Febbraio 17th, 2016 Riccardo Fucile
L’INCARICO NELLA CLINICA EXTRALUSSO DI FABIO ISENI, IL “BADANTE” DEL TROTA
“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza!”.
Questa la frase che campeggia sui profili social di Fabio Rizzi, una citazione del ventiseiesimo canto dell’inferno dantesco, ottava bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono rinchiusi i consiglieri di frode, condottieri e politici che hanno agito abusando di ingegno e astuzia.
Roba da manuale di psicanalisi o, almeno, da fattucchiere di una certa esperienza.
Ma chi è Fabio Rizzi? È davvero un personaggio da Divina Commedia?
I vezzi
In provincia di Varese, terra di Lega e leghisti, quando si evoca il suo nome prima ancora della riforma sanitaria, viene in mente il gigantesco e arrogante Hummer giallo con cui lo si vedeva girare per le strade, affrontando parcheggi improbabili alle feste del Carroccio. Il macchinone non passava certo inosservato e gli è costato più di qualche critica.
Come quella volta, nel giugno del 2009, quando si è presentato con il gigantesco fuoristrada americano fresco di concessionario ad un presidio di lavoratori della Usag di Gemonio che protestavano contro l’ipotesi di tagli all’organico. Si può immaginare l’accoglienza.
Ma quello dei macchinoni non è il suo unico vezzo. La foto del suo profilo Twitter lo ritrae nell’abitacolo di una macchina con un pappagallo sulle spalle. Si tratta di Gianni, di tanto in tanto oggetto di post fotografici su twitter e, occasionalmente, compagno di scorribande.
L’amministratore
Classe 1966, la sua vicenda politica inizia nei primi anni ’90, quando fresco di laurea in medicina si iscrive alla Lega Nord e, da militante, entra nel consiglio direttivo della sezione locale del partito.
Siamo a Besozzo, a pochi passi da Gemonio, residenza del leader maximo e per anni fulcro del leghismo. Nel 1997 viene eletto per la Lega nel consiglio comunale del suo paese. Nello stesso anno e per tutto il mandato gli viene conferita una delega che lo accompagnerà per tutto il resto della sua carriera politica: quella alla Sanità .
Rieletto alle amministrative del 2002 ricopre anche la carica di vicesindaco. Nel 2005 è primo dei non eletti nella lista del Carroccio alle Regionali.
Nel 2007 viene eletto sindaco del comune di Besozzo, sempre con una lista monocolore. Di quella sua esperienza rimangono agli atti una ostinata avversione alle celebrazioni del 25 aprile e un accertamento della Corte dei Conti datato 4 marzo 2013, nel quale si evidenzia la “non attendibilità dei dati finanziari riportati nel rendiconto del 2011″, ovvero l’ultimo della gestione Rizzi, quando, per farla breve, un buco di bilancio venne fatto passare per un avanzo.
Da segnalare una querela, poi finita in nulla, che Rizzi presentò ai danni di Angelo Binda, allora capogruppo di opposizione che in consiglio comunale ebbe l’ardire di accusarlo di aver favorito sempre i soliti costruttori e i soliti professionisti “amici degli amici”.
La reazione di Rizzi fu iraconda e annunciò “chiusura totale e definitiva” al dialogo con la minoranza. Curioso notare come solo pochi anni più tardi, lui stesso si appelli alla stessa immagine per scagliarsi contro la sanità di marca formigoniana, colpevole — a suo dire — di aver distribuito “favori agi amici degli amici”.
Il politico
Di pari passo con la carriera amministrativa, la figura di Rizzi cresce anche all’interno del partito. Nel 2003 viene nominato responsabile della Sanità Provinciale per la Lega Nord e nel 2006 viene eletto segretario provinciale, spodestando la vecchia guardia del partito a favore della nuova generazione.
Rimarrà in carica fino al 2008. È in quell’anno che incappa in un dei più inaspettati colpi di fortuna della sua vicenda personale. Le elezioni politiche sono un successo per la Lega Nord. Nella circoscrizione Lombardia vengono eletti ben 11 senatori, un dato molto al di sopra delle aspettative. Rizzi è il decimo in lista, diventa così senatore della Repubblica. Una vera sorpresa, tanto che i cronisti locali raccontano di una telefonata surreale dopo la notte dello spoglio elettorale: “Pronto, complimenti Senatore!”, “Ma vai a cagare, va!”. Nonostante nemmeno lui fosse pronto a crederci, quel giorno iniziò la sua avventura a Palazzo Madama.
In quella sede ha preso parte, tra le altre, alla commissione Igiene e Sanità e alla commissione d’Inchiesta sul Servizio sanitario nazionale. Uno dei primi atti che ha firmato da senatore, assieme all’allora capogruppo Federico Bricolo e alla pasionaria Rosi Mauro, è stato l’ordine del giorno che ha introdotto la possibilità , per i medici, di denunciare i cittadini non in regola con il permesso di soggiorno, sollevando un coro di polemiche bipartisan.
Nel 2009, forte della sua passione per la Sardegna, fonda la prima sezione leghista sull’isola. Si accaparra così il ruolo di Commissario dei leghisti sardi.
Nel partito però arrivano gli anni della frattura tra bossiani e maroniani, lui si destreggia alla meglio in questa situazione, cercando di mantenere un certo equilibrio.
Bossiano — ma non troppo — con gli amici del cerchio magico che frequenta in Senato. Maroniano — ma non troppo — tra le mura domestiche, dove in vista del Congresso che darà la stura a Maroni per la cacciata di Bossi, cerca di costruire una alternativa moderata all’interno dell’opposizione maroniana.
Di fatto resta a galla, tant’è che lasciata Roma, nel 2013 viene eletto in consiglio regionale, proprio al traino di Maroni, dove arriva con il sogno di fare l’assessore (alla Sanità ), ma dovrà accontentarsi di ricopre il ruolo di presidente della commissione Sanità e Politiche Sociali. In questa veste coordina l’estensione della riforma della sanità regionale.
L’anestesista
Sul fronte professionale la sua carriera comincia da tirocinante all’ospedale multinazionale di Varese. Nel 1992 è medico anestesista e rianimatore al 118 dell’ospedale Sant’Anna di Como, prima come assistente, poi come corresponsabile e, infine, come dirigente medico.
Nel 2000 passa all’Ospedale civile di Sondrio e nel 2001 all’Istituto clinico Mater Domini di Castellanza, dove resta sino al 2008. In quell’anno diviene responsabile dell’Unità Operativa di anestesia e rianimazione degli Istituti clinici “Iseni” di Lonate Pozzolo, lo stesso dove opera anche il braccio destro di Rizzi, l’odontoiatra Mario Valentino Longo, figura chiave dell’inchiesta “Smile” della procura di Monza.
Si tratta di un centro medico di lusso a due passi da Malpensa di proprietà di Fabrizio Iseni. Un nome non secondario nelle vicende del recente passato leghista.
Già console onorario della Costa d’Avorio, Iseni è passato alle cronache per il rapporto che lo legava a doppio mandato a Renzo Bossi e alla Lega di papà Umberto.
E’ stato lui, con la sua clinica extralusso, a finanziare i vezzi sportivi del fu Trota: dal giro di Padania alla nazionale di calcio padana, tanto da guadagnarsi il ruolo di “badante” del giovane figlio del Senatur.
Sarà un caso, ma nel gennaio del 2011, in occasione dell’inaugurazione della sede della Lega di Lonate Pozzolo, il console onorario della Costa d’Avorio annuncia l’avvio di un’iniziativa di “odontoiatria sociale” per garantire le cure dentistiche alle persone bisognose.
Un “progetto — diceva all’epoca Iseni — portato avanti con Renzo Bossi e i senatori Fabio Rizzi e Rosi Mauro” e, ancora: “faremo in modo che gli anziani con reddito Isee sotto gli 8mila euro possano avere prestazioni odontoiatriche a prezzi popolari o coperte dal servizio sanitario”.
Di lì a poco le cose per il vecchio capo e la sua corte dei miracoli si mettono male e il sodalizio tra i due si interrompe.
Ma ecco che nel 2012 Iseni ricompare, come per magia, in un video del fattoquotidiano.it (a partire dal secondo 42) mentre alle spalle di Rizzi assiste senza scomporsi ad un’intervista sul tema degli scandali leghisti.
Nel giugno dello scorso anno, infine, Iseni è stato rinviato a giudizio dal tribunale di Busto Arsizio per un presunto giro di false fatturazioni che vede coinvolti anche alcuni imprenditori del territorio, accusati invece di corruzione internazionale.
Rizzi, nel pieno del dibattito politico sulla fecondazione assistita, ha avuto anche all’attivo una collaborazione con una clinica privata fuori dai confini nazionali, un centro specializzato nell’inseminazione in vitro, il ProCrea di Lugano, che per un periodo lo ha visto tra i propri collaboratori.
Salvini
Con Matteo Salvini non è mai stato amore. Il nuovo segretario suscita una naturale diffidenza tra i maroniani di origine varesina.
Questo non gli impedisce di fare buon viso a cattivo gioco. E proprio la scorsa settimana ha accompagnato il segretario nella sua visita in Sardegna.
L’ultimo tweet di Rizzi è stato postato proprio in quell’occasione: “Inverosimile — scrive Rizzi — @matteosalvinimi a Olbia! 250 paganti a cena! Dove di solito i politici pagano loro per comprare voti!”.
Giusto il tempo di tornare e per Fabio Rizzi sono scattate le manette.
Alessandro Madron
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 17th, 2016 Riccardo Fucile
IL RISVEGLIO DA INCUBO DEI BARBARI SOGNANTI
Sono passati quattro anni da quella serata alla Fiera di Bergamo, quando Bobo Maroni guidò la rivolta delle scope contro gli scandali che avevano travolto il cerchio magico di Umberto Bossi e i suoi figli.
Una serata all’insegna della rottamazione giudiziaria, con il vecchio Senatur sul palco a chiedere scusa per il Trota, e i “barbari sognanti” di Maroni in platea a gridare cori da stadio contro Rosy Mauro, la vestale del cerchio, che subì una sorta di rogo medievale come una “strega”. Una strega “terrona”, visti i suoi natali pugliesi. “Rosy pu….a l’hai fatto per la grana”, gridavano.
Maroni dal palco fu categorico: “Se non si dimette lei, la dimetterà la Lega”. “Dobbiamo fare pulizia, chi sbaglia paga”.
In quella notte di rottamazione ante litteram, con gli scandali e i diamanti che sembravano travolgere il Carroccio, c’era anche l’allora sindaco di Besozzo Fabio Rizzi, senatore maroniano, uno dei protagonisti della faida varesina che vide di colpo su barricate opposte sindaci, quadri, dirigenti e militanti leghisti fino a quel momento uniti contro “Roma ladrona”.
Tra i barbari che lavoravano per mettere Bobo sul trono di Umberto c’erano Matteo Salvini, Flavio Tosi, l’attuale assessore lombardo Gianni Fava, l’attuale presidente del Copasir Giacomo Stucchi e molti parlamentari. La parola d’ordine era salvare la Lega nel segno della moralità . Fare pulizia.
Dopo quattro anni la carriera politica della Mauro è finita. Un ricordo i bei tempi da numero due del Senato, con l’amico bodyguard e aspirante cantante Pier Moscagiuro, agente di polizia dirottato a palazzo Madama, e autore del brano “Kooly Noody”, divenuto in quelle settimane una sorta di “inno” dei maroniani contro la vecchia guardia. “Mi sono francamente rotto di Cerchi magici e Kooly Noody”, scriveva Maroni su Facebook per dare la carica ai suoi.
Dopo quattro anni, però, ironie della storia, Rosy Mauro è uscita pulita dalle inchieste che pure l’hanno riguardata.
Nel 2014 l’archiviazione per l’inchiesta in cui era coinvolta insieme all’ex tesoriere Belsito, espulso come lei nel 2012 a furor di popolo.
Nello stesso anno archiviazione anche in riferimento alle spese sostenute quando era consigliere regionale in Lombardia.
Belsito, Bossi e i figli Renzo e Riccardo, invece, sono ancora sotto processo a Milano con l’accusa di appropriazione indebita di circa 500mila euro di rimborsi elettorali della Lega.
E ora che la breve stagione di Maroni alla guida del Carroccio si è conclusa da un pezzo, agli arresti è finito uno dei barbari sognanti, Fabio Rizzi, presidente della commissione Sanità al Pirellone e tra i principali artefici della riforma sanitaria lombarda.
Due giorni fa, Matteo Salvini, altro beneficiario della rottamazione giudiziaria contro i bossiani, ha tuonato contro la magistratura italiana, definita “una schifezza”, in riferimento al rinvio a giudizio del suo fedelissimo Edoardo Rixi (che è anche il vicesegretario della Lega) nell’inchiesta sulla rimborsopoli del consiglio regionale ligure. Frasi che sono costate un’indagine a carico di Salvini, indagato dalla procura di Torino per “vilipendio dell’ordine giudiziario”.
La squadra di Maroni al Pirellone era già stata colpita ad ottobre 2015 dall’arresto del vicepresidente Mario Mantovani (Forza Italia), poi trasferito ai domiciliari, accusato di corruzione e altri reati.
A fine gennaio 2016, il pm Giovanni Polizzi ha chiesto il rinvio a giudizio per Mantovani e, nell’ambito dello stesso filone d’inchiesta, anche per il potente e autorevole assessore al Bilancio della Regione Lombardia Massimo Garavaglia, per il quale l’ipotesi di reato è turbativa d’asta.
Leghista, molto legato al governatore, Garavaglia è stato difeso a spada tratta da Salvini.
Le scope, in casa leghista, sembrano un lontano ricordo.
Spazzati via Belsito, la Mauro e i figli di Bossi, l’epoca del “giustizialismo padano” sembra finita. Ora il nemico è la magistratura.
Come negli anni Novanta, quando Bossi tuonava contro i pm, e avvertiva che “dalle nostri parti i proiettili costano solo 300 lire…”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 17th, 2016 Riccardo Fucile
SAREBBERO QUESTI GLI EMENDAMENTI “NEL MERITO” CHE I CINQUESTELLE PREFERISCONO VOTARE INVECE CHE FAR DECADERE
“Presso gli uffici dello stato civile di ogni comune italiano si fa sesso”.
Gli emendamenti presentati dalle opposizioni sul ddl Cirinnà non mancano di suscitare l’indignazione sui social network (molti poi sono stati ritirati).
Il parlamentare di Forza Italia Malan ad esempio ha proposto questo emendamento: “Presso gli uffici dello stato civile di ogni comune italiano si fa sesso”.
“Non sia mai che un canguro impedisca la discussione di siffatti emendamenti”, scrive un utente su twitter.
I senatori della Lega Nord, infatti, propongono di sostituire l’espressione “unione civile” con “unione renziana”.
O ancora Malan “suggerisce” di sostituire le parole “due persone dello stesso sesso costituiscono” con “una persona costituisce”.
Ancora, Mario Mauro chiede di sostituire “unione civile” con “un’associazione con finalità di assistenza reciproca”
Il “canguro” li avrebbe fatti decadere, i Cinquestelle hanno deciso di no.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 17th, 2016 Riccardo Fucile
L’APPOGGIO DEI 21 DIRIGENTI DI FDI A STORACE E’ L’ULTIMO SCONTRO TRA I DUE, UNA LOTTA CHE VA AVANTI DA DECENNI
La scelta di 21 dirigenti di Fratelli d’Italia di disconoscere la candidatura di Guido Bertolaso dando il loro sostegno a Francesco Storace è solo l’ultimo tassello di una lunga crisi di nervi che da mesi attanaglia il centrodestra romano.
I 21 dirigenti sono stati scomunicati da Giorgia Meloni, che li ha accusati di farsi eterodirigere da Gianni Alemanno, ex di Fdi che ora appoggia Storace.
Intorno alla candidatura dell’ex governatore si sono ritrovati gli ex amici, ma anche gli ex nemici, della destra storica capitolina.
Alemanno, appunto, l’ex sindaco che in passato è stato uno dei protagonisti della “destra sociale”, e Gianfranco Fini, che invece ne è sempre stato lontano.
Storace, altro adepto della “destra sociale”, oltretutto è stato per anni il portavoce e l’addetto stampa proprio dell’ex leader di An.
Storie personali e politiche si intrecciano, si perdono e si ritrovano.
Fini e Alemanno, tra l’altro, hanno preso di recente una bastonata al congresso della Fondazione An: i due volevano utilizzare anche loro le risorse della fondazione per favorire la nascita di un nuovo partito di destra, operazione fatta fallire dall’asse di Giorgia Meloni e Ignazio La Russa con Maurizio Gasparri.
Ma dietro il duello tra il candidato del centrodestra Guido Bertolaso e l’indipendente Alfio Marchini si cela un altro scontro storico della destra capitolina, quello tra Andrea Augello e Fabio Rampelli, i nemici storici del Msi all’ombra del cupolone.
Il primo nasce politicamente raccogliendo l’eredità del fratello Tony, storico consigliere comunale del Msi, molto amato dai giovani del Fronte della Gioventù, con un bel pacchetto di voti nella Capitale e nel suo quartiere, Monteverde.
Morto prematuramente nell’aprile del 2000, suo fratello minore Andrea ne ha raccolto l’eredità politica facendosi eleggere in consiglio regionale per An.
Proprio negli stessi anni in cui veniva eletto alla Pisana anche Rampelli.
Quella di quest’ultimo è una storia diversa, come diverso è il quartiere da cui proviene: Colle Oppio, uno dei più “neri” della Capitale. Qui Rampelli ha fondato la sua corrente, i “Gabbiani”, una sorta di setta con gli adepti che una volta alla settimana si ritrovavano per il “richiamo del corno”: tutti in circolo, gambe larghe e mani dietro la schiena, a recitare inni e letture.
Anche Augello ha la sua passione mistica: quella per i draghi, su cui ha scritto anche un libro nel 2013, “I draghi d’Italia”.
I due sono agli antipodi e, con le loro correnti, da anni si combattono a suon di incarichi non solo a Roma, ma in tutto il Lazio.
E la guerra, continuata con l’ingresso di An nel Pdl, trova il suo apice con l’elezione di Alemanno in Campidoglio e, poi, Polverini in Regione: in entrambi i casi Augello e Rampelli siglano armistizi per aiutare i candidati del centrodestra, salvo poi spartirsi le poltrone e continuare la guerriglia dopo la vittoria.
Con l’implosione del partito berlusconiano, infine, scelgono squadre diverse: Rampelli entra in Fdi e ne diventa uno dei pilastri, Augello sceglie il Nuovo Centrodestra di Alfano, salvo andarsene un paio di mesi fa accusando il ministro dell’Interno di essersi ormai spostato a sinistra.
Entrato in Gal, Augello è diventato uno dei maggiori sponsor della candidatura Marchini, ritrovandosi con Alfano. Anche per questo motivo, Rampelli non ha mai preso in considerazione l’opzione Marchini, sostenuto dal suo più acerrimo nemico, optando per Bertolaso.
Come ai vecchi tempi del Msi, dunque, dove sta uno non sta l’altro.
“Bertolaso non va neanche al ballottaggio”, il commento tranchant di Augello dopo la scelta di Berlusconi. “Marchini è lontano da noi anni luce, era impossibile sostenerlo”, le parole di Rampelli.
E così, come sempre, i due si ritrovano su fronti opposti. A farsi la guerra, schierando sul terreno le rispettive correnti.
Mentre Storace, che non ha nulla da perdere (e qualcosa da guadagnare) se la ride.
Gianluca Roselli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 17th, 2016 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA CASSAZIONE CANZIO REPLICA ALLE INGIURIE DEL LEADER DELLA LEGA
Attacchi “pericolosi per la democrazia e la collaborazione tra poteri dello Stato”. Sdegno per le parole del leader della Lega Salvini, che aveva definito la magistratura italiana una ‘schifezza’, è stato espresso dal primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio, e dal pg Pasquale Ciccolo, nel corso del Plenum del Csm. “Delegittimare un potere dello Stato con parole offensive e denigratorie fa molto male alla democrazia”, ha detto Canzio, “esprimendo amarezza per le frasi pesantemente offensive”.
“Credo nella leale collaborazione tra le istituzioni ed i poteri dello Stato. Questa si fonda sul reciproco rispetto e sulla giusta misura di gesti e parole”, ha aggiunto Canzio.
Al presidente della Cassazione ha fatto eco il procuratore generale Ciccolo. “Attacchi indiscriminati e gratuiti sono pericolosi – ha sottolineato il pg – rischiano di incidere sulla fiducia nella funzione giudiziaria che è esigenza fondamentale del vivere civile. Il continuo discredito che si getta sulla magistratura è pericolosissimo”.
“Ci vorrebbe un’attenzione maggiore – ha concluso – perchè non possiamo mettere in crisi la fiducia dei cittadini italiani nei confronti della giustizia”.
“La tutela dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura è un dovere costituzionale del Csm – ha aggiunto il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini- per questo abbiamo il dovere di stigmatizzare quelle gravi e offensive espressioni nei confronti della magistratura.
Prendiamo atto che, con anni di ritardo, la Magistratura italiana si è resa conto del “pericolo” che certe affermazioni del leader leghista contengono, non solo però perchè rivolte alla “istituzione giustizia”, ma soprattutto in termini di “istigazione sociale”.
Non riteniamo certo possa costituire un pericolo concreto per la democrazia chi scappa a gambe levate davanti a dieci ragazzotti, ma le sue ingiurie quotidiane costituiscono un alibi per replicanti babbei.
Basterebbe che la magistratura ogni giorno denunciasse chi istiga all’odio razziale sui social in base alle norme vigenti e il problema sarebbe risolto in un paio di mesi, con tanto di pignoramento dei beni, delle proprietà e carcerazione minima di due anni senza condizionale.
E il web sarebbe ripulito dalla fogna e da chi la alimenta con getti quotidiani di escrementi in violazione delle leggi vigenti (dalla violazione della legge Mancino alle ingiurie, minacce e apologia di reato).
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Febbraio 17th, 2016 Riccardo Fucile
“HO SENTITO LA FRASE OMOFOBA”: UNA DIPENDENTE DELLA REGIONE SCRIVE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE PER CHIEDERE DI ESSERE ASCOLTATA, MA LUI NON RISPONDE
Una frase che si è stampata indelebile nelle menti di chi assicura di averla sentita, tanto da spingerlo a scrivere una lettera al presidente del consiglio Regionale, Francesco Bruzzone, per ribadire quanto sostenuto dai primi a denunciare il fatto: Giovanni De Paoli avrebbe effettivamente pronunciato la frase «Se avessi un figlio gay lo brucerei nella caldaia», stando alla testimonianza di una dipendente della Regione che lo scorso venerdì si sarebbe rivolta a Bruzzone per chiedere provvedimenti.
Ricordiamo che già altri quattro testimoni lo avevano confermato.
Il caso De Paoli era scoppiato lo scorso 10 febbraio, quando secondo alcune testimonianze il consigliere leghista, presente alla commissione regionale convocata per discutere sulla legge regionale in materia di famiglia, si sarebbe rivolto ad alcuni rappresentati dall’associazione Agedo (Associazione Genitori Di Omosessuali) pronunciando l’ormai famosa frase da cui anche il leader del Carroccio, Matteo Salvini, ha preso le distanze chiarendo che «chi dice una cosa così ha dei problemi».
A poco è servita la spiegazione di De Paoli, che ha parlato di un fraintendimento sostenendo di avere detto in realtà «Se avessi un figlio gay non lo brucerei nella caldaia»: per i rappresentanti delle associazioni presenti le parole sono state inconfondibili.
Una versione ora confermata anche dalla dipendente regionale che ha sentito il dovere di scrivere una lettere a Bruzzone, presidente del consiglio Regionale (anche lui leghista e inquisito per i rimborsi pazzi) per ribadirlo.
E che da venerdì non avrebbe ancora ricevuto una risposta, mentre la polemica continua a infuriare e le firme alla petizione che chiede le dimissioni di De Paoli salgono vertiginosamente.
Sulla questione è intervenuto anche il Movimento 5 Stelle, con i portavoce in Regione Alice Salvatore e Andrea Melis, che in una nota hanno espresso «massima solidarietà alla dipendente della Regione che, con grande senso civico, ha denunciato di aver ascoltato la frase che De Paoli avrebbe pronunciato a margine della Commissione. In cambio nessun riscontro o risposta ufficiale. Eppure era stato lo stesso Bruzzone a invitare eventuali testimoni, tra i dipendenti regionali, a farsi avanti. Solo una dichiarazione di facciata, un pro forma per mostrare il pugno duro, salvo poi tirare indietro la mano di fronte a una verità troppo scomoda?».
(da Secolo XIX – Genova Today)
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Febbraio 17th, 2016 Riccardo Fucile
DAL SISTEMA FORMIGONI AL SISTEMA MARONI: TRA GLI ARRESTATI UN ALTRO LEGHISTA DI VARESE, CANDIDATO MARONIANO ALLA SEGRETERIA
Dalle intercettazioni e dagli atti dell’inchiesta della Procura di Monza sulle tangenti nella sanità lombarda (21 arresti dei carabinieri) emerge che il consigliere regionale lombardo ed ex senatore leghista Fabio Rizzi (arrestato, mentre la compagna è ai domiciliari) percepiva “circa 8.000 euro” al mese e “di questi ne versa 1.500 alla Lega Nord e 5mila di mutuo”.
E proprio per pagare quel mutuo, come risulta da una telefonata tra il politico e la compagna, Rizzi era in attesa di “operazioni giuste” con cui sarebbe riuscito “a estinguere i mutui”.
“Un paio di milioni a testa”.
In particolare, come emerge da un’intercettazione dell’8 agosto scorso, Rizzi spiegava che “dall’ospedale pediatrico, cioè dall’ospedale in Brasile, potrebbero venir fuori un paio di milioni a testa”.
E ancora diceva alla compagna, Lidia Pagani: “Ci sono due o tre operazioni grosse in ballo”.
E la moglie: “Sì, ma cosa intendi per grosse? Come entrata…”.
Rizzi: “Qualche milione di euro”.
Pagani: “Da dividere in quanti?”.
Rizzi: “Tre”.
E parla anche di “una compravendita di zucchero per la Russia”.
In Lombardia, dal sistema Formigoni si è passati al sistema Maroni: da quando si è insediato, sei indagini hanno riguardato il sistema regionale.
Rizzi è stato a lungo nell’organigramma della Lega a partire da Varese, roccaforte del movimento, fino a diventare vicesegretario lombardo. E da Varese viene anche un altro degli arrestati, Donato Castiglioni, in passato candidato maroniano contro il candidato bossiano alla segretaria provinciale del Carroccio.
Quindi nell’inchiesta è finito un “pezzo” importante di Lega.
(da agenzie)
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Febbraio 17th, 2016 Riccardo Fucile
TROPPE BALLE SULLA CIRINNA’: AGLI ITALIANI VIENE FATTO CREDERE CHE UNA COPPIA GAY POTREBBE ADOTTARE UN FIGLIO ESTERNO, MA NON E’ COSI’… QUALCUNO AVRA’ SULLA COSCIENZA CENTINAIA DI BAMBINI SENZA DIRITTI CHE FINIRANNO NEGLI ORFANOTROFI, COSI’ QUALCUNO POTRA’ MOLESTARLI LIBERAMENTE
La «Cirinnà », con grave ritardo rispetto al resto d’Europa, si limita a regolare una situazione già esistente. In Italia ci sono centinaia di creature con un solo genitore biologico che ha un compagno o una compagna del suo stesso sesso.
Cosa succederebbe se il genitore morisse e l’adozione del figliastro da parte del partner non entrasse in vigore?
Che quei bambini e adolescenti verrebbero strappati alla famiglia che li ha cresciuti e ributtati sulla giostra degli orfanotrofi.
Prima di dare qualsiasi risposta è sempre utile capire quale sia la domanda. E qui la domanda è: quei bambini vanno tutelati, sì o no?
Nella stragrande maggioranza delle nazioni occidentali l’adozione del figliastro è da tempo un’ovvietà che non ha affatto disintegrato la famiglia tradizionale, tanto è vero che in quei Paesi nascono molti più figli che nel nostro.
E forse nascono perchè l’attenzione verso la famiglia tradizionale si esprime in politiche fiscali e servizi sociali adeguati. Non limitandosi a impedire ad altre famiglie di esistere.
La contrapposizione tra guelfi e ghibellini del sesso è fuori dalla Storia e ormai anche dalla cronaca. In una democrazia i diritti non si elidono, si aggiungono.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Febbraio 17th, 2016 Riccardo Fucile
GIUDA A CINQUESTELLE: I FAVOREVOLI ALLA CIRINNA’ SI MOBILITANO E VOLANO PAROLE GROSSE NEI CORRIDOI DI MONTECITORIO
Il “Vaffa” si ritorce contro i grillini.
La comunità Lgbt si sta mobilitando per esprimere tutta la sua rabbia nei confronti del Movimento 5 Stelle. La bocciatura M5S del “canguro” per saltare a piè pari la discussione sui 7-800 emendamenti rimasti sul ddl Cirinnà ha di fatto causato lo slittamento delle unioni civili di una settimana nel dibattito in corso al Senato.
E ora la sorte del ddl si è fatta più incerta che mai. I numeri sono a rischio.
E gli attivisti Lgbt non perdono tempo per manifestare tutto il loro disappunto: “Ora che Grillo è più democristiano, il Vaffa Day Gay lo organizzeremo noi. In queste ore stiamo facendo il punto tra tutte le associazioni, ma pensiamo di lanciare presto una giornata di manifestazioni di piazza”, afferma Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center.
“Dal Senato è venuta una pagina veramente triste. Le unioni civili sono un fatto di democrazia e di civiltà , non una guerra tra i partiti e i partitini”, aggiunge Marrazzo. Alcuni attivisti lanciano già per stasera un raduno al teatro Brancaccio di Roma dove è in scena lo spettacolo del leader dei Cinque Stelle “Grillo vs Grillo”.
“Invitiamo tutti, romani e non a radunarsi domani a partire delle ore 20.00 davanti al teatro Brancaccio, via Merulana 244, per contestare duramente, ma democraticamente e senza violenza, il buffone a 5 stelle”, si legge sul sito gaiaspia.
Anche al Senato le associazioni Lgbt hanno attaccato i Cinque Stelle. Nel Transatlantico di Palazzo Madama è partita la protesta degli attivisti Lgbt nei confronti dei grillini.
Da una parte la ex deputata dem Anna Paola Concia e alcuni delegati dell’Arcigay e dall’altra i senatori M5S Paola Taverna e Alberto Airola.
Concia ha contestato ad Airola “di aver posto un problema procedurale” contro il cosiddetto super-canguro “sulla mia pelle”, così dovremo stare un mese a sentire Gasparri che insulta Lo Giudice…vi siete presi la responsabilità di non prendervi responsabilità “.
(da “Huffingtonpost”)
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