Febbraio 15th, 2016 Riccardo Fucile
“CON DUE CANDIDATI DIFFICILE VINCERE, ERA PIU’ LOGICO ANDARE SU MARCHINI”
«Bertolaso? Lo stimo, ma a Roma non arriva al ballottaggio». La stroncatura arriva da Gianfranco Rotondi, deputato di Forza Italia e leader di Rivoluzione Cristiana, movimento che ambisce a costituire la quarta gamba, rigorosamente democristiana, del centrodestra.
Onorevole Rotondi, alle prossime amministrative non c’è, almeno sinora, un candidato sindaco immediatamente percepibile come cattolico. È così in crisi il cattolicesimo politico?
«Non c’è per il momento. Ma lei deve portare pazienza. In questo momento è giusto portare avanti candidati che richiamino ai valori del cattolicesimo politico e alla storia della Dc. I faccio il mio, ma c’è un problema: ho forze modeste. Eppure l’elettorato non lo devo inventare: l’Italia è ancora democristiana».
Davvero?
«Certo. L’asse portante della società ha tra i 40 e gli 80 anni e tutti oggi stanno rivalutando la Dc. Ma anche tantissimi giovani studenti si incuriosiscono. È un elettorato senza partito che si crea letture sostitutive: Prodi, Berlusconi, Renzi. L’Italia resta democristiana ma manca il coraggio di fare outing. Più la classe politica scade più si rivaluta la classe dirigente democristiana».
Farà outing alle prossime amministrative?
«Ho chiesto a Rocco Buttiglione di candidarsi sindaco a Roma. Se non accetterà ci inveteremo qualcos’altro».
Ma Guido Bertolaso non le piace proprio?
«Al contrario, lo stimo e col nostro governo ha fatto benissimo da capo della Protezione Civile. Ma non arriva al ballottaggio: al candidato del Pd e a quello del M5S opponiamo due sfidanti di centrodestra, Marchini e Bertolaso. Che senso ha?».
Preferiva Alfio Marchini?
«No, tra i tre in campo il migliore è Francesco Storace che viene dalla politica ed è abituato alla battaglia politica. Questa storia della società civile, me lo lasci dire, è una gran puttanata. Non può fare il medico uno che non ha studiato medicina. Diceva Longanesi che l’80% del Parlamento è uguale a chi lo ha eletto, il 10% è migliore e il 10% è peggiore. Tornando a Marchini, in assenza di una scommessa culturale forte era giusto andare pragmaticamente sul candidato già in campo, come accaduto a Napoli».
Sosterrà Gianni Lettieri?
«Certo. È cattolico ed è coerente: cinque anni fa ha perso ed è rimasto in Consiglio comunale a dare battaglia a de Magistris».
Sosterrà eventualmente Osvaldo Napoli a Torino?
«È un democristiano e non di primo pelo. Certo che lo sosterremo».
Cosa pensa della Borgonzoni a Bologna?
«E chi è?».
La candidata indicata da Salvini.
«Non la conosco».
E Stefano Parisi a Milano?
«Non conosco nemmeno lui. Ma secondo me dovevano candidarlo a Roma: è dei Parioli».
Traduciamo.
«Sosterremo Lettieri e Napoli. Altrove presenteremo nostri candidati sindaco».
Sarebbe questa la sfida culturale?
«Certo. La teoria del popolarismo a destra di Buttiglione resta ancora valida. Il paradosso è che nel centrodestra i cattolici sono spariti mentre nel Pd occupano Quirinale e Palazzo Chigi ma hanno incardinato il partito nel socialismo europeo».
Torniamo alla sfida culturale…
«Diceva Andreotti: un servizio lo si rende, non lo si impone. Ho siegato a Berlusconi che al centrodestra serve recuperare la vocazione democristiana. Sono l’ultimo amico rimasto al Cav e resto nel gruppo di Fi solo per questo. Voglio aiutare Berlusconi, abbiamo ancora tempo. Ma dobbiamo costruire la quarta gamba del centrodestra. Lega e FdI insieme non arrivano alla somma di Lega e An dei tempi d’oro. Il nostro elettorato o vota Renzi o sta a casa. Serve un partito forte che completi il centrodestra. Cerco amici per costruire un centro alla tedesca, alternativo cioè alla sinistra dove i cattolici ci sono, occupano gli spazi ma culturalmente sono spariti. Renzi è un superProdi: costruisce una forsza di sinistra con abiti democristiani. Il centrodestra è in difficoltà perchè non riese a fare i conti con la Dc e a recuperare la sua cultura politica. Il Cav ha portato FI nel Ppe ma si è fermato lì. Oggi FI è un partito dimezzato a trazione socialista e il centrodestra è fatto da u nterzo di An, una Lega raddoppiata e, appunto, mezza FI. A Berlusconi, che poteva essere il nuovo De Gasperi, pongo una questione politica. Siamo ancora in tempo».
Daniele Di Mario
(da “il Tempo”)
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Febbraio 15th, 2016 Riccardo Fucile
SETTE ANNI DI RECLUSIONE IN SECONDO GRADO PER DISASTRO AMBIENTALE MA PUO’ FARE I LAVORI DI BONIFICA
La bonifica nelle mani di chi è accusato di aver inquinato.
Succede a Napoli dove la gara, indetta dal Comune, per la rimozione dell’amianto è stata aggiudicata dalla società Atr con sede ad Acerra. Tra i proprietari dell’azienda figura Giovanni Pellini, condannato in secondo grado per traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale a 7 anni di reclusione.
Formalmente tutto in regola ribattono da Palazzo di città , ma l’aggiudicazione ha scatenato, come ovvio, la legittima protesta dei comitati e delle associazioni che, numerose, aveva seguito il processo a carico di Giovanni Pellini e dei suoi fratelli, Cuono e Salvatore, quest’ultimo ex maresciallo dei carabinieri, accusati di aver messo in piedi un traffico illecito di rifiuti e aver provocato un disastro ambientale nel territorio di Acerra, movimentando e scaricando illegalmente tonnellate di pattume di ogni genere.
L’attivista Alessandro Cannavacciuolo, da anni in prima linea contro la mattanza ambientale in terra campana, non trova le parole per esprimere la sua indignazione: “E’ vergognoso. Il nostro grido di dolore, il nostro amore per questa terra, le nostre paure corazzate di coraggio, non vi permetteranno minimamente di calpestarci di nuovo”.
La gara da 204mila euro è stata aggiudicata da Atr con un ribasso del 45% battendo la concorrenza dell’azienda Deflam.
Il vicesindaco di Napoli Raffaele Del Giudice ha spiegato al Corriere del Mezzogiorno che per primo ha sollevato il caso: “Non sono emersi elementi formali e legali per non assegnare il lavoro ad Atr. Sono sempre più convinto della necessità di adeguare gli strumenti di monitoraggio delle imprese e di creare aziende pubbliche in grado di effettuare interventi di risanamento ambientale delicati e a rischio”.
Ora la società Atr, nella galassia delle sigle dei Pellini, si occuperà del recupero e smaltimento dell’amianto.
La sentenza di secondo grado è arrivata lo scorso anno. Così i giudici di Appello descrivono le responsabilità dei fratelli Pellini: “Gli imputati non risultano meritevoli delle attenuanti generiche, in ragione delle allarmanti modalità della condotta posta in essere (…) La condotta si connota di particolare gravità , tenuto conto della professionalità serbata nell’azione criminosa e del grave allarme sociale che promana dal fatto”.
Professionalità ora al servizio del Comune di Napoli.
Nello Trocchia
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 15th, 2016 Riccardo Fucile
“SFIDUCIA VERSO LE ELEZIONI MA ANCHE LE PROTESTE SONO FESTE IN MASCHERA”
Zygmunt Bauman, il grande sociologo teorico della “società liquida”, di recente ha riservato molte riflessioni a Internet, in particolare ai social media accusati di creare l’illusione di una rete affettiva in realtà inesistente.
Professor Bauman, la sua è una critica esistenzialista alla Rete?
«Internet rende possibili cose che prima erano impossibili. Potenzialmente, dà a tutti un comodo accesso a una sterminata quantità di informazioni: oggi abbiamo il mondo a portata di un dito. In più la Rete permette a chiunque di pubblicare un suo pensiero senza chiedere il permesso a nessuno: ciascuno è editore di se stesso, una cosa impensabile fino a pochi anni fa. Ma tutto questo – la facilità , la rapidità , la disintermediazione – porta con sè anche dei problemi. Ad esempio, quando lei esce di casa e si trova per strada, in un bar o su un autobus, interagisce volente o nolente con le persone più diverse, quelle che le piacciono e quelle che non le piacciono, quelle che la pensano come lei e quelle che la pensano in modo diverso: non può evitare il contatto e la contaminazione, è esposto alla necessità di affrontare la complessità del mondo. La complessità spesso non e un’esperienza piacevole e costringe a uno sforzo. Internet è il contrario: ti permette di non vedere e non incontrare chiunque sia diverso da te. Ecco perchè la Rete è allo stesso tempo una medicina contro la solitudine – ci si sente connessi con il mondo – e un luogo di “confortevole solitudine”, dove ciascuno è chiuso nel suo network da cui può escludere chi è diverso ed eliminare tutto ciò che è meno piacevole».
Ci sono però interi movimenti politici che sono nati dalla Rete o si sono diffusi grazie a essa. Le primavere arabe, ad esempio, ma anche Podemos in Spagna e il Movimento 5 Stelle in Italia…
«È una questione ricca di ambivalenze. In generale però le ricerche sociali mostrano che la maggior parte delle persone usa Internet non per aprire la propria visione ma per chiudersi dietro degli steccati, per costruire delle “comfort zone”. Un po’ come quei quartieri fuori città circondati da cancelli, da guardie armate e da telecamere a circuito chiuso, dove le persone vivono in una sorta di mondo immaginario, senza controversie, senza conflitti, senza esporsi alle differenze. Poi, certo, grazie alla Rete oggi puoi convincere le persone del tuo network ad andare in piazza a manifestare contro qualcosa o qualcuno, ma l’incidenza sul reale di queste mobilitazioni nate nelle “comfort zone” è un altro discorso. Lei ad esempio mi citava le primavere arabe: non mi sembra che abbiano mai portato a un’estate».
Quindi secondo lei non c’è un collegamento tra la diffusione della Rete e la protesta antisistema?
«Certo che c’è, ma Internet non ne è la causa, ne è solo un veicolo. Le cause dei partiti antisistema vanno cercate invece nella crisi di fiducia verso la democrazia. E questa a sua volta deriva dal fatto che viviamo in un pianeta globalizzato e con una grandissima interdipendenza, ma gli strumenti che abbiamo a disposizione per gestire questa nuova condizione sono quelli ereditati dai nostri nonni e propri dello Stato nazionale: quando cioè una decisione presa in una capitale aveva realizzazione nel territorio di quel Paese e non valeva cinque centimetri più in là . Adesso invece l’interdipendenza è mondiale e gli Stati nazionali sono incapaci di gestirla. Così oggi i governi sono sotto una doppia pressione: da un lato devono rispondere agli elettori, i quali pretendono che i politici realizzino ciò per cui li hanno votati; dall’altra parte, la realtà globale interdipendente – i mercati, le borse, la finanza e altri poteri mai eletti da nessuno – impediscono che questi impegni vengano mantenuti. La crisi di fiducia nasce da questa doppia pressione. Sentiamo tutti che ormai le democrazie non funzionano, ma non sappiamo come aggiustarle o con che cosa rimpiazzarle».
Di qui nascono i movimenti antisistema?
«Direi piuttosto che da qui nascono i sentimenti antisistema: attenzione a parlare di movimenti. Che sono un concetto sociologico, mentre il sentimento è un concetto psicologico».
E questi sentimenti non si traducono in movimenti?
«Le persone si scambiano reazioni emotive sui social network e magari da lì si organizzano per andare in piazza a protestare. Gridano tutti gli stessi slogan, ma in realtà ciascuno ha interessi diversi e aspettative deluse diverse. Poi si torna a casa contenti della fratellanza con gli altri che si è creata in piazza, ma è una solidarietà falsa. Io la chiamo “carnival solidarity” perchè mi ricorda appunto quegli eventi in cui per quattro o cinque giorni ci si mette la maschera, si canta e si balla insieme, fuoriuscendo per un tempo definito dall’ordine delle cose. Ecco, quelle proteste consentono l’esplosione collettiva di problemi diversi e istanze individuali per un arco di tempo breve, come a carnevale, ma la rabbia non si trasforma in un cambiamento condiviso».
Alcuni partiti che quanto meno incanalano questi sentimenti però esistono, seppur molto diversi tra loro. Cosa ne pensa?
«Si trovano anche loro di fronte alla crisi della democrazia di cui abbiamo parlato. E a questa crisi rispondono chi provando a rafforzare la democrazia, chi invece proponendo un “uomo forte” o qualche forma di fondamentalismo politico-religioso. Del resto, se le democrazie non riescono a realizzare le aspettative, non è strano che si cerchi qualcuno a cui attribuire una funzione salvifica, l’uomo “di polso” che sembra in grado di realizzare ciò che le democrazie non sanno mantenere. Un esempio recente è Donald Trump: oggi molti elettori americani possono restare sedotti da chi attacca le istituzioni democratiche e ne deride le rappresentanze. In più il miliardario Trump rappresenta il trasferimento dei consensi dalla leadership al management: dove la leadership è la capacita di fare le cose giuste, “to do right things”, mentre il management è semplicemente la capacità di fare le cose bene, “to do things right”. C’è una grande differenza».
Questo crollo di fiducia verso la democrazia spiega anche la caratteristica “populista” che viene spesso attribuita ai movimenti antisistema? E lei è d’accordo con questa definizione?
«“Populisti” in politica sono sempre gli altri, gli avversari. In realtà ogni buon partito dovrebbe essere “populista”, cioè ascoltare cosa pensano e cosa chiedono le persone ordinarie, i semplici cittadini. Invece nel dibattito pubblico la parola viene usata in senso dispregiativo. No, non sono preoccupato per la presunta minaccia del “populismo”, ma per la possibile risposta autoritaria alla crisi della democrazia».
Ma perchè in alcuni Paesi la protesta antisistema si è declinata a destra, come in Francia, e in altri a sinistra, come in Spagna?
«Perchè siamo in un interregno, per citare Gramsci quando diceva che “se il vecchio muore e il nuovo non nasce, in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Oggi i vecchi strumenti non funzionano più ma quelli nuovi non ci sono ancora. Destra e sinistra erano concetti pieni di significato fino a pochi decenni fa, ma lo sono molto meno nella complessità policentrica del presente».
In che cosa consiste questa complessità policentrica?
«Dopo la caduta del Muro di Berlino, alcuni pensatori ipotizzarono la fine della storia, la conclusione del conflitto politico all’interno di un pacifico e definitivo sistema liberal-capitalistico. Si sbagliavano. Il pianeta è molto più diviso e conflittuale di prima, pieno di scontri locali più difficili da capire rispetto a quelli che opponevano tra loro i due blocchi: pensi solo a quello che sta succedendo in Asia centrale, dove arabi musulmani uccidono altri arabi musulmani. Ecco, questo policentrismo complesso sta anche nella politica, dove si intrecciano istanze scollegate tra loro, spesso difficili definire come “di destra” o “di sinistra”. Prima il confronto era tra conservatori e progressisti, tra chi voleva una società basata sul profitto e chi sulla cooperazione: oggi i conflitti sono anche maggiori, ma meno semplici e meno netti».
Quindi anche quegli apparenti segnali di “ritorno alla sinistra” come Jeremy Corbyn nel Regno Unito o Bernie Sanders negli Stati Uniti sono solo effetti ottici?
«Sanders rappresenta un fenomeno nuovo e interessante, ma ci sono Paesi in cui la sinistra non esiste più, come nell’est europeo. In generale, il problema contemporaneo della sinistra è la sua “constituency”, il suo blocco elettorale. Una volta era la classe dei lavoratori, che la sinistra difendeva. Oggi però, con i capitali che si muovono in fretta da un paese all’altro, anche gli strumenti con cui prima si tutelavano gli interessi delle classi più basse sono tra quelli che non funzionano più, a iniziare dagli scioperi: se i lavoratori incrociano le braccia, un secondo dopo il proprietario trasferisce la produzione in un Paese in via di sviluppo dove trova gente contenta di guadagnare un paio di dollari al giorno. In questo contesto, molti politici eredi della sinistra sono spaventati dall’idea di irritare le Borse, i mercati, la finanza, insomma i poteri che possono mandare gambe all’aria un Paese in un giorno. Quindi parlano d’altro: ad esempio, si autodefinisce di sinistra la parte politica favorevole ai matrimoni omosessuali. Bello, giusto, d’accordo, ma cosa c’entra con il significato della sinistra? Cosa c’entra con la giustizia sociale, che era la ragion d’essere della sinistra? Poi sì, ci sono anche altri, come Sanders, che invece vogliono rappresentare la protesta contro le leggi globali dei mercati e si candidano per sfidarle. Ne ho molto rispetto, ma non vorrei che si creassero troppe aspettative su quello che si può davvero fare con gli strumenti non più funzionanti propri dell’era dell’interregno. Altrimenti si rischia di restare delusi in fretta, come è avvenuto con Tsipras in Grecia».
Alessandro Gilioli
(da “L’Espresso”)
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Febbraio 15th, 2016 Riccardo Fucile
LA CANZONE DEGLI STADIO RACCONTA LA VERA RIVOLUZIONE AFFETTIVA DEGLI ULTIMI ANNI… GLI UOMINI SCELGONO DI ESSERE PRESENTI IN FAMIGLIA E’ abbastanza incredibile che «vecchi arnesi» come gli Stadio vincano il Festival, battendo rapper napoletani e giovanotti dei talent. Nessuno se l’aspettava; forse perchè si dedica molto tempo a penetrare il significato politico, culturale, simbolico di Sanremo, e meno ad ascoltare il testo delle canzoni. Si dibatte sull’intensa produzione dei 70 mila che hanno commentato il Festival su Twitter, e non sui dieci milioni che l’hanno semplicemente visto e discusso nelle loro case, con le loro famiglie; in particolare tra padri e figlie. Perchè di un padre e di una figlia parlava la canzone degli Stadio; di cui neppure Carlo Conti si era accorto, visto che – come ha raccontato Gaetano Curreri, il leader del gruppo – l’anno scorso l’aveva scartata. Certo, in altre occasioni Sanremo era un segnavento, un indicatore dell’aria che tirava. Nel 2004, all’apice dell’era Berlusconi, la Rai si concesse il lusso di affidare il Festival a Tony Renis, nonostante qualche problema con la giustizia («Chi non ha avuto amici criminali?» lo protesse Celentano). Nel 2011 la vittoria inattesa di un cantautore come Roberto Vecchioni, con una canzone dichiaratamente antiberlusconiana, segnò un cambio di stagione. Ma stavolta la politica non c’entra nulla. Gli Stadio avevano vinto già la serata delle cover – che nel 2015 aveva lanciato Nek e anche quest’anno si è rivelata decisiva – con La sera dei miracoli ; e nel loro successo finale c’è un po’ di Lucio Dalla, la cui grandezza aumenta con il tempo che passa. Una mano è venuta da Franz Di Cioccio, il presidente della giuria di qualità , che ha applaudito entusiasta l’esibizione del collega e coetaneo Curreri: sulla rivalità tra artisti è prevalsa la solidarietà generazionale; fossero stati due quarantenni si sarebbero sbranati. Ma la chiave della sorpresa è il testo della canzone. Il rapporto tra padri e figlie è una delle poche rivoluzioni riuscite della nostra epoca. La pace, il progresso infinito, la convivenza delle religioni si sono rivelati utopie; ma la condizione della donna è cambiata per sempre, si è evoluta in modo irrimediabile. E anche i padri sono cambiati. Più presenti, più responsabili, più vicini; forse anche troppo. Le nostre nonne sposavano uomini scelti dai loro padri; fino a qualche anno fa in Cina i mariti costringevano le mogli ad abortire se era in arrivo una femmina. Tutto questo è finito, o sta finendo. I padri sono felici delle loro figlie, e non hanno pudore a manifestare la loro felicità : «Un giorno ti dirò che ti volevo bene più di me», che ti amavo più di me stesso; al punto da sacrificare l’amore per un’altra donna pur di restare al tuo fianco. I padri non hanno timore di mostrarsi commossi, a costo di sconcertare le figlie. E le figlie non hanno timore a confidarsi con i padri: «Un giorno mi dirai che un uomo ti ha lasciata, e che non sai più come fare a respirare, a continuare a vivere»; «ma se era vero amore, è stato meglio comunque viverlo». È un dialogo non facile, è un rapporto destinato a restare irrisolto. Ma rappresenta un cambiamento profondo, in una società che comincia a lasciarsi alle spalle un maschilismo atavico. C’è una ragazza nel video che gli Stadio hanno messo in rete, c’era una ragazza accanto a loro sul palco di Sanremo: «Potresti essere la figlia della canzone» ha detto Curreri a Francesca Michielin, prima ancora di sapere chi tra loro avesse vinto il Festival. E sarà la «figlia», non il «padre», a rappresentare l’Italia all’Eurovision: gli Stadio hanno valutato che Francesca avesse l’età più adatta; o forse dovevano partire per la loro meritata tournèe. A noi resta l’idea di storie d’amore ancora da scrivere, o dolorosamente interrotte (come quelle raccontate da Benedetta Tobagi – Come mi batte forte il tuo cuore , splendido titolo tratto da un verso di Wislawa Szymborska – e da Sabina Rossa: Guido Rossa, mio padre ). Non è il tempo dell’eclisse dei padri; è il tempo in cui genitori e figlie non si vergognano dei loro sentimenti, in cui l’eterno inseguimento a una bambina che diventa adolescente e poi donna continuando a sfuggire non appare più una condanna, ma il sale della vita. Aldo Cazzullo (da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 15th, 2016 Riccardo Fucile
PER DIFENDERE IL COMPAGNO DI MERENDE RIXI IERI HA DEFINITO “UNA SCHIFEZZA” LA MAGISTRATURA… ECCO LE PROVE CONTRO RIXI RACCOLTE DALLA GUARDIA DI FINANZA
La procura di Torino ha disposto accertamenti, tramite la Digos della questura di Milano, per verificare se le frasi, riportate su vari quotidiani, che sarebbero state pronunciate ieri, durante una manifestazione a Collegno (Torino), dal segretario della Lega Nord Matteo Salvini, come «La magistratura è una schifezza», tra l’altro legate al caso giudiziario che vede al centro il vicesegretario Edoardo Rixi, siano o meno attendibili.
Le indagini – si legge nella nota diramata dalla procura – sono volte a «verificare la eventuale sussistenza di estremi del reato di vilipendio dell’ordine giudiziario di cui all’art. 290 del codice penale».
Salvini avrebbe pronunciato quella frase per “assolvere” il suo noto compagno di merenda Edoardo Rixi, assessore regionale nella Giunta Toti in Liguria, nonchè vice segretario nazionale della Lega, a giudizio per peculato in ordine alla “Rimborsopoli” ligure.
Forse nel regno della “Padagna del magna magna” utilizzare fondi pubblici per spese private sarà consentito, non nella Repubbica italiana.
Ricordiamo allora cosa viene contestato al “fratello” di Salvini.
Secondo l’accusa, sostenuta dal pm Francesco Pinto, i consiglieri si sarebbero fatti rimborsare spese private con soldi pubblici spacciandole per attività istituzionali.
Si va dalle birre da 6 euro acquistate a Pontida in occasione delle feste del periodo di Bossi, ai quindici scontrini di fila emessi dallo stesso bar Caffè dell’Angolo di Mondovì, ai 1774 euro spesi nella pelletteria di lusso a Tolentino, fino agli acquisti al “Chocolate Town” all’Outlet di Serravalle.
In ballo c’è pure l’”affaire Quadrifoglio” un ristorante di Carcare fonte inesauribile di ricevute del consigliere che lo ha inguaiato, Maurizio Torterolo, quello che ha patteggiato due anni scoprendo le carte. Venivano dimenticate da ignari clienti e lui le presentava a rimborso.
Alla Lega Nord il magistrato contesta pure di avere speso soldi pubblici per viaggi in mete turistiche come a Courmayeur e Limone Piemonte, Aosta.
Alberghi in città d’arte come Venezia e Pisa. Anomalie sono pranzi e cene, fatti soprattutto in giorni festivi, come Pasqua e Pasquetta, 25 aprile e primo maggio o Ferragosto.
Sono finite in mezzo pure le spese di parcheggio. Un consigliere si sarebbe fatto rimborsare anche una notte passata in un motel a Broni, in provincia di Pavia.
Nel mirino finiscono gli scontrini di ostriche consumate al Cafè de Turin di Nizza, menù bambini e anche un cenone di Capodanno.
Nel budget regionale compaiono pure 84 scontrini in uno stesso ristorante di Savona, cene a Mondovì.
Altro capitolo riguarda i regali di Natale, questione che aveva già pesato su vari partiti: strenne, agende, libri, grappe e bottiglie di spumante che secondo la procura sono state pagate dai cittadini.
Le somme vanno da poche centinaia di euro fino a oltre 10 mila euro come quella per un agriturismo a Cogne.
Dalle carte delle indagini, il vice segretario federale Rixi risulta che all’epoca avesse il dono dell’ubiquità : presentava il rimborso dell’autostrada per un viaggio a Milano per “l’espletamento del mandato popolare”, ma dal Telepass risultava invece ad Aosta. Presentava rimborsi da 106 euro per viaggi a Cremona, quando le fiamme gialle invece hanno appurano analizzando i passaggi ai caselli che si trovava a La Spezia.
E quando diceva di essere a La Spezia, la macchina girava tra Genova Est e Ovest.
(da “il Secolo XIX”)
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Febbraio 15th, 2016 Riccardo Fucile
ENTI LOCALI VIRTUOSI, SPENDE DI PIU’ LO STATO CENTRALE
Il debito pubblico chiude il 2015 con una crescita di 33 miliardi e 800 milioni, attestandosi il 31 dicembre a quota 2.169,9 miliardi.
A fine 2014, svelano i dati comunicati da Bankitalia, il debito ammontava a 2.136 miliardi (132,4 per cento del Pil), mentre alla fine di novembre era sopra 2.200 miliardi.
Via Nazionale spiega che l’aumento del debito nel 2015 (33,8 miliardi) “è stato inferiore al fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche (49,3 miliardi), per effetto della diminuzione di 10,7 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro (collocatesi a fine anno a 35,7 miliardi) e degli scarti e dei premi di emissione che hanno contenuto il debito per 5,1 miliardi”.
Significa che il Mef ha svuotato in parte il suo conto corrente, mentre la dinamica dei titoli di Stato ha favorito il contenimento del debito.
“Di contro”, precisa la nota di Bankitalia, “le variazioni dei cambi hanno aumentato il debito di 0,3 miliardi”.
Se si guarda ai luoghi dove il debito è aumentato, la “ripartizione per sottosettori” che sottolinea la nota di Palazzo Koch, si vede un comportamento virtuoso delle amministrazioni locali, mentre nel cuore dello Stato cresce l’indebitamento: “Il debito consolidato delle Amministrazioni centrali è cresciuto di 40,5 miliardi, a 2.077,5, mentre quello delle Amministrazioni locali è diminuito di 6,6 miliardi, a 92,3; il debito degli Enti di previdenza si è ridotto di 0,1 miliardi”.
Bankitalia fa anche il punto sul ruolo dell’Italia nel panorama degli aiuti internazionali: “Al 31 dicembre 2015 il contributo italiano al sostegno finanziario ai paesi” dell’Unione economica monetaria “ammontava a 58,2 miliardi (60,3 alla fine del 2014): 10 miliardi di prestiti bilaterali alla Grecia, 33,9 miliardi erogati per il tramite dell’European Financial Stability Facility (EFSF) e 14,3 miliardi di contributo al capitale dello European Stability Mechanism”, il nuovo fondo salva-Stati.
Sul fronte entrate, via Nazionale registra un deciso aumento delle tasse durante l’anno scorso.
A fine dicembre scorso, le entrate tributarie sono state infatti pari a 433.483 milioni di euro, con un incremento del 6,4% rispetto ai 407.579 milioni dello stesso mese del 2014. Nel solo mese di dicembre le entrate tributarie si sono attestate a 80.144 milioni di euro, contro i 68.525 di dicembre 2014.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2016 Riccardo Fucile
LE AZIENDE ELETTRICHE DENUNCIANO: “NESSUN DIALOGO CON IL MINISTERO”
Mancano poco più di quattro mesi al debutto, eppure il nuovo canone Rai è ancora un’incognita.
Dopo gli affondi delle associazioni dei consumatori, tocca ad Assoelettrica lanciare l’allarme. Ed è un Sos pesantissimo, perchè toccherà a loro far pagare il tributo, in bolletta.
Secondo Chicco Testa, presidente dell’associazione che raggruppa le imprese elettriche italiane, «il rischio è che si arrivi impreparati alla scadenza del prossimo luglio».
Il motivo principale? «Le imprese devono predisporre i necessari sistemi informatici per emettere le nuove fatture modificate, bisogna incrociare le banche dati, occorre chiarire una lunga serie di problemi che ancora non sono stati sciolti, dalla questione dei ritardati pagamenti, alla morosità , dall’eventualità di un cambio di fornitore ai pagamenti parziali, dai reclami ai contratti non residenti». Insomma, un caos.
I NODI DA SCIOGLIERE
Secondo Testa, in questi mesi, c’è stato pochissimo dialogo: «Insieme a Utilitalia, abbiamo preparato un documento circostanziato che elenca tutti i problemi aperti, ma il Ministero per lo Sviluppo economico ancora non ci ha dato risposta. E il tempo ormai stringe».
Nel testo, i tanti punti critici, a partire dal nodo dei costi che, inevitabilmente, si aggiungeranno alla gestione ordinaria. E poi le sanzioni: il provvedimento, infatti, prevede una multa per i fornitori, nonostante non siano retribuiti.
Secondo Assoelettrica, inoltre, manca ancora qualche tassello del puzzle: dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate che dovrà definire le regole per chi auto-certifica di non possedere un apparecchio televisivo al decreto ministeriale sui versamenti all’Erario.
L’ATTACCO DEI CONSUMATORI
«Come previsto la misura che introduce il canone Rai nella bolletta elettrica sta creando difficoltà alle aziende del settore, che ancora non sanno come esigere l’imposta — attacca il presidente del Codacons, Carlo Rienzi — Siamo convinti che a luglio si scatenerà un vero e proprio caos, con gli utenti e le aziende elettriche impreparate ad affrontare la novità . Le famiglie ancora non hanno capito come avverrà il pagamento del canone, chi è tenuto a versarlo e per quali case, e non vogliamo pensare a cosa avverrà in caso di morosità o ritardi nei pagamenti. Quello del canone in bolletta sembra essere l’ennesimo pasticcio all’italiana, e non è possibile non esprimere preoccupazione per i ritardi e le tante incognite del
provvedimento».
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2016 Riccardo Fucile
LA MAGGIOR PARTE DEGLI STRANIERI ACCUSATI SONO RESIDENTI IN GERMANIA DA ANNI… LO STUDIO DELLA POLIZIA SMENTISCE I LUOGHI COMUNI: “LA QUOTA DI PROFUGHI CHE VIOLA LA LEGGE E’ IDENTICA A QUELLA DEI TEDESCHI”
A distanza di sei settimane dalla terribile notte di Capodanno a Colonia, comincia ad emergere un po’ di verità .
Solo tre dei 59 migranti sospettati di aver partecipato alle aggressioni in branco sono profughi. Si tratta, in particolare, di due siriani e un iracheno.
La maggior parte degli stranieri accusati di aver molestato donne sono marocchini, algerini e tunisini presenti in Germania da anni.
Tredici dei 59 indagati sono agli arresti.
I dettagli su Colonia li ha resi noti Ulrich Bremer, il magistrato che sta guidando le indagini sui fatti di San Silvestro.
Bremer ha fornito in un’intervista al quotidiano Welt anche un bilancio delle denunce: sono 1.054, di cui 454 per molestie o aggressioni sessuali, 600 per furti.
E la maggior parte delle denunce sono arrivate dopo il 3 gennaio, ossia quando i fatti sono cominciati a uscire sui giornali.
Dopo i fatti di Capodanno, la polemica in Germania e nel resto d’Europa si è concentrata sui rischi connessi all’arrivo delle enormi ondate di rifugiati arrivate soprattutto negli ultimi anni.
Ma anche il luogo comune di una criminalità più diffusa tra i ifugiati che altrove, è falso: Ulf Kuech, capo della polizia criminale di Braunschweig, ha redatto uno studio in cui dimostra che in Germania, la quota di profughi che viola la legge è identica a quella dei tedeschi, in proporzione.
Tonia Mastrobuoni
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 15th, 2016 Riccardo Fucile
NEL 2015 HANNO CHIUSO 22.000 IMPRESE.. LE PROFESSIONI CHE HANNO SOFFERTO DI PIU’ IL CALO DEI CONSUMI, LE NUOVE TECNOLOGIE E IL PESO DEL FISCO
La ripartenza dell’economia italiana rallenta e quel poco di crescita alla quale si aggrappa il Paese non è distribuito in modo omogeneo.
I dati dell’Istat ci hanno appena mostrato la frenata nel processo di espansione del Pil, che nell’intero 2015 dovrebbe aver messo insieme una crescita dello 0,7%, sotto le attese.
La produzione industriale di dicembre ha segnato una battuta d’arresto, confermato la crescita annua ma anche rilevato la concentrazione dei segnali positivi in pochi settori: è emblematico il caso dell’automobile, che da sola spiega una gran fetta della ripresa.
Già l’Ufficio parlamentare di bilancio, in una diagnosi di qualche mese fa, parlava di una “ripresa poco diffusa” e ancora poco in grado di creare posti di lavoro.
Oggi sono i dati della Cgia a mostrare come gli anni della crisi economica, insieme all’evoluzione di consumi e tecnologie, abbiano contribuito a cambiare la mappa delle professioni italiane, con alcune vittime illustri.
Gli artigiani di Mestre sottolineano in particolare le difficoltà del loro mondo, l’artigianato: “Anche nell’ultimo anno le imprese attive sono diminuite di 21.780 unità , mentre dall’inizio della crisi (2009) il numero complessivo è crollato di 116 mila attività . Al 31 dicembre 2015 il numero complessivo delle aziende artigiane presenti in Italia è sceso sotto quota 1.350.000”, scrivono in una nota.
Per il responsabile dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, “l’artigianato è l’unica categoria economica che continua a registrare un netto calo delle imprese attive; infatti, guardando alle imprese non artigiane solo l’agricoltura e l’estrazione di minerali evidenziano una flessione nell’ultimo anno”.
Secondo l’analisi dell’associazione, oltre all’avanzata tecnologica hanno pesato il calo dei consumi, le tasse e gli affitti che hanno messo fuori mercato molti artigiani.
“C’è anche un aspetto sociale molto preoccupante da tenere in considerazione”, spiega ancora Zabeo. “Quando chiude definitivamente la saracinesca una bottega artigiana, la qualità della vita di quel quartiere peggiora notevolmente. C’è meno sicurezza, più degrado e il rischio di un concreto impoverimento del tessuto sociale”.
In valore assoluto, l’edilizia (-65.455 imprese) e i trasporti (-16.699) sono le categorie artigiane che hanno risentito maggiormente degli effetti negativi della crisi. In sofferenza anche le attività manifatturiere, in particolar modo le imprese metalmeccaniche (-12.556 per i prodotti in metallo e -4.125 per i macchinari) e gli artigiani del legno (-8.076 che diventano -11.692 considerando anche i produttori di mobili).
Per contro, invece, parrucchiere ed estetiste (+2.180), gelaterie-rosticcerie-ambulanti del cibo da strada (+ 3.290) e le imprese di pulizia e di giardinaggio (+ 11.370) sono aumentate di numero.
A livello territoriale sono state le regioni del Sud ad aver “patito” le difficoltà maggiori: Sardegna (-14,1 per cento), Abruzzo (-12 per cento) e Basilicata/Sicilia (entrambe con -11,1 per cento) hanno subito le contrazioni più importanti. In questi ultimi 6 anni nessuna delle 20 regioni italiane ha fatto segnare una variazione positiva e, anche nell’ultimo anno, il segno meno compare per tutte le regioni.
Nell’analisi della Cgia spicca anche la graduatoria dei mestieri artigiani che hanno sofferto maggiormente la crisi. Tra il 2009 e il 2015 le professioni che hanno subito la riduzione del numero di iscritti più importante sono stati i piccoli armatori (-35,5 per cento), i magliai (-33,1 per cento), i riparatori audio/video (-29,4%), i lustrini di mobili (-28,6 per cento), i produttori di poltrone e divani (-28,4 per cento), i pellicciai (-26 per cento), i corniciai (-25,7 per cento), gli impagliatori (-25,2 per cento), i produttori di sedie (-25,1 per cento), i camionisti (-23,7 per cento) e i falegnami (-23,2 per cento).
Alcune di queste attività sono così poco numerose che nel giro di una dozzina di anni rischiano di sparire.
(da agenzie)
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