Destra di Popolo.net

SILVIO SBOTTA: “NON NE POSSO PIU’ DI QUESTI DUE CHE LITIGANO”, QUASI FATTA PER BERTOLASO, IN FONDO E’ SOLO IMPUTATO PER CORRUZIONE

Febbraio 11th, 2016 Riccardo Fucile

LA BATTUTA DI TOTI: “ORMAI GIUSTO LA PROTEZIONE CIVILE PUO’ SALVARCI”… GASPARRI DISSENTE: “COSI SIAMO CERTI DI NON ARRIVARE NEPPURE AL BALLOTTAGGIO”

La richiesta assomiglia a una preghiera: “Guido, solo tu mi puoi salvare. Per me il candidato sei sempre stato tu, sin dall’inizio. E ora sei l’unico che può mettere insieme la coalizione su Roma. Io non ne posso più di questi due che litigano”.
Silvio Berlusconi, a telefono, ha il tono da supplica.
Marcello Fiori, entrando alla Camera, è al telefono: “È quasi sì. Guido ha detto un quasi sì. Se tutto va come deve andare lo ufficializziamo domani. Magari fosse”. Perchè la rogna del candidato sindaco al Campidoglio è diventata una sorta di emergenza nazionale per il centrodestra.
Solo il nome di Bertolaso riesce a comporre la faida tra Matteo e Giorgia.
Col primo che, ormai, tra proposte di primarie e vertici fatti saltare, ormai gioca per Marchini.
E la seconda pronta anche a riaprire il tavolo ovunque e a correre da sola a Roma: “A Salvini — dice un forzista di rango — di Roma non gliene importa nulla. Gli importa che la Meloni non lo superi in visibilità  nazionale. Avrebbe chiuso su Marchini, ma ora propone le primarie perchè è un altro modo per farlo passare. Il suo problema è la Meloni”.
Allarga le braccia Giovanni Toti, parlottando con qualche collega: “In fondo — dice a mo’ di battuta – l’unica cosa che può salvare Roma è la protezione civile. E Guido…”. Chiosa un deputato forzista: “E forse è l’unica cosa che può salvare anche noi”.
Riso amaro. Perchè il centrodestra pare un campo di macerie.
In un corridoio del Senato Maurizio Gasparri è avvelenato: “E che risolviamo con Bertolaso? Marchini si candida comunque e noi non andiamo neanche al ballottaggio”.
Un pezzo del partito di Berlusconi, da Gasparri a Tajani, si è molto esposto su “Arfio”.
Si sprecano battute, dentro Forza Italia, sulle leggende dei massaggi al Salaria Sport Village dell’allora capo della protezione civile. Per non parlare dei guai giudiziari. Bertolaso è ancora imputato per corruzione nel processo sulla “cricca” degli Appalti al G8, rinviato a giudizio per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose nel processo grandi rischi bis nel processo all’Aquila.
Benzina nel fuoco grillino, ammesso che i Cinque Stelle giochino a vincere su Roma, “una scelta guardando indietro” sussurra qualche azzurro a Grazioli.
In verità  il punto fisso del ragionamento berlusconiano è sempre lo stesso, un punto tutto pre-politico e psicologico.
Un ex ministro si sfoga: “La cosa che mi addolora è che Silvio non ci lascia niente. Sta dimostrando, consciamente o inconsciamente, che dopo di lui c’è il diluvio. Non gli importa di ciò che lascia. Non fa le primarie proprio perchè farebbero “precedente” e se le fai a Roma o Milano, poi le fai in Italia. E così ci porta a tutti nella tomba con lui”.
Al Senato è uno sfogo infinito: “Ormai neanche ti ascolta più”, “ma lo hai visto l’altra sera dalla Merlino? Non è mai andato così male in tv”, “fa tenerezza”.
Raccontano che, negli ultimi giorni, anche Fedele Confalonieri gli avrebbe detto: “Silvio, è il momento. Basta”.
E tra i senatori ormai la diaspora ha fatto raggiungere il minimo storico del gruppo, “quota 40”.
Nel senso che con l’addio di Riccardo Villari, ultimo ad aver lasciato Forza Italia per andare con Ala, il gruppo si è più che dimezzato rispetto all’inizio della legislatura raggiungendo la quota di 40 senatori.
E altri sono in uscita a partire dal lombardo Sante Zuffada.
L’ex premier sa, ma non interviene. E negli ultimi giorni si è ri-sentito con Verdini. In fondo Parisi è un city manager, di origine socialista, Bertolaso l’ex capo della Protezione Civile.
Anche loro candidati perfetti del partito della Nazione.

(da “Huffingtonpost“)

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BAGNASCO CHIEDE IL VOTO SEGRETO, PENSA DI ESSERE ALLA CEI

Febbraio 11th, 2016 Riccardo Fucile

LA PROCEDURA LA DECIDE IL SENATO, NON I VESCOVI, QUALCUNO GLIELO RICORDI

La Chiesa cattolica torna a dire la sua opinione sulla legge per le Unioni civili.
E questa volta dà  indicazioni “procedurali” dirette alla politica: “Ci auguriamo”, ha detto il presidente della Cei Angelo Bagnasco, “che il voto sia a scrutinio segreto”.
La fredda risposta del governo però è arrivata appena venti minuti dopo il lancio dell’agenzia: “Le esortazioni sono giuste e condivisibili”, ha commentato il sottosegretario ai rapporti con il Parlamento Luciano Pizzetti (Pd), “ma come regolare il dibattito del Senato lo decide il presidente del Senato. Non il presidente della Cei“. Dura condanna anche dalla vicepresidente di Palazzo Madama Valeria Fedeli (Pd): “Chiedo rispetto delle istituzioni della Repubblica italiana perchè abbiamo regole di funzionamento e sedi per prendere tutte le decisioni che servono”.
Il cardinale Bagnasco è intervenuto a margine della messa per la giornata del malato: “Ci auguriamo”, ha detto, “che il dibattito in Parlamento e nelle varie sedi istituzionali sia ampiamente democratico, che tutti possano esprimersi, che le loro obiezioni possano essere considerate e che la libertà  di coscienza su temi fondamentali per la vita della società  e delle persone sia, non solo rispettata, ma anche promossa con una votazione a scrutinio segreto“.
Solo ieri il segretario della Cei monsignor Nunzio Galantino aveva invece deciso di non parlare: “Ho fatto una scelta: mentre è in atto il dibattito parlamentare per rispetto delle istituzioni e del confronto politico, indipendentemente dal fatto che avvenga o meno nei modi giusti, preferisco fare silenzio e aspettare le decisioni del Parlamento, anche perchè mi sembra che la situazione sia molto fluida se non proprio incerta”.
Le parole di Bagnasco hanno rianimato le polemiche del Parlamento, dopo che in Senato si è chiusa una giornata di dibattito a tratti incivile (Gasparri ha accusato Lo Giudice di aver “comprato suo figlio”).
Dal Pd voci contrastanti. Il parlamentare Sergio Lo Giudice, tra i promotori del ddl ha commentato: “Intervenire sul calendario e sulle procedure di voto merita a pieno titolo la patente di un’ingerenza negli affari dello Stato che non dovrebbe competere alla Conferenza episcopale“.
Diversa l’opinione del deputato cattodem Ernesto Preziosi però va contro il partito e commenta: “Il cardinal Bagnasco ha ragione: la libertà  di coscienza non è un optional ed è garantita dalla Costituzionale ai parlamentari, specie su temi delicati. Spero che sia rispettata e che anzi si faccia ogni sforzo per raggiungere una posizione ampiamente condivisa”.
Critica anche la capogruppo del Misto-Sel Loredana De Petris: “E’ un’interferenza gravissima. E’ chiaro che la Chiesa può esprimere il suo pensiero liberamente. Ci mancherebbe altro. Ma interferire sulle scelte procedurali all’interno di un’aula parlamentare è davvero gravissimo. Credo che in modo così smaccato non sia mai successo nella storia della Repubblica”.

(da agenzie)

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AIR FORCE RENZI, SEGRETO DI STATO SUL CONTRATTO DEL MEGA-AEREO

Febbraio 11th, 2016 Riccardo Fucile

LE INFORMAZIONI SONO TOP SECRET, DOCUMENTI SEGRETATI

Scordatevi di sapere quanto paga Palazzo Chigi per il nuovo mega-aereo voluto dal premier Matteo Renzi, rassegnatevi a non sapere se si tratta di un salasso per il contribuente italiano o di un benefit concesso da James Hogan e dalla sua Etihad nell’ambito della trattativa che ha portato la compagnia araba ad acquisire il 49 per cento di Alitalia: sull’Airbus A340-500, meglio noto come Air Force Renzi, è tutto un segreto. Ed è segreto perchè il contratto è stato segretato.
Non è un gioco di parole, ma la spiegazione ufficiale che arriva da Palazzo Chigi. All’articolo 17, il codice degli appalti prevede che si possa derogare agli obblighi di trasparenza e di gara “per i contratti al cui oggetto, atti o modalità  di esecuzione è attribuita una classifica di segretezza” e anche “per i contratti la cui esecuzione deve essere accompagnata da speciali misure di sicurezza, in conformità  a disposizioni legislative, regolamentari o amministrative”.
Visto che sull’Air Force Renzi è previsto che viaggino, oltre al premier, anche il presidente della Repubblica e membri del governo, Palazzo Chigi ha giustificato il ricorso alla procedura di segretazione.
Oltre all’accordo nascosto con Etihad, in questa circostanza, i documenti collegati hanno ottenuto una protezione ancora maggiore: una classificazione di riservatezza.
In Italia ci sono quattro livelli di segretezza per le “informazioni la cui conoscenza non autorizzata sia idonea a recare pregiudizio agli interessi fondamentali della Repubblica”, come recita il glossario del Dis, il coordinamento dei Servizi segreti prezzo la Presidenza del Consiglio.
In ordine crescente di segretezza, le informazioni possono essere classificate come Riservato (R), Riservatissimo (RR), Segreto (S) e Segretissimo (SS).
A differenza del segreto di Stato vero e proprio, per questi livelli di sicurezza non è precluso l’accesso alle informazioni per l’autorità  giudiziaria che, però, deve “curarne la conservazione in modo da salvaguardarne la riservatezza, assicurando il diritto delle parti coinvolte nel procedimento a prenderne visione”. Sul contratto, invece, può vigilare solo la Corte dei conti.
Tutta la pratica è stata gestita da Palazzo Chigi, coinvolgendo per lo stretto indispensabile il Tesoro e il ministero della Difesa, che si è occupato soltanto di alcuni passaggi amministrativi.
Per quello che ne sappiamo finora, lo schema è questo: Palazzo Chigi paga un canone ad Alitalia che a sua volta lo paga all’azionista Etihad la quale, secondo quanto ha ricostruito La Notizia Giornale, a sua volta potrebbe essere ancora impegnata da un contratto di leasing con una delle società  di noleggio del settore che ha comprato l’aereo da Airbus, l’azienda produttrice dell’A340-500 in servizio dal 2006.
Alitalia non comunica il canone di leasing che versa a Etihad, Palazzo Chigi ha classificato l’informazione per tenerla coperta, Etihad non risponde.
Da parte sua, Alitalia ha precisato di non sostenere alcun onere nell’operazione se non quello per la “manutenzione ordinaria”.
Neanche quella è stata messa a gara, pur non essendo — formalmente — l’Airbus A340-500 un velivolo Alitalia, bensì del suo partner industriale Etihad.
Che bisogno c’era di costruire questa complessa struttura contrattuale?
Palazzo Chigi non poteva fare direttamente un contratto con Etihad o con la compagnia di leasing titolare della proprietà  ultima del velivolo?
La risposta sembra essere, ancora una volta, nell’esigenza di segretezza di tutta l’operazione.
Secondo quando spiegano fonti di Palazzo Chigi al Fatto, Alitalia è stata “scelta” (quindi senza alcun tipo di gara) perchè nella ex compagnia di bandiera, oggi completamente privata, lavorano persone in possesso del Nos, il Nulla osta di sicurezza.
Cioè il permesso concesso dalla Presidenza del Consiglio “che consente alle persone fisiche la trattazione di informazioni classificate riservatissimo o superiore”.
Il Nos non è necessario per fare lavori collegati a contratti che richiedono “speciali misure di sicurezza” o con la classifica “riservato”.
Questo significa che sotto il contratto segretato dal governo Renzi ci sono informazioni e documenti che hanno bisogno di un permesso speciale per essere maneggiate.
Nel 2010 il governo Berlusconi confermò che dentro la Rai c’era un gruppo di giornalisti dotati di Nos che serviva per “l’espletamento di incarichi di natura amministrativa e non riguarda l’attività  giornalistica”.
Ci furono molte polemiche sulle reali mansioni di questo gruppo di giornalisti che aveva anche mansioni non giornalistiche. Ma il mistero è rimasto.
Come sull’Air Force Renzi. Almeno per ora.

Stefano Feltri e Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)

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ROMA, FRATELLI COLTELLI: SALVINI PROPONE LA PIVETTI, A QUANDO DIRETTAMENTE IL CARDINAL RUINI?

Febbraio 11th, 2016 Riccardo Fucile

TUTTI CONTRO TUTTI… SILVIO VUOLE BERTOLASO O MARCHINI, LA MELONI INFURIATA ADESSO MINACCIA PRIMARIE IN TUTTE LE CITTA’

Silvio Berlusconi, in un colloquio ieri mattina a palazzo Grazioli, l’aveva già  liquidata come una «stupidaggine» di Giorgia Meloni.
Poi ci ha pensato la stessa Rita Dalla Chiesa a dire definitivamente no alla sua possibile candidatura a sindaco di Roma per il centrodestra proposta da Giorgia Meloni: «Era una sfida bellissima, ma troppo alta per me. Ho incontrato la Meloni 3-4 giorni fa per prendere un caffè e lì è venuta fuori la sua richiesta per Roma”
Così, per l’ennesima volta, come nel gioco dell’oca, il centrodestra si ritrova al punto di partenza.
Ancora senza un nome comune ma con in più un Matteo Salvini furioso per come è stato scelto il candidato: “A questo punto a Roma possiamo anche correre da soli”, è stata la conclusione.
Una minaccia reale, tanto che Berlusconi ha subito deciso di rinviare il vertice serale — che a quel punto sarebbe stato solo con Giorgia Meloni — e di spostarlo ai prossimi giorni. Probabilmente a sabato.
Nel frattempo, però, il Cavaliere insisterà  con il pressing su Guido Bertolaso, per il leader di Forza Italia è quello il nome giusto per Roma. Anche se dalle parti della Lega il nome non piace. Ma sarà  difficile imporlo anche a Fratelli d’Italia. I quali, ora che Rita Dalla Chiesa si è ritirata puntano di nuovo su Fabio Rampelli, capogruppo del partito alla Camera.
Magari scegliendolo con lo strumento delle primarie. Sulle quali anche Salvini è d’accordo. Ma per complicare le cose Fdi pone una condizione. Che a questo punto si svolgano in tutte le città  dove si vota.
Richiesta che in Forza Italia e nel Carroccio reputano impraticabile, perchè i tempi ormai sono troppo stretti e perchè molti candidati sono stati già  decisi.
In campo resta ancora Alfio Marchini. Il quale per primo aveva lanciato l’ipotesi di una consultazione per scegliere il candidato sindaco. «Non bisogna aver paura di vincere. Noi ci crediamo e la stragrande maggioranza di questa città  si aspetta una proposta di governo seria che sia alternativa al Pd e al MoVimento 5 Stelle».

Paolo Zappitelli
(da “il Tempo”)

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LA “STRUTTURA DELTA” DELLA CASALEGGIO: ECCO TUTTI I NOMI E COME GUADAGNA SUI POLITICI CINQUESTELLE

Febbraio 11th, 2016 Riccardo Fucile

DAL CONTRATTO IMPOSTO AL M5S A ROMA FINO ALLE WEBSTAR POLITICHE

Diciamo che è la struttura delta della Casaleggio, uno staff nello staff.
Al punto 4a del «contratto» con il candidato sindaco del M5S a Roma, Gianroberto Casaleggio ha inserito una delle clausole più importanti, che possono passare inosservate: «Lo strumento per la divulgazione delle informazioni e la partecipazione dei cittadini è il sito beppegrillo.it/listeciviche/liste/roma».
Tradotto, tutto il traffico – anche video e social – deve passare dal blog.
Ma chi gestisce in concreto questa “struttura” alla Casaleggio associati?
La Stampa è in grado di raccontarlo millimetricamente. Mentre Grillo parla di «Rai fascista», la Casaleggio guadagna dai video di Rai, La7 e Mediaset, con un sistema semplice e perfettamente legale.
Prima cosa: ancor prima del boom del M5S, la Casaleggio ha costruito una quindicina di – chiamiamole così – webstar, da Di Battista a Fico, gente con un milione di iscritti su facebook, che è tenuta a concedere di pubblicare ogni proprio video sul sito di Grillo.
Se Dibba fa una performance dalla Gruber, la deve mettere sul sito di Casaleggio.
I video non vengono caricati su youtube (che non accetta caricamenti con monetizzazione di video protetti da copyright), ma su un altro servizio di cloud storage di video, che non ha evidentemente ancora stipulato accordi con le tv italiane e le società  di produzione.
A questo servizio la Casaleggio paga una quota per ricevere in cambio dei ritorni pubblicitari dagli spot che partono prima del video, e dai banner (attraverso Adwords o altre piattaforme di monetizzazione pubblicitaria).
Per ogni video caricato e visto la Casaleggio incassa in percentuale una quota stimabile fino ai mille euro e oltre per ogni video visualizzato almeno centomila volte (dati variabili).
Cosa che a suo tempo fece infuriare moltissimi parlamentari M5S, che però non hanno mai avuto la forza di stoppare questo meccanismo.
Alla Casaleggio tre persone hanno tenuto in mano operativamente la cosa, nel corso di questi anni in varie fasi: Pietro Dettori, che gestisce anche gli account twitter di Grillo, e molto spesso è autore materiale dei post (Grillo incredibilmente lascia fare anche quando poco o nulla sa di ciò che viene scritto, anche delle uscite più tremende), figlio di un imprenditore sardo legato in precedenza a Casaleggio.
Biagio Simonetta, un giornalista, esperto di new media.
Marcello Accanto, un social media manager. E, ultima entry, Cristina Belotti, che si occupa della tv La Cosa, una bella ragazza cresciuta curiosamente alla più pura scuola del centrodestra milanese, la scuola di Paolo Del Debbio – lavorava nella redazione del suo programma – e arrivata alla Casaleggio attraverso il network dei fratelli Pittarello; soprattutto Matteo, fratello di Filippo, storico braccio destro di Casaleggio, un passato anche da boy scout.
Belotti è diventata collaboratrice di Luca Eleuteri, uno dei soci della Casaleggio (l’altro è Mario Bucchich; da non molto si sono aggiunti il programmatore storico della Casaleggio, Marco Maiocchi, e un uomo di marketing che collaborava con Casaleggio già  in Webegg, Maurizio Benzi).
I tre che gestiscono il blog e le pagine social della galassia Casaleggio controllano tutto il giorno il trend di viralità  dei contenuti pubblicati, attraverso le analisi comparate dei dati (usano insights di facebook e Google analytics).
Con l’incrocio semplicissimo di questi due strumenti, sanno in ogni momento quanto stanno guadagnando.
Le webstar politiche fanno fare soldi all’azienda. Un berlusconismo 2.0.
C’è però un’altra cosa in cui i «ragazzi» eccellono, e Dettori è bravissimo, la profilazione. È un loro divertimento sapere: chi si collega a un video, da dove, con quale software, quale browser, qual è la sua età  e i suoi interessi.
Non è proprio The Circle di Dave Eggers – l’azienda è troppo piccola; quello è il sogno.

Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)

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“BASTA FLESSIBILITA’ ALL’ITALIA: INVECE DI RIDURRE IL DEBITO FA RICHIESTE SFACCIATE”

Febbraio 11th, 2016 Riccardo Fucile

INTERVISTA A LARS FELD, CONSIGLIERE ECONOMICO DI ANGELA MERKEL

Direttore del Walter Eucken Institut, Lars Feld è uno dei “cinque saggi“ che consigliano Angela Merkel e il governo tedesco sull’economia.
La sua nota sintonia con Wolfgang Schaeuble è palese, anche in questa intervista.
Cosa pensa della proposta di un ministro delle Finanze europeo?
«Sono molto scettico. Chi lo propone ha ragione quando sostiene che, con poteri di intervento adeguati sui bilanci nazionali, possa aiutare a far rispettare il Patto di stabilità . Ma l’esperienza con gli Stati federali dimostra che questi poteri di intervento funzionano male. E i Paesi membri difficilmente si lasciano limitare nella loro autonomia fiscale»
Non crede che la Corte costituzionale di Karlsruhe, sempre attenta alla sovranità  tedesca, potrebbe essere un problema?
«Sì. Ma il nodo è la capacità  di intervento. Anche in Germania, dove i Land possono intervenire sui Comuni, questi ultimi si ribellano. Il controllo funziona male»
I banchieri centrali (e Schaeuble) sostengono che, se non si riesce a fare il ministro europeo, occorra essere più severi sul Fiscal compact e proteggere meglio le banche. In Italia invece Matteo Renzi chiede esplicitamente più flessibilità , in vista dell’esame dei bilanci a Bruxelles.
«Sono contrario alla flessibilità  sui conti. L’Italia non è in procedura d’infrazione, però si trova nel braccio preventivo del Patto. Che già  riconosce abbastanza flessibilità . L’Italia ha esaurito tutta la flessibilità  possibile. Di più non le può essere concesso».
Perchè?
«Il disavanzo viaggia verso il 3 per cento. Il 2,4 o 2,7 per cento nel 2016 di cui si parla ora rispecchia le proiezioni, ma alla fine conta quanto l’Italia crescerà  davvero. Sono molto scettico all’idea di concedere ulteriore flessibilità . Non dobbiamo dimenticare che l’Italia ha il 135 per cento di debito/Pil. Deve essere urgentemente tagliato».
Pensa che Berlino stia facendo pressioni sulla Commissione Ue per questo?
«La Germania sta facendo continuamente pressione perchè non venga concessa altra flessibilità . Ma alla fine decide Bruxelles».
Insomma Schaeuble è irritato con l’Italia?
«Non so se lo è in generale, ma so che il consolidamento insufficiente e la scarsa disciplina sui conti dell’Italia non gli piacciono».
Roma ha chiesto alcune eccezioni sul conteggio del disavanzo, tra cui quella per la spesa sui profughi.
«Il problema è che l’Italia cerca di approfittare di ogni eccezione possibile. Guardiamo ai dati sui profughi, gli ultimi affidabili risalgono al primo semestre 2015. In rapporto alla popolazione l’Italia ne ha accolti relativamente pochi: chiedere un’eccezione sul disavanzo è piuttosto sfacciato. I Paesi più colpiti dai flussi sono Ungheria, Austria, Svezia, probabilmente la Germania».
L’ostinato rifiuto di Angela Merkel di un tetto ai profughi è un errore?
«La Costituzione non lo consente. E l’idea che Merkel abbia deciso d’istinto è totalmente sbagliata. Gli arrivi aumentano esponenzialmente da sette anni. La decisione della Corte di Giustizia europea, nel 2015, di dichiarare la Grecia fuori dagli accordi di Dublino per ragioni umanitarie, costringe ad agire. I profughi non possono essere respinti in Grecia. Al vertice di giugno anche Renzi inorridì per il mancato accordo sulla distribuzione delle quote. Durante l’estate, giustamente, la Cancelliera ha deciso: porte aperte. Chi sostiene che non rispetti la legge, sbaglia. È vero il contrario».
Torniamo all’Unione bancaria e al fondo di garanzia per i depositi. Una parte della Bundesbank dice: mai senza un diritto fallimentare comune e una valutazione non neutrale dei titoli di Stato che sono in pancia alle banche.
«Il governo tedesco ha un altro motivo di contrarietà . Ci sono problemi di legacy in alcuni sistemi bancari. Guardiamo con quali problemi deve combattere al momento il sistema creditizio italiano e quanto sono pesanti le conseguenze politiche. E quando le banche italiane saranno libere dalle sofferenze, dovremo cominciare a parlare di come armonizzare il diritto fallimentare, che influisce pesantemente sulla loro performance. Il problema dei crediti incagliati e la cornice economica sono ostacoli per una garanzia comune ».
Quindi si farà  tra secoli.
«Non sono così pessimista. Ma solo dopo il 2020 se ne potrà  parlare seriamente».

Tonia Mastrobuoni
(da “La Repubblica“)

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ABBAGNALE ESCLUDE IL FIGLIO DALLE OLIMPIADI: QUANDO IL RIGORE NON SI LASCIA CORROMPERE DAI SENTIMENTI

Febbraio 11th, 2016 Riccardo Fucile

POTEVA USARE IL PROPRIO POTERE PER FAVORIRLO, INVECE LO HA USATO PER INSEGNARGLI A VIVERE

Giuseppe Abbagnale è un nome ma soprattutto un cognome che fece appassionare al canottaggio anche chi nella vita non aveva mai imparato a remare.
Assieme al fratello Carmine e al timoniere Di Capua compose l’equipaggio di «due con» più medagliato della storia, un manipolo di eroi sportivi che trovarono il loro Omero in Bisteccone Galeazzi.
Un figlio di Abbagnale, Vincenzo, voga sulla sua scia verso le Olimpiadi di Rio. Vogava. Questo figlio ha saltato per tre volte i controlli antidoping, l’ultima per un incidente d’auto che gli ha impedito di presentarsi all’appuntamento in orario, e in base ai regolamenti verrà  squalificato per almeno un anno.
Ad annunciarlo è stato suo padre, nel nuovo ruolo di presidente della federazione, perchè ogni tanto quelli giusti finiscono addirittura al posto giusto.
Lo ha annunciato senza un lamento nè una scusa.
Anzi, ha aggiunto che, se il giudice fosse lui, gli appiopperebbe una squalifica più lunga.
Chissà  quanto deve essere costato al suo orgoglio. Ma lo ha detto lo stesso, rivelandoci il segreto di ogni campione, un rigore che non si lascia corrompere neppure dai sentimenti.
Diverso e distante dai tanti padri che nei campetti di provincia o nelle aule di scuola mettono l’istinto protettivo e un mal posto senso dell’onore davanti a tutto, anche all’evidenza, nel tentativo di proteggere il pargolo dall’allenatore, dall’arbitro, dall’insegnante, cioè dai verdetti della vita.
Giuseppe Abbagnale poteva usare il proprio potere per aiutare il figlio a salvarsi. Invece lo ha usato per insegnargli a vivere.
Così, forse, lo ha salvato davvero.

Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)

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QUATTRO TESTIMONI INCHIODANO IL CONSIGLIERE LEGHISTA CHE “DAREBBE FUOCO A UN FIGLIO GAY. E CHE ADESSO (IN PARTE) NEGA

Febbraio 11th, 2016 Riccardo Fucile

ARRIVANO I SUOI PROTETTORI TOTI E SALVINI A SALVARLO: “SE FOSSE VERO, DOVREBBE ANDARSENE”… MA BASTA NON CREDERE A 4 TESTIMONI E LA POLTRONA E’ SALVA

La frase omofoba del consigliere regionale leghista della Liguria, Giovanni De Paoli, incendia il mondo politico. “Se avessi un figlio omosessuale, lo brucerei nel forno”: avrebbe detto in faccia ai rappresentanti dell’associazione Agedo, Associazione dei genitori degli omosessuali, il consigliere De Paoli al termine di un incontro in Regione Liguria.
Dopo polemiche furibonde, a metà  pomeriggio De Paoli ha provato a fare marcia indietro: “Ho detto che non lo brucerei, se fosse gay”.
Ma i rappresentanti Agedo ribadiscono: “Eravamo in quattro e abbiamo sentito, distintamente, la stessa frase dal consigliere De Paoli – ribadisce Stefania Gori, rappresentante Agedo – non ci inventiamo le cose e non siamo certo usi a strumentalizzare la politica. Confermo che il consigliere ha pronunciato la frase. Non c’è ragione per pronunciare una frase così”.
E il leader del Carroccio, Matteo Salvini irrompe nel silenzio imbarazzato della Lega ligure (rotto solo dalla smentita di De Paoli) e chiede, di netto, le dimissioni del consigliere regionale, con la condizionale: “So che non ha detto quella frase, ma se l’avesse detta si dovrebbe dimettere dal mondo e trasferirsi su Saturno”.
E interviene il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti: “Salvini ha ragione. Se la frase fosse stata pronunciata sarebbe esecrabile, becera e volgare, di una gravità  inaudita e non potrebbe rimanere senza conseguenze politiche. Ma De Paoli mi ha giurato di non averla pronunciata. E allora tutto il caso sembra una strumentalizzazione con l’unico scopo di sostenere un dibattito politico in queste ore già  sufficientemente nocivo e doloroso. Evidentemente il nostro giudizio cambierebbe radicalmente, se la frase, si scoprisse, fosse stata pronunciata”.
“Ci siamo sentiti gelare il sangue, perchè parlava anche di nostro figlio – continua Gori cui era rivolta la frase, accanto c’era il marito Manrico Polmonari, credo che sia allucinante questo comportamento, tanto più da un rappresentante pubblico”.
Al termine della seduta della commissione regionale in cui si discuteva di legge regionale sulla famiglia e in cui erano stati ascoltati i rappresentanti del coordinamento Rainbow, che da due anni riunisce molte sigle regionali del mondo Lgbt e di Amnesty, il consigliere De Paoli si è trattenuto a parlare con alcuni di essi, tra cui Stefania Gori e Manrico Polmonari, entrambi rappresentanti Agedo, delegati per partecipare alla commissione.
“Il consigliere De Paoli stava dicendo che non condivideva l’omosessualità – spiega ancora Gori – e noi ribattevamo, ma tutto avveniva con grande calma, l’importante è che ci sia amore, tra due persone. A quel punto, mio marito, Manrico Polmonari, ha chiesto al consigliere cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che suo figlio è omosessuale. E De Paoli ha risposto con quella terrificante frase: “se mio figlio fosse omosessuale lo brucerei nel forno”.
Il consigliere regionale oscilla, tra la smentita e la conferma: “Non ho detto quella frase – dice De Paoli – ma sono tradizionalista, lo ammetto. Non potrò mai ammettere quelle cose dei figli omosessuali. Dite che ho esagerato? Dico sempre la verità . à‰ quello che pensa la gente. La famiglia è un papà  e una mamma, un nonno e una nonna. Cosa farei se avessi un figlio omosessuale? Se fosse una malattia lo curerei, ma invece penso sia un vizio e non ci sarebbe nulla per guarirlo”.
E aggiunge: “Io non chiedo scusa a nessuno, io non parlavo di loro, parlavo di cose mie, di cosa avrei fatto io, parlavo della mia posizione. E la commissione era finita”. De Paoli è un fiume in piena e non fa un passo indietro: “Sono viziati, viziosi, e mi fanno solo pubblicità “.
E questo fa il consigliere regionale…

(da agenzie)

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FRASSICA SPIAZZA E COMMUOVE A SANREMO

Febbraio 11th, 2016 Riccardo Fucile

“A MARE SI GIOCA” RAMMENTA ALLA CINICA EUROPA IL DRAMMA DEI BAMBINI CHE AFFOGANO NEL MEDITERRANEO

Spiazza e commuove Nino Frassica all’Ariston: canta il brano “A mare si gioca”, scritto da Tony Canto, in cui cita il dramma dei migranti e del piccolo Aylan, il bambino siriano trovano morto sulla spiaggia turca di Bodrum.
«A mare si gioca – recita Frassica – si possono fare le gite con il canotto, il bagno con il bambino e il materassino».
Giocano i gabbiani e i pescatori, poi «c’è il gioco dello scafo: si sta tutti su un gommone, quando quello che comanda dice di buttarsi, ci si butta a mare, è un gioco.
Quando ero giovane lavoravo nella guardia costiera a Lampedusa: una volta ho visto 366 delfini nelle reti, scappati forse per fame, per una guerra sottomarina tra pesci, li abbiamo liberati tutti e li abbiamo visti visti nuotare. E ci sono bambini che giocano a stare immobili con la faccia in acqua, senza respirare, tanto sanno che sta arrivando la mano forte del papà , che li prenderà  e li farà  giocare».

(da agenzie)

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