Febbraio 24th, 2016 Riccardo Fucile
IERI ALTRI 116 CONDANNATI ALLA PENA CAPITALE, SONO 45.000 I PRIGIONIERI POLITICI, 1.500 LE PERSONE SPARITE
Tra i tavoli dei bar del Cairo, mentre fino a qualche giorno fa tutti gli avventori citavano Giulio e la necessità di fare chiarezza, ora il clima è cambiato.
«L’Italia non fa la voce grossa», si sente ripetere. In verità , due sono i motivi per cui il pressing del governo Renzi sul presidente al-Sisi non sembra affatto significativo.
L’Italia è pronta a sostenere l’Egitto in caso di guerra in Libia.
Questo è ormai uno dei punti più delicati della politica estera italiana dopo la formazione di un governo di unità nazionale che non accenna a decollare e i raid Usa su Sabrata.
In secondo luogo, gli accordi economici per lo sfruttamento dei giacimenti di gas Eni, a largo di Port Said, sono tra le priorità in politica economica.
Ieri il ministero del Petrolio egiziano ha dato il via libera definitivo ad Eni per lo sviluppo di Zohr XI, la storica scoperta dello scorso settembre che cambierà gli equilibri economici nel Mediterraneo orientale.
Pochi giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Giulio Regeni era prevista proprio la firma dei contratti attuativi per procedere con i lavori, che dovrebbero chiudersi entro il 2017, tra Eni e autorità egiziane.
Tutto questo rende la verità nel caso Regeni più difficile da esigere e nelle mani delle autorità egiziane che hanno tutto l’interesse a depistare e insabbiare il caso.
Nei giorni scorsi, gli egiziani erano tornati a protestare proprio sulla scia dell’indignazione per la morte del giovane dottorando italiano.
Dopo le richieste di fare chiarezza sulla vicenda, avanzate la scorsa domenica dal premier Renzi, il ministro dell’Interno, Abdel Ghaffar, ha fatto riferimento all’intesa con l’Italia e alla necessità di «arrestare i responsabili».
Ma sembra che le autorità egiziane non vogliano collaborare davvero con il team di investigatori italiani (Ros, Sco e Interpol), che si trova ormai da quasi tre settimane al Cairo. Gli inquirenti resteranno ancora, come richiesto anche dalla famiglia del giovane friulano in un’intervista rilasciata nei giorni scorsi.
L’Egitto è tornato ad alzare la voce per gli abusi compiuti dalla polizia.
Decine di familiari di prigionieri politici e desaparecidos si sono radunati alle porte del Sindacato dei giornalisti per chiedere «processi giusti».
Alcuni dei manifestanti tenevano tra le mani le foto dei loro familiari, detenuti nella prigione di al-Aqrab, quasi tutti processati da tribunali militari e condannati a morte.
Non solo, i dirigenti del Centro per la riabilitazione delle vittime di Violenza e Tortura (Nadeem) hanno annunciato che resisteranno al provvedimento di chiusura della clinica, disposta direttamente dal governo.
Secondo Amnesty International sono 41mila i prigionieri politici in Egitto, circa 1500 i casi di sparizioni denunciate e migliaia le condanne a morte.
Solo ieri il Tribunale del Cairo ha condannato a morte 116 persone per gli scontri del 3 gennaio 2014 tra sostenitori dei Fratelli musulmani e polizia che causarono 13 vittime. Tra i condannati a morte figurerebbe anche un bambino di quattro anni che all’epoca dei fatti ne aveva due.
Questo dimostra ancora una volta che i giudici procedono a condanne sommarie senza neppure studiare i casi dei condannati o leggere i nomi degli imputati in aula.
In una lettera dal carcere, uno dei leader del movimento 6 aprile, Ahmed Maher, ha criticato la repressione che ha impedito migliaia di egiziani di tornare a protestare contro il regime militare lo scorso 25 gennaio.
Nel giorno in cui Giulio Regeni è sparito, quinto anniversario dalle rivolte del 2011, non ci sono state significative manifestazioni di piazza.
E dopo le proteste dei giornalisti e gli arresti di comici e fumettisti, ieri lo scrittore Ahmed Naji è stato arrestato dopo aver subìto una condanna a due anni di prigione per linguaggio osceno.
Le accuse si riferiscono al suo ultimo romanzo Istikhdam al-Hayah (Usando la vita) del 2014. Naji ha respinto le accuse.
Secondo lo scrittore, autore di Rogers (2007), i giudici continuano a riferirsi al testo come a un articolo mentre si tratta di uno dei capitoli del suo libro.
Anche il caporedattore del quotidiano Akhbar al-Adab, Tarek al-Taher, che lo ha pubblicato, dovrà pagare una multa di 1500 euro.
Il sindacato dei giornalisti ha definito la sentenza un attacco all’«immaginazione degli scrittori».
Giuseppe Acconcia
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Febbraio 24th, 2016 Riccardo Fucile
IL PREFETTO DI ROMA AVEVA PROVATO A TRATTARE SERIAMENTE IL PROBLEMA DEI CAMPI ROM: SUBITO INSULTATO DALLA MACCHIETTA PADANA
Il prefetto della capitale stamane aveva affrontato il problema dei campi rom, dati alla mano: “In città abbiamo 57 insediamenti: 44 tra abusivi e tollerati; 13 autorizzati. Dalla fine della giunta Alemanno il Comune non ha speso un soldo perchè non li aveva. La giunta Alemanno li ha spesi non perchè era più sensibile ma perche c’era l’emergenza. Quindi non sono stati più governati, sono diventati terra di nessuno”.
“Io credo che sia un tema reale – ha spiegato – e molto trasversale che incide sulla vita dei cittadini, proprio per i roghi tossici, per il rovistaggio e perchè molte di queste persone sono dedite ad attività illegali”.
“Anche questa città ha i suoi anticorpi e non necessariamente bisogna assumere farmaci di provenienza nordica per dare risposte – ha continuato Gabrielli, durante un incontro sulla sicurezza partecipata alla Camera di Commercio – Questa città ha problemi antichi e stratificati che originano da difficoltà interne e contingenze ma alla fin fine anche il tanto di buono che c’è viene soffocato da una narrazione che non le rende giustizia”.
Per Gabrielli la politica “è il luogo nel quale i problemi si affrontano, sicuramente non vanno affrontati dal punto di vista securitario. Gli sgomberi fini a loro stessi non portano da nessuna parte. I campi rom sono un tema reale, che non appartiene a uno schieramento o a un altro. Io ho provato a chiedere alla Procura se si potesse applicare ai roghi tossici la legge sulla terra dei fuochi. Ringrazio la procura per la grande disponibilità , il procuratore Pignatone ma il problema è che la tipologia di questi roghi, i soggetti che lo pongono in essere e le modalità sono di difficile traduzione sotto il profilo penale. Il tema è anche quello di evitare il crearsi di discariche abusive, perchè spessissimo i roghi non sono di rifiuti che provengono dal campo rom ma quelli di chi fa smaltimento illegale”.
Sul tema dei rom “serve un interlocutore forte e duraturo che non ho avuto in questi 11 mesi. Ora abbiamo un commissario straordinario che, per quanto possa impegnarsi ha, però, una visione prospettica limitata. Ci vogliono impegni di spesa anche significativi che un commissario per sua natura non può dare”, ha concluso il prefetto.
Parole che, ammesso siano state capite, non sono piaciute a Salvini che ha risposto: “Il prefetto Gabrielli a Roma ha fallito totalmente. Sia licenziato e cambi lavoro”.
Almeno Gabrielli potrebbe “cambiare” professione, avendo sempre lavorato in vita sua, a differenza di altri che non sanno cosa sia lavorare.
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Febbraio 24th, 2016 Riccardo Fucile
“MARCHETTE PER 30 ANNI”: CONTATTI CON VARI POLITICI
Un interrogatorio drammatico, con molte lacrime e decine di pagine di verbale.
Sette ore davanti al pm di Monza.
Paola Canegrati, la zarina dei denti arrestata il 16 febbraio scorso dalla Procura di Monza assieme ad altre otto persone tra le quali il consigliere regionale leghista Fabio Rizzi, ha risposto a tutte le domande, mettendo nero su bianco, per la prima volta, l’intero sistema delle tangenti. La regina dell’odontoiatria ha parlato per ore.
“Una collaborazione netta e precisa”, ha commentato nel pomeriggio il suo legale Leonardo Salvemini. Sul tavolo c’è tantissimo. Soprattutto il rapporto con la politica.
“Abbiamo appena iniziato”, ha spiegato il suo avvocato.
Tanto che la Canegrati e il pubblico ministero Manuela Massenz si sono date appuntamento sempre nel carcere di San Vittore tra due giorni.
In sette ore di verbale la signora è riuscita a cristallizzare alcuni capi d’imputazione. In certi casi l’ammissione è stata totale, in altri non ha chiarito. Ha parlato di molte assunzioni fatte ad hoc.
Ma ancora altro ci sarà da dire. Per questo la Procura le ha concesso del tempo per riflettere.
“Io ho battuto tutti”
Ma che siamo solo all’inizio del film lo si capisce leggendo le nuove carte depositate dai magistrati. Il 5 febbraio 2015, la dama delle gengive è al telefono con il commercialista.
Discutono dei rapporti con i funzionari della Pubblica amministrazione. Dice l’uomo: “Certo cazzo Paola che li conosci proprio tutti”. La signora della sanità risponde a lettere chiarissime: “Mirco, cazzo sulle spalle c’ho trent’anni di marchette”.
Ancora più esplicita: “Ho fatto trent’anni di marciapiede, ho battuto tutti”. E del resto questo continuo “battere” i vari canali ha portato la Canegrati a espandere (o a progettare) il suo business fuori dalla Lombardia.
Di Friuli, Piemonte e Liguria si è già detto. Ora dalle intercettazioni emergono i piani per entrare nella sanità di Umbria, Abruzzo e Molise.
Nel 2014, una sua collaboratrice spiega al telefono “che dovrà parlare con il presidente della regione Umbria e che in Abruzzo ci sono delle cliniche convenzionate e che dovrebbe incontrare il presidente della Regione Giovanni Chiodi del Pdl”.
“Il nemico giusto”
Lady Dentiera pensa in grande. Non sono da meno, i suoi referenti politici della Lega nord.
Con Mario Longo, depositario degli intrecci societari all’estero, che progetta di sbarcare in Cina per speculare su alcuni outlet di lusso. Longo è un uomo molto impegnato. Più dagli affari che dalla politica. Anche se poi è la politica che serve agli affari.
Lo spiega al faccendiere Lorusso nel marzo 2015. “Dice — annotano i carabinieri — che ora può fare quello che vuole perchè ha rinunciato a tutti i contratti pubblici”. Questo, però, non gli impedisce di andare in Regione.
Spiega che “continua ad agire politicamente perchè Tosi (il sindaco di Verona, ndr) gli ha offerto di essere il suo referente per la Lombardia”. E del resto lui è uno dalle tante amicizie.
Non ultima quella con Diana Bracco, vicepresidente di Confindustria e presidente di Expo. In auto spiega che “Diana Bracco è stata sua testimone di nozze” e che sempre l’ad dell’omonimo gruppo farmaceutico ha rapporti con Bruno Caparini, uno dei padri fondatori della Lega.
Dopodichè, quando il partito non ci arriva, si chiede al “nemico politico”. Sul tavolo “90mila euro” per l’appalto in un ospedale del Comasco. Spiega Longo: “Ghe pensi mi (…) se non hai amici devi chiamare il nemico giusto (…), abbiamo un nemico che lavora per noi”.
Il riferimento è a un personaggio “che è in politica da 40 anni ed era l’uomo di fiducia di Michele Colucci”. Quest’ultimo è stato ex capogruppo socialista della Regione Lombardia. Suo fratello Francesco è stato per anni deputato questore a Montecitorio.
Lobbisti in Europa
In questo modo la cerchia della cricca si allarga. E oltre a Tosi, le intercettazioni mettono nero su bianco il nome di Mario Borghezio. Il parlamentare europeo entra da non indagato nell’inchiesta Smile per un affare che Rizzi vuole mandare in porto. Siamo sempre nella primavera del 2015.
Annotano gli investigatori: “Rizzi si sta prodigando, anche grazie al parlamentare europeo Mario Borghezio, per far ottenere a Mauro Morlè, suo uomo di fiducia in Sardegna, un tesserino da lobbista e un incarico di consulente del gruppo parlamentare europeo della Lega per la Commissione Caccia e Pesca”.
Spiega Rizzi: “Con il gruppo può andare e venire tutte le volte che vuole con vitto e alloggio assicurato”. Insomma il film è solo all’inizio. A Milano in molti tremano.
Davide Milosa
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 24th, 2016 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE DI MESSINA ACCOGLIE IL RICORSO: “FONDATI 6 RILIEVI SU 13”
Il tribunale di Messina ha rinviato alla Corte Costituzionale l’Italicum, facendo propri 6 dei 13 motivi di incostituzionalità proposti dai ricorrenti.
I ricorsi erano stati presentati in più tribunali italiani.
La prima reazione è quella del ministro dell’Interno Angelino Alfano. “Non mi stupisce. Siamo in Italia… — dice — Dove una legge prima di diventare vigente è già mandata alla Consulta. Io considero le leggi elettorali come modi per contare i voti che però vanno effettivamente presi…”.
L’Italicum è stato approvato dal Parlamento il 4 maggio scorso e la sua entrata in vigore è prevista per luglio 2016.
Il ricorso presentato a Messina è uno dei 18 depositati in diversi tribunali italiani. Un’iniziativa nata nell’ambito del Coordinamento democrazia costituzionale, in cui si è costituito un gruppo di avvocati anti-Italicum coordinati dall’avvocato Felice Besostri, già protagonista della battaglia contro il Porcellum, poi dichiarato incostituzionale dalla Consulta.
A curare il ricorso presentato a Messina, l’avvocato e vice-coordinatore del pool, Enzo Palumbo.
Su 13 motivi di incostituzionalità proposti, sei sono stati fatti propri dal giudice nell’ordinanza di rimessione, e tra questi — spiega lo Besostri — anche quelli relativi al premio di maggioranza e alla mancanza di soglia minima per il ballottaggio.
Nell’ordine i dubbi di costituzionalità riguardano: il “vulnus al principio di rappresentanza territoriale“; il “vulnus al principio di rappresentanza democratico“, punto connesso col premio maggioranza; la “mancanza di soglia minima per accedere al ballottaggio”; la “impossibilità di scegliere direttamente e liberamente i deputati”, questione legata ai capilista bloccati e quindi nominati dalle segreterie dei partiti; le “irragionevoli soglie di accesso al Senato residuate dal Porcellum”; la “irragionevole applicazione della nuova normativa limitata solo alla Camera dei Deputati, a Costituzione invariata“, e non al Senato.
Secondo Paolo Grossi, presidente della Consulta eletto proprio oggi, si può “giungere ad una decisione in un tempo relativamente breve”.
Grossi ha ricordato che la Corte riesce a decidere rapidamente: gli arretrati sono pochi, quindi i tempi dovrebbero essere brevi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 24th, 2016 Riccardo Fucile
LA PROVA DEL VOLTAFACCIA DEI CINQUESTELLE
Lunedì 15 febbraio, compleanno di Monica Cirinnà .
Alle 20,56 dal cellulare di uno dei quattro senatori del M5S che seguono la legge sulle unioni civili parte un messaggio netto, chiaro e inequivocabile all’indirizzo della relatrice del ddl.
«Ok, stasera il mio gruppo di lavoro sul tuo ddl ha raggiunto ufficiosamente l’accordo di votare il Marcucci sia integro che spacchettato. Ovviamente mancheranno 2-3 nostri sulla lettera F, sulla step, ma gli altri ci sono. Domattina abbiamo la riunione di gruppo che ratificherà la decisione. Fino ad allora tienitelo per te, mi raccomando, poi domattina lo diremo noi ufficialmente. Grazie, in bocca al lupo anche a te».
A scrivere, come detto, è uno dei quattro Cinquestelle che si sono incaricati del confronto col Pd sulla legge per le unioni civili. Sono Airola, Buccarella, Cappelletti e Giarrusso.
Non specifichiamo l’autore del messaggio per una ragione banale: il M5S ha dimostrato in più occasioni di essere estremamente rapido nel decidere espulsioni sommarie dei suoi membri e non spetta a chi scrive favorire quel tipo di esiti.
Quel che accade dopo l’invio di quel messaggio è che il contenuto viene comunicato al capogruppo Zanda, il quale basa la sua strategia in aula sulla rassicurazione ricevuta dai Cinquestelle: con loro i numeri ci sono e la legge si può portare a casa in quarantotto ore.
Le cose, come sappiamo, andranno diversamente.
La mattina successiva accade qualcosa.
Fitti scambi di messaggi tra Milano e Roma, tra Camera e Senato, tra gruppi della comunicazione.
L’assemblea dei senatori M5S resta vaga e dubbiosa. Non si arriva in Aula con un mandato chiaro per i dubbi di molti sull’opportunità di votare il canguro di Marcucci. Così, quando Gian Marco Centinaio rinuncia agli emendamenti, i Cinquestelle finiscono nel panico e decidono di non votare il canguro.
«Hai fatto bingo», si complimenta Roberto Calderoli guardando i banchi del M5S.
I Cinquestelle ancora ieri mattina respingevano questa ricostruzione.
Durante una conferenza stampa convocata al Senato a domanda diretta il presidente della Vigilanza Rai, Roberto Fico, ha negato che qualunque esponente del M5S abbia mai dato rassicurazioni al Pd sull’intenzione del gruppo Cinquestelle al Senato di votare a favore del canguro di Marcucci.
Il messaggio che pubblica «La Stampa» prova il contrario.
Francesco Maesano
(da “La Stampa”)
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Febbraio 24th, 2016 Riccardo Fucile
ABITUATI COME SONO A CAMBIARE TRE PARTITI A LEGISLATURA, SI SONO PREOCCUPATI DI STRALCIARE L’OBBLIGO DI FEDELTA’ SULLE UNIONI CIVILI… PROTESTE IN PIAZZA DEL MONDO LGBT
“Hai svenduto i nostri diritti per il tuo governo! Non vi voteremo più!”. Si fa fatica a trovare commenti positive all’annuncio via twitter fatto dal premier Matteo Renzi sull’accordo “storico”.
Il Partito Democratico e Alleanza Popolare hanno trovato un’intesa sul maxi-emendamento al ddl Cirinnà per regolare le unioni civili.
Come era emerso nei giorni scorsi, tra le varie modifiche al testo iniziale c’è lo stralcio della stepchild adoption, l’adozione del figlio del partner.
I movimenti Lgbt sono insorti. Al grido di ‘Vergogna, vergogna’ i manifestanti per i diritti Lgbt hanno provato a raggiungere il Senato, ma sono stati fermati dalle forze dell’ordine a 300 metri da Palazzo Madama.
I manifestanti si sono quindi seguiti in terra ed hanno bloccato Corso Rinascimento.
La stepchild adoption era considerata un pilastro irrinunciabile e lo stralcio ha inevitabilmente scatenato una protesta rabbiosa. Cartelloni, canti, bandiere. E tanti cori: “Vergogna, vergogna!”, ma anche “Non ce la facciamo più!”.
C’erano diverse associazioni in strada: circa 200 persone, provenienti da tutt’Italia – rappresentanti di Arcigay, Arcilesbiche, Famiglie arcobaleno, Rainbow, per citarne alcune.
Quando il senatore Sergio Lo Giudice esce in strada per incontrare i movimenti e i giornalisti, la sua voce viene ricoperta dalle grida: “Buffoni, buffoni”.
C’è un corto circuito se il tweet festoso del premier “L’accordo sulle unioni civili è un fatto storico per l’Italia. È davvero #lavoltabuona” incontra i peggiori commenti.
“Le unioni ci sono, manca solo la civiltà che avete tolto, ma come si fa a vantarsi di una schifezza simile?”, scrive un utente.
E un altro: “Questo tweet dimostra che a te non fregava una legge dignitosa. A te fregava poter dire “ho fatto io la legge””.
E via, anche insulti.
“Ma fatto storico di cosa? Il passaggio dal Paleolitico Intermedio al Paleolitico Superiore?”, twitta Guglielmo al premier. E ancora: “Stralciata in questo modo non fa altro che aumentare la discriminazione in un paese già altamente retrogrado. Delusione massima”.
Lo scrittore Carlo Gabardini aveva twittato poco prima del via libera all’accordo: “Signori Senatori PD state facendo riscrivere la #Cirinnà all’NCD, permettendogli di insultarci attraverso una legge. Non vi perdoneremo mai”.
Mentre la filosofa Michela Marzano, deputata del Pd, aveva messo in guardia: “Se c’è lo stralcio della stepchild adoption lascio il Pd”.
“Che lo Stato, tramite Alfano, metta le mani nelle mutande è alquanto inquietante. Ma ancora di più il pregiudizio secondo il quale per non assomigliare al matrimonio le coppie gay non debbano essere fedeli e possano continuare tranquillamente ad essere promiscue, come dice il pregiudizio storico verso gli omosessuali”, ha dichiarato Franco Grillini, esponente del movimento lgbt e presidente di Gaynet.
“A quanto pare oltre alla stepchild adoption, che in paesi civili come la Francia, la Germania, il Regno Unito è addirittura automatica, Alfano ha imposto di togliere al testo del ddl Cirinnà , per il maxiemendamento finalizzato alla fiducia, anche la ‘fedeltà ‘ sessuale come requisito di coppia per le unioni civili, perchè sarebbe una caratteristica esclusiva del matrimonio eterosessuale – commenta ironicamente – E così avremo le corna legali mentre per le coppie etero no”, continua sospendendo il giudizio in attesa di leggere il testo.
“L’emendamento sul quale il governo si appresta a chiedere fiducia in aula è una dichiarazione di resa, incondizionata, un insulto alla dignità delle persone perchè frutto di strategie che svendono le vite di tutti e tutte – commenta Arcilesbica – e il risultato sarà quello di tenere in piedi una legge per fare campagna elettorale e proclami di tenuta del governo ci troveremo di fronte ad uno scempio agito, deciso, sulle vite, sui corpi di cittadine e cittadini di questo paese”.
(da “Huffifngtonpost”)
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Febbraio 24th, 2016 Riccardo Fucile
LA CORTE COSTITUZIONALE BOCCIA GIUSTAMENTE UNA LEGGE IDIOTA DELLA REGIONE LOMBARDIA CHE DISCRIMINA IN BASE AL CREDO RELIGIOSO… ERA STATA BOCCIATA TRE VOLTE DALL’UFFICIO LEGISLATIVO DELLA REGIONE, DALL’ANCI E DA 11 CONFESSIONI RELIGIOSE, COMPRESA QUELLA CATTOLICA… ORA SI CHIEDANO I DANNI A CHI L’HA FIRMATA E CHI INSULTA LA CONSULTA VENGA DENUNCIATO IN BASE ALLE LEGGI VIGENTI
“E brava la Consulta islamica” scrive Matteo Salvini su Twitter mentre Roberto Maroni, sempre sui social afferma che “ora la sinistra esulta: Allah Akbar”.
Ma le cose non stanno così, semmai esultato le 11 confessioni religiose, compresa quella cattolica, che avevano espresso parere negativo su una legge idiota che discrimina in base al credo religioso.
La reazione isterica della Lega Nord in Lombardia dopo la decisione della Consulta di bocciare la cosiddetta ‘legge anti-moschee’, legge approvata qualche mese fa in Consiglio regionale con i voti della sola destra e subito impugnata dal governo Renzi, dimostra che si trattava di una legge di becera propaganda, priva di basi giuridiche.“Non ci voleva un esperto per capire che quel testo violava in più punti la Costituzione Italiana sul diritto di culto”, ha aggiunto il M5S lombardo, “come ricordato in ben tre pareri dell’ufficio legislativo del consiglio regionale ed ignorato dalla maggioranza, così come la voce di Anci Lombardia e delle undici confessioni religiose audite, compresa quella cattolica”.
Tanto per capire di cosa si trattava, entriamo nel merito.
Si tratta di tutta una serie di norme umoristiche, volte a impedire che si possa erigere un luogo di culto: riferimenti al “rispetto del paesaggio lombardo” come condizio sine qua non, “ulteriore controllo da parte di una Consulta regionale” solo per le moschee, una ridicola “valutazione ambientale strategica” per garantire che sorgano in aree a una “distanza minima” da altri, “una superficie di parcheggi pari ad almeno il doppio di quella dell’edificio”, “impianti di videosorveglianza collegati con le forze dell’ordine” e altre corbellerie di questo genere.
Quanto sta costando questa messa in scena propagandistica ai contribuenti?
E’ ora che la Corte dei Conti faccia pagare di tasca propria ai consiglieri che l’hanno votata la loro propaganda elettorale personale.
E sarebbe anche ora che chi insulta le istituzioni venga denunciato in base alle norme vigenti.
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Febbraio 24th, 2016 Riccardo Fucile
SCOPERCHIATE LE BALLE DI SALA, LA RELAZIONE DEL CDA E DEL COLLEGIO DEI SINDACI RIVELA: “CI SIAMO MANGIATI IL CAPITALE, RESTANO SOLO 4 MILIONI”
Il candidato sindaco di Milano del Pd, Giuseppe Sala, ha un bel dire che non c’è nessun buco Expo.
La società che ha gestito l’esposizione universale meneghina ha chiuso il 2015 con un rosso di 32,6 milioni di euro.
A smentire Sala è lo stesso Sala. O meglio, il consiglio di amministrazione di Expo 2015 da lui guidato, che lo scorso 18 gennaio ha messo nero su bianco la cifra in una relazione che è stata discussa dai soci il 9 febbraio scorso.
Dove si legge anche che “in considerazione delle spese strutturali previste nei primi mesi del 2016 (quantificabili in 4 milioni mensili), è probabile una ricaduta nelle previsioni dell’articolo 2447 del codice civile durante il mese di marzo”.
In altre parole, secondo i calcoli del consiglio guidato dallo stesso Sala, da febbraio 2016 le disponibilità liquide di Expo 2015 si sono esaurite, ma non le spese.
E andando avanti così, è sempre la stima del cda, è prevedibile che entro il mese prossimo la società arrivi ad accumulare perdite superiori a un terzo del suo capitale. Una situazione in cui la legge impone l’abbattimento del capitale stesso e il suo contemporaneo aumento per riportarlo al minimo legale.
La scivolosità della situazione non è sfuggita al collegio sindacale di Expo 2015 che, nel corso dell’assemblea che due settimane fa ha deliberato la messa in liquidazione della società , ha chiesto “chiarezza in relazione alla necessità di risorse per la liquidazione” stessa.
Tanto più che anche Sala ha confermato che “le risorse sono sufficienti per le prossime 3-4 settimane” e che “è importante rendere chiara la situazione al nominato organo di liquidazione”.
Gaia Scacciavillani
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 24th, 2016 Riccardo Fucile
LA MAZZETTA DA 50.000 EURO, L’APPARTAMENTO GRATIS, IL GIRO DI PROSTITUZIONE AL SALARIA VILLAGE, GLI APPALTI, I RAPPORTI CON LA CRICCA
Nel proporre la sua candidatura a sindaco di Roma, peraltro faticosa, contestata anche all’interno del centrodestra, Guido Bertolaso ripete con convinzione due concetti: “I miei reati andranno presto in prescrizione” e “comunque io vi rinuncerò perchè non voglio lasciare dubbi”.
Sulle domande di dettaglio giudiziario, però, le sue ricostruzioni restano parziali, incomplete.
E’ aiutato, l’ex sottosegretario del governo Berlusconi, il grande capo della Protezione civile moderna, dalla complessità delle inchieste (oggi processi) che lo riguardano, passate di mano da diverse procure (Firenze, Roma, Perugia, ancora Roma per restare all’indagine sui Grandi eventi) e con filoni che si sono intrecciati e allontanati.
I Grandi eventi
Sono due i processi aperti, oggi, nei confronti di Bertolaso. Il primo, sui Grandi eventi appunto, oggi è in primo grado all’ottava sezione del Tribunale di Roma.
Bertolaso, imputato per corruzione, l’11 novembre 2015 ha rilasciato in aula una deposizione lunga quattro ore. I pm Calò e Felici, raccogliendo il fascicolo da Firenze, sostengono che abbia ricevuto 50.000 euro da Guido Anemone, l’uomo a cui Angelo Balducci affidò senza gara innumerevoli lavori per il G8 della Maddalena, per i Mondiali di nuoto del 2009 e per altri grandi appalti italiani.
Di questa dazione è rimasta traccia in diverse intercettazioni telefoniche (si ascolta Anemone chiedere più volte quei soldi a Evaldo Biasini, il Don Bancomat che rappresenta la cassaforte dell’imprenditore) e nei libri mastri sequestrati allo stesso Anemone, che annotava puntigliosamente denari dati e servizi resi.
In una conversazione tra Anemone e la sua segreteria è nitida l’indicazione di andare a prelevare il contante nella filiale della Banca delle Marche in via Romagna, a Roma. Bertolaso definisce questa “l’accusa più vergognosa e dolorosa”.
L’appartamento
L’impianto delle procure considera tangenti anche l’appartamento in via Giulia 189, nel centro storico di Roma, dove Bertolaso visse gratuitamente “quando mia moglie mi allontanò da casa”.
A processo l’uomo dei grandi eventi ha sostenuto che quell’appartamento gli fu dato dal fraterno amico cardinal Crescenzio Sepe, ma l’architetto Angelo Zampolini – il faccendiere della cricca che portò gli assegni per la casa di Scajola e ha patteggiato 11 mesi su un filone processuale dei Grandi eventi – ha messo a verbale che è stato lui a procurare casa a Bertolaso su indicazione di Anemone e lui pagava le bollette domestiche.
Sempre nelle liste del costruttore della cricca si ritrovano le voci “Acea via Giulia”, “Eni gas via Giulia”, “Zampolini per via Giulia”, “lavanderia per Guido B.”.
L’ex sottosegretario replica: “Con lo stipendio che avevo potevo permettermi una colf filippina per lavarmi mutande e camicie”. Già , era il sottosegretario più pagato del governo Berlusconi.
In questo giro di scambi in natura o in denaro, a processo ci sono anche il capitolo del cognato Francesco Piermarini, inserito come collaudatore alla Maddalena e supervisore del “grande evento” Louis Vuitton Cup e la consulenza affidata alla moglie: 90.000 euro per disegnare i giardini del centro Salaria Sport Village.
Il Salaria Sport Village
Di tutto questo nella sua campagna elettorale Bertolaso fin qui non ha parlato, però ieri – incalzato da una domanda inviata al videoforum di Repubblica Tv – è dovuto ritornare sui massaggi al Salaria.
Per i carabinieri del Ros furono almeno dodici le sue sedute al beauty center di Settebagni, tra il 2008 e il 2009. A Repubblica Tv Bertolaso ha ribadito che in quel periodo era stressato, aveva necessità di fare fisioterapia: “Non avevo la minima idea che il Salaria Sport Village fosse dei signori Anemone…”, ha aggiunto, “poi, dopo due, tre volte che sono andato, naturalmente li ho incontrati”.
Questa è una plateale bugia da campagna elettorale e già smentita dallo stesso Bertolaso in dibattimento, lo scorso 11 novembre.
A domanda dei pm disse: “Appena avevo un po’ di tempo libero chiamavo spesso lo stesso Anemone”.
Lo chiamava per farsi prenotare il relax, lo conosceva come padrone del Salaria. Nello stesso confronto in aula l’ex capo della Protezione civile ha retrodatato la sua conoscenza con Anemone al 1999, in pieno Giubileo, quando “me lo presentò il padre Dino”.
Molte versioni
Sulla “fisioterapia” al Salaria, la seduta del 14 dicembre 2008, ci sono ancora quelle intercettazioni in cui Anemone e il fidato Rossetti – per i Ros capaci di organizzare una rete di 350 escort e meritevole dell’accusa di sfruttamento della prostituzione – organizzano per il Signor B. “cose megagalattiche” con “champagne, frutta, colori”. Già , la brasiliana Monica in perizoma “ci costerà un pochino di soldi… Non ce ne frega un c… e il perizoma stretto… “.
Quelle intercettazioni narrano particolari scabrosi che, prima o poi, andranno spiegati. “Senti, quante situazioni devo creare? Una… due… Io penso due, lui si diverte con due. Tre? Eh la Madonna!… Io ho cercato tracce di preservativi, ma non l’ho visti. Guarda bene nella sala dello Scen Tao. C’è della carta usata, capito? È tutto un malloppo di carta… Se ci sono i preservativi dentro manco si vedono”.
È lo stesso Bertolaso nelle sue conversazioni con Anemone, d’altronde, a parlare di “ripassata”.
La “cricca”
A Repubblica Tv Bertolaso ha detto, ancora, che la cricca della Ferratella non c’entra con la Protezione civile, “erano altri uffici, unità di missioni per i 150 anni”.
Anche questa è una bugia perchè il decreto del governo Berlusconi del 14 ottobre 2005 mise la Protezione civile al centro delle unità di missioni per i 150 anni d’Italia, i Mondiali di nuoto di Roma, i Mondiali di ciclismo di Varese e tutte le grandi opere fatte in corsia preferenziale. Bertolaso ne fu il coordinatore.
Proprio questo è stato lo scandalo di quella Protezione civile: l’utilizzo esagerato, abnorme di un’istituzione nata per intervenire su terremoti e slavine. Con il tramonto del sottosegretario, d’altronde, è stata riportata alle sue naturali funzioni.
Fu Bertolaso, capo della “commissione d’indirizzo”, a portare in Consiglio dei ministri il nome di Angelo Balducci e poi di Claudio Rinaldi come commissari dei Grandi eventi. La procura di Firenze scrisse nell’ordinanza del febbraio 2010: “Bertolaso ha un ruolo determinante nella procedura di assegnazione degli appalti cui gli indagati ambiscono”.
Reati pesanti
Infine, dicendo che gli imputati del processo sui Mondiali di nuoto sono andati tutti assolti – ancora a Repubblica Tv – Guido Bertolaso ha allungato l’ultima mezza verità perchè sì, è vero, che per Roma 2009 ci sono state le assoluzioni (il pm Colaiocco procedeva solo per reati ambientali ed edilizi), ma la cricca della Ferratella è a processo con lui sempre a Roma per reati ben più pesanti (associazione per delinquere, concorso in corruzione) e ha già subito condanne in altri processi (tre anni e otto mesi per Angelo Balducci e Fabio De Santis per la Scuola allievi marescialli di Firenze, nove mesi per Balducci e Anemone a Perugia).
Va ricordato infine che Guido Bertolaso – e questo è il secondo processo a suo carico – è stato rinviato a giudizio per omicidio colposo plurimo e lesioni nel processo Grandi rischi dell’Aquila.
Corrado Zunino
(da “La Repubblica”)
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