommato al 34% della vicesindaco, dal punto di vista aritmetico, fa 57%. Un bel po’ in più del 42,3% di Sala. Ma in ogni caso i simpatizzanti di Majorino sostengono che non abbia senso mettersi a fare le somme: “Se lui si fosse ritirato, io non sarei andata a votare — dice Daniela Pistillo, membro del suo comitato elettorale -. Non avrei certo votato Balzani”.
A dare fastidio a molti è stata una discesa in campo, quella della vicesindaco, arrivata solo all’ultimo e con un’imposizione di Giuliano Pisapia non concordata con chi da mesi sosteneva Majorino, il primo a candidarsi, sin da luglio.
E poi c’è un’altra questione: “O Sala è il male assoluto — continua Pistillo — e allora si doveva costruire un progetto alternativo. Ma se non è il male assoluto e si fanno le primarie, e poi l’unico valore fondante di un’alleanza è stare contro Sala, il giorno dopo come fai a stare con lui, se vince?”.
Niente alleanza, dunque. E il numero uno di Expo ha vinto, anche se non ha stravinto come previsto solo qualche settimana fa. Majorino gli garantisce appoggio di qui alle elezioni di giugno: “Ci sarà senza se e senza ma”.
Quando entra all’Elfo Puccini, l’assessore è applauditissimo, più della Balzani. Sul suo volto non ci sono i segni della delusione che invece mostra lei.
Uno dei primi abbracci di Majorino è con una delle principali sostenitrici di Sala, la ex vicesindaco Ada Lucia De Cesaris. I due non si sono mai amati. Che significato ha quell’abbraccio?
L’interpretazione malevola riporterebbe alle accuse di inciucio con Sala mosse a Majorino quando è stato chiaro che non si sarebbe ritirato, anche se poi, in campagna elettorale, è stato lui il primo ad attaccare il numero uno di Expo, per esempio sull’oscurità dei numeri di bilancio divulgati.
L’interpretazione benevola vede invece in quell’abbraccio davanti al pubblico del teatro una promessa di unità nella corsa contro il centrodestra.
Quell’unità che non è invece per nulla garantita dal fronte dei simpatizzanti della Balzani, nonostante le sue rassicurazioni: “Ci dobbiamo unire tutti, era questo il patto di lealtà ”, dice la vicesindaco a caldo.
La scena iniziale tra Gibillini e Gentili termina con un abbraccio. Ma che i due a giugno saranno ancora dalla stessa parte non è per nulla scontato, e lo si capisce dal comunicato diramato a urne appena chiuse in cui Sel annuncia “l’avvio di una riflessione sulla nuova fase politica che si apre a Milano”.
Ma di dubbi ce ne sono anche dentro al Pd, e tanti.
Ecco come commenta i risultati un esponente del partito che preferisce rimanere anonimo: “Con Sala ci saranno problemi. E uno dei problemi sono le persone che lui ha intorno”.
Lo dice mentre si sposta dalla sede del comitato di piazza Oberdan verso l’Elfo Puccini, forse senza nemmeno accorgersi che in quella camminata di dieci minuti si passa accanto a dove Sala è riunito con i suoi.
Il vincitore è ancora dentro alla sede del suo comitato all’angolo tra corso Buenos Aires e via Casati, chiuso in un ufficio insieme ai più stretti sostenitori, tra cui la De Cesaris, Marco Pogliani, che fu consulente per la comunicazione della giunta Moratti, e Davide Corritore, il presidente della partecipata comunale Mm da sempre organico al Pd, che nel week end si è speso per Sala con sms in cui ricordava: “Il mio voto straconvinto sarà per Beppe Sala”.
E lui, il più votato, è l’ultimo degli sfidanti a uscire dal proprio comitato. Si incammina verso l’Elfo Puccini seguito da qualche fotografo, si ferma quando un’auto al semaforo gli suona in segno di festa.
Sala stringe la mano a chi sta al volante. Poi ancora qualche centinaia di metri. L’applauso sotto la galleria davanti al teatro. Le telecamere: “Oggi ha vinto anche Milano”, dice.
Il saluto a Majorino e Balzani. L’ovazione quando sale sul palco. Il primo discorso da candidato sindaco: “Siamo stati assieme in questo periodo. Ricominciamo tutti assieme con l’idea che la finestra che si è aperta a Milano con Pisapia non si chiuda mai. Noi lavoreremo per questo, tutti assieme”.
Si vedrà .
Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 8th, 2016 Riccardo Fucile
SALVINI NON CI VUOLE METTERE LA FACCIA, LA MELONI NON HA NESSUNO E ALLA FINE CONVIENE PERDERE CON UN CANDIDATO INDICATO DA BERLUSCONI…E SI CERCA UN ACCORDO CON PASSERA… CON DUE SOGGETTI DEL GENERE IL CDX FARA’ IL PIENO DI VOTI NEI QUARTIERI POPOLARI
“Sala ha vinto, ma noi l’uomo giusto ce l’abbiamo: si chiama Parisi”. A sera quando è ormai chiara la vittoria di Giuseppe Sala alle primarie del Pd, Silvio Berlusconi, in ritiro nella villa di Arcore con i familiari e amareggiato per il pareggio del Milan in casa con l’Udinese, si risolleva scandendo il nome di Stefano Parisi.
La carta che il centrodestra a ranghi uniti, con Lega Nord e Fratelli d’Italia, intende giocarsi per scalare Palazzo Marino sarà quella dell’ex city manager del capoluogo lombardo ai tempi di Gabriele Albertini. Sarà lui, infatti, a contrastare Mr Expo.
A meno di un colpo di scena, fra poche ore l’anti Sala scenderà in campo e ufficializzerà la sua candidatura a sindaco di Milano.
“Il centrodestra ripartirà da qui. Milano deve essere la start up di un nuovo progetto politico”, avrebbe confidato l’ex Cavaliere ai suoi.
Dal fortino di Arcore il capoluogo lombardo viene considerato luogo simbolo per scardinare lo strapotere di Renzi e del suo storytelling. Non a caso proprio ieri l’ex ministro Maria Stella Gelmini, coordinatrice di Fi a Milano, metteva a verbale: “Se vince Giuseppe Sala, che è il candidato del premier, allora anche le amministrative milanesi saranno un referendum su Renzi”.
Ecco allora perchè puntare su un profilo “moderato” come quello del fondatore di Chili, una sorta di Netflix italiana.
Ed ecco perchè scartare candidati “più da battaglia” come il direttore de il Giornale, Alessandro Sallusti o la pasionaria Daniela Santanchè.
Già domenica scorsa, dopo il derby fra Milan e Inter, Berlusconi aveva sottoposto la candidatura di Parisi agli alleati del Carroccio e di Fratelli d’Italia.
Nessun entusiasmo ma allo stesso tempo nessun veto sull’ex manager.
D’altro canto, spiega all’HuffPost chi ha partecipato alle trattative, “Salvini non vuole bruciare un nome leghista per pregiudicarsi la leadership. Per lui è preferibile restare nell’ombra senza misurarsi sull’uomo”.
Da via Bellerio, quartier generale della Lega, il capogruppo al Senato Gian Marco Centinaio assicura che “a noi Parisi non dispiace” e invita “i leader del centrodestra a mettersi già da domani attorno a un tavolo e a partire subito con la campagna elettorale perchè Sala non è imbattibile”.
I tre – Salvini, Berlusconi e Meloni – si vedranno già domani per fissare la strategia e per lanciare la candidatura di Parisi. Una colazione ad Arcore cui potrebbe prendere parte anche il candidato in pectore Parisi.
D’altro canto le altre ipotesi in campo, come quella dell’ex ministro Maurizio Lupi, in forza con l’Ncd ma sempre in filo diretto con Arcore, sono state scartate perchè non ritenute spendibili.
Al di là dei veti di Salvini Berlusconi ha sondato il peso dell’ex ministro delle Infrastrutture, ma secondo un report consegnatogli “Lupi viene sempre ricordato dagli elettori come quello del rolex”.
Il modello cui l’ex premier si ispira è quello di Venezia. Dove la scorsa primavera l’imprenditore Luigi Brugnaro ha scippato il capoluogo al centrosinistra con una lista civica accompagnata dalle sigle dei singoli partiti della coalizione.
Ma non finisce certo qui. Perchè ad oggi il fronte moderato ha già tre candidati in campo. Corrado Passera, ex ministro del governo Monti, è della partita con il suo movimento “Italia Unica”. Vittorio Sgarbi, qualche giorno fa, ha ribadito la sua volontà a correre come sindaco di Milano per il centrodestra.
E, infine, il terzo e ultimo è il giovane Niccolò Mardegan, ex Ncd, in corsa con una lista civica “noi per Milano”.
Allora la vera domanda è: riuscirà Parisi a passare come candidato unitario?
Al momento le primarie del centrodestra non sono sul tavolo. Anche se il senatore di Fi Augusto Minzolini, da sempre sostenitore delle primarie, ipotizza che “nel caso di Milano, essendo tutti i candidati espressione della società civile, non sarebbe peregrino pensare a una consultazione interna”.
Tuttavia il primo ad ammettere che Parisi sia un profilo unitario è proprio Mardegan: “Non nego che con una figura come Parisi ci sia l’assoluto interesse a dialogare perchè è un profilo nuova. Dico anche che Parisi è un nome che può fare sintesi”. Insomma, la candidatura di Parisi è ormai accreditata.
Certo è che venerdì sera, in un noto di ristorante del centro di Milano, ad una cena cui hanno partecipato tutto i quadri milanesi di Forza Italia, la senatrice Maria Rosaria Rossi, che interpreta sempre i desiderata di Berlusconi, ha lodato pubblicamente il valore di Corrado Passera. Non si tratterebbe di un cambio di cavallo. Ma di un possibile ticket Parisi-Passera.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 8th, 2016 Riccardo Fucile
TAGLI RISIBILI: IL CALCOLO DEL SENATORE-QUESTORE MALAN
“Via i senatori, un miliardo di tagli alla politica, a dieta le Regioni, legge elettorale anti larghe intese. Se si chiude, Italia #cambiaverso”, twittava il premier Matteo Renzi il 19 gennaio 2014. Ma quanto di questo miliardo di risparmi annunciati arriverà effettivamente dalla riforma di Palazzo Madama forse il presidente del Consiglio non lo aveva ancora ben chiaro.
Calcolatrice alla mano, con la pignoleria dell’insegnante prestato alla politica, è adesso un senatore a fare due conti un po’ più precisi.
E non un parlamentare qualsiasi, ma un senatore-questore, cioè uno dei tre designati a tenere in mano e gestire conti e bilancio di Palazzo Madama: Lucio Malan, eletto nelle liste di Forza Italia.
“Risparmieremo più o meno 48 milioni di euro”, spiega a ilfattoquotidiano.it il senatore azzurro. Una sforbiciata dell’8,8% ai 540 milioni che, stando all’ultimo bilancio di previsione, il Senato spenderà nel 2016 per assicurare il suo funzionamento.
Insomma, non proprio una cifra record. “Anzi, la definirei del tutto risibile”, sentenzia impietosamente Malan, bocciando l’intera riforma costituzionale che porta la firma della ministra Maria Elena Boschi anche sul fronte dei risparmi che dovrebbe produrre.
CONTI APERTI
Ma come si arriva ai 48 milioni stimati dal parlamentare di Forza Italia?
“Per effetto della riforma costituzionale, semmai dovesse entrare in vigore, i futuri 100 senatori saranno di fatto consiglieri regionali pagati dai rispettivi enti di provenienza — spiega —. Palazzo Madama non dovrà quindi più versare le attuali indennità parlamentari che oggi pesano sul bilancio del Senato per 42 milioni 135 mila euro”.
Ma attenzione: parliamo di una cifra lorda. “Sottraendo i circa 14 milioni che rientrano nelle casse dello Stato sotto forma di Irpef — continua Malan — il risparmio netto ammonterà a circa 28 milioni di euro”.
Poi ci sono altri 37 milioni 266 mila euro che Palazzo Madama attualmente sborsa per le spese sostenute dai senatori per lo svolgimento del mandato.
Dalla diaria (13 milioni 600mila euro) ad una lunga serie di rimborsi: per le spese generali (6 milioni 400mila), per la dotazione di strumenti informatici (600mila), per l’esercizio del mandato (16 milioni 150mila) e per ragioni di servizio (516mila).
“Con la riduzione da 315 a 100 del numero dei senatori, il risparmio si assesterà intorno ai due terzi del totale perchè è ovvio che, anche ai nuovi senatori, uno straccio di supporto per lo svolgimento del proprio mandato bisognerà darlo. E che siano le Regioni o Palazzo Madama a corrisponderlo poco cambierà per il contribuente — chiarisce Malan —. In pratica si risparmieranno circa 25 milioni, ma anche in questo caso lordi dal momento che circa 5 rientrano attualmente all’erario attraverso la leva fiscale”.
TAGLI FANTOZZIANI
Insomma, un taglio netto di altri 20 milioni, euro più euro meno. Che sommati ai 28 milioni sforbiciati dalle indennità , portano il totale a 48 milioni di euro.
“Risparmi risibili frutto di una riforma fantozziana — accusa Malan —. Specie se raffrontati ai tanti regali distribuiti dal governo, a cominciare da quello fatto per esempio ai concessionari autostradali della Venezia-Trieste e dell’autostrada del Brennero che costeranno allo Stato 6 miliardi per i prossimi 30 anni, l’equivalente di 200 anni di risparmi che si totalizzeranno con la riforma Renzi-Boschi, per effetto della quale Palazzo Madama non pagherà più l’indennità ai senatori”.
Con un paradosso ulteriore, conclude il parlamentare azzurro. “Anche dopo l’entrata in vigore della nuova Costituzione, per effetto della cosiddetta norma salva-Napolitano, gli unici componenti non eletti, ossia i senatori a vita, manterranno l’attuale status giuridico e il relativo trattamento economico”.
Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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