Novembre 25th, 2016 Riccardo Fucile
LA GIORNATA MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE… LOMBARDIA E VENETO LE REGIONI IN TESTA ALLA TRISTE CLASSIFICA
Centosedici donne uccise da mariti, fidanzati, compagni o altri familiari. Una ogni tre giorni.
Sara, bruciata viva dal suo ex in una strada della periferia di Roma, Gloria che si era innamorata di un ragazzo molto più giovane di lei, Vania, l’infermiera massacrata dal suo uomo. E poi Fabiana, Rosaria, Rosamaria, Stefania, Giulia…L’ultima si chiamava Elizabeth, era peruviana, aveva 29 anni. È stata strangolata in casa alla periferia di Monza dal suo convivente di 56 anni, un italiano che ha subito confessato.
L’ha uccisa davanti ai due figli di lei: la sua colpa era sempre la stessa, voleva lasciarlo e lui non poteva accettare questo “affronto”.
Elizabeth viveva da anni in Lombardia, la regione che nel 2016 ha il triste primato dei femminicidi: 20 le donne assassinate nei primi 10 mesi dell’anno, una ogni due settimane.
Sono 116 i casi dall’inizio dell’anno, nel 2015 il tragico bilancio si era fermato a quota 128: “C’è un lieve calo ma non può certo essere una consolazione”, dice Gabriella Guarnieri Moscatelli, presidente dei Telefono Rosa alla vigilia della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che si celebrerà domani, mentre sabato si svolgerà la grande manifestazione di Roma- “La situazione della donna oggi in Italia è allarmante: stiamo perdendo punti nel lavoro, nei diritti, in temi come quelli dell’aborto e nella violenza. I femminicidi sono sempre tanti. Stiamo tornando lentamente indietro”.
Negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1.740: 1.251 (il 71,9%) in famiglia, e 846 di queste (il 67,6%) all’interno della coppia; 224 (il 26,5%) per mano di un ex.
Lo studio dell’Eures, l’Istituto di ricerche economiche e sociali che da anni dedica al fenomeno un Osservatorio, racconta di una vera e propria strage. E se si va ancora più indietro nel tempo, fino al 2000 – anno record con 199 delitti – il dato sale addirittura a 2800 femminicidi.
Nel periodo 2005-2015, secondo i dati dell’Eures, gli omicidi avvenuti nell’ambito di una coppia hanno avuto nel 40,9% dei casi un movente passionale, e nel 21,6% sono stati originati da liti o dissapori.
Le armi più utilizzate per uccidere sono state quelle da taglio (32,5%) e da fuoco (30,1%) mentre nel 12,2% dei casi i killer hanno fatto uso di “armi improprie”, il 9% ha strangolato la vittima e il 5,6% l’ha soffocata.
Nel 16,7% dei casi il femminicidio è stato preceduto da “violenze note”, l’8,7% delle quali denunciate alle forze dell’ordine. In tre casi su dieci, l’assassino si è tolto la vita e nel 9% ci ha provato senza riuscirci.
Quest’anno il 53,4% dei femminicidi (62 donne uccise) si è registrato al nord e il 75,9% in ambito familiare.
Al sud il dato scende a quota 31 (26,7%), al centro a 23 (19,8%).
L’età media delle vittime è di 50,8 anni, gli uomini sono il 92,5% dei killer.
A livello regionale, come detto, la Lombardia detiene il triste primato di regione con il più elevato numero di donne uccise (20) davanti a Veneto (13), Campania (12, ma erano state 30 l’anno prima), Emilia Romagna (12), Toscana (11), Lazio (10) e Piemonte (10).
Anche nel 2016 la famiglia (con 88 donne uccise, pari al 75,9% del totale), si conferma il principale contesto dei femminicidi.
Meno frequenti i delitti tra conoscenti (6%), quelli nell’ambito della criminalità comune (4,3%) o scaturiti da conflitti di vicinato (2,6%) e all’interno di rapporti economici o di lavoro (1,7%).
Tra le altre figure familiari, quelle più “a rischio” sono le madri, con 14 vittime, pari al 16,3% del totale.
C’è infine il dramma degli orfani, i figli che hanno perso la madre per colpa del padre (o del compagno) assassino. Negli ultimi 15 anni il numero è salito fino a quota 1628, di loro si parla poco, la gelida burocrazia li definisce “vittime secondarie”.
Adesso c’è una proposta di legge per tutelarli, come per le altre vittime di reati gravi come la mafia, il terrorismo o l’inquinamento ambientale da amianto. Si punta, insomma, all’istituzione di un fondo per le vittime di femminicidio.
Anche perchè, così come cresce il numero delle donne uccise non può che aumentare anche quello dei ragazzi che perdono in un solo momento madre e padre. Nel 2015 sono stati 118 in più rispetto all’anno prima.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 25th, 2016 Riccardo Fucile
SALVINI PERDE UNA OCCASIONE: LO STUPRATORE ERA ITALIANO
Detenuto in permesso premio ha rapinato e violentato la dipendente di un’associazione con sede nel
centro di Bari, minacciandola con un coltellino: con questa accusa i carabinieri hanno arrestato il pregiudicato barese 53enne Cosimo Damiano Panza.
I fatti contestati risalgono allo scorso 6 ottobre.
L’uomo, detenuto nel carcere di Lecce con precedenti penali specifici per rapina e violenza sessuale, era in permesso premio proprio in quei giorni.
Il 53enne si sarebbe introdotto in pieno giorno nell’ufficio con una scusa e avrebbe poi estratto dalla tasca un coltellino a serramanico minacciando la vittima, una 27enne, che in quel momento si trovava sola.
“Dammi i soldi o ti taglio tutta”, le avrebbe detto, facendosi consegnare 15 euro che la donna aveva in borsa e rubando altri 350 euro da una borsa che era stata lasciata in ufficio da un’altra dipendente in pausa pranzo.
Sotto la minaccia dell’arma, l’uomo avrebbe poi costretto l’impiegata a seguirlo in bagno abusando di lei dicendole “se mi denunci ti faccio passare i guai”.
La vittima avrebbe però reagito riuscendo a spingerlo contro il muro e a fuggire dalla stanza e dall’edificio, per poi rifugiarsi in un bar lì vicino e chiedere aiuto.
All’identificazione di Panza gli investigatori, coordinati dalla pm Simona Filoni, sono giunti grazie alla descrizione fornita dalla vittima, incrociata con le immagini di telecamere di videosorveglianza, una del circuito cittadino e altre due private. L’ordinanza di custodia cautelare per i reati di violenza sessuale, rapina aggravata, sequestro di persona e furto, a firma del gip barese Francesco Pellecchia, è stata notificata a Panza in carcere.
(da agenzie)
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Novembre 25th, 2016 Riccardo Fucile
DURA POCHE ORE LA PROTESTA, LA POLIZIA INTERVIENE, MA PER EVITARE IL PEGGIO: FIGLI SGOMBERATI DAI GENITORI
Più dei manganelli della celere, stavolta hanno fatto gli schiaffi dei genitori.
Al liceo Azzarita di Roma, nel bel quartiere dei Parioli, sono arrivati loro, mamme e papà , a “sgomberare” i figli per far cessare l’ennesima occupazione.
Poche quest’anno, a dir la verità , rispetto alle grandi ondate del passato, quando il contagio della protesta sembrava inarrestabile, dal centro alla periferia; e brevi, rimaste in piedi al massimo due giorni, fino ai blitz delle forze dell’ordine allertate dai presidi che hanno scelto la linea dura o dei genitori che sono andati a riprendersi i ragazzi fin dentro le aule e i corridoi.
È andata così, mercoledì pomeriggio, nel liceo scientifico tra villa Ada e viale della Moschea.
Per la terza volta in 24 ore, i ragazzi hanno provato a prendere in mano l’istituto: “Abbiamo invaso il cortile e proclamato l’occupazione”, racconta una studentessa. Nella scuola solo un centinaio di ragazzi, che però giurano: “Nei giorni precedenti al blitz avevamo raccolto più di 200 firme”. Su circa mille studenti.
Insieme alle volanti, sono arrivati anche i prof e il preside che ha convocato i genitori d’urgenza per una riunione straordinaria.
E mentre i figli occupavano il piano terra e gli ultimi piani, al primo mamme e papà denunciavano la perdita di giorni di scuola chiedendo a gran voce un’autogestione concordata con i docenti.
“A un certo punto abbiamo sentito dei colpi alla porta che avevamo barricato – prosegue la studentessa – Erano alcuni genitori che, forzando la porta, sono riusciti a entrare, urlando di andar via, cercando i figli, spintonandoli. Qualcuno ha preso anche uno schiaffo… Noi, i più piccoli, ci siamo spaventati e siamo scappati”.
Gli ultimi rimasti, i più grandi, sono stati fatti uscire dalle forze dell’ordine, intervenute nel tardo pomeriggio. Ma lo sgombero era fatto.
Già da oggi si tornerà sui banchi, “ma saranno due giorni di confronto con i ragazzi per evitare il muro contro muro con i docenti e capire le ragioni del loro disagio – spiega il preside, Roberto Gueli – Hanno sbagliato, volevano attirare l’attenzione e in qualche modo ci sono riusciti. Ma non hanno fatto danni, hanno rispettato le aule, i laboratori. L’intervento delle forze dell’ordine, però, è stato necessario, anche per evitare il peggio”.
Dialogo, dunque, ma anche tolleranza zero davanti alle proteste radicali, indebolite quest’anno nei numeri e nella forza dei contenuti.
Anche a San Lorenzo, quartiere a forte tradizione “rossa”, è stata la polizia a fare irruzione al liceo Machiavelli, stroncando dopo poche ore la mobilitazione e facendo scattare la denuncia per alcuni studenti.
Al Montessori sono piovute le sanzioni disciplinari. Al Morgagni di Monteverde, vicino a Villa Pamphili, gli agenti sono entrati in piena notte, assieme alla preside.
Gli studenti qui parlano addirittura di “foto, video, minacce, urla, atteggiamenti aggressivi e offensivi”.
Una tensione che, secondo la questura, che sarebbe intervenuta per gli schiamazzi e la musica alta, non c’è mai stata.
Ma lo striscione “liceo occupato” non sventola più.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 25th, 2016 Riccardo Fucile
LA REDAZIONE DEL GIORNALE FINANZIARIO SPACCATA: EDITORIALE PER IL NO, ALTRE FIRME PER IL SI’ AL REFERENDUM
L’Economist per il no nel referendum italiano, ieri. L’Economist per il sì nel referendum italiano,
oggi.
Sempre dell’Economist si tratta, ma le opinioni su come l’Italia dovrebbe votare nella sfida del 4 dicembre divergono.
Sul numero del settimanale in edicola da giovedì, un editoriale ha spiegato “perchè votare no”. Ma sul numero annuale dell’Economist in edicola da stamane, The World in 2017, che raccoglie analisi, commenti e previsioni sull’anno in arrivo, un articolo afferma che la scelta migliore per il nostro paese sarebbe invece quella di votare sì. Come spiegare la contraddizione?
Non con il cosiddetto “cerchiobottismo”, che non appartiene alle tradizioni giornalistiche locali. Più probabilmente con il fatto che la redazione dell’autorevole settimanale si è spaccata su questa decisione, come del resto confermato dalle indiscrezioni raccolte da “Repubblica” dopo che si è diffusa la notizia dell’editoriale di ieri per il no.
La novità è che su The World in 2017, un numero speciale che resta in vendita per mesi se non per tutto l’anno e che gli abbonati al settimanale ricevono generalmente in omaggio, l’Economist si schiera decisamente per il sì.
Una differenza è che, mentre gli articoli del settimanale non sono firmati, quelli del numero annuale lo sono e dunque rappresentano in primo luogo l’opinione di chi li scrive.
Un’altra è che l’editor ossia il direttore di The World in 2017 è Daniel Franklin, mentre la direttrice del settimanale è Zannie Minton Beddoes.
Ma in copertina di entrambi c’è scritto The Economist, i giornalisti sono gli stessi e rappresentano la stessa filosofia editoriale. In un certo senso l’edizione annuale è una “costola” o supplemento del settimanale.
L’articolo di The World in 2017 sul referendum è firmato da John Hooper, da molti anni corrispondente da Roma dell’Economist (sia del settimanale che per il numero annuale), uno dei più noti giornalisti della testata (è stato anche a lungo corrispondente dall’Italia del Guardian).
E’intitolato “La scommessa di Renzi” (sottotitolo: “il destino dell’Italia in sospeso”). Dopo avere spiegato come si è arrivati al referendum, l’autore nota che le riforme proposte dal quesito “mirano a rendere l’Italia un paese più governabile”.
Aggiunge che disgraziatamente il referendum è diventato un voto personalizzato sul presidente del Consiglio Renzi e sulle sue chances di mantenere l’incarico.
Per poi concludere così: “Con un voto sì, l’Italia comincerà il 2017 con una possibilità di lasciarsi alle spalle il suo primato di governi instabili e leggi inefficaci. Con un no, si troverà a confrontarsi con uno scenario deprimente e familiare di instabilità politica e forse anche economica”.
Viceversa, secondo il settimanale, l’Italia dovrebbe votare no nel referendum del 4 dicembre.
Il nostro paese ha effettivamente bisogno di ampie riforme, afferma un editoriale, “ma non quelle proposte” da Renzi. L’Economist scrive che il premier ha rappresentato una grande speranza di cambiamento e che il referendum, nelle sue intenzioni, serve appunto a realizzare quei cambiamenti di cui l’Italia ha bisogno per far crescere l’economia nazionale e non essere più “la principale minaccia alla sopravvivenza dell’euro”.
Ciononostante, come sostiene fin dal titolo dell’articolo, l’Economist non ha dubbi: “L:’Italia deve votare no”.
Le modifiche costituzionali proposte da Renzi, osserva il settimanale, non affrontano il vero problema, che è il rifiuto italiano di fare le necessarie riforme.
“Ogni secondario beneficio” ricavato dalle modifiche in questione verrebbe contraddetto dalle conseguenze negative, “soprattutto il rischio che, cercando di mettere fine all’instabilità che ha dato all’Italia 65 governi dal 1945, si crei un uomo forte. Questo è il paese che ha prodotto Benito Mussolini e Silvio Berlusconi ed è vulnerabile in modo preoccupante al populismo”.
E’ vero che il sistema bicamerale italiano produce uno stallo e riformarlo sembrerebbe logico, prosegue l’editoriale, “ma i dettagli della riforma insultano i principi democratici”. Il senato “non sarebbe eletto”, bensì composto di membri di assemblee regionali e sindaci: e il giornale nota che i poteri locali in Italia sono spesso i più corrotti. In secondo luogo la riforma concede al partito di maggioranza alla Camera “un immenso potere, dando al maggiore partito il 54 per cento dei seggi e la garanzia di governare cinque anni”.
Il rischio che il settimanale britannico intravede è che a beneficiare di queste condizioni sarebbe in futuro Beppe Grillo: “Lo spettro di Grillo come primo ministro, eletto da una minoranza e tenuto al potere dalle riforme di Renzi, è una possibilità che molti italiani e grane parte dell’Europa giudicano preoccupante”.
E come valutare allora il “rischio di un disastro” se il referendum sarà bocciato, cioè dell’instabilità in Italia e di un’altra crisi per l’Unione Europea?
L’Economist conclude così l’editoriale: “Le dimissioni di Renzi potrebbero non essere la catastrofe temuta da molti in Europa. L’Italia potrebbe mettere insieme un governo tecnico ad interim, come ha fatto molte volte in passato. Se invece un referendum perduto scatenasse il collasso dell’euro, allora sarebbe un segnale che la moneta europea era così fragile che la sua distruzione era solo questione di tempo”.
Secondo indiscrezioni raccolte da “Repubblica”, la decisione di schierarsi per il no ha spaccato la redazione.
Da una parte la direttrice Zanny Minton Beddoes e alcuni giovani editorialisti, dall’altra – schierati per il sì e fortemente perplessi sulla scelta opposta – il corrispondente dall’Italia, i responsabili dei servizi sull’Europa e altri commentatori e redattori.
Commenta una fonte dall’interno della redazione del giornale: “Abbiamo appoggiato Remain nel referendum sulla Ue e Hillary Clinton nelle presidenziali americana. La nostra decisione di appoggiare il no nel referendum in Italia potrebbe diventare il bacio della morte”.
Nel senso di un terzo endorsement sconfitto alle urne.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 25th, 2016 Riccardo Fucile
“L’APERTURA CI PORTERA’ PIU’ SICUREZZA, NON ISOLAMENTO, SIAMO UN ARGINE AL POPULISMO XENOFOBO”
«Passo dopo passo», Angela Merkel, cercherà di difendere i valori liberali dell’Occidente: la cancelliera lo ha assicurato in un discorso al Parlamento tedesco. Era il suo primo intervento pubblico dopo l’annuncio, domenica, dell’intenzione di ricandidarsi alle elezioni dell’autunno 2017.
Nervi saldi, di fronte al disordine mondiale: meglio non agitarsi, meglio un impegno a proseguire con ancora maggiore determinazione sulla strada seguita finora; in fondo – ha detto, già in campagna elettorale – i tedeschi «non sono mai stati meglio di oggi».
Frau Merkel, nel discorso al Bundestag, non ha citato direttamente Donald Trump: dovrà lavorarci assieme.
Ha però delineato una visione politica che è l’opposto di quella proposta dal presidente-eletto americano: un mondo aperto, tanto ai profughi quanto ai commerci, che se non fosse plasmato dai valori americani ed europei sarebbe peggiore di quello di oggi e anche più pericoloso.
Il punto di critica più diretto all’Amministrazione entrante a Washington ha riguardato una scelta politica del nuovo presidente, non affermazioni di propaganda: il Tpp, la partnership commerciale del Pacifico che Trump ha detto ripudierà il primo giorno della sua presidenza.
«Ve lo dirò onestamente – ha affermato la cancelliera –. Non sono contenta che l’accordo Transpacifico probabilmente ora non diventi una realtà . Non so chi ne beneficerà ».
Riferimento alla Cina, che del passo indietro americano nell’area cercherà di approfittare per estendere la sua influenza, economica e geopolitica
Merkel sa che la cancelliera tedesca e la Germania, da sole non possono garantire i valori liberali nel mondo: un’aspettativa che domenica scorsa aveva definito «grottesca».
Il suo obiettivo è assicurare che il populismo in crescita in Europa sia frenato, perchè se conquistasse posizioni porrebbe una minaccia all’esistenza della Ue.
Ma a suo parere questo non può avvenire solo Paese per Paese, non attraverso grandi disegni visionari che sono regolarmente respinti dagli elettorati.
Il suo primo compito, dunque, è evitare che il partito anti immigrati e populista Alternative fà¼r Deutschland abbia un successo alle elezioni tedesche.
Ha quindi difeso la scelta di aprire le porte ai profughi, ha avvertito dei pericoli dei discorsi di odio che corrono sui social network e ha affermato la priorità di mantenere una società aperta: «L’apertura ci porterà più sicurezza, non isolamento».
A proposito di sicurezza, ha annunciato che il suo governo aumenterà la spesa per la Difesa, per avvicinarsi all’obiettivo della Nato del 2% del Pil investito in essa.
Ha poi criticato pesantemente il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per la repressione che conduce, ma ha aggiunto che il rapporto con la Turchia va mantenuto.
Danilo Taino
(da “il Corriere della Sera”)
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