Marzo 23rd, 2016 Riccardo Fucile
I GARANTI NAZIONALI SI DICHIARANO “INCOMPETENTI AL GIUDIZIO”… LE CONTESTAZIONI SAREBBERO “INFONDATE”
E’ stato respinto anche il terzo ricorso di Antonio Bassolino, sull’esito delle primarie di centrosinistra di Napoli.
La Commissione nazionale di garanzia del Pd ha stabilito che l’unico organo deputato a dirimere le questioni era il comitato di organizzazione e si è per questo dichiarata incompetente.
Nonostante questo il presidente della commissione, Gianni Dal Moro, e Franco Vazio, incaricato di istruire il caso, hanno sottolineato che le contestazioni analizzate sono state giudicate “infondate nel merito“.
Il fatto che chi “non è in condizione economica di pagare quanto dovuto per votare”, sia fatta votare comunque, “è un elemento che non riteniamo irragionevole“, ha aggiunto Vazio.
In linea generale, invece, “il regolamento delle primarie stabiliva che l’unico organo per dirimere le questioni era il comitato organizzatore — ha specificato Dal Moro — e noi abbiamo quindi accettato il parere del comitato delle primarie. Un partito che fa parte della coalizione non può decidere della coalizione”.
Il 14 marzo la commissione di garanzia delle primarie Pd aveva rigettato il secondo ricorso, confermando la vittoria di Valeria Valente: “Il rispetto verso migliaia di votanti impone a questo comitato di affermare che nessun broglio è rilevabile nelle primarie di Napoli” aveva decretato, ponendo fine alla questione.
Secondo i garanti “i limitati episodi evidenziati,(dal video pubblicato da Fanpage, ndr) probabilmente dopo ore di registrazioni, non segnalati da nessun componente dei seggi o dai rappresentanti di lista che, numerosi, presidiavano i seggi, non sono suscettibili di inficiare il voto nei seggi segnalati dove hanno votato centinaia di persone”.
Due giorni dopo Bassolino in 17 pagine aveva presentato il terzo ricorso chiedendo ai garanti nazionali che nei cinque seggi contestati si tornasse al voto.
Ricorso che oggi è stato respinto.
Dopo l’ennesima pronuncia la candidata a sindaco Valente ha rivolto un nuovo appello “a tutti gli altri concorrenti delle primarie, a partire da Bassolino, affinchè si possa lavorare insieme per il centrosinistra alla guida della città , nell’esclusivo interesse di Napoli” perchè “si possano costruire tutte le condizioni utili a vincere la sfida di giugno”.
Ora la prossima mossa tocca a Bassolino.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 23rd, 2016 Riccardo Fucile
PARE CONFERMATA UNA VITTIMA ITALIANA
La direzione delle Unità Speciali (Dsu) avrebbe arrestato nel quartiere di Anderlecht Najim Laachraoui il terzo
uomo che compare nella foto della videosorveglianza dell’aeroporto insieme ad altri due vestiti di nero e morti nell’attacco suicida.
Era ricercato e sarebbe l’artificiere del gruppo.
Lo riferisce in esclusiva il sito del quotidiano belga Derniere Heure e il procuratore federale, che non conferma queste informazioni, ha però annunciato una conferenza stampa alle 13 senza negare l’arresto di Laachraoui.
Poi arriva la smentita: non è lui l’uomo arrestato dalla direzione delle Unità Speciali (Dsu) della polizia belga. L’uomo più ricercato d’Europa resta a piede libero.
La smentita arriva dallo stesso quotidiano che aveva dato la notizia, il belga Derniere Heure. Laachraoui è il terzo uomo che compare nella foto della videosorveglianza dell’aeroporto insieme ad altri due vestiti di nero e morti negli attacchi suicidi. Il procuratore federale ha annunciato una conferenza stampa alle 13
Nella foto dei circuiti interno dello scalo, indossa un cappello nero e una giacca chiara. Avrebbe gestito gli esplosivi e pianificato anche gli attentati di Parigi.
E’ ricercato dal 4 dicembre, fermato – sotto la falsa identità di Soufiane Kayal – ai primi di settembre al confine austro-ungarico in compagnia di Salah Mohamed Abdeslam e Belkaid.
L’identificazione risale a due giorni fa: il suo Dna era sulle cinture esplosive utilizzate al Bataclan e allo Stade de France, il 13 novembre scorso.
Come anticipato da Repubblica gli altri kamikaze identificati dalla polizia sono i fratelli Khalid e Ibrahim El Bakraoui .
Ma la tv pubblica belga Rtbf ha scritto sul suo sito Internet che i due presunti jihadisti si sarebbero fatti saltare in aria in due posti diversi, Brahim El Bakraoui si sarebbe fatto saltare in aria all’aeroporto, L’altro, Khalid, invece, sarebbe il kamikaze che ha fatto strage nella metropolitana di Maelbeek.
Il giorno dopo il caos, cominciano le procedure di riconoscimento delle vittime. Potrebbe esserci una vittima italiana tra i morti degli attentati di ieri a Bruxelles.
La Farnesina, però, rende noto che le verifiche sono ancora in corso. L’ambasciata italiana in Belgio, secondo quanto si apprende, è in contatto con la famiglia per l’assistenza relativa alle procedure di identificazione.
“Il presidente del Consiglio ci ha informato che c’è una verifica in corso su una possibile vittima italiana” degli attacchi a Bruxelles, ha detto Maurizio Lupi all’uscita da Palazzo Chigi. E ha aggiunto che la vittima sarebbe “una donna che era dispersa”: “E’ in corso la fase di riconoscimento, i familiari sono con il console a Bruxelles. Era una donna che prendeva normalmente la metropolitana e dovrebbe essere tra le vittime della metro ma la violenza dell’esplosione ha reso le vittime irriconoscibili”, ha riferito.
Perquisizioni, controlli in strada e abitazioni private, posti di blocco. Per tutta la notte le teste di cuoio, armi in mano, hanno battuto ogni angolo della città per una caccia all’uomo che prosegue anche in queste ore.
Secondo le ultime informazioni, che gli inquirenti stanno cercando di verificare, i tre uomini responsabili dell’attentato all’aeroporto sarebbero arrivati allo scalo con tre auto differenti: un taxi classico, una Renault Clio e un’Audi S4 nera.
Ma è la testimonianza di un tassista a rivelarsi molto preziosa. L’uomo avrebbe riconosciuto due dei tre attentatori, per averli portati all’aeroporto. Si tratta dei due uomini con una maglia e un guanto nero, ripresi dalle telecamere dello scalo, considerati i kamikaze di Zeventem. Il tassista, secondo quanto si è appreso, avrebbe riferito agli inquirenti l’indirizzo in cui ha caricato i due attentatori, affermando di essere rimasto sorpreso dal numero di bagagli che avevano con loro. L’uomo avrebbe anche costretto i due clienti a lasciare alcune valigie a casa.
Una testimonianza che avrebbe dato il via a ispezioni e perquisizioni e avrebbe permesso di ritrovare all’aeroporto una terza bomba inesplosa. Alle rivelazioni del tassista sarebbe anche legata la grande operazione di polizia iniziata ieri e proseguita tutta la notte a Schaerbeek. Durante le perquisizione sono stati ritrovati un ordigno esplosivo con all’interno chiodi, prodotti chimici e una bandiera dell’Is, mentre in serata all’aeroporto è stato trovato altro esplosivo, costringendo le autorità a isolare nuovamente tutta la zona, per consentire agli artificieri di mettere al sicuro l’area.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 23rd, 2016 Riccardo Fucile
“LE BR FURONO SCONFITTE SOLO DOPO ESSERE STATE ISOLATE POLITICAMENTE, LA STESSA COSA DEVE AVVENIRE NEL MONDO ISLAMICO”
“Uomini, donne, merci, beni, servizi, denari circolano liberamente in Europa. Unica eccezione, quella dei poliziotti e dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni”. Gian Carlo Caselli commenta le stragi di Bruxelles dal suo punto di vista di magistrato — ora in pensione — che ha indagato sul terrorismo e ha fatto parte di Eurojust, l’ufficio di cooperazione giudiziaria dell’Unione europea.
E spiega che per contrastare “i macellai che colpiscono i civili in modo indiscriminato” la strada è quella di potenziare al massimo la cooperazione investigativa e giudiziaria tra Stati membri.
“Si può anche inziare con un’unica struttura specializzata in terrorismo — afferma l’ex procuratore capo di Torino — ma è chiaro che l’orizzonte deve essere una Procura europea”. Chiesta oggi anche dal ministro della Giustizia Andrea Orlando.
Del resto ragiona Caselli, “il crimine organizzato, si tratti di terrorismo mafia o quant’altro, vive e opera pienamente inserito nel ventunesimo secolo perchè sfrutta tutti gli spazi che la modernità offre. Sul fronte della giustizia, invece, siamo ancora al diciottesimo secolo. Nel senso che le frontiere nazionali restano una barriera che frena, complica a volte inceppa le indagini”.
Con gli strumenti disponibili oggi che cosa è possibile fare per coordinare la lotta al terrorismo?
Alcuni primi passi su coordinamento e norme antiterrorismo comuni sono stati fatti. Rispetto ai fenomeni e ai delitti che coinvolgono più stati, come le tragedie di Bruxelles e Parigi, è possibile creare squadre investigative comuni (previste da una decisione quadro del Consiglio d’Europa del 2002 e ratificate in Italia soltanto il mese scorso, ndr) formate da poliziotti, magistrati ed eventualmente rappresentanti di Eurojust di ogni stato interessato. La novità importante è che le prove ovunque raccolte valgono in qualunque Paese il processo venga poi celebrato. Mi pare che la squadra franco-belga messa in campo dopo gli attentati di Parigi si muova nella direzione giusta
Dopo le stragi di stamattina a Bruxelles c’è chi chiede l’istituzione di una Procura europea. Nel suo ultimo libro, “Nient’altro che la verità ” (Piemme), sottolinea che il coordinamento tra le diverse procure interessate dagli omicidi delle Brigate rosse, realizzato all’epoca in modo spontaneo al di là dall’ordinamento, fu determinante per sconfiggere il terrorismo.
La gravità e la frequenza di questi attentati — Papa Francesco ha parlato di ‘schegge di una terza guerra mondiale’ — rischia di rendere insufficiente il semplice cooordinamento tra Stati membri. Ci vuole un’integrazione sul piano legislativo, delle magistrature, delle polizie. La procura europea è un passo necessario, dato che Eurojust si limita appunto al coordinamento dell’attività giudiziaria.
Le differenze sono molte ed evidenti, ma vede qualche punto di contatto tra il terrorismo italiano degli anni Settanta-Ottanta e quello attuale di matrice jihadista, soprattutto dal punto di vista del contrasto?
Rispetto ad attacchi come quello di oggi a Bruxelles non parlerei di terroristi, estremisti, fanatici, ma brutalmente di macellai. La parola mi sembra adeguata alla spietatezza degli attentati. Il terrorismo brigatista era diverso, selettivo, non colpiva nel mucchio. Nel nostro Paese la macelleria che colpiva nel mucchio era di matrice fascista, quella delle stragi, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna. I responsabili erano pochi e ben protetti dagli apparati. Per attacchi come quello di Bruxelles non parlerei di terroristi, estremisti, fanatici, ma brutalmente di macellai
Lei sottolinea sempre come il terrorismo di allora sia stato sconfitto anche politicamente e culturalmente, prima che con la repressione, perchè i brigatisti furono isolati anche a sinistra. Vede paralleli possibili con il terrorismo di oggi?
In una grande città sono infinite le possibilità di mimetizzazione di terroristi disposti a trasformarsi in macellai. E crescono se il milieu, l’acqua in cui nuotano, è caratterizzato da compiacimenti, connivenze, contiguità , alleanze. Questo può avvenire per mille ragioni storiche, etniche, religiose, di mancata integrazione. Il solo contatto che vedo con la storia italiana è il favore di cui le Br del primo periodo hanno goduto grazie a teorie folli come i ‘compagni che sbagliano’, ‘nè con lo Stato nè con le Br’. Tanta benzina nei loro motori. Il milieu di cui abbiamo detto può svolgere oggi un ruolo simile. Ho l’impressione però che si limiti a dire ‘compagni’, senza aggiungere ‘che sbagliano’.
Dunque che cosa suggerisce per combattere questo terrorismo? Sarebbe utile una collaborazione con le comunità musulmane in Italia
Soluzioni in tasca non ne ha nessuno. L’esperienza con le Brigate rosse insegna che decisivo è stato l’isolamento politico del terrorismo. Con Br e Pl ci sono voluti circa cinque anni, spartiacque sono stati gli omicidi del sindacalista Guido Rossa e di Aldo Moro. Si spazzarono via le ambiguità , le sciocchezze propagandate da tanti cattivi maestri, noti e sconosciuti, che fomentavano la violenza anche se per sè preferivano l’”armiamoci e partite”. Il fatto che Salah sia stato arrestato lì da dove era venuto, tra le proteste della popolazione locale, la dice lunga. Questo rende difficile la strategia dell’isolamento politico. Dunque è fondamentale il contributo e la collaborazione con il mondo islamico e i suoi intellettuali. Le parole di chi appartiene alla stessa cultura e tradizione di fondo possono fare più presa. Salah è stato arrestato lì da dove era venuto, tra le proteste della popolazione locale
Spesso la politica opta invece per il muro contro muro.
Un pericolo incombente che rende il contrasto ancora più impervio è che si scateni la caccia al diverso. Anche se nato come francese o belga, ma in una famiglia di origini arabe. La caccia al diverso è un problema. La sicurezza è necessaria, dobbiamo prepararci a restrizioni per averne un po’ di più, ma non deve diventare una specie di altare su cui sacrificare tutti il resto, i diritti. Senza diritti non c’è giustizia, senza giustizia non c’è pace. Dall’ingiustizia nascono violenza, rabbia, fino alla macelleria. In ogni caso, la cooperazione internazionale non è facile se sullo sfondo c’è una confusione così grave. Putin, Assad, Erdogan, Arabia Saudita.. sono i nostri alleati per esportare la democrazia? Non sono soggetti propriamente democraci. E l’Arabia Saudita, addirittura, fornisce armi e soldi agli estremisti
Dalla sua ultima esperienza come procuratore capo a Torino, come valuta il rischio terrorismo in Italia?
Di certezze non se ne possono avere. Una relativa sicurezza la offrono la nostra intelligence, la polizia, la magistratura. Perchè funzionano bene in base a specializzazione delle competenze e centralizzazione delle informazioni.
Mario Portanova
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 23rd, 2016 Riccardo Fucile
VARVELLI: “OCCORRE RICOSTRUIRE STATI PLURALISTI IN MEDIO ORIENTE, IL TERRORISMO VA FERMATO ALLE ORIGINI”
“Ne ho parlato tanto, ma oggi l’ho vissuto quasi sulla mia pelle. Ho ancora addosso l’angoscia e tuttavia non
credo affatto, come si sente dire in queste ore, che dobbiamo rassegnarci a rinunciare alla nostra libertà , militarizzando strade e aeroporti”.
A parlare è Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi che si occupa di politica internazionale e terrorismo, con particolare attenzione alla Libia e al Mediterraneo. Era a Bruxelles quando è circolata la notizia dell’attacco, atteso a un convegno sul radicalismo organizzato dall’Ispi e da due think-tank europei. “Venendo in centro incontravamo persone sconvolte, alcune arrivavano dalla metropolitana ed erano state partecipi dell’attacco, le lacrime, chiamavano a casa per dire che stavano bene. Non si riusciva a parlare, le linee erano occupate”.
Che idea si è fatto dell’attacco?
“Che certo può essere una risposta all’arresto di Salah, ma certamente era stato preparato da tempo. Un attacco simile richiede una preparazione che supera i tre giorni. Forse lo hanno semplicemente anticipato per evitare di essere “bruciati” da Salah o da chi è nel mirino degli inquirenti. Sempre che Salah fosse al corrente di ciò, perchè mi pare che la rete di connivenze di cui godesse, capace di tenerlo nascosto per quattro mesi, sia molto ben organizzata e ampia. C’è una parte di comunità che è molto omertosa e partecipa di questa decisione, o anche solo intimorita, per cui chi sa non denuncia per paura di ritorsioni da parte di qualcuno della comunità stessa. Capiamo anche in quale tensione vive questa parte di comunità . Poi c’è una rete di “facilitatori”, di persone insospettabili che si adoperano. E’ qualcosa che noi, tutto sommato, conosciamo bene perchè vicina all’omertà tipica delle zone mafiose”.
Lei sarebbe dovuto partire da quell’aeroporto proprio oggi. Immaginava potessero colpire lì?
“All’aeroporto, come si sa, i controlli sono nella fase post, l’attentato è stato fatto agli ingressi. Mi chiedo come si fa a militarizzare completamente un aeroporto, una città , una civiltà . Non penso che questo sia possibile e in ogni caso, anche se ci riuscissimo, saremmo comunque esposti altrove: nei mercati, per le strade, nei porti, nei palazzi. Non si può pensare di militarizzare una società . Bisogna fare prevenzione, è un problema che si trascinerà per tempo. Non lo risolviamo domattina, non militarmente ma mettendo a fuoco che la questione culturale è prioritaria su tutte le altre”.
Non è la prova che è venuto il momento di intervenire contro lo Stato Islamico che tutto può fare tutto?
“Possiamo anche dire che facciamo un intervento armato che smantella lo Stato Islamico, come è stato detto da Putin e da altri. Ma bisogna considerare che ci mettiamo i famosi “boots on the ground”, e chi è disposto a farlo realmente? Questo proprio non si sa. Ma anche questo non risolve il problema perchè lo estinguiamo lì ma poi rispunta altrove, in altre parti del mondo. E che facciamo, interveniamo in tutto il mondo? Dalla Siria alla Libia, dalla Nigeria all’Iraq, allo Yemen?”.
Allora ci arrendiamo. Ci rassegniamo al fatto che si parta senza sapere se arriva…
“Certo, non si può neppure negoziare, perchè non si si negozia sui nostri principi vitali. Bisogna tenere la barra dritta, sapere quali sono gli obiettivi di lungo termine. Non prendere decisioni controproducenti rispetto a quelli. Il primo è ricostruire stati in Medio Oriente che siano inclusivi e pluralisti il più possibile, che non significa necessariamente esportare la nostra democrazia con le baionette. Se guardiamo le mappe degli stati falliti e in via di fallimento e quelli che non controllano il loro territorio e la mappa delle insorgenze terroristiche si sovrappongono completamente. Non solo guerra ma, se viene fatta, che sia con la finalità di ricostruire quel tipo di stati, con la finalità inclusiva. Più ci sono parti escluse e più avremo possibilità di avere formazioni terroristiche. Il terrorismo di Isis, per dire, si alimenta dell’esclusione dei sunniti nel Medio Oriente, sostanzialmente Isis si è fatto paladino dell’islam sunnita. E noi gli stiamo permettendo di farlo: quale alternativa stiamo dando? Bisogna essere più sottili e intelligenti di loro. Poi bisogna combatterli con gli strumenti della civiltà di cui disponiamo se vogliamo che prevalga la nostra da noi”.
Dove stiamo sbagliando, che ci colpiscono e noi sembriamo disarmati?
“Questa è la nostra percezione. Loro pensano che siamo noi a colpirli e loro disarmati e inermi, altrimenti non sarebbe nato Al Qaeda prima e l’Isis dopo, loro si nutrono di questa percezione che abbiamo noi di essere colpiti, impotenti e innocenti e di morire nelle nostre metropolitane e nei nostri aeroporti. E’ lo stesso atteggiamento mentale che ha parte della comunità islamica araba nei nostri confronti. Ci pensano e ci narrano come gli aggressori. I terroristi si nutrono di questo e vogliono che noi percepiamo lo stesso identico atteggiamento. Il terrorismo è un messaggio politico, è comunicazione politica. Vogliono destabilizzarci. Per questo la nostra risposta deve essere un po’ più articolata e intelligente di quella di semplice pancia”.
Chiudere le frontiere, come si è detto, è una soluzione?
“No. Certo, i terroristi possono arrivare anche tramite i canali dell’immigrazione clandestina ma mi pare che i potenziali terroristi ce li abbiamo già in casa. Perchè dobbiamo guardarci da quelli che arrivano da fuori quando il problema è già dentro? Salah abita e vive in questo ambiente da anni, non è arrivato l’altro giorno. Stiamo parlando di persone che si radicalizzano nei nostri ambienti. Quindi in realtà c’è qualcosa nel nostro ambiente che deve essere ripensato e rivisto e deve far sì che la nostra società sia percepita realmente come inclusiva di queste persone. E queste persone devono fare a loro volta uno sforzo di integrazione. Dobbiamo anche essere più fermi nel rispetto dei valori universali. Non sono incompatibili con l’Islam che non è lo Stato Islamico, che è un fazzoletto, una declinazione”.
Noi come siamo messi?
“Abbiamo fatto passi avanti relativamente alla nostra intelligence, alla nostra capacità di capire il fenomeno. Ovviamente bisogna fare molto di più e tutto questo non vuol dire che domattina purtroppo non possa esserci un attentato in Italia. Per compiere un attentato ormai non ci vuole molto. Penso tutto sommato che il caso belga sia piuttosto sfortunato per il numero di foreign fighters, cioè di persone pro capita che sono partite dal Belgio e sono andate a combattere e lì si sono radicalizzate. In Italia mi pare che siamo un po’ più fortunati o forse siamo ancora in tempo perchè le nostre seconde e terze generazioni stanno nascendo ora. Ora ragazzini che provengono da famiglie di immigrati stanno iniziando a crescere in Italia. E ora non bisogna sbagliare le mosse”.
Torniamo all’aeroporto, il punto più presidiato d’Europa. Dovremo rinunciare ancora alla nostra libertà personale?
“Beh hanno colpito fuori dalle aree di check-in che ancora non sono sottoposte ad alta intensità di controllo. Come le stazioni. Ma poi ci sono i bar, i teatri. Che facciamo? Non possiamo militarizzare un Paese e io non ho alcuna intenzione, come penso tutti noi, di privarci de nostro stile di vita e della nostra libertà . Quindi naturalmente parliamo di un fenomeno che è molto aggressivo in questo momento e che io ho vissuto stamattina sulla mia pelle quasi. Ma è ancora limitato, bisogna ragionare con la testa e non con la pancia. Non si può rinunciare a quello che siamo. Dobbiamo cercare di essere tutti più consapevoli e allertati e mettere chi fa sicurezza nelle condizioni di farlo, certo smettere di strumentalizzare questa situazione soffiando nella battaglia politica questi avvenimenti. Chi lo fa non va nella direzione dell’interesse nazionale che non è certo quello di alimentare il fuoco ma di spegnerlo spezzando i fronti dando insieme segnali di forza e di civiltà insieme”.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 23rd, 2016 Riccardo Fucile
IL COVO SCOPERTO GRAZIE A UN TASSISTA… IL TERZO RICERCATO E’ L’ARTIFICIERE DEGLI ATTACCHI A PARIGI…LA FARNESINA: “SIAMO IN CONTATTO CON FAMIGLIA PER IDENTIFICAZIONE”
Il giorno dopo il caos, cominciano le procedure di riconoscimento delle vittime. Potrebbe esserci una vittima italiana tra i morti degli attentati di ieri a Bruxelles.
La Farnesina, però, rende noto che le verifiche sono ancora in corso.
L’ambasciata italiana in Belgio, secondo quanto si apprende, è in contatto con la famiglia per l’assistenza relativa alle procedure di identificazione.
Le autorità belghe hanno identificato i fratelli Khalid e Ibrahim El Bakraoui, 27 e 30 anni, i due kamikaze che ieri si sono fatti saltare in aria all’aeroporto di Zaventem, dove sono morte 20 persone.
Erano noti alle autorità come esponenti della criminalità , ma non per fatti legati al terrorismo.
Il terzo uomo — che compare nella foto con i due e che risulta attualmente ricercato — è Najim Laachraoui, ritenuto l’artificiere degli attacchi di ieri ma anche di quelli del 13 novembre a Parigi.
Anche lui, quindi, come Salah Abdeslam — che però è stato catturato il 18 marzo — ha finora trascorso oltre quattro mesi da latitante nascondendosi a Bruxelles.
L’identità degli attentatori è stata scoperta grazie al tassista che li ha portati ieri in aeroporto, sorpreso dal fatto che i kamikaze gli avessero impedito di toccare le loro valigie.
E’ stato lui a condurre gli inquirenti nel covo di Schaerbeek, da dove erano partiti, e dove ieri è stata trovata una bomba con dei chiodi, prodotti chimici e una bandiera dello Stato Islamico.
Ancora nessuna notizia, invece, dei responsabili dell’attacco alla metro, dove sono morte 11 persone.
I kamikaze e il terzo uomo in fuga
Khalid aveva preso in affitto sotto falsa identità l’appartamento del 60 rue du Dries a Forest dove si era verificata la sparatoria con la polizia e dove erano stati ritrovate le impronte di Salah Abdeslam, uomo delle stragi di Parigi arrestato nei giorni scorsi a Bruxelles dopo quattro mesi di latitanza.
Nell’immagine delle telecamere di sorveglianza dello scalo, i due fratelli indossavano un guanto nella mano sinistra, sotto il quale nascondevano il detonatore.
E’ invece ancora ricercato l’uomo che era al loro fianco e che indossava un cappello. Laachraoui, nato il 18 maggio 1991 era partito per la Siria a febbraio 2013 ed era con Salah, in una Mercedes in affitto, quando furono fermati il 9 settembre 2015, due mesi prima degli attentati del 13 novembre, alla frontiera tra Ungheria e Austria. Erano assieme a Mohammed Belkaid, l’uomo ucciso nel blitz della polizia a Forest, tre giorni prima dell’arresto di Abdeslam.
Il ruolo chiave del tassista
I fratelli El Bakraoui e Laachraoui hanno raggiunto lo scalo a bordo di un taxi: le immagini di videosorveglianza mostrano i tre insieme che spingono i carrelli con sopra le loro valigie, contenenti gli esplosivi, prima di separarsi nella hall delle partenze.
Le stesse immagini mostrano il terzo uomo, attualmente ricercato, abbandonare il suo carrello prima di darsi alla fuga. A dare preziose informazioni agli inquirenti diverse ore dopo le esplosioni a Zaventem è stato il tassista che ha portato all’aeroporto almeno una parte del commando di terroristi.
L’uomo ha soprattutto comunicato alle forze dell’ordine che il numero di bagagli trasportato dai clienti non corrispondeva agli ordigni esplosi. Questo ha immediatamente fatto scattare le ricerche nello scalo con il ritrovamento successivo di un ordigno non esploso poi neutralizzato dagli artificieri.
L’uomo inoltre ha potuto fornire l’indirizzo di Scharbeek dove aveva prelevato i suoi passeggeri consentendo così le perquisizioni che hanno portato al ritrovamento di sostanze chimiche e di un ordigno esplosivo contenente chiodi.
Non tutti i bagagli erano stati imbarcati dal tassista perchè nell’auto non c’era più posto, si legge sul sito della Derniere Heure. Oltre al taxi l’inchiesta si focalizza su altri due veicoli che sarebbero stati usati dal commando, una Renault Clio e un’Audi nera S4.
Le vittime degli attentati
Gli attacchi in aeroporto e nella metropolitana di Bruxelles hanno causato la morte di 31 persone e il ferimento di altre 250. Il sito della televisione belga Rtbf precisa però che si tratta di cifre provvisorie.
Una cittadina peruviana di 36 anni è stata intanto identificata formalmente come una delle persone rimaste uccise negli attentati rivendicati dallo Stato Islamico. L’informazione è stata comunicata dal ministero degli Esteri peruviano. La donna, residente a Bruxelles da sei anni, si trovava all’aeroporto. Era in compagnia del marito e delle due figlie, una delle quali è rimasta ferita dalle schegge, ha dichiarato a Lima alla stampa il fratello della vittima.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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