Febbraio 9th, 2016 Riccardo Fucile
NON MANCANO LE CRITICHE AI DUE PER IL MANCATO TICKET
Il patto non sarà rispettato. Almeno non tra i numerosi sostenitori di Francesca Balzani e Pierfrancesco Majorino alle primarie del Pd a Milano.
Le consultazioni interne al Partito Democratico che hanno eletto Beppe Sala come candidato alle elezioni comunali della città meneghina hanno gettato nello sconforto gli elettori più a sinistra del Pd: si sono riversati su Facebook per far presente ai loro ormai ex candidati che a loro Mr Expo non piace.
E poco importa se alla vigilia delle primarie i candidati avevano stipulato un accordo che garantiva il sostegno leale degli altri concorrenti al vincitore delle primarie. Loro, Sala, non lo votano.
“Io non so se riuscirò a votare Sala, ma sicuramente il mio voto dipenderà da quanto penserò che Cielle sarà coinvolta nella prossima amministrazione. E purtroppo questa è materia di fede”, scrive un utente sulla bacheca Facebook di Majorino.
E si apre il dibattito: “Io mi sa che non voterò”, aggiunge un altro.
“Chi non vota ha sempre torto”, replica un secondo utente. E il terzo: “Oppure è stanco di turarsi il naso”. “Non scherziamo Sala va impedito, con qualsiasi mezzo! Questa non è Democrazia ma totalitarismo della minoranza “interessata”, se si accetta questo risultato è la fine della sinistra a Milano. Scissione e Rivoluzione, se non ora quando!?”.
Il ticket mancato Balzani-Majorino, che probabilmente avrebbe evitato la vittoria di Beppe Sala, è un atto d’accusa verso entrambi i candidati usciti: “Complimenti per la lungimiranza! Come era fin troppo prevedibile, dividendovi i voti avete regalato la vittoria a Sala. Bravi!”.
“Io non sono contenta, sono incazzata dura! Sala sindaco NON LO VOGLIO!!!!!!!!!”, si sfoga ancora un altro utente.
Qualcuno prova a ricordare l’accordo fatto tra i quattro candidati a seggi chiusi: “Sono le primarie. Democraticamente ha vinto Sala. Adesso tutti uniti per vincere, senza fare troppe polemiche”.
Ma niente da fare, i commenti sono per la maggior parte critici: “Pier, capisco perfettamente la tua posizione, hai un dovere di lealtà a quanto hai sottoscritto, e questo significa ancora qualcosa. Ma io non voterò per Sala nè farò nulla per sostenerlo”.
Tra i sostenitori del vicesindaco e “delfina” di Giuliano Pisapia, Francesca Balzani, i toni non sono tanto diversi: “Grazie Francesca per averci provato…. io Sala non lo voterò di certo”.
Oppure: “La base non seguirà l’accordo tra politici, Sala non va bene, voteremo un candidato alternativo”. “L’ho votata con speranza e convinzione. Non voterò nè Sala nè liste collegate a giugno. Se ci sarà vita a sinistra voterò lì, per atto di rappresentanza. non sarà con il mio voto che Sala farà politica renzista a Milano”.
Alcuni le chiedono di candidarsi lo stesso, senza l’appoggio del Pd: “Ti prego, esci dal PD e candidati con lista indipendente. Vinci sicuramente. Non lasciate che questo patrimonio democratico costruito in questi anni si perda”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 9th, 2016 Riccardo Fucile
BAVAGLIO ANCHE AGLI ELETTI NEGLI ENTI LOCALI: BEPPE SANTO SUBITO
Il Campidoglio sotto la piena tutela di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
Dopo la penale da 150mila euro che i fondatori del Movimento 5 Stelle esigeranno dagli eletti ribelli rispetto al programma, ora arriva una mossa che mette sotto controllo gli esponenti grillini di qualsiasi ente locale: i responsabili dell’ufficio stampa di Camera e Senato si occuperanno anche dei sindaci e degli esponenti M5S nei consigli regionali.
La notizia è nel blog di Beppe Grillo: Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi, che fino a questo momento si sono occupati dei rapporti con i giornalisti rispettivamente per Montecitorio e Palazzo Madama, ora si accolleranno per esplicito volere di Grillo e Casaleggio anche della comunicazione di tutti gli eletti con il Movimento 5 Stelle in tutta Italia.
Un tentativo che a prima vista sembra voler normalizzare i disastri di Livorno, Gela e Quarto e prevenire uscite poco apprezzate anche a Roma dove la partita è naturalmente molto più ambiziosa e difficile.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 9th, 2016 Riccardo Fucile
IL COSTITUZIONALISTA PLUTINO: “L’ART. 67 DELLA COSTITUZIONE VIETA IL MANDATO GIURIDICAMENTE IMPERATIVO”
Da tempo denuncio che l’apparato concettuale del Movimento cinque stelle è in aperto e frontale contrasto con la teoria della democrazia rappresentativa e quindi – visto che questa teoria è stata recepita dal Costituente, trasformandola in regole giuridiche – stride con la Costituzione.
L’ultima stravaganza costituzionalistica del Movimento riguarda l’ipotesi di salate multe per i parlamentari (e non solo, ma limitiamo il discorso a questi) che si distacchino dalle decisioni del partito o, perfino, che siano fuoriusciti dal partito.
Ora, la nostra Costituzione vieta il mandato imperativo. Tanto è vero che Di Maio porta l’esempio della Costituzione portoghese, e con ciò non trae le conclusioni dovute: occorrerebbe modificare (ammesso che sia possibile) la Costituzione, sul punto.
Allo stato, qualunque contratto che abbia per oggetto significativi vincoli o condizioni per l’esercizio del mandato parlamentare è privo di valore ai sensi dell’art. 67 Cost. Costituendo il caso di scuola di (tentativo di) introduzione di un mandato giuridicamente imperativo, che è costituzionalmente vietato.
La conclusione – consolidata per le cosiddette “dimissioni in bianco” – non può che valere anche per vincoli di ordine giuridico da cui discendano sacrifici di ordine economico notevoli, che si configurano di fatto come limitazioni all’esercizio del mandato, talchè – nel caso – si potrebbe dissentire solo a costo di pagare pesanti multe.
Tra l’altro l’entità della multa sarebbe tale da incidere in modo molto significativo sulla indennità parlamentare che è una essenziale prerogativa del parlamentare (diversa da una retribuzione), funzionale proprio a consentire un esercizio libero della sua attività .
L’accordo associativo – il partito è un’associazione privata basata su un accordo associativo – non è in contrasto con il suddetto articolo della Costituzione (compresa la statuizione della disciplina di partito), ma lo possono essere termini specifici di questo accordo (allo stato non siamo neanche a questo, siamo all’ennesimo comunicato-diktat) se limitano la libertà dell’iscritto in quanto parlamentare.
Il gruppo parlamentare e il partito potranno invece certamente azionare il potere disciplinare espellendo il parlamentare che si sottrae alla disciplina di partito deliberata dagli organi deputati.
Pertanto, e veniamo ad un altro punto, è fantasia il danno di immagine risarcibile per “mutamenti di casacca”.
Recita la seminale sent. n.14 del 1964 della Corte costituzionale: “il divieto di mandato imperativo importa che il parlamentare è libero di votare secondo gli indirizzi del suo partito ma è anche libero di sottrarsene; nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le direttive del partito”.
Potremmo immaginare casi e ipotesi più liminari su cui discutere, in futuro.
Per il caso del giorno, le parole della Corte si attagliano perfettamente: Nessuna norma. Conseguenze (sullo status di parlamentare). Questo il cuore dell’istituto.
Ciò vale sicuramente per i mandati parlamentari (nazionali ed europeo) ma si ritiene generalmente che siamo davanti ad un connotato indefettibile, almeno nel nostro ordinamento, di ogni forma di rappresentanza politica (e non di interessi).
Marco Plutino
costituzionalista
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 9th, 2016 Riccardo Fucile
“COSI’ DIFENDO LA MIA CITTA'”… AVRA’ L’APPOGGIO DI DUE LISTE DI OPPOSIZIONE
Rosa Capuozzo ci ripensa e resta in carica: “In questi venti giorni che la legge mi mette a disposizione ho potuto valutare la mia scelta. Spenti i riflettori sulla mia persona e sugli eventi ho potuto riflettere. Ritiro le mie dimissioni”, ha detto il sindaco di Quarto, eletta tra le file del Movimento 5 Stelle.
Il passo indietro era giunto il 21 gennaio, dopo che il comune era stato travolto da un’inchiesta della procura partenopea su presunte infiltrazioni camorristiche.
Nell’inchiesta è indagato il consigliere comunale Giovanni De Robbio, eletto con i Cinque Stelle e successivamente espulso dal movimento assieme proprio alla Capuozzo che, accusata di non aver denunciato le presunte minacce, aveva in un primo momento deciso di andare avanti senza simbolo.
“In queste settimane ho ricevuto diverse richieste perchè ritirassi le dimissioni. Perciò ho deciso di restare. Così difendo la mia città ”, ha spiegato il primo cittadino.
Capuozzo aveva deciso di lasciare dinanzi allo sgretolamento del suo gruppo di consiglieri (6 dimissionari) e della giunta (abbandono di 3 assessori).
La decisione era stata presentata come irrevocabile. Nei giorni a seguire, però, si è fatta strada l’ipotesi di un clamoroso dietrofront. Che è arrivato: il sindaco ha ritirato le dimissioni per evitare il commissariamento dell’ente e governare con l’appoggio di due liste civiche di opposizione.
Durante il consiglio comunale svoltosi lunedì pomeriggio, la Capuozzo aveva fatto intravedere la possibilità di un ripensamento: “Non ho ancora deciso. Ne riparliamo domani (martedì, ndr)”, aveva detto, testando di fatto la disponibilità dei gruppi di opposizione.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 9th, 2016 Riccardo Fucile
SALVINI E MELONI NON HANNO NE’ L’ENERGIA RAMPANTE DEL RENZI CHE TRASFORMO’ LE COMUNALI DI FIRENZE IN TRAMPOLINO DI LANCIO NE’ LA PROPENSIONE ALL’AZZARDO DI FINI CHE NEL ’93 DIEDE LA SVOLTA CANDIDANDOSI A ROMA
Rita Dalla Chiesa e Alfredo Mantovano: alla fine frullano questi due nomi nel cilindro del centrodestra per la candidatura a sindaco di Roma. E il solo fatto che siano in ballo l’anchor-woman di Forum e un magistrato pugliese da tempo tornato alla professione, rivela il mood di questa campagna elettorale.
La prima fila della politica non vuole metterci la faccia. Ma non vuole nemmeno dare un’opportunità alla seconda fila, che potrebbe montarsi la testa e scavalcarla.
Così, si va a cercare altrove, tra gli ex di pregio, quelli che hanno già scalato tutti i gradini del cursus honorum e un domani — persino se premiati dal risultato elettorale — non daranno fastidio nella vera partita della successione a Berlusconi e dell’attribuzione della leadership nazionale.
Ovviamente, tutti negano tutto. «Il nome vero uscirà tra pochi giorni», così come l’ufficializzazione della candidatura del city manager Stefano Parisi a Milano.
Ma già questa difficoltà , questo continuo rinviare, questo tentennamento, è indice del problemone che si deve rimuovere.
C’erano belle e pronte due candidature “naturali”: Salvini a Milano e la Meloni a Roma. I due leader, i due volti emergenti, quelli che stando a ogni sondaggio avrebbero garantito il risultato migliore.
I due che, anche televisivamente, hanno “messo la faccia” sul nuovo centrodestra post-berlusconiano, incarnandone la svolta dall’efficientismo manageriale alle pulsioni identitarie, dal “meno tasse” al “meno immigrati”, dal milione di posti di lavoro al milione di presepi nelle scuole.
E però i due sembra non se la sentano.
Non hanno ne’ l’energia rampante del Matteo Renzi prima maniera, quello che trasformò la campagna per Firenze nel trampolino di conquista del potere nazionale, ne’ la matta propensione all’azzardo di Gianfranco Fini, che nel ’93, persa per persa, si candidò a sindaco di Roma con le conseguenze che sappiamo.
I nuovi leader giocano in difesa, e già questa è una cosa bizzarra visto il loro temperamento apparentemente ardimentoso.
Ancor più strana se si considera che, a Milano come a Roma, lo spazio per trasformare le amministrative in evento rifondativo c’era, non tanto per i casini del Pd quanto per la scelta antipolitica dei Cinque Stelle e la loro decisione di scartare a priori le candidature che avrebbero potuto fare faville.
Che cosa succede a questa destra che si fa timida, ritrosa, che parte sbandierando i nomi popolarissimi di Sallusti, Del Debbio, Meloni, icone del suo elettorato, e ripiega su un’opinionista dei sentimenti, su un funzionario piuttosto oscuro, su un ex-sottosegretario da tempo dimenticato?
Nel background delle decisioni, oltre ai ragionamenti pratici di cui si diceva prima, c’è anche un evidente tema identitario. Potremmo ribattezzarlo operazione nostalgia.
La Dalla Chiesa, con quel cognome importante e il legame ancestrale con Mediaset, è un equo compromesso tra il vecchio corso berlusconiano e pulsioni securitarie della destra.
Parisi dovrebbe essere l’Alter-Sala di chi rimpiange vittoriosa era Albertini. Mantovano, di cui pure si è discusso, ha il profilo dei cattolici-cattolici, che ben corrisponde alla nicchia politica del Family Day.
Insomma, dopo aver rinunciato alla competizione con Renzi nell’area larga dei moderati liberali e a quella con i grillini nelle fasce estreme della contestazione di sistema, si punta sul ricordo dei tempi belli.
Tv, ordine, famiglia, e il dolce sapore degli anni Novanta, così gradito soprattutto nelle fasce over-60 che restano il principale bacino di riferimento.
È un’operazione ad alto rischio, soprattutto a Roma, dove la destra non è mai stata televisiva e vipparola ma popolare, persino proletaria, la destra dei Buontempo e degli Augello senjor, e vinse — quando vinse — intestandosi la riscossa delle periferie (Alemanno) o la liquidazione delle lobby democristiane (Fini), non certo rincorrendo le suggestioni del mondo Mediaset ne’ le parrocchie, che tra l’altro hanno sempre votato a sinistra.
Ma forse altro non si poteva fare. Perchè i sondaggi garriscono, ma la realtà è che a Roma, quando si votò nel 2013, Fratelli d’Italia prese solo il 5,9 per cento pur arrivando da posizioni di potere e avendo un candidato sindaco-bandiera come Gianni Alemanno.
E a Milano, nel voto del 2011, anche la Lega del capolista Matteo Salvini si fermò al 9,6 per cento.
Allora forse è meglio essere prudenti, non lasciare il certo per il possibile, mandare avanti questi strani nomi e prepararsi a dire — in caso di figuracce — che sono stati loro a non funzionare, rinviando la sfida vera alla tornata delle politiche, quando la faccia bisognerà mettercela per forza (sperando di arrivarci non troppo acciaccati).
Flavia Perina
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 9th, 2016 Riccardo Fucile
I LEADER AVREBBERO DOVUTO METTERCI LA FACCIA, MA PRIMA SALVINI A MILANO, POI LA CARFAGNA A NAPOLI E LA MELONI A ROMA SI SONO SFILATI… VOLANO PAROLE GROSSE AD ARCORE: SI E’ ROTTO L’ASSE SALVINI-MELONI… A MILANO PARISI NON LO CONOSCE NESSUNO, A ROMA SI CERCANO I VOLTI NOTI IN TV
Arcore, 8 febbraio 2016. Berlusconi si rivolge alla Meloni: “Tu dici no a Marchini. Ti candidi tu?”. Risposta: “No”. Il vertice diventa un duello. Volano parole grosse, con la Meloni che minaccia di far saltare il tavolo, Berlusconi che non trova candidati, Salvini impegnato ad arginare la Meloni: “Qualcosa si è rotto — dice uno dei partecipanti. Nel senso che la situazione si è avvitata. Giorgia e Salvini si detestano, Berlusconi ormai è quello che è… si è messa in moto una dinamica distruttiva”.
I leader fuggono. Giorgia Meloni suggerisce di sondare la società civile: “Proviamo Rita Dalla Chiesa”. Sulla popolare conduttrice Mediaset il tentativo è concreto. Ai berlusconiani però piace anche Simonetta Matone.
Forum contro Porta a Porta.
Giovanni Toti, due mesi fa, aveva suggerito: “La via maestra è Salvini a Milano, la Meloni a Roma, la Carfagna a Napoli. Dobbiamo mettere in campo la migliore classe dirigente e dare un’idea di prospettiva”.
Due mesi dopo, Giorgia Meloni evita Roma, Salvini preferisce i talk show a una battaglia vera e a Napoli c’è un sempreverde Lettieri.
La prospettiva assomiglia a un disastro.
Stefano Parisi, l’ex amministratore di Fastweb è la speranza cui si appiglia Berlusconi a Milano, non lo conosce nessuno. I sondaggi già dicono che contro Sala ha poche chances. Bravo, competente, ma l’ex city manager di Albertini proprio non buca.
Uno che secondo i sondaggi starebbe messo un po’ meglio di Parisi è Maurizio Lupi. Il quale ha dato segnali a Paolo Romani e a Giovanni Toti che sarebbe anche disposto a rinunciare alla carica di capogruppo di Ncd. Ma Salvini ha detto no, non tanto perchè Lupi è di Ncd, quanto perchè teme l’asse che Giovanni Toti, governatore della Liguria, sta costruendo con Bobo Maroni, governatore della Lombardia che, a sua volta, sta vincendo con i suoi uomini parecchi congressi della Lega, non proprio sulla linea di Salvini.
In Transatlantico, parlando con una collega, dice Maria Stella Gelmini, esausta: “Diciamo che non abbiamo la fila di candidati di questi tempi”.
Tempi in cui non solo i sondaggi vanno male, ma crollano pure antiche certezze come l’auditel.
Lunedì sera (dopo il vertice), Silvio Berlusconi va in prime time da Myrta Merlino su La7, per parlare di “Mamma Rosa”, nel corso dello speciale Madri. Tra un ricordo e un altro ci mette un bel po’ di politica, dello scorso ventennio. E incassa uno dei peggiori ascolti di sempre, un misero due per cento.
Giuliano Urbani dice con aria disincantata: “Bah, che le devo dire. Vedo solo frammenti, tentativi di metterli assieme, una storia senza nè capo nè coda…”.
Frammenti. Maurizio Gasparri, la mette così: “ Se la Meloni si vuole candidare, nel ha tutto il diritto, ma se come pare non si candida, non metta veti. E chiediamoci perchè non siamo riusciti a mettere in piedi un modello”.
Chiosa Domenico Fisichella: “Vedo un tentativo di raccattare i cocci e rincollarli. A destra vedo un gigantesco problema di credibilità , dall’altra parte vedo che Renzi si rivolge a manager e prefetti che in fondo sono manager dello Stato. La resa della politica ai manager, come avevo scritto nel mio libro dal titolo Crisi della politica e governo dei produttori”.
Restano i cocci.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 9th, 2016 Riccardo Fucile
LA SCELTA SUL CANDIDATO SINDACO PARE INDIRIZZATA SU SIMONETTA MATONE, GIUDICE NOTA AL PUBBLICO TV, PER LE SUE OSPITATE DA VESPA… SCARICATA A SUO TEMPO DALLA CARFAGNA ALLE PARI OPPORTUNUITA’, HA LAVORATO CON LA MOGLIE DEL CONDUTTORE TV ALL’UFFICIO LEGISLATIVO DEL MINISTERO
Mentre Fratelli d’Italia a Roma comunica che “Fabio Rampelli è pronto a correre”, non è chiaro se per fare il sindaco di Roma o per la maratona, dagli ambienti di centrodestra della Capitale emerge il nome “segretato” su cui si potrebbe raggiungere l’unità : si tratta di Simonetta Matone, giudice nota al pubblico per le sue numerose ospitate alla trasmissione Porta a Porta.
In tempi non sospetti L’Espresso l’aveva soprannominata “Simonetta in Vespa” in un graffiante articolo in cui si diceva:
“Simonetta Matone, la giudice minorile che ravviva (si fa per dire) l’arredamento di “Porta a Porta” nelle puntate horror sui delitti di Cogne, Garlasco, Erba, Perugia e Avetrana, trasloca. Scaricata da Mara Carfagna, che nel 2008 l’aveva ingaggiata come capogabinetto al ministero delle Pari opportunità , ha subito trovato occupazione al ministero della Giustizia, presso l’ufficio legislativo diretto dall’amica del cuore Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa. Il cerchio si chiude, tutto in famiglia. Come sempre in questi casi, il Csm ha dato il via libera all’incarico “fuori ruolo”, senza porsi alcun problema di opportunità e di conflitto d’interessi. Eppure sembra che persino la Carfagna, come riferisce il “Corriere della Sera”, avesse trovato da ridire sulle troppe comparsate Tv della Matone, ritenendo poco compatibile con l’incarico ministeriale il ruolo di spalla del Crepet e della Palombelli di turno. “
E si chiedeva:
“È opportuno che quel giudice, ospite pressochè fisso nel programma di Vespa, vada a lavorare nell’ufficio guidato da sua moglie? A che titolo la signora, che resta pur sempre in forze alla corporazione togata, continua a pontificare in tv sulle indagini e sui processi altrui?
Quello che colpisce, in effetti, della Matone è la sua carriera.
Il giudice l’ha fatto dall’81 all’82 a Lecco, dall’83 all’86 a Roma, poi è diventata capo della Segreteria del ministro Vassalli.
Il primo collocamento fuori ruolo di Simonetta Matone risale al 1987e dura fino al 1991.
Poi nuovamente collocata fuori ruolo nel 2008 per rivestire l’incarico di capo di Gabinetto presso il ministero delle Pari Opportunità con il ministro Mara Carfagna, fino al 2015.
In questo periodo la Matone ha sempre ricoperto incarichi al ministero della Giustizia, dall’Ufficio legislativo a vice al Dap, fino al più recente ruolo di capo degli Affari di Giustizia.
A gennaio 2015 rientra in magistratura come neosostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Roma.
Un rientro al lavoro tra i togati decretato a seguito della norma che ha stabilito il limite dei dieci anni di attività fuori ruolo come arco temporale massimo per altre esperienze professionali lontane dai banchi del potere giudiziario. Esperienze che non hanno escluso le sue note partecipazioni televisive.
Ora, appena rientrata, rieccola probabile candidato sindaco del centrodestra nella Capitale per mancanza di alternative.
Se non altro, per una volta, il centrodestra potrà sedersi nei posti riservati ai giudici e non tra quelli degli imputati.
Fermo restando le ospitate a Porta a Porta, dove è di casa.
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Febbraio 9th, 2016 Riccardo Fucile
GIORNALISTI SONO STATI CORRETTI NEL CERCARE NOTIZIE SU RAPPORTI TRA IL SINDACO E FAMIGLIE CALABRESI E SU UN VIDEO HARD CHE SAREBBE SERVITO A RICATTARE TOSI
Il sindaco di Verona Flavio Tosi è imputato per calunnia nei confronti di Report e in particolare di Sigfrido Ranucci, coautore e inviato della trasmissione di Rai 3 condotta da Milena Gabanelli.
Il Giudice delle Indagini Preliminari di Verona Livia Magri con un’ordinanza dell’8 febbraio depositata oggi, 9 febbraio 2016, ribalta completamente la situazione rispetto alle accuse di Flavio Tosi formulate prima e dopo la trasmissione a lui dedicata nell’aprile del 2014 da Report.
Ranucci, difeso dall’avvocato Luca Tirapelle, era stato tratto in un trappolone nel gennaio del 2014 mentre cercava notizie sull’esistenza di rapporti del politico con personaggi legati a famiglie calabresi coinvolte in alcune indagini e poi su un video imbarazzante per Tosi che sarebbe stato usato da anni, secondo alcune fonti da lui contattate, per condizionarne l’azione amministrativa.
Tosi aveva prima concordato la trappola con alcuni ex leghisti contattati da Ranucci per avere notizie sul video. L’inviato era stato videoregistrato a sua insaputa.
Poi Tosi aveva convocato una conferenza stampa mostrando le immagini raccolte durante l’incontro dai suoi ex compagni di partito e aveva accusato Ranucci di aver tentato di costruire un dossier su di lui.
L’obiettivo era impedire la messa in onda dell’inchiesta, ma il direttore di Rai Tre Andrea Vianello, con coraggio e affrontando i rischi legali, ha autorizzato la messa in onda.
La Rai ha collezionato una dozzina di querele per mezz’ora di giornalismo investigativo, ma ha avuto ragione.
Infine il 21 febbraio Tosi aveva querelato il giornalista di Report e la conduttrice Milena Gabanelli.
Ora il Gip ribalta la sua accusa: “Querela che questo giudice — scrive il Gip Livia Magri — ritiene integrare una calunnia come da ordinanza di imputazione coatta in data odierna (8 febbraio 2016, Ndr) nel procedimento collegato 7761/14”.
Il Gip non spiega la motivazione del provvedimento di imputazione coatta di Tosi ma certamente si tratta di un’ordinanza molto importante perchè d’ora in avanti un politico ci penserà due volte prima di concordare una registrazione clandestina del giornalista investigativo che fa il suo lavoro e prima di accusare un giornalista di costruire dossier falsi su di lui.
Il giudice era chiamato a pronunciarsi su questa e su altre sette querele contro Report per il servizio trasmesso nell’aprile del 2014.
Ranucci era stato querelato da Tosi, da Pasquale Marziano (che ha querelato anche Milena Gabanelli) e dal fratello Armando Marziano; da Patrizia Badii; da Antonio e Alfredo Giardino; da Francesco Sinopoli e da M. C. O.
Altre quattro querele per il medesimo servizio di 36 minuti sono state già archiviate a Padova e a Venezia. Il Gip di Verona or chiude il caso.
Prima esamina le querele e le opposizioni alla richiesta di archiviazione del pm di Verona e alla fine archivia tutto dando atto a Ranucci e a Gabanelli di avere svolto correttamente il loro lavoro.
“Non vi è neppure un fatto tra quelli che nel corso della trasmissione sono stati riferiti come accaduti che sia risultato non veritiero”, scrive il Gip.
“La conduttrice Gabanelli senza esprimere alcun giudizio ha semplicemente messo in fila tutta una serie di dati oggettivi”.
Anche sulla questione più delicata del procedimento penale cioè la parte del servizio che si occupava dell’uso di un presunto video hard che avrebbe ritratto Tosi con un trans, il Gip dopo averlo definito ‘fantomatico’ dà atto che Milena Gabanelli “contrariamente a quanto sostenuto da Flavio Tosi nella querela per diffamazione per mezzo televisivo, non dà affatto per scontata l’esistenza del video”.
Non solo, Gabanelli precisava in tv che “l’interesse rispetto a questa notizia non risiedeva certo nello scoprire quali fossero i gusti sessuali del sindaco Tosi ma di comprendere se davvero, come riferito da alcune fonti palesate nel corso del servizio, la storia di questo fantomatico video hard fosse utilizzata come arma di ricatto per condizionare l’operato di Tosi come politico”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 9th, 2016 Riccardo Fucile
A ROMA ESPULSI MOLTI FONDATORI, MA IL DISSENSO NON SI FERMA
Che esista un problema tra la base del Movimento cinque stelle da una parte, e direttorio e Casaleggio dall’altra, è ormai sempre più evidente.
Il Movimento romano è all’implosione: in queste ore è partita una procedura di espulsioni a raffica indirizzate a militanti storici del meet up della capitale, gente che ha messo su il Movimento e adesso si trova sbattuta fuori con una lettera dell’avvocato di Grillo, impossibilitata a candidarsi e a fare uso del simbolo.
Si tratta di una procedura assai simile a una purga, se non fosse che i metodi sono più farseschi che tragici.
L’ultimo caso è quello di Roberto Motta, uno dei militanti più in vista di Roma, storico avversario di Roberta Lombardi, uno di quelli che osò criticare lei e il direttorio.
«Ci risulta che lei abbia disconosciuto in modo pubblico il sistema di votazione e delle candidature su cui si basa il Movimento cinque stelle. Per questo motivo viene sospeso con effetto immediato dal Movimento».
Nella mail che gli è stata inviata dallo staff di Casaleggio non si cita altro: queste sospensioni-espulsioni stanno avvenendo sulla pura base di un «ci è stato detto che», «ci risulta che»; la paranoia dilaga, e anche la caccia a chi fornisce notizie all’esterno. Luigi Di Maio, che l’altro giorno parlava di «varie sensibilità » sulle unioni civili, e quindi di «libertà di coscienza», ora ricorda la posizione storica del Movimento, e cioè che «serve il vincolo di mandato» per evitare i «traditori».
«I traditori li lasciamo al Pd», dice la faraona romana Lombardi, forte del legame diretto con Grillo.
La caccia al traditore è in pieno svolgimento, dove per traditore si intende semplicemente chi non è totalmente sdraiato sulle posizioni del direttorio. Paradossalmente, però, militanti e eletti romani continuano a usare chat e mail — sia pure ristrette a cinque o sei dirigenti — e i malumori possono filtrare all’esterno.
A Roma si è tenuta giorni fa un’assemblea per decidere quali contromisure prendere con i giornalisti che danno fastidio; la Lombardi chiede di votare iniziative ad hoc contro di loro, per stanare ogni eventuale focolaio di dissidenza; ma anche chi in privato è più critico, evita di esporsi nell’assemblea perchè in questo momento il risultato sarebbe uno solo: la cacciata immediata.
Oggi ci sarà in parlamento un’assemblea dei gruppi parlamentari congiunti. Vedremo. Questo è il brutto clima dentro il quale nasce la necessità di far firmare un contratto come quello che è stato rivelato da La Stampa ieri.
Oggi possiamo aggiungere con certezza che nessuno, tra i candidati romani, ha avuto la forza politica, o la voglia, di rifiutarsi di firmarlo.
Se mai a Roma ci fosse un sindaco del M5S, sarebbe uno che ha accettato quel testo, peraltro del tutto impugnabile giuridicamente. «In questo modo che tipo di persone selezioniamo?», si domanda un parlamentare tra i più lucidi.
Ma non è corretto, come sostengono i capi del direttorio, che il documento sia stato firmato ovunque. E qui veniamo a una seconda notizia.
I candidati sindaco e consigliere del Piemonte, regione chiave e davvero fondativa del M5S, non l’hanno firmato.
La firma di Chiara Appendino su un testo del genere non c’è per il semplice motivo che nè Casaleggio, nè quelli del direttorio, hanno osato proporre un contratto del genere ai piemontesi.
Un fatto che conferma il quadro di un Movimento ormai sempre più diverso – anche assai spaccato — nelle differenti aree territoriali. Roma e Napoli o la Sicilia sono una cosa, Piemonte e Liguria un’altra, il Veneto un’altra ancora.
A Bologna e Napoli il documento non è ancora arrivato, ma almeno nel primo caso, non è detto neanche ce ne sia bisogno: la militarizzazione è avvenuta prima; a Milano, qualcuno di molto vicino alla Casaleggio ci ha persino scherzato su, sul contratto, «alla Bedori (la candidata a Milano) dovremmo far firmare un documento al contrario, le diamo noi 150mila euro se si ritira» («con lei prendiamo il 5 per cento», dicono a Milano).
Mentre a Roma s’era imbarcata tanta gente, oltre ai sospettati di dissidenza, anche personaggi in cerca di varia fortuna (notevole che tra i candidati romani ci siano tanti poliziotti, riflettere).
Anticorpi sabaudi fanno invece del Piemonte quello che oggi c’è di più vicino allo spirito originario che il Movimento sbandierava.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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