Febbraio 19th, 2016 Riccardo Fucile
LA PARTITA DI RENZI: ASSE CON CAMERON E LA MERKEL
Una giornata intera di bilaterali tra capi di Stato e di governo, incontri tra gli sherpa, tutto nel retrobottega senza la plenaria che arriva solo a sera, dichiarazioni alla stampa e pizze ordinate per disperazione a una certa, quando si è capito che non si cenerà comodi al ristorante.
Angela Merkel per la verità si porta avanti. Intorno alle 18.30 fa un salto alla Maison Antoine di Place Jordan con la scorta e si gusta un cartoccio di patatine fritte, quelle doc belghe. Meglio che aspettare la ‘English dinner’, che doveva essere colazione, poi pranzo e poi chissà quando inizia.
Alla fine i 28 si ritrovano a tavola alle 21 e qualcosa: nel menu la bozza di intesa sulla Brexit.
E’ il documento che permetterà alla star di questo vertice, David Cameron, di tornare a casa a cantare vittoria sull’Ue e cercarne una al referendum di giugno, scommettendo contro l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione e contro gli euroscettici.
E’ il documento sul quale per tutta la giornata i leader si sono scontrati.
Alla fine arriva una proposta di compromesso sui punti controversi: la Gran Bretagna potrà sospendere il welfare per gli immigrati dall’Ue ma solo per l’emergenza immigrazione dei prossimi 7 anni.
Mentre non potrà fermare ulteriori processi di integrazione nell’area euro.
Ma al tempo stesso Eurolandia non potrà attuare forme di integrazione discriminatorie nei confronti di Londra. Ad ogni modo, su tali questioni nell’accordo è chiarito nero su bianco che la Gran Bretagna non potrà porre il veto.
E’ una proposta di intesa che arriva a tavola tra una ‘corona di carciofi’ con formaggio di capra e rucola, filetto di vitello con salsa al dragoncello, spinaci e polenta e una bavarese ai frutti della passione.
L’Italia ne è ben contenta, l’ha auspicata dall’inizio. Del resto, Renzi non usa questo Consiglio europeo per fare il ‘guastafeste’.
In questi giorni, il premier italiano sceglie la modalità ‘ricerca di alleati’, cauto e diplomatico persino con l’Austria che tra un po’ ci chiude la frontiera del Brennero. Così cauto che a sera non dichiara lui con i giornalisti italiani raccolti in sala stampa ma manda il sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi.
Pur condividendo la preoccupazione di Alexis Tsipras sull’emergenza immigrazione, il premier italiano non si accoda alla minaccia del collega greco di porre il veto sull’accordo con Londra in assenza di una garanzia da parte europea sul fatto che la frontiera a nord della Grecia resti aperta.
Almeno fino al vertice straordinario sull’immigrazione a Bruxelles, chiede Tsipras, convocato per il 6 marzo insieme con la Turchia di Erdogan.
“Bisogna lavorare insieme, non pensare di risolvere la questioni con vie nazionali o isolando il Paese più in difficoltà “, dice il sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi. Del resto, il veto minacciato da Tsipras, spiegano dal suo entourage, serve come mossa tattica per generare una tregua e tentare di imporre il tema nell’agenda europea, così come si è posta fin da subito la questione Brexit.
Renzi non si associa a Tsipras e i suoi precisano che la mossa del greco non è concordata con il governo italiano. Insomma, nessuna strategia comune, nessun intento di stringere l’Ue a tenaglia dal Mediterraneo.
E di conseguenza anche Renzi non ha concordato con Tsipras la scelta di minacciare i paesi dell’est ieri sera alla cena dei 28, proponendo un taglio dei fondi europei per chi non attua il piano Juncker di redistribuzione dei migranti.
Come sempre, Renzi cerca gli alleati tra i più forti. E stavolta li trova proprio in Angela Merkel, ex o attuale nemica numero uno di Atene, e David Cameron, che non ha nemmeno voluto fare un bilaterale con Tsipras tanto si è infuriato per la minaccia di veto.
Il bilaterale mattutino con la Cancelliera conferma al premier italiano che sui migranti può contare su Berlino.
Pur attaccata in patria per la linea aperturista, Merkel continua a restarne convinta. E con Renzi oggi non avrebbe potuto fare diversamente, tra l’altro. Perchè proprio mentre i due si incontravano a Bruxelles, al largo di Lampedusa veniva avvistato l’ennesimo barcone di profughi e cadaveri in mare. Un’altra tragedia del Mediterraneo.
Addirittura pare che al summit Ue Merkel si sia detta “sorpresa” negativamente dall’atteggiamento del Cancelliere austriaco Werner Faymann che ha confermato l’intenzione di stabilire tetti agli ingressi nel suo paese, nonostante gli avvertimenti arrivati da Bruxelles (“E’ illegale”).
Chissà : ci sta anche che Merkel e Faymann si siano assegnati i classici ruoli di poliziotto buono e poliziotto cattivo, visto che comunque alla Germania conviene che la vicina Austria faccia il lavoro sporco bloccando le frontiere. Renzi e i suoi ne sono consapevoli, ma a Bruxelles prevale l’ufficialità di un incontro in cui — dopo tanto tempo — il premier e la Cancelliera si sono trovati dalla stessa parte della barricata. Anche se ufficialmente la richiesta renziana di tagliare i fondi a chi non accetta i profughi raccoglie solo le proteste dell’Ungheria (“Ricatto politico”), della Polonia e nessun frutto: se ne parlerà al vertice con Erdogan a marzo?
Ma c’è un altro alleato sul quale Renzi ha sempre contato fin dall’inizio della partita Brexit. E’ Cameron.
Renzi è sempre stato dalla sua parte. E pur nutrendo i dubbi di quasi tutti gli attori del negoziato, non ha mai attaccato il premier Tory.
E su questo sì che ha raccolto il primo frutto. Stanotte la sponda di Cameron è stata preziosa per Renzi per sventare il tentativo della Commissione europea, appoggiata in questo da Berlino, di inserire il Fiscal Compact nei Trattati Ue.
Sostanzialmente l’idea era di chiudere questo vertice con una dichiarazione finale che prevedesse di far rientrare il Fiscal Compact nei Trattati Ue quando si tratterà di modificarli per concretizzare l’intesa con Londra.
Un’idea folle per Roma e anche per il Regno Unito. Renzi del resto ha appena iniziato a mettere nel mirino il Fiscal Compact come macchina ‘stritola economie’.
Se il tentativo notturno fosse andato avanti, sarebbe stato un problema enorme per la partita italiana sulla flessibilità nelle spese. L’asse con Cameron è servito a sventare la mossa. O almeno a metterla da parte, per ora.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 19th, 2016 Riccardo Fucile
L’ANALISI DELLA UIL: “COSTANO 329 EURO AL MESE”
Le famiglie che hanno bambini piccoli spendono sempre più: nell’anno scolastico 2015-2016, le mamme e i papà italiani pagheranno mediamente 329 euro mensili per pagare le rette degli asili nido e delle mense scolastiche nelle scuole materne o primarie, con un aumento del 3,1% rispetto all’anno scolastico 2012-2013.
A lanciare l’allarme è il servizio politiche territoriale della Uil che ha presentato i risultati di un dossier fatto sui capoluoghi di regione.
Le politiche sull’infanzia restano la Cenerentola del Paese: soltanto 13 bambini da 0 a 3 anni su 100 frequentano un asilo nido comunale o convenzionato.
Nelle città capoluogo di regione le strutture dedicate a questa fascia d’età sono 717 per 43mila posti, su una popolazione di bambini di oltre 334mila.
A preoccupare Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, sono gli incrementi delle rette che incidono in maniera pesante sulle famiglie: “Per la frequenza di un asilo nido comunale — spiegano i vertici del sindacato — si spendono in media 252 euro mensili che incidono per il 7% sul reddito, con un aumento del 2,4% rispetto a tre anni fa”.
Anche per mandare i figli in mensa si fanno più sacrifici: la retta mensile costa mensilmente 77 euro con un aumento del 5,5% rispetto a tre anni fa.
Le cifre cambiano da città in città .
Per fare la fotografia della situazione mense la Uil ha tratto i dati dai Comuni e ha calcolato le rette tenendo presente una media di presenza di 20 giorni al mese: Torino è la più cara con la media di 128 euro al mese; segue Ancona con 107 euro mensili e Palermo dove ogni mese costa 100 euro. In Emilia Romagna, a Bologna, il dato scende a 98 euro così a Campobasso 91 euro.
Il servizio meno caro si registra a Roma, Bari, Perugia dove si spendono mediamente 50 euro mensili per mangiare a scuola.
Le città che hanno chiesto alle famiglie di tirar fuori più soldi, rispetto al 2012-2013 in cambio del servizio del pranzo sono Catanzaro (+83,3%); L’Aquila (+47,6%); Campobasso (+28,2%); Napoli (+20%) e Ancona (+13,8%).
Ma c’è anche chi ha deciso di abbassare la retta: la maglia rosa va a Potenza dove sono passati da 114 a 90 euro (-21,1%). Il resto delle città o l’ha ridotta di poco in percentuale o l’ha lasciata invariata.
L’Italia è a macchia di leopardo anche per quanto riguarda la spesa per gli asili nido: ad Aosta mediamente costa 393 euro mensili; a Firenze 353 euro; a Torino 348 euro e a Bolzano 340 euro.
Bisogna andare al Sud per trovare cifre più contenute: con 100 euro mensili Catanzaro s’aggiudica il podio; a seguire Cagliari con 154 euro; Roma con 160 , Campobasso che chiede 165 euro e Bari con 178.
Il resto delle città supera i 200 euro. In questo caso gli aumenti maggiori sono avvenuti a Venezia (+22,1%) e a Roma (+22,1%).
Resta drammatica la situazione dei posti negli asili nido dove permangono ampie differenze territoriali: a Catanzaro c’è un solo asilo con 45 posti e così L’Aquila che ne ha 3 con 56 posti in grado di soddisfare solo il 2,5% del bisogno. Al contrario chi abita a Trento può scegliere tra 52 strutture per 1.176 posti.
“In Italia — spiega Giovanni Torluccio, segretario della Flp della Uil — manca un investimento sull’infanzia. Dal punto di vista dei comuni i finanziamenti sono ridotti a zero; le tassazioni locali saranno costrette ad aumentare”.
Alex Corlazzoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 19th, 2016 Riccardo Fucile
IN NEVADA PRIMARIE DEMOCRATICHE: SANDERS HA RECUPERATO 22 PUNTI E ORA E’ IN VANTAGGIO DI 3… TRUMP PREVALE DI POCO SU CRUZ MA HA PERSO 16 PUNTI IN UN MESE
Si spostano verso sud le primarie per decidere i candidati delle elezioni presidenziali del prossimo 8 novembre.
Entrambi gli appuntamenti elettorali del weekend — in Nevada per i democratici e in South Carolina per i repubblicani — si annunciano più combattuti di quanto sembrava fino a poche settimane fa.
In Nevada — uno stato fino a poco tempo fa considerato sicuro per Hillary Clinton — gli ultimi sondaggi danno Bernie Sanders in forte recupero, prefigurando un altro possibile testa a testa dopo il ‘pareggio virtuale’ in Iowa e la pesante sconfitta dell’ex first lady in New Hampshire.
Secondo un sondaggio di Fox News, a livello nazionale Clinton è stata superata per la prima volta da Sanders: il senatore del Vermont è dato al 47% (37% in gennaio), la ex segretario di Stato al 44% (49% un mese fa).
Nei sondaggi della Fox la Clinton guidava con vantaggio di 46 punti su Sanders la scorsa estate e di 22 punti due mesi fa.
In casa repubblicana, il dibattito è dominato dai postumi dello ‘scontro’ tra Papa Francesco e Donald Trump.
Dopo l’aspro confronto a distanza, Trump ha scelto toni più conciliatori con Bergoglio durante un town hall in South Carolina.
“Il Papa è un uomo fantastico, non mi piace scontrarmi con lui”, ha risposto a una domanda durante il confronto con gli elettori organizzato da Cnn. Per il candidato repubblicano alla Casa Bianca, sono stati i media a ‘gonfiare’ l’attacco nei suoi confronti. “Il Papa è stato più morbido rispetto a quanto non sia stato riportato”.
Per il Pontefice, ha aggiunto, “nutro un grande rispetto, ha una forte personalità . Sta facendo un buon lavoro. Penso che gli siano state date informazioni sbagliate. Certo non è stata una bella cosa da dire perchè noi dobbiamo avere una frontiera. Al momento non ne abbiamo una. Dobbiamo costruire un muro e lo faremo. Abbiamo bisogno di sicurezza. È quello che chiedono i cittadini”.
La polemica con Bergoglio ha avuto un’eco enorme negli States, e il magnate è consapevole del possibile effetto boomerang.
Gli effetti, tuttavia, saranno più evidenti nei prossimi appuntamenti, visto che in South Carolina i cattolici non sono molti.
Secondo gli ultimi sondaggi, Trump continua a essere avanti in South Carolina, anche se il suo vantaggio si è fortemente ridimensionato.
L’ultima rilevazione di Nbc/Wall Street Journal – condotta tra il 15 e il 17 febbraio, quindi prima dello ‘scontro’ con il Papa – indica che il sostegno verso Trump è sceso al 28%, giù di otto punti rispetto a gennaio. Ted Cruz è invece salito al 23%. Terzo Marco Rubio al 15%.
Un mese fa il vantaggio stimato di Trump in questo stato era di 16 punti.
Secondo il New York Times, la battaglia tra i due candidati democratici alla Casa Bianca è diventata particolarmente aspra tra gli elettori latinoamericani.
Proprio l’arrivo in uno stato con una larga presenza di latinoamericani, che sono quasi il 28% della popolazione, secondo i dati dell’ufficio del censimento relativi al 2014, era visto come l’inizio della discesa verso la nomination di Hillary.
Lo scenario, però, è cambiato, come dimostrano i pochi sondaggi effettuati: secondo la media di Real Clear Politics, Clinton avrebbe 2,4 punti percentuali di vantaggio su Sanders.
Lo staff di Clinton sembra pronto al peggio: sta abbassando le aspettative sul Nevada e spostando l’attenzione sul South Carolina, dove si voterà sabato 27, e sugli undici stati che voteranno per la nomination democratica il primo marzo, il ‘super Tuesday’. Il risultato in Nevada, però, potrebbe essere un’avvisaglia in vista del voto in stati come Texas e Colorado, il primo marzo.
In Nevada, molta attenzione è data anche alla questione occupazionale, visto che la disoccupazione è al 7,1%, mentre a livello nazionale è al 4,9: un punto, questo, che potrebbe giocare a favore di Sanders e del suo messaggio populista contro le lobby e Wall Street.
Il nervosismo di Hillary è ormai evidente.
Con il primo sorpasso del senatore del Vermont a livello nazionale, l’incubo si è materializzato per lo staff di Hillary.
Secondo il rilevamento diffuso da Fox News, la ex segretario di Stato perde terreno soprattutto tra le donne (-25 punti), i bianchi (-13 punti) e i democratici ‘regolari’ (-14 punti), mentre tiene tra i neri e i laureati.
Il senatore ‘socialista’ batte l’ex first lady anche in un’eventuale sfida contro il front runner dei repubblicani Donald Trump: 53% contro 38%, mentre la Clinton avrebbe un margine di vantaggio più ristretto, 47% a 42%.
La differenza, spiegano gli autori del sondaggio, la fanno gli indipendenti, più propen
si a votare Sanders contro Trump (54% a 33%) piuttosto che Hillary (43% a 39%). Sanders, sempre secondo lo stesso rilevamento, vincerebbe anche una eventuale corsa a tre con l’indipendente Michael Bloomberg, il miliardario ex sindaco di New York: il senatore otterrebbe il 46%, Trump il 35% e Bloomberg il 12%.
La Clinton invece avrebbe il 39%, solo due punti in più su Trump, con Bloomberg al 17%.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 19th, 2016 Riccardo Fucile
L’AUDIZIONE AL COPASIR DEL DIRETTORE DELL’AISE, GENERALE MANENTI.. E LA PROCURA EGIZIANA ORA SMENTISCE LA NOTIZIA CHE I RESPONSABILI SAREBBERO AGENTI SEGRETI LEGATI ALL’OPPOSIZIONE
I servizi segreti egiziani non hanno dato informazioni alla nostra intelligence sulla tragica morte di Giulio Regeni.
In tre ore e mezza di audizione davanti al Copasir (comitato parlamentare per la sicurezza) il direttore dell’Aise (agenzia informazioni e sicurezza estera), Alberto Manenti, ha risposto alla commissione bicamerale presieduta da Giacomo Stucchi.
Si parla degli scenari in Libia e Siria, temi che saranno affrontati giovedì prossimo dal Consiglio supremo di difesa presieduto da Sergio Mattarella. Si affronta il tema della diga di Mosul, dove sono impegnati 450 militari italiani. Nella riunione emerge che all’Italia sono affidati i lavori di esecuzione, ma il generale contractor del progetto è la Difesa Usa.
Tutti, però, trattengono il fiato quando si affronta il tema cruciale e più delicato: la fine di Regeni dopo torture atroci.
Manca del tutto una risposta al perchè il ricercatore sia stato non solo mutilato, con le orecchie tagliate e le unghie strappate – atto dal chiaro valore simbolico – e torturato, ma anche ucciso. Se si esclude l’ipotesi che chi lo stava seviziando avesse commesso un errore, resta forse una sola spiegazione plausibile: Regeni ha visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere, andava eliminato.
Manenti ha reso noto che colleghi americani di Regeni, presenti al Cairo, hanno subito vicende drammatiche: tre di loro sono scomparsi e non se ne sapeva più niente, salvo ritrovarsi salvi in Usa dopo aver subito un certo numero di violenze.
Gli stessi egiziani, insomma, che li avevano rapiti, hanno poi provveduto a riportarli oltreoceano. Resta tuttavia sconfortante la cronologia dei fatti ricostruiti al Copasir.
Insieme alla delegazione del ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi – che poi ritornerà subito in Italia alle prime drammatiche notizie sul ricercatore italiano – c’è il vicedirettore dell’Aise, generale Giovanni Caravelli.
Poi subito al Cairo arriva anche Manenti, per una missione tuttavia definita «già programmata». Fatto sta che dai servizi d’Egitto, Mukhabarà t in testa, non arriva nessuna notizia, riscontro, traccia informativa tale da aiutare l’Aise e il governo italiano per metterlo nelle condizioni di conoscere almeno una parte della dinamica dei fatti.
In quelle ore, al Cairo, davanti alla richiesta di informazioni, c’è stato un rimpallo tra servizi e polizia egiziana: un gioco delle parti per coprire la verità .
Per il resto, dunque, il comitato parlamentare apprende che poco o nulla si sa.
I risultati dell’autopsia non sono ancora disponibili.
In corso c’è il lavoro della procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone con i Carabinieri del Ros e lo Sco della Polizia di Stato.
Ieri, però, il quotidiano filo-governativo egiziano AlYoum7 online, citando fonti vicine alla procura egiziana, ha scritto che Regeni «sarebbe stato ucciso da agenti segreti sotto copertura, molto probabilmente appartenenti alla confraternita terrorista dei Fratelli musulmani, per imbarazzare il governo egiziano».
Notizia poi smentita dal procuratore egiziano di Giza, Ahmed Naji.
Sembra un epilogo già scritto.
Con ipotesi fin troppo facili da formulare e già trapelate all’inizio del caso.
Marco Ludovico
(da “il Sole24ore”)
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Febbraio 19th, 2016 Riccardo Fucile
NON PAGA LA BATTAGLIA PER NEGARE ELEMENTARI DIRITTI CIVILI IN VIGORE DA 15 ANNI IN EUROPA… ALFANO STA PORTANDO IL PARTITO FUORI DAL PARLAMENTO
Quello che salta all’occhio nell’ultimo sondaggio Ixe di poche ore fa è il tonfo di Area Popolare, protagonista di una energica resistenza alla legge per i diritti civili tra coppie omosessuali.
L’unione del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano e dell’Udc di Pierferdinando Casini ha perso quasi 2 punti in un mese, cioè esattamente da quando è entrato nel vivo il dibattito sul testo della Cirinnà .
Il 15 gennaio Area Popolare era data al 3,7, oggi scende all’1,9, quota pericolosamente lontana dal 3 per cento necessario per avere una rappresentanza nella nuova Camera.
A beneficiare dell’ultimo periodo non è solo il Pd, ma anche il suo leader, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che in una settimana prende un punto percentuale e aggancia di nuovo il 32 per cento.
E lo stesso accade al governo che di punti ne guadagna due e arriva al 30.
Scetticismo si regsistra sulla ripresa economica e questo è un dato registrato ormai da diverse settimane.
Il 68 per cento degli intervistati (+2 per cento in una settimana) non vede segni di uscita dalla crisi. Gli ottimisti sembrano leggermente diminuire, calano dal 30 al 29 per cento del campione di intervistati.
Infine la questione migranti. Ixè ha “indagato” l’atteggiamento degli italiani rispetto alla presa di posizione di Vienna che ha annunciato controlli stretti a tutte le frontiere. Il 71 per cento ritiene che questa scelta sia sbagliata, il 26 per cento la definisce giusta.
(da agenzie)
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Febbraio 19th, 2016 Riccardo Fucile
IL JOBS ACT HA CONTRIBUITO A CREARE SOLO L’1% DEI NUOVI POSTI DI LAVORO, IN PRATICA IL NULLA
Le riforme del mercato del lavoro attuate dal governo hanno contribuito a far crescere il numero di assunzioni a tempo indeterminato, ma gli effetti positivi sono principalmente legati agli incentivi fiscali piuttosto che al “Jobs Act”.
A sostenerlo è la versione preliminare di un lavoro di due ricercatori della Banca d’Italia, visionata da Repubblica.
Lo studio è destinato a riaprire il dibattito su una delle riforme più controverse del governo di Matteo Renzi, che in settimana ha rivendicato l’impatto positivo del “Jobs Act” sul mercato del lavoro. “Amici gufi, siete ancora sicuri che non funzioni?” ha scritto il premier su Twitter.
Se il “contratto a tutele crescenti”, uno dei cardini del “Jobs Act”, resterà infatti in vigore nei prossimi anni, gli incentivi fiscali alle assunzioni sono stati notevolmente ridotti, anche per permettere al governo di passare altre misure fiscali come il taglio delle imposte sulla prima casa.
Il lavoro di Paolo Sestito, capo del servizio Struttura Economica di Bankitalia, e Eliana Viviano utilizza dati provenienti dal Veneto e relativi ai mesi tra gennaio 2013 e giugno 2015. I due ricercatori scrivono che circa il 45% delle nuove assunzioni a tempo indeterminato avvenute in quel periodo sono attribuibili ad almeno una delle due misure.
“Le due politiche hanno avuto successo sia nel ridurre il dualismo del mercato sia nello stimolare la domanda di lavoro, anche durante una recessione caratterizzata da un’altissima incertezza macroeconomica”, scrivono gli autori.
Questo effetto positivo è però quasi interamente spiegato dall’introduzione degli incentivi fiscali, mentre la combinazione del contratto a tutele crescenti e degli incentivi spiega solo il 5% delle nuove assunzioni a tempo indeterminato.
Poichè questo tipo di contratti sono un quinto delle nuove assunzioni nel campione, i ricercatori trovano che il Jobs Act ha contribuito a creare appena l’1% dei nuovi posti.
Introdotto nel marzo 2015, il nuovo “contratto a tutele crescenti” limita di molto la possibilità di reintegro dei lavoratori licenziati nelle aziende con più di 15 dipendenti, sostituendolo nella maggior parte dei casi con un indennizzo, che aumenta con la durata di servizio.
A questa riforma strutturale il governo ha affiancato un piano di incentivi fiscali validi per tutto il 2015, che permette al datore di lavoro di non pagare, fino a una certa soglia, i contributi dei neoassunti per tre anni.
L’incentivo è stato notevolmente ridotto per quest’anno, portandolo dal 100% al 40%, e tagliandone la durata a due anni invece di tre.
Lo studio, che non riflette necessariamente le opinioni di Bankitalia e che è già circolato tra studiosi interni e esterni all’istituto, è il primo lavoro che cerca di isolare l’effetto causale delle riforme del governo sulle assunzioni a tempo indeterminato.
Un altro paper di un gruppo di ricercatori guidato da Marta Fana dell’Istituto di Studi Politici di Parigi, basato però soltanto su statistiche descrittive e non su più sofisticate indagini econometriche, aveva concluso che il Jobs Act non ha raggiunto gli obbiettivi di far crescere l’occupazione e incentivare i contratti a tempo indeterminato.
Gli studiosi di Bankitalia trovano che, estrapolando il dato veneto a tutto il territorio nazionale, il pacchetto di misure formato da Jobs Act e incentivi ha contribuito a creare circa 45.000 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato nei primi sei mesi del 2015.
Lo studio ha delle limitazioni: gli autori dicono di non poter fornire una valutazione complessiva delle nuove regole sui licenziamenti, nè di riuscire a stimare quale potrebbe essere l’impatto di un’eventuale rimozione degli incentivi statali.
Essi sottolineano inoltre che l’aumento delle assunzioni nei primi mesi del 2015 potrebbe essere stato determinato dall’attesa per le nuove misure già a partire dal 2014.
In settimana nuovi dati dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale hanno riscontrato circa 600.000 assunzioni a tempo indeterminato in più nel 2015 rispetto al 2014. L’Inps ha poi rilevato un ulteriore aumento delle trasformazioni da contratto a tempo determinato a tempo
indeterminato pari a circa 160.000.
Ferdinando Giugliano
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 19th, 2016 Riccardo Fucile
100.000 GLI EMIGRATI ALL’ESTERO, NON SI ARRESTA L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE
Minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia a oggi. Lo certifica l’Istat nel Report sugli indicatori demografici.
Nel 2015 sono venuti al mondo 488mila bambini e bambine (8 per mille residenti), 15mila in meno rispetto al 2014, che già aveva registrato il record storico negativo di 503mila. Il saldo naturale (differenza tra nascite e decessi) scende ulteriormente a -165 mila.
Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità , giunta a 1,35 figli per donna. L’età media delle madri al parto sale nel frattempo a 31,6 anni.
Nel 2015 la popolazione residente in Italia si riduce di 139mila unità (-2,3 per mille).
Al primo gennaio 2016, la popolazione totale è di 60 milioni 656mila residenti.
Alla stessa data gli stranieri residenti sono 5 milioni 54mila (8,3% della popolazione totale). Rispetto a un anno prima si riscontra un incremento di 39mila unità . La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, con una perdita di 179 mila residenti.
Al calo demografico hanno contribuito i centomila cittadini italiani che si sono cancellati dall’anagrafe per trasferirsi all’estero. Un dato in aumento (+12,4%) rispetto al 2014.
Il saldo migratorio netto con l’estero è di 128 mila unità , corrispondenti a un tasso del 2,1 per mille.
Il risultato, frutto di 273mila iscrizioni e 145mila cancellazioni, rappresenta un quarto di quello conseguito nel 2007 nel momento di massimo storico per i flussi migratori internazionali.
Le iscrizioni dall’estero di stranieri sono state 245mila e 28mila i rientri in patria degli italiani. Le cancellazioni per l’estero riguardano 45mila stranieri e i già citati 100mila italiani.
L’età media della popolazione, rileva ancora l’Istat, aumenta di ulteriori due decimi, arrivando a 44,6 anni.
Non si arresta dunque il processo di invecchiamento, assoluto e relativo, della popolazione italiana.
Gli ultrasessantacinquenni sono 13,4 milioni, il 22% del totale. In diminuzione risultano sia la popolazione in età attiva (15-64 anni) sia quella fino a 14 anni di età .
La prima scende a 39 milioni, il 64,3% del totale, la seconda comprende 8,3 milioni di ragazzi e rappresenta il 13,7%.
Nel 2015 diminuisce inoltre la speranza di vita alla nascita. Per gli uomini si attesta a 80,1 anni (da 80,3 del 2014), per le donne a 84,7 anni (da 85).
Il dato è determinato da un picco di mortalità registrato nel corso dell’anno: i decessi sono stati 653mila, 54mila in più dell’anno precedente (+9,1%).
Il tasso di mortalità , pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi.
L’aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni). Dal punto di vista demografico, il picco di mortalità del 2015 è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all’invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza.
(da agenzie)
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Febbraio 19th, 2016 Riccardo Fucile
PAGA SOLO UNO SU TRE PER LE VISITE… 38 MANAGER NEL MIRINO DELLA PROCURA… E’ IL MODELLO LOMBARDO?
La Guardia di Finanza di Varese ha rilevato un buco di 2,5 milioni di euro nei pagamenti dei ticket “codice bianco” nei pronto soccorso degli ospedali di Varese ed ha segnalato alla Procura Regionale presso la Corte dei Conti di Milano, 38 dirigenti ospedalieri.
L’attività di indagine è stata svolta su prestazioni erogate dal 2003 al 2014 e ha riguardato circa 200mila accessi in pronto soccorso con “codice bianco” (per cui è previsto il pagamento di un ticket di 25 euro).
Secondo quanto rilevato dalle fiamme gialle, solo un cittadino su tre avrebbe effettivamente provveduto a versare il ticket nelle 9 strutture, e l’amministrazione pubblica sarebbe troppo lenta nella riscossione di questi crediti.
Dai controlli è infatti emerso il mancato rispetto, da parte delle strutture ospedaliere varesine, delle disposizioni previste, che prevedono la consegna del referto della prestazione erogata al pronto soccorso solo previo riscontro dell’avvenuto pagamento del ticket.
Le indagini delle Fiamme Gialle hanno accertato che i pazienti, per l’effettuazione di esami strumentali, non solo si sarebbero impropriamente avvalsi dei servizi sanitari di pronto soccorso in ambulatori medici (per i quali è previsto il pagamento anticipato di un ticket maggiormente oneroso), ma non avrebbero neppure saldato il previsto ticket ospedaliero di 25 euro.
In seguito alle indagini della Finanza, la Procura Regionale della Corte dei Conti di Milano ha aperto una vertenza.
(da agenzie)
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Febbraio 19th, 2016 Riccardo Fucile
IL JOBS ACT NON CONVINCE GLI ITALIANI… PD 33,9%, M5S 24,4%, LEGA 13,8%, FORZA ITALIA 11,8%
Sale di un punto la fiducia in Matteo Renzi (32%) e di due quella nel governo (30%). Questi i risultati dell’ultimo sondaggio dell’Istituto Ixè per Agorà .
Nella classifica dei politici più amati, in testa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il capo dello Stato è al comando della classifica con il 60%. Seguono Matteo Renzi con il 32% e Luigi Di Maio 28%
Più in alto di tutti come al solito Papa Francesco, con l’88% di fiducia.
Per quanto riguarda l’occupazione, non sembra riscuotere particolare gradimento il Jobs act.
Commentando gli ultimi dati dell’Inps sull’occupazione, Matteo Renzi aveva difeso i risultati della riforma.
Ma a leggere i risultati della rilevazione di Ixè, non la pensa così il 55% degli italiani, per i quali la riforma del lavoro approvata dal governo avrà effetti positivi solo di breve durata. Il 39%, invece, si schiera con il premier.
Nelle rilevazioni delle intenzioni di voto sale dello 0,6% il Pd.
In una settimana il partito del premier Renzi è passato dal 33,3% al 33,9%, mentre scende il Movimento 5 Stelle, che si assesta al 24,4% (-0,5%).
Scende ancora la Lega Nord, per la prima volta sotto il livello del 14%, passando dal 14% al 13,8%.
In lieve salita Forza Italia (11,8% rispetto all’11,7% di una settimana fa).
Se si votasse oggi, l’affluenza sarebbe al 63,6%.
(da agenzie)
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