Febbraio 20th, 2016 Riccardo Fucile
IL RICORDO DEL GENEROSO SUB DELLA POLIZIA DI STATO, MORTO NELL’ADEMPIMENTO DEL DOVERE
Chi era Rosario Sanarico
L’ispettore superiore della Polizia di Stato Rosario Sanarico, 52 anni, in forza al nucleo sommozzatori del CNeS di La Spezia, morto ieri in seguito a un incidente durante le ricerche del cadavere di Isabella Noventa sul fondale del Brenta, era uno dei massimi esperti del settore.
Nel corso della sua trentennale attività , aveva acquisito una notevolissima esperienza partecipando ad un gran numero d’interventi, spesso svolti in condizioni ambientali molto difficili, come ad esempio i soccorsi in occasione del naufragio della Costa Concordia, tanto da diventare uno dei sommozzatori della Polizia più esperti.
Nato a Napoli il 10 ottobre del 1963 e dopo essere entrato in Polizia non ancora ventenne, nel 1984 Sanarico era stato assegnato al Centro Nautico e Sommozzatori della Polizia di Stato di La Spezia.
Qui aveva frequentato il corso per operatore subacqueo come primo passo di una lunga serie di abilitazioni professionali conseguite in questo particolare settore operativo che lo avevano portato ad assumere incarichi di crescente importanza nell’ambito del CNeS di La Spezia.
Il suo curriculum professionale vanta anche numerosi riconoscimenti conseguiti per l’attività svolta tra cui l’«Attestato di Pubblica Benemerenza» come testimonianza per l’opera e l’impegno prestato in interventi di protezione civile.
Per le sue spiccate doti umane e professionali, «Sasà », com’era affettuosamente chiamato, era considerato dai dirigenti del Centro Nautico di La Spezia un prezioso collaboratore ed era diventato un punto di riferimento per tutti i sommozzatori della Polizia di Stato.
Era molto apprezzato anche fuori dall’ambiente professionale per il suo carattere generoso e leale. Lascia la moglie Antonella ed i figli Alessio ed Annavera.
Pansa: «Un amico e un operatore di grande esperienza»
«Sono particolarmente colpito da ciò che è accaduto ieri. È morto un operatore di grandissima bravura e di grandissima esperienza». Lo ha affermato il capo della Polizia, Alessandro Pansa, riferendosi alla morte del sommozzatore della Polizia Rosario Sanarico.
«Io ho condiviso con lui anche la mia passione di subacqueo – ha ricordato Pansa – facendo molte immersioni con l’ispettore che io chiamo ancora “Zaza”, perchè questo era il nome che tutti quanti i suoi colleghi e i suoi amici usavano per lui. Era un uomo molto generoso, molto bravo e che probabilmente fidando troppo della sua bravura, della sua generosità ha messo a rischio la sua vita e ha dato la sua vita per il suo lavoro, per la sua divisa, per la sua attività nella quale credeva profondamente.
Noi – ha concluso Pansa – siamo vicinissimi alla famiglia. Oggi mi recherò a Padova proprio per incontrare i familiari e portare il mio contributo, il mio rispetto e il mio saluto alla salma».
(da agenzie)
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Febbraio 20th, 2016 Riccardo Fucile
LA CAMPAGNA VIRALE DEGLI ATTIVISTI PER PROMUOVERE LE UNIONI CIVILI
Ricordate la bacheca di Matteo Salvini invasa dai gattini? Questa volta a fare i conti con un flash bombing virtuale in piena regola tocca ai Cinque Stelle: la pagina Facebook nazionale del Movimento da alcune ore si sta riempiendo di arcobaleni, il simbolo per eccellenza del movimento Lgbt di ogni misura, che abbiamo visto sventolare anche sul palco di Sanremo.
Bandiere, torte, nastri e cuccioli di ogni colore viaggiano così su Facebook e Twitter con l’hashtag #5stelleArcobaleno e #PrimaveraArcobaleno.
Chiarissima la spiegazione della variopinta tempesta virtuale: gli agguerriti fanatici dell’arcobaleno sostengono la legge sulle unioni civili, che torna in Parlamento mercoledì prossimo.
«“Invitiamo” tutti i senatori grillini a non fare politica sulla pelle della gente – si legge in uno dei tanti messaggi condivisi – riempiendo la loro bacheca con arcobaleni di qualsiasi forma e in qualsiasi formato: facciamogli capire che vogliamo i diritti subito: è arrivata l’ora!».
Nadia Ferrigo
(da “La Stampa”)
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Febbraio 20th, 2016 Riccardo Fucile
“PAZIENTI VENIVANO CONVINTI A SPACCARE DENTI PER POI RICOSTRUIRLI”…”SE I CONTROLLORI AVESSERO AGITO, TUTTO SAREBBE FINITO DIECI ANNI FA”
“Se mi avessero dato retta, onestamente, tutti questi dieci anni non ci sarebbero stati”. Niguarda, altro feudo per bandi truccati in favore di Maria Paola Canegrati, l’imprenditrice al centro dell’ultimo scandalo della Sanità lombarda.
A parlare così è Mario Cirincione, storico primario del reparto di chirurgia maxillo facciale dello stesso ospedale, oggi in pensione.
L’ordinanza dei pm di Monza che ha fermato la banda degli appalti dentali lo cita più volte, e più volte negli ultimi tre anni è stato convocato dagli inquirenti come “persona informata dei fatti”.
Già nel 2006, infatti, l’ex chirurgo aveva segnalato alla propria direzione sanitaria e poi alla Procura di Milano le “troppe anomalie legate agli appalti ‘in service’ delle prestazioni odontoiatriche”.
Ma anche i controllori fuori dalle corsie, in realtà , non han sempre dato gran prova di sè. E qui la storia, se possibile, si fa anche più delicata.
Quella che racconta Cincione ha sapore decisamente amaro e surreale.
A distanza di 10 anni incrocia gli stessi protagonisti dello scandalo-truffa che oggi fa tremare la Regione.
Nel 2004 la Dental Service della Canegrati aveva vinto l’appalto (truccato, secondo l’accusa) per gli ambulatori odontoiatrici del Niguarda.
Cirincione inizia a ricevere richieste di aiuto di pazienti “cui venivano fatti interventi del tutto inutili, a volte sbagliati e dannosi. Spesso i malcapitati erano immigrati senza soldi che avevano bocche perfette ma venivano convinti a spaccare i denti per poi ricostruirli. Ricordo ancora una ragazza etiope, poverina. Tutto per avere da loro 2-300 euro che faticavano a racimolare. E poi con la bocca rotta venivano da me, a cercare aiuto. Avevo tutte le radiografie di questo scempio”.
Emblematico il caso, citato nell’ordinanza, di una signora che si presenta con un tumore in bocca, trattato in via privata come un “fungo”.
Morirà poco dopo, all’Istituto dei Tumori. Fu questo caso a convincere Cirincione a segnalare quanto accadeva, prima alla sua direzione sanitaria e poi a quella aziendale. “Avevo avuto notizia che proprio il medico che aveva emesso quella diagnosi, così macroscopicamente sbagliata, era stato collocato a capo del centro odontoiatrico appena costituito. Mi è sembrato doveroso segnalare la cosa”.
Si tratta di Vincenzo Nicotra, uno dei medici dipendenti della Canegrati finiti agli arresti. Come andò a finire la denuncia di Cirincione?
“La segnalazione — si legge nelle carte dei pm — non determinava alcun intervento diretto ad accertare la professionalità del medico segnalato, ma provocava la reazione del medesimo — evidentemente informato — che tramite un legale minacciava di proporre querela nei confronti del dott. Cirincione. Qualche mese dopo, inoltre, seguiva un provvedimento dell’amministrazione dell’A.O. che sollevava Cirincione dai compiti di controllo sull’operato del centro”.
Va detto, infine, che quella stessa denuncia Cirincione la portò alle autorià competenti oltre le mura del Niguarda. Prima ai Nas di via Melchiorre Gioia, che la verbalizzarono nel 2006.
Poi alla Procura della Repubblica di Milano. E lì rimase, nonostante quei verbali denunciassero “modi di operare illegali, vili e turpi”, perchè le anomale attività del centro erano “tutte sostanzialmente dirette a favorire con l’inganno la crescita delle prestazioni fornite in regime di solvenza, approfittando della fiducia riposta dai pazienti in una struttura che svolge (anche) un servizio pubblico”.
“Certo nella mia denuncia non parlavo di corruttela, non avevo elementi per sostenerlo”, spiega oggi il medico.
“E forse la Procura ha ritenuto quei fatti riconducibili a imperizia medica, dunque non penalmente rilevanti e di interesse della direzione sanitaria, dell’ordine dei medici e del collegio sindacale. Ma si vedeva che c’erano tutti i sintomi di un grosso tumore, come in medicina. Quelle prestazioni non necessarie e dannose, di fatto, erano il sintomo preciso di quel sistema che sarebbe stato poi perfezionato fino al capolavoro di fottere i pazienti e lo stesso ospedale spingendoli tutti nel regime in solvenza”.
Oggi Cirincione legge i giornali e torna a dieci anni fa.
“Non so che cosa sia successo, perchè quella denuncia non sia stata presa in considerazione allora ma solo adesso, vivificata forse perchè era l’unica reperibile negli archivi. Evidentemente quando hanno cercato dei precedenti si sono imbattuti in quella e l’hanno letta con occhi diversi. Sta di fatto che io non ne ho più saputo nulla, per anni. Oggi più di allora, però, sono convinto che se i controllori preposti, sia dentro e che fuori l’ospedale pubblico, avessero cominciato da lì, lì finiva tutto. E quel che è successo poi, con rischi e danni enormi per la salute dei cittadini, non sarebbe mai accaduto”.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 20th, 2016 Riccardo Fucile
DUE COMPONENTI DEL COLLEGIO DI VIGILANZA CHIESERO DI TRASMETTERE GLI ATTI IN PROCURA, MA LA LORO DENUNCIA NON FU AVALLATA DAGLI ALTRI MEMBRI
Percepiscono fino a 21mila euro l’anno per controllare. Soldi pubblici, naturalmente. Versati come compenso per passare al setaccio bilanci, contratti e gare.
Solo che pochi lo fanno davvero, siano essi dirigenti dello Stato o commercialisti indicati dagli enti nelle aziende ospedaliere.
L’assenza di controlli è un altro tassello della bufera giudiziaria che ha travolto la sanità lombarda, e non solo.
Sicuramente li faceva la signora Giovanna Ceribelli, membro del collegio sindacale dell’azienda ospedaliera di Desio-Vimercate che ha scoperchiato con le sue mani il pentolone delle mazzette di “lady sorriso” ai politici di Regione Lombardia.
E’ un dato di cronaca, ormai, che fu una sua segnalazione a dare impulso alla “Comunicazione di notizia di reato” del 17 dicembre 2013 che — dopo due anni di indagini — consentirà alla Procura di Monza di arrestare 21 persone stroncando la “tangentopoli sanitaria”.
In realtà fece molto altro, ma questa parte della storia è ancora tutta da scrivere. Tenuta al segreto istruttorio, la commercialista Ceribelli ha però continuato ad acquisire informazioni tecniche sulle gare e sui contratti dall’interno dell’azienda ospedaliera di cui era sindaco, con l’intenzione di portarle all’attenzione del collegio perchè provvedesse a trasmettere una più documentata denuncia alle autorità giudiziarie. Ma questo lavoro non sarà una passeggiata e incontrerà insospettabili “resistenze” proprio in seno all’organo di controllo.
Ceribelli e il membro del collegio designato dal Consiglio dei Sindaci dell’ASL di Monza e Brianza chiedono documenti su documenti, studiano tutte le carte e scrivono poi due verbali d’ispezione (il 16 maggio 2014 e il 10 novembre 2014) cui seguiranno le contro-deduzioni del direttore amministrativo (Isabella Galuzzo, indagata con obbligo di dimora).
Non trovandole sufficienti, approntano una relazione finale e la presentano al collegio perchè la approvasse e sottoscrivesse con le firme di tutti i membri, dando a quella nuova denuncia la forza di un organismo che si esprime all’unanimità . Una voce sola. Ma alla Procura e alla Corte dei conti il 27 gennaio 2015 sarà trasmessa invece una lettera del presidente del collegio che si limita ad allegare le note dei due componenti come relazioni individuali, senza aggiungere una riga, a mo’ di “passacarte”.
Non è un dettaglio ma il punto più delicato della storia.
A quelle relazioni mancano le firme di tre componenti del collegio su cinque, due di queste sono molto ingombranti.
Nel ruolo del “controllore afono” si ritrovano infatti i rappresentanti delle istituzioni, i ministeri, Roma.
Il presidente del collegio è Oreste Malatesta, indicato direttamente dal Ministero del Tesoro (al quale abbiamo chiesto, inutilmente per ora, di metterci in contatto). Malatesta è l’attuale direttore della Ragioneria territoriale dello Stato di Milano e Monza (al centralino non lo passano, all’interno non risponde e neppure alla mail). Prima era dirigente dei “Servizi ispettivi di finanza pubblica” della Ragioneria dello Stato.
Resta un mistero perchè non abbia apposta anche la sua firma su quei verbali ma si sia limitato a trasmetterli “d’ufficio”. Di questa scelta, che potrebbe sembrare una forma di reticenza se non di dissociazione, potrà rispondere se vorrà .
Accanto a lui siede Nicola Palmieri, membro designato dal Ministero della Salute (cui abbiamo chiesto un contatto, senza ricevere risposta).
Nella relazione-esposto non si diceva apertamente che venivano messe in bocca ai pazienti “corone fatte con il culo”, come dirà Stefano Garatti, dirigente e supervisore dell’azienda ospedaliera intercettato e poi arrestato.
Ma venivano ricostruite, una per una, le anomalie della gara che lo avrebbe consentito, mettendo “Lady Sorriso” nelle condizioni di realizzare il massimo profitto con il minimo rischio: a suon di mazzette e pressioni politiche, secondo l’accusa, Paola Canegrati era riuscita infatti a mettere le mani sia sulla gara per la fornitura dei materiali (scadenti) e sia sul servizio odontoiatrico che poi doveva impiantarli, a diretto contatto con i pazienti.
Così faceva saltare il principio del “controllo reciproco” tra fornitori, perchè nessuna delle società aveva interesse a sollevare problemi allo stesso datore da cui dipendevano (“altrimenti li prendo a sberle”… diceva la Canegrati a Giuseppe Nochiero, consigliere e ad di Elledent).
Anzi, quando saltavano fuori problemi — dice l’inchiesta — tutti s’adoperavano per nasconderli. E con la passività dei controllori dell’ospedale il gioco era fatto.​
Non potendo contattare Malatesta e Palmieri, non è dato sapere quali dubbi avessero mai rispetto agli elementi sollevati e poi accertati dagli inquirenti.
Non sono bastate 48 ore di tempo agli stessi enti che li hanno indicati per fornire indicazioni utili a contattarli.
Meno che mai all’azienda ospedaliera in cui operavano solo due mesi fa: “sono decaduti il 31 dicembre 2015, quando al dg Pietro Caltagirone e al direttore amministrativo Galluzzo (indagati, ndr), è succeduta la nuova dirigenza”.
Il loro ruolo era però quello di “vigilare sull’osservanza delle legge”, come recitano le “linee guida per la gestione del collegio” sottoscritte dai sindaci l’11 ottobre 2012, quando assunsero l’incarico.
E per questo lavoro hanno ricevuto un compenso compreso tra i 18 e i 23mila euro a testa, il 12% della retribuzione dei direttori generali (che sale al 15 per il presidente del collegio).
Duemila euro lordi per una sola riunione al mese (per la precisione: quattro riunioni per il periodo ottobre-dicembre 2012, 11 nel 2013, 11 nel 2014 e 10 fino all’ottobre 2015).
Tanto o poco non importa, conta il dubbio che i gendarmi-controllori al momento giusto non fischino con tutta l’aria che hanno in petto.
Anche per questo forse la Ceribelli, che lo ha fatto, ha poi lanciato un messaggio: “Revisori e sindaci, non abbiate paura e non fatevi condizionare: denunciate”.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
Riceviamo e pubblichiamo volentieri questa nota del dott. Oreste Malatesta. direttore della Ragioneria Generale dello Stato
Spettabile Redazione di Destra di Popolo,
Soltanto oggi ho preso visione dell’articolo apparso, il 19 febbraio 2016, sul vostro sito e sul Fatto Quotidiano, intitolato Tangenti Sanità Lombardia: I controllori dei ministeri non firmano.
Scrivo soltanto per precisare alcune notizie mal riportate nell’articolo.
1) Quale presidente del Collegio dei Revisori dei conti dell’AO di Vimercate, designato dal MEF, non percepisco alcun emolumento. Gli emolumenti riportati nel prospetto sono entrati nelle tasche degli altri 4 revisori (Ceribelli, De Vito, Palmieri e Saverio), che sono professionisti, ma non nelle mie tasche. Se volete, potrete verificare che l’emolumento a me attribuito è stato versato dall’AO nelle casse del mio Ministero, appunto il MEF, e non sul mio conto. Il motivo per cui non ho percepito detto emolumento e da ricercare nel principio contrattuale dell’omnicomprensività stipendiale: per i dirigenti dello Stato l’unica retribuzione è lo stipendio.
2) Se non avessi condiviso l’avviso della dott.ssa Ceribelli, non avrei firmato la trasmissione della sua relazione, che — se fossero d’accordo i firmatari — propongo di pubblicare sul vostro quotidiano. Il collegio ha scelto di trasmettere la relazione a firma della dott.ssa Ceribelli e del rag. De Vito proprio perchè essi ne sono stati i redattori. A ciò si aggiunga che essi hanno proceduto, dal 2013, alle analisi sul servizio dell’odontoiatria, su preciso incarico del collegio. Peraltro, nell’ambito di un principio di collegialità , ognuno di noi ha approfondito alcuni aspetti critici della gestione dell’AO ed ogni approfondimento è stato sempre discusso collegialmente, fermo restando che la firma sulle relazioni sono sempre state apposte dall’autore delle analisi. In ordine al contenuto della stessa relazione il collegio ha convenuto di non esprimere valutazione per il semplice fatto che il giudizio definitivo spetta al giudice (contabile e penale), a cui la relazione è stata inviata. Aggiungo che, nella relazione, persino la dott.ssa Ceribelli e DE Vito, molto correttamente, fanno un’ipotesi di un danno all’erario o di un reato, e lasciano alla valutazione del giudice tutti gli approfondimenti istruttori di sua competenza, anche perchè i revisori dei conti non hanno i poteri di indagine propri degli ufficiali di polizia giudiziaria: se ci fossimo sostituiti agli ufficiali di polizia giudiziaria avremmo commesso un abuso.
3) Non sono stato mai contattato dal gentlemen inglese Thomas Mackinson, con il quale, se lo desidera, sono disposto ad avere un cordiale colloquio per chiarirgli come si è mosso il collegio dei revisori, qualora quanto da me sinteticamente precisato dovesse essere ritenuto meritevole di approfondimento. Se lo gradisce, a Mackinson, suggerisco anche di prendere visione dei verbali del collegio stesso, ove sono riportati puntualmente sia gli interveti del collegio, sia quelli dei singoli membri. Con diretta cognizione di causa potrebbe constatare quali resistenze ci sono state sul tema: Ad esempio potrebbe essere sorpreso nel leggere che il presidente (cioè io) ha sollecitato più volte la dott.ssa Ceribelli e De Vito a presentare le loro conclusioni sulla problematica del servizio di odontoiatria, visto che essi sono stati incaricati dal Collegio a svolgere tale compito fin dalla primavera del 2013. Alla fine essi hanno presentato la loro relazione nella primavere del 2015.
Spero che la Redazione accolga la mia richiesta di pubblicare questa precisazione.
Cordiali saluti
Oreste Malatesta
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Febbraio 20th, 2016 Riccardo Fucile
FUOCOAMMARE CONQUISTA IL PRIMO PREMIO AL FESTIVAL DEL CINEMA: “MIO PENSIERO A CHI NON CE L’HA FATTA”
Fuocoammare, il docufilm che Gianfranco Rosi ha dedicato al dramma dei migranti che attraversano il Mediterraneo e tentano di arrivare a Lampedusa, ha vinto l’Orso d’Oro della 66esima edizione della Berlinale.
“Il mio pensiero – ha detto Rosi – va a tutti coloro che non sono mai arrivati a Lampedusa nel loro viaggio di speranza, e alla gente di Lampedusa che da venti trenta anni apre il suo cuore a chi arriva”.
Con la vittoria di Fuocoammare, l’Orso d’oro del festival di Berlino torna all’Italia dopo quattro anni, quando – era il 2012 – ad aggiudicarsi il premio erano stati i fratelli Paolo e Vittorio Taviani con ‘Cesare deve morire’.
Fuocoammare, che il regista, Leone d’oro a Venezia con ‘Sacro G.r.a.’, ha girato nel corso di un anno e mezzo a Lampedusa, documentando da un lato la vita sospesa di alcuni suoi abitanti e dall’altro quella drammatica dei migranti in esodo verso l’Europa, aveva colpito sin dall’inizio critica e pubblico del Festival, da sempre molto attento a temi politici.
In lizza per il premio finale c’erano 18 film, ma il documentario è stato molto applaudito e la rivista Screen lo ha giudicato il migliore in corsa.
L’Orso d’argento per il migliore attore della berlinale è stato assegnato al tunisino Majd Mastoura per la sua interpretazione in “Hèdi”, prima produzione araba in competizione alla berlinale da 20 anni.
Majd Mastoura ha reso omaggio “al popolo tunisino” e “ai martiri della rivoluzione” del 2010-11 in Tunisia ricevendo il suo premio
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 20th, 2016 Riccardo Fucile
LADY DENTIERA: “VUOTO IL SACCO”… NOVITA’ SU ALTRI POLITICI COINVOLTI POTREBBERO ARRIVARE A BREVE: “VOGLIO COLLABORARE, DATEMI UNA PENNA E UN TACCUINO”
Cercate i soldi dei leghisti. L’ordine della Procura di Monza è netto.
E così terminata la fase degli arresti, ora l’indagine “Smile” su Lady dentiera Paola Canegrati e il presidente della Commissione regionale della sanità Fabio Rizzi, sterza e punta all’estero.
Primo obiettivo: Svizzera. Dove giovedì sera gli investigatori hanno sequestrato decine di documenti negli uffici della Canegrati.
Ma novità decisive su altre corruzioni e altri politici importanti potrebbero arrivare proprio da Lady dentiera.
Per capire bisogna tornare alla mattina di giovedì nel carcere di San Vittore. Qui la donna è stata interrogata dal giudice. E a verbale ha messo due parole decisive: “Voglio collaborare”.
Dopodichè a registrazione chiusa ha svelato le carte.
“Dottore — ha detto — ora ho capito, mi faccia avere un taccuino e una penna, anzi meglio due così se mi si scarica posso continuare a scrivere”.
La scelta, si ragiona negli ambienti giudiziari, è dettata dal fatto che la Canegrati, 54 anni, si trova davanti alla prospettiva di una condanna pesantissima.
Il suo legale si è riservato di produrre un memoriale. Intanto, l’interrogatorio con i pm è stato fissato per martedì. Anche qui la procura è chiara: sarà un interrogatorio fiume, ben oltre le dieci ore. A Milano in molti iniziano a tremare
E poi ci sono i soldi e le tante società estere aperte dal duo Rizzi-Longo.
Le intercettazioni sono chiare. La più importante è contenuta in una informativa, successiva al febbraio 2015, dove, discutendo di una società in Lussemburgo, uno dei due interlocutori chiede se dentro c’è anche il governatore lombardo.
“In quella in Lussemburgo non c’è dentro anche Maroni?”. Le parole sono di Stefano Lorusso. Il presidente della Regione smentisce e minaccia querele, i carabinieri non approfondiscono.
Qualche elemento in più arriverà dalle rogatorie.
In quel passaggio che fissa il dialogo tra Donato Castiglioni e il leghista Mario Longo, i carabinieri annotano: “I due appaiono esasperati dal comportamento della segretaria di Rizzi accusata di parlare male alle loro spalle e, al contempo, irritati dal fatto che il loro storico amico non abbia inteso prendere in alcun modo le loro parti”.
La chiacchiera svela “l’esistenza” di una società panamense.
“L’attività tecnica faceva cogliere con certezza l’esistenza di un’ulteriore società — questa volta Lussemburghese — avente tra i detentori delle quote Longo, Castiglioni, Caronno, Rizzi” e la sua segretaria.
Al netto della donna, l’assetto societario fotografa la “cricca leghista” al completo unita da “un patto non scritto” dove vige la regola “del tutti per uno e uno per tutti sempre e comunque, nella buona e nella cattiva sorte”.
Il patto è decisivo “anche perchè — spiega Longo — quello che arriva a me mi arriva anche perchè c’è Fabio, perchè c’è Donato, perchè c’è Roberto”.
Il collante è l’appartenenza alla Lega.
Emerge così anche la figura dell’enfant prodige piemontese Alessandro Albano (non indagato) che con Longo, sostiene l’accusa, favorisce Luca Pecchio rappresentante della Technit (gruppo della famiglia del presidente di Assolombarda Gianfelice Rocca).
Ed è sempre Albano, il cui riferimento nel partito è rappresentato da Flavio Tosi, che, stando alle parole di Lorusso, “ha un assegno di una holding svizzera di 15 milioni di euro” e “ha bisogno che lo incassi qualcuno”.
Insomma tanti affari, tanti soldi. Le società si aprono e si chiudono. “Te ne ho aperta una a Dubai”, dice Longo a Rizzi.
Dice la compagna del consigliere regionale: “Sciogliendo quanto rientra dal Lussemburgo? Quanto è rimasto?”. Risposta: “40mila euro”. Ancora la donna: “Cos’è la More Than Lux?”. Rizzi: “Quella panamense che abbiamo fatto io e Mario”. Insomma questa è la “politica estera” di cui parlano i due leghisti.
Dice Longo a Rizzi: “Gnaro bisogna spostarsi sulla politica estera (…) ci arrestano di meno (…) adesso il sistema di andare su in Svizzera mi piace”.
E se i leghisti puntano al Canton Ticino, Canegrati tra i suoi affari annota l’eolico da far crescere in Calabria a Palizzi, comune di nascita del suo socio Pietrogino Pezzano, soprannominato dottor Dobermann, ex direttore dell’Asl di Milano, in buoni rapporti (penalmente non rilevanti) con i boss della ‘ndrangheta.
Davide Milosa
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 20th, 2016 Riccardo Fucile
SALVINI PIANTA GAZEBO, LA MELONI RILANCIA RAMPELLI, MARCHINI ARRUOLA GRILLINI, BRACCONIERI PASSA CON STORACE
Settimane di dibattito per tornare al punto di partenza.
L’«asilo delle libertà », invece di studiare le migliori strategie per risollevare Roma dalla crisi – economica e morale – che la attanaglia, si dedica al gioco dell’oca.
E così la candidatura di Guido Bertolaso – che sembrava l’approdo finale di una faticosissima trattativa tra i leader Berlusconi, Meloni e Salvini – torna in dubbio. Con un centrodestra che si ritrova senza certezze a poco più di tre mesi dalle elezioni.
IL DIETROFRONT DELLA LEGA
A far precipitare la situazione è stato Matteo Salvini. Dopo la «picconata» alla candidatura di Bertolaso data giovedì mattina, il leader della Lega è tornato ieri sulla questione: «Adesso ascolteremo i romani – ha detto – con tutto il rispetto per gli alleati, io mi fido di Berlusconi e di Meloni, ma è nostro dovere ascoltare tutti, aspettare una settimana, dieci giorni. E se i romani hanno un’idea diversa, nuova, originale, pulita, io ascolto».
«Salvini ha dato gli otto giorni a Bertolaso» hanno commentato i più ironici tra gli osservatori. Un’analisi che non si allontana molto dalla realtà , se è vero che dalle parti di via Bellerio la decisione di mollare l’ex capo della Protezione Civile sarebbe già stata presa e sarebbe irrevocabile.
Ma in cosa consisterebbe questa «campagna d’ascolto» dei romani? La soluzione è arrivata nel corso della direzione nazionale di Noi con Salvini tenutasi a Milano: il prossimo week end, il 27 e il 28 febbraio, la Lega allestirà gazebo in tutti i municipi della Capitale per porre due quesiti ai propri militanti.
Quali siano le tre emergenze su cui dovrebbe concentrarsi il prossimo sindaco e, soprattutto, quale tra i nomi ipotizzati finora sia quello su cui puntare.
Sembra tramontata, insomma, l’ipotesi di ritirare la lista caldeggiata dall’ala brianzola del movimento, vogliosa di estraniarsi dalle beghe romane. Anche se, viene sottolineato, «al momento nessuno scenario può essere escluso.
LA FAIDA A DESTRA
Le mosse di Salvini – che con un occhio guarda a Roma ma con l’altro è attento alle conseguenze nazionali del voto locale – hanno ovviamente provocato l’ira di Fratelli d’Italia, che aveva già dovuto ingoiare la bocciatura di Rita Dalla Chiesa. Ufficialmente il partito della Meloni resta fermo sull’appoggio a Guido Bertolaso.
Lo ha ribadito il capogruppo alla Camera Fabio Rampelli: «Noi abbiamo una parola sola e una volta che è uscito il nome di Bertolaso, non abbiamo fatto come altri che hanno cominciato a sparare a zero contro il candidato scelto in modo unitario. Nomi proposti da noi per la candidatura non ne sono usciti, eventualmente si sapranno quando Berlusconi e la Lega ci diranno se hanno cambiato idea su Bertolaso». Concetto ribadito da Giorgia Meloni: «Mi fermo, perchè stiamo fecendo molta confusione, e chiedo di chiarire. Quando gli alleati, nello specifico la Lega, mi diranno quale è il loro candidato e quale è la loro proposta per Roma, io dirò se sono d’accordo oppure no».
Perchè il rischio che salti tutti ora è concreto, e Fratelli d’Italia starebbe vagliando due exit strategy.
La prima sarebbe la candidatura di Giorgia Meloni nonostante la gravidanza, ma solo in un’ottica di tenere unita tutta la coalizione.
La seconda, in caso di strappo totale anche nelle altre città (Bologna, Milano, Napoli, Torino ecc) sarebbe il ritorno della candidatura di bandiera di Fabio Rampelli.
E allora a destra sarebbe sfida tra due ex An con Storace dall’altra parte. Una sfida che in questi giorni si sta già consumando sui territori, con l’ex governatore che rivendica l’appoggio di quattro circoli di FdI, il partito della Meloni che annuncia l’adesione dell’ex storaciano Fabrizio Santori e – notizia di ieri – la star di Forum Fabrizio Bracconeri che da candidato di FdI alle prossime elezioni oggi si schiera col leader de La Destra. Cosa ne penserà l’amica Rita Dalla Chiesa?
I DUBBI DI FORZA ITALIA
Tra i due litiganti il terzo riflette. Perchè è vero che Silvio Berlusconi si sta impegnando come non mai a tenere tranquilli tutti gli «scolaretti» della coalizione e ha ribadito anche a Il Tempo la fiducia convinta nella candidatura di Bertolaso.
Ma c’è un pezzo consistente del partito romano – guidato dal vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri – che ha sempre denunciato come fosse una follia «sferrare due frecce con lo stesso arco».
Ovvero dividere i voti dei moderati tra Marchini e Bertolaso, richiando di inibire a entrambi il ballottaggio. E così anche una riflessione in extremis tra gli azzurri non è esclusa. Così come si sta riflettendo sull’«affaire simbolo».
Sono in tanti a temere che, se Bertolaso schierasse a Roma una propria lista civica, Forza Italia – già data ai minimi storici nella Capitale – rischierebbe di vedersi risucchiare via altri voti e di conseguenza di andare vicina all’estinzione. Al momento Berlusconi ha assicurato che il simbolo ci sarà , e ha messo in discussione solo il suo nome, ma i fedelissimi gli hanno chiesto di non rinunciare al brand «Silvio», da sempre vincente.
E GLI ALTRI RIDONO (PER NON PIANGERE)
E così, mentre Bertolaso facendosi vedere in tribunale per il processo sul G8 inaugura il suo tour de force tra aule giudiziarie e campagna elettorale, i suoi avversari gongolano. Alfio Marchini vanta addirittura lo «scalpo» di un grillino, con l’ex M5S Alessandra Bonaccorsi, consigliera del Municipio VIII che passa con la sua lista.
E Francesco Storace mostra su Twitter una foto del suo cellulare con una chiamata – lasciata senza risposta – proprio di Guido Bertolaso. Il tutto condito da una velenosa didascalia: «No stalking». Per il centrodestra romano, insomma, la ricreazione non è ancora finita.
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo”)
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Febbraio 20th, 2016 Riccardo Fucile
MARCHINI GONGOLA: “SONO L’UNICO CANDIDATO INDIPENDENTE”
È stata una telefonata di Silvio Berlusconi in persona a far desistere Guido Bertolaso dal proposito di partecipare all’iniziativa dell’ex-sindaco della Capitale Francesco Rutelli, che si è svolta in mattinata al’Auditorium della Conciliazione e ha visto la presenza di tutti gli altri candidati a sindaco (a parte Francesco Storace).
Una defezione che è maturata negli ultimissimi minuti, visto che l’ex-Capo della Protezione civile aveva ribadito, ancora ieri sera, la propria partecipazione all’evento e risultava in scaletta stamani.
Dallo staff del diretto interessato si è giustificata l’improvvisa defezione con “altri impegni” sopravvenuti, ma è evidente che la scelta è legata alle polemiche degli ultimi giorni, che vedono un Bertolaso già sotto pressione a causa della malcelata perplessità di di Matteo Salvini sulla sua candidatura, tramutatasi in aperto scetticismo dopo le esternazioni pro-Rom dell’aspirante sindaco.
Anche la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, nella giornata di ieri avrebbe consigliato a Bertolaso di non andare alla kermesse rutelliana, e non è un caso se anche oggi Salvini ha rincarato la dose, affermando che “a Roma ci sono problemi” e che interpellerà i romani tra una settimana per chiedergli “cosa pensino dei Rom” (unico argomento leghista).
Il padrone di casa Rutelli ha poi confermato all’Huffington che “Bertolaso ha avuto uno stop autorizzativo”.
Nemmeno le affermazioni in cui ha detto di preferire Giachetti a Storace e a Marchini hanno di certo aiutato Bertolaso, sulla cui assenza ha preso la palla al balzo Alfio Marchini, per rivendicare l’indipendenza della propria candidatura.
“Vedo che c’è gente — ha detto Marchini – che non venuta qui perchè il capo di un partito gli ha detto di non andare, e ha obbedito. Io invece vi chiedo – ha aggiunto — di ragionare con la vostra testa”.
Marchini rafforza dunque il profilo di candidato bipartisan, rivolgendosi in termini lusinghieri al padrone di casa Rutelli, che a suo avviso “ha segnato uno spartiacque” nella storia recente della Capitale e invitando a sostenere la sua candidatura anche quanti hanno votato Pd nelle scorse tornate elettorali.
Sul fronte del centrosinistra, presenza-lampo da parte del principale candidato Pd alla primarie Roberto Giachetti, che è passato a salutare il suo amico Rutelli, non è intervenuto dal palco, ma ha avuto il tempo di lanciare una stoccata a Fassina (anch’esso presente), affermando che “sta cercando un alibi perchè vuole, ovviamente, far perdere il centrosinistra. Io sono in campo perchè vinca”. Presenti anche gli altri candidati di centrosinistra Roberto Morassut, Domenico Rossi e il verde Gianfranco Mascia, salito sul palco con un orso gigante in pelouche.
In sala anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin (con bebè), che a margine ha annunciato una “sorpresa”, e cioè la nascita a breve di un soggetto di centrodestra totalmente nuovo, dato che la coalizione, “come la abbiamo conosciuta negli ultimi 20 anni, non esiste più”.
Voleva partecipare in platea, ma non è riuscita a farlo, la deputata del Pd Ileana Argentin, disabile, che ha definito “vergognosa” la mancanza di accessibilità alla platea dell’Auditorium, proprio mentre all’interno si sottolineavano i ritardi di Roma rispetto alle altri capitali europee sotto questo punto a altri punti di vista, tra cui la diffusione della banda larga.
Inutile aggiungere che la sala non era provvista nè di wi-fi, nè di connessione Adsl.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 20th, 2016 Riccardo Fucile
IL CENTRODESTRA PERDERA’ IN TUTTI I GRANDI COMUNI DOVE SI VOTERA’… AL BALLOTTAGGIO SOLO A MILANO E TRIESTE, DUE MILIONI DI VOTI IN LIBERA USCITA
Secondo i sondaggi più o meno top-secret, il centrodestra è condannato a perdere in tutti i grandi comuni dove si voterà .
Le poche chance che aveva, pare se le sia giocate (malissimo) nella scelta dei candidati.
Basta guardare quanto succede a Roma: una settimana dopo che Berlusconi l’aveva convinto a correre, Bertolaso viene già scaricato dalla Lega e da mezza Forza Italia. Siamo al fuggi-fuggi, al si salvi chi può.
Sempre in base ai sondaggi, il centrodestra farà flop pure a Napoli (dove Lettieri convince poco) e nella «rossa» Bologna. Correrà in salita pure a Torino.
E se gli andrà molto, ma molto bene, conquisterà i ballottaggi soltanto a Milano e a Trieste.
Ciò significa che dopo il primo turno ci saranno perlomeno due milioni di elettori moderati in libera uscita.
Si guarderanno intorno, incerti se votare il candidato Pd o preferire quello dei Cinque stelle.
Situazione interessante, in quanto anticiperà lo scenario delle prossime elezioni politiche, quando grazie all’«Italicum» voteremo daccapo col doppio turno e con il ballottaggio tra i primi due. Insomma, alle Comunali cominceremo a capire da che parte si butterà il popolo di centrodestra.
A sentire i soliti sondaggisti, che un’idea già se la sono fatta, la gran parte dei leghisti per istinto preferirebbe Grillo a Renzi.
I seguaci del Cav probabilmente se ne starebbero a casa; in alternativa voterebbero scheda bianca. A meno che Berlusconi in persona non lanci loro un appello per far pendere la bilancia da una parte o dall’altra.
È presto per dire se lo farà : dalle prossime politiche ci separano ancora due anni (salvo sorprese). Ma lo sfacelo del centrodestra porta già ora a immaginare un Cavaliere sconfitto, che però decide chi vince.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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