Ottobre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
ANCORA IL ALTO MARE IL DECRETO FISCALE, DUBBI SULLA PRIVATIZZAZIONE DELLE POSTE
Dopo essersi fatto rosolare per tre giorni sulla graticola, soprattutto dalla minoranza pd e dai grillini, il governo fa dietrofront sulla sanatoria del contanti.
Dalla legge di bilancio, il cui testo peraltro non ha ancora visto la luce, sparisce infatti la flat tax del 35% per chi decideva di dichiarare al Fisco le somme detenute illegalmente in Italia.
E’ la famigerata norma “salva-Corona” come l’ha ribattezza l’ex segretario del Pd Bersani, secondo il quale in questo modo si sarebbe fatto un regalo alla Mafia.
“Scelta sacrosanta. Ma ormai siamo al day by day”, commenta laconico il presidente della commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, che da subito si era schierato contro questa sanatoria annunciando che in Parlamento una misura del genere non sarebbe mai passata.
Il cambio di passo
A decidere sarebbe stato Renzi in persona, «dopo un lavoro sui testi fatto assieme da Mef e presidenza del Consiglio».
E così la versione definitiva del decreto fiscale, a sua volta oggetto di vari rimaneggiamenti, ripristinerà la versione originale della voluntary disclosure che già prevedeva la sanatoria sui contanti, ma assoggettata al normale calcolo progressivo dell’Irpef.
Dunque molto più oneroso, al punto che quasi nessuno l’anno passato aveva fatto emergere denaro contante.
Nonostante le precisazioni di Renzi («faremo solo modifiche minimali») la manovra sta cambiando. Eccome.
E questo spiega anche il ritardo con cui marcia. Solamente nel passaggio tra il consiglio dei ministri di sabato scorso e l’invio a Bruxelles del Documento programmatico di bilancio l’importo totale è sceso da 27 a 26,3 miliardi, gli incassi legati alla rottamazione delle cartelle di Equitalia sono invece franati da 4 a 2,6 miliardi e ieri si è appreso anche che la privatizzazione della seconda tranche delle Poste prevista per il 2017 è scomparsa dai radar e che il fondo a sostegno degli esuberi delle banche anzichè 100 milioni di euro l’anno ne varrà ben 600 in un quinquennio.
E così, ad una settimana dall’approvazione formale, proprio a causa dei tanti ritocchi e delle tante modifiche, la legge di bilancio non ha ancora visto la luce.
Colpa soprattutto delle tante misure messe e tolte dal decreto fiscale, che è poi lo strumento deputato ad assicurare una parte importante di coperture, per quanto molte di queste siano certamente ballerine.
I pasticci burocratici
Il governo non solo ha “bucato” la scadenza del 20 ottobre per trasmettere la legge di bilancio alle Camere, ma ha mandato in ritardo a Bruxelles la sua sintesi sotto forma di Documento programmatico di bilancio (Dpb). In questo caso la scadenza era il 15 ottobre ma l’Italia, con la scusa del fine settimana, ha aspettato lunedì 17 per trasmetterla. L’invio è avvenuto così tardi che sul sito della Commissione il nostro documento è apparso solo il 18 mattina.
E come se non bastasse il 19 l’abbiamo pure corretto perchè 5 tabelle erano sbagliate. L’errore più evidente l’ha segnalato ieri via Twitter Riccardo Puglisi, professore associato di economia a Pavia: c’erano infatti ben 42 miliardi di consumi intermedi in più (2,5% del Pil) e 44 miliardi di euro di “pensioni e altro” in meno, un altro 2,6% di Pil. Non certo “bruscolini”.
Dunque, se era in ritardo di un paio di giorni il Dpb ora, spiegano alcune fonti, è “naturale” che lo sia pure la legge di Bilancio.
«In realtà ci troviamo di fronte ad un fatto grave, perchè se chiediamo ai cittadini di rispettare tutte le scadenze il governo deve fare altrettanto. E pensare che con la riforma avevamo accordato al governo cinque giorni in più di tempo per fare le cose per bene», protesta Boccia.
Pare che ora la legge sia incagliata negli uffici del ministro per i Rapporti col Parlamento cui spetta anche curarne la trasmissione al Quirinale.
Per palazzo Chigi non c’è “nessun giallo”, «bisogna solo sistemare gli ultimi tasselli». Data prevista per la pubblicazione? Genericamente «la prossima settimana».
Lunedì? No, più probabile martedì.
Paolo Baroni
(da “La Stampa”)
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Ottobre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
CAMPAGNA REFERENDARIA AL VELENO
Sul referendum sale la tensione all’Università di Bologna tra i sostenitori del Sì e del No.
Al punto che ieri gli universitari del comitato “Stavolta sì – studenti Unibo” hanno denunciato di essere stati intimiditi e aggrediti alle Scuderie di piazza Verdi da una decina di coetanei.
«Eravamo al bar per una riunione organizzativa – raccontano -. All’improvviso siamo stati interrotti, ci hanno insultato ripetutamente e strappato alcuni fogli sul tavolo. Come conseguenza, incomprensibile, il responsabile del locale ci ha obbligati a uscire, sebbene fossimo noi le vittime. Noi comunque continueremo la campagna, non ci facciamo intimidire».
Mentre arriva la solidarietà agli studenti dei parlamentari Pd Andrea De Maria («fatti come questo non vanno sottovalutati») e Francesca Puglisi, emerge un altro episodio contro i sostenitori della riforma.
È lo storico Alberto De Bernardi, presidente del comitato “Sigalvanizza!”, ad esprimere «amarezza per l’ennesimo atto vandalico» nei confronti della sede del Pd in via Orfeo: prima è stata strappata l’insegna del circolo, poi il nuovo cartello è stato tappezzato di adesivi. «Esistono ancora persone che non accettano il confronto democratico», commenta lo storico.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
SI VOTA PIU’ SUL GOVERNO CHE SULLA COSTITUZIONE…EQUITALIA PESA PIU’ DI OBAMA… VITTORIA SARA’ SUL FILO DI LANA
Conta di più un selfie con Obama o la ghigliottina calata su Equitalia?
Vale tutto, nella battaglia referendaria di Matteo Renzi. E tutto sposta voti, anche se non può bastare una cena alla Casa Bianca per issare la bandiera del governo sulla montagna del No.
Certo, il trend indica un’inversione di tendenza a favore della riforma, ma un solo istituto registra per adesso il controsorpasso del Sì.
“La verità – spiega Alessandra Ghisleri (Euromedia Research) – è che non vale solo “quello” che fai per ottenere consenso, ma “quando” lo fai e “cosa” accade nel frattempo. Un vertice con il presidente degli Stati Uniti non deve pesare oggi, ma il 4 dicembre…”.
Tutto nasce da un sondaggio di Demopolis.
Per la prima volta da mesi, segnala il Sì oltre la soglia del 50%. Un 51% frutto dell’impatto mediatico di alcune misure annunciate dal governo, assicura il direttore Pietro Vento.
Il reset di Equitalia, ad esempio, oltre agli interventi sulle pensioni e alle le missioni internazionali del premier. “Il trend è certamente quello di un recupero del Sì – premette Antonio Noto a nome di Ipr – ma è per lo più precedente rispetto a questi eventi. E il No, comunque, è ancora al 51,5%”.
Ma se qualcosa si è mosso, è davvero merito del brindisi con Barack? “Gli endorsement dei leader internazionali spostano nulla – chiarisce Noto – semmai possono incidere quelli negativi, generando una reazione “difensiva” nell’elettorato. Altro discorso è Equitalia: muove qualcosa, soprattutto se il messaggio si sedimenta a ridosso del voto”.
Ecco il punto, il “quando”: “Lo sa che il 15% decide l’ultima settimana, il 4% addirittura nella cabina elettorale? Insomma, annunci del genere hanno presa sulla fetta di elettorato “emotivo”. Un po’ come fece Berlusconi l’ultimo giorno di campagna elettorale con l’Ici sulle prime case, ricorda?”.
Il portafogli più che la diplomazia internazionale, sembra di capire.
Lo sostiene anche il sondaggista Alessandro Amadori, che stima il No ancora in vantaggio al 52%. “Obama non c’entra proprio nulla – distingue – mentre Equitalia può incidere indirettamente a favore di Renzi. Il voto è come un investimento”.
Metafora suggestiva, che dimostra come in gioco ci sia l’esistenza stessa dell’esecutivo: “Noi lo paragoniamo al Rot, cioè alla capacità del capitale investito di trasformarsi in ricavi di vendita: ecco, misure fiscali di questo tipo posso creare nell’elettore un atteggiamento favorevole alla permanenza di questo governo”.
Neanche Nicola Piepoli pensa che la rimonta del Sì sia completata, nè considera certo che mai si concretizzerà .
“Eppure penso che il 54% che attribuisco oggi al No non sia l’unico dato da tenere in considerazione. Conta pure la psicologia di massa. Cosa ci dice? Che la partita è aperta per la forte volontà di Renzi di vincere: il Sì ha un significato naturalmente positivo, creativo. E questo ha presa nella gente”.
Portafoglio e psiche, insomma. “E poi anche l’incontro con Obama, perchè no? Spostasse anche l’1%, servirebbe comunque: i referendum si vincono con un voto in più. E, come è noto, per un voto Martin perse la cappa…”.
Su tutto, naturalmente, pesa l’immensa incognita degli indecisi.
“Il No è tra il 52 e il 53%, al momento – informa Ghisleri – La soglia di “non ritorno” statistico è al 54%, ma comunque oggi non varrebbe a causa dell’alto numero di elettori che non sa cosa votare”.
Molto, insomma, può cambiare. “Negli Stati Uniti si vota l’8 novembre – ricorda ancora la sondaggista – dunque prima del nostro referendum. Ci si può chiedere quanto valga l’appoggio di Obama, visto che il 4 dicembre ci sarà già un nuovo presidente. O quanto invece peserebbe una vittoria di Trump: farebbe percepire come più apprezzabile il sostegno dell’ex presidente Usa?”.
È tutto molto più complicato di un selfie.
(da “La Repubblica“)
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