Febbraio 1st, 2017 Riccardo Fucile
ORA SI SCOPRE CHE L’APPALTO DEI MODULI PER GLI ALLEVATORI E’ STATO GESTITO SOLO DALLA REGIONE UMBRIA E CHE PREVEDEVA MATERIALE ANCHE “RIGENERATO”
“Sanitari rotti e vecchi, rubinetteria arrugginita. Sul fatto che la casetta fosse già stata usata posso anche passarci sopra, d’altronde condizionatori e scaldabagno funzionano e la struttura verrà poi riverniciata, ma che il bagno sia vecchio e non in condizione di poter essere utilizzato mi sembra una cosa vergognosa”.
A parlare è Paolo, allevatore terremotato di una frazione di Amatrice.
Dopo il 24 agosto il 40enne ha trascorso insieme alla moglie un mese nella tendopoli, poi si è spostato in una roulotte donata da una associazione del Nord Italia.
Da allora attende una sistemazione per la sua famiglia e per i suoi animali, ancora nella stalla sociale inagibile.
Pochi giorni fa, dopo cinque mesi dal sisma, finalmente la consegna del Mapre, modulo abitativo prossivorio rurale di emergenza destinato ad accogliere temporaneamente gli allevatori e le loro famiglie nei pressi delle stalle e del bestiame.
“Ero così felice, mi sono sentito importante perchè finalmente qualcuno stava ascoltando le nostre esigenze permettendoci di rimanere sul territorio e vicino ai nostri animali ma poi – spiega Paolo – quando ho visto quel lavandino rotto e quel bagno mi sono sentito offeso nell’orgoglio. Ma come è possibile? Siamo sempre stati considerati uan categoria inferiore e questa vicenda lo conferma”.
A parlare dei Mapre usati era stato per primo il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi che, dalle colonne dell’edizione reatina del Messaggero, aveva lanciato l’ennesimo allarme. “Il sindaco è subito intervenuto per verificare lo stato della casetta. Mi sono sentito tutelato da parte del comune ma ora vorrei sapere chi è responsabile di questo gesto tremendo?”, conclude Paolo.
Il Comune di Amatrice, dopo una verifica sul modulo, conferma la presenza di sanitari e rubinetti usati e sono in corso le verifiche su altre strutture che potrebbero avere problemi simili.
A margine di un incontro al Ministero dell’Istruzione, per presentare il nuovo indirizzo di liceo scientifico sportivo internazionale che sarà inaugurato a settembre proprio ad Amatrice, Pirozzi ha aggiunto: “Mi auguro vengano presi dei provvedimenti immediati perchè questo è uno schifo” e, a chi chiede se ha vuto riscontri dal Governo, il sindaco risponde: “Non c’entra il Governo, chi doveva controllare non l’ha fatto”.
A gestire l’appalto per l’acquisto delle case degli allevatori è stata la Regione Umbria per tutte le regioni colpite dal sisma, mentre sono poi le singole regioni a gestire la distribuzione.
“Ho chiesto al presidente Zingaretti di intervenire immediatamente sulla situazione dell’installazione dei Mapre, i moduli per gli allevatori, dato che la Regione Lazio, così come le altre Regioni sui rispettivi territori, ha la responsabilità di monitorare passo passo i lavori, il rispetto dei requisiti e delle tempistiche previsti dai capitolati”, così il capo del Dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio.
“Per tutte le carenze riscontrate rispetto agli standard messi a gara – sottolinea Curcio – è indispensabile che la Regione avvii tempestivamente, nei confronti delle ditte, ogni possibile iniziativa per tutelare i diritti dei cittadini”.
In una nota la Regione Lazio informa che “verrà richiesto alla ditta che ha vinto la gara di risolvere, laddove necessario, sinora pochi casi, le problematiche evidenziate” e che “la gara, bandita dalla Regione Umbria, per la fornitura di moduli prevedeva materiale nuovo ma anche rigenerato”.
“E’ nostro impegno – si legge ancora nella nota della Regione Lazio – garantire agli allevatori e agli agricoltori le condizioni ottimali per poter abitare i moduli appositamente realizzati”.
Sul caso è poi intervenuto anche il presidente Nicola Zingaretti che con un tweet ha fatto sapere di aver diffidato la ditta sul rispetto “della qualità delle forniture” e della “consegna per il 9 febbraio”.
A ieri i Mapre montati e controllati erano 9 su 33.
Benedetta Perilli
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 1st, 2017 Riccardo Fucile
TRA UN MESE ALMENO DUE DEI REATI CONTESTATI CADRANNO IN PRESCRIZIONE
I fatti e le responsabilità accertate dalla sentenza del Tribunale di Lucca che, dopo sette anni, con
ventitrè condanne e dieci assoluzioni, rende giustizia a trentadue innocenti arsi vivi in quell’Apocalisse che fu la notte del 29 giugno 2009 alla stazione di Viareggio, sono lo specchio della maledizione che affligge il Paese.
Della sua memoria friabile e cattiva coscienza, dell’arrogante cinismo dei suoi manager di Stato contro cui lo Stato rinuncia a costituirsi parte civile, dell’idiosincrasia per una cultura della “sicurezza” che si declini innanzitutto in prevenzione.
Di più, e ancora: di una giustizia penale manomessa nel tempo ad uso di chi, di fronte alla legge, è più uguale di altri e in ragione della quale sulla sentenza di ieri si chiuderanno, di qui a un mese, le sabbie mobili della prescrizione.
Per almeno due dei reati contestati nei capi di imputazione. L’incendio colposo e le lesioni gravi colpose.
Centoquaranta udienze, l’ammirevole sforzo istruttorio della Procura di Lucca, la terzietà dei giudici di merito capaci di distinguere tra le singole posizioni degli imputati, hanno dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che nella strage del treno merci 50325 Trecate-Gricignano la mano dell’uomo, la sua “negligenza inescusabile”, ebbe parte cruciale. Ne fu “concausa”.
Nè più e nè meno del “caso”, che volle il deragliamento figlio del cedimento di una “boccola controdentata” dell’asse del primo di quattordici vagoni carichi di gas liquido e l’immane rogo che ne seguì dello squarcio prodotto in una delle cisterne ribaltate da un picchetto di tracciamento collocato lungo la massicciata.
Che quanto accadde dunque alle 23 e 50 di quella notte, quando l’aria diventò fuoco e il buio si accese di rosso, porta le stimmate e la responsabilità anche dei manager delle aziende che in quella tragedia ebbero parte.
Rete Ferroviaria Italiana (Rfi), la società per azioni partecipata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato e responsabile della gestione e della sicurezza dell’infrastruttura ferroviaria del nostro Paese.
Le tedesche “Gatx rail Germany”, proprietaria delle cisterne da 35 mila litri caricate sui vagoni e affittati a Fs, e “Jugenthal”, l’officina in cui era stato revisionato il carro di cui avrebbe ceduto l’asse.
Suonano dunque intollerabili, in una giornata come questa, le parole dell’avvocato Armando D’Apote, legale di Rfi e Fs, che, di fronte al semplice dispositivo di condanna e assoluzione, definisce “scandaloso l’esito del processo” e denuncia il “populismo che trasuda dalla sentenza”.
E non certo perchè una sentenza debba essere immune anche dal più aspro diritto di critica o censura (a maggior ragione da parte di chi ritiene, come in questo caso, di non averne ricevuto giustizia).
Ma per ciò che da quelle parole “trasuda”. In quell’epiteto – “populista” – è infatti lo specchio dell’arroganza con cui, dal giugno del 2009, i vertici di Rfi e Fs – diciamo pure e meglio Mauro Moretti che ne è stato nel tempo amministratore delegato – hanno maneggiato una tragedia che avrebbe richiesto misura nei toni, onestà intellettuale nella ricostruzione dei fatti, rispetto di un lutto.
E di cui, al contrario, restano in archivio le parole pronunciate dallo stesso Moretti.
Il 2 luglio del 2009, quando, da amministratore delegato di Fs, ebbe a spiegare le ragioni per cui non era stata attivata la copertura assicurativa per far fronte ai risarcimenti per la strage (“Non ci sentiamo responsabili”).
E il 2 febbraio del 2010, durante un’audizione al Senato: “Vi prego di considerare che quest’anno, dal punto di vista della sicurezza, a parte questo spiacevolissimo episodio di Viareggio, abbiamo fatto ulteriori miglioramenti. Siamo i primi in Europa”.
Ora, nel chiedere e ottenere la condanna di Moretti, la Procura di Lucca ne ha censurato i profili di responsabilità osservando come, in quello “spiacevolissimo episodio”, “in qualità di Amministratore delegato di Rfi, era tenuto a garantire la sicurezza di circolazione dei treni e, sempre nel campo di Rfi, non ha valutato il rischio insito nella circolazione dei treni che trasportano merci pericolose, il possibile taglio del serbatoio contro un elemento ferroviario (il picchetto), non ha valutato che il grave rischio potesse accadere in una stazione vicina alle case, non ha valutato l’opportunità di abbassare la velocità in concomitanza di centri abitati”.
Ha insomma e più semplicemente stigmatizzato come nelle competenze di un manager di Stato la cultura e le pratiche della sicurezza come “prevenzione del rischio” non siano un optional.
E che la “tragedia” non possa e non debba diventare un danno collaterale accettabile in ragione dell’incidenza infinitesimale dell’incidente ferroviario (“Siamo i primi in Europa”).
Che tutto questo venga eliso nella vis polemica dell’avvocato di Rfi e Fs è comprensibile.
Meno lo sarebbe se sfuggisse a Mauro Moretti. Che, ferma restando la presunzione di innocenza, dovrebbe mettere da parte il codice penale e riflettere da oggi sulla compatibilità tra il suo ruolo di manager di Stato e i fatti accertati dal Tribunale di Lucca, a prescindere dalla valutazione giuridica che ne è stata data.
Magari rinunciando anche alla prescrizione. Sarebbe un segno di discontinuità .
La dimostrazione che responsabilità politico-aziendale e responsabilità penale rispondono a principi e canoni diversi.
L’arrocco con cui il Cda di Finmeccanica lo ha ieri sera riconfermato indica che è assai improbabile che questo accadrà .
Perchè, in fondo, la prescrizione è dietro l’angolo. E finchè c’è prescrizione, c’è speranza.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 1st, 2017 Riccardo Fucile
IL FINTO DOSSIER SU DE VITO, GLI APPOGGI DELLA DESTRA ALLA RAGGI, IL RUOLO DI FRONGIA
Senza il finto dossier contro di lui, Marcello De Vito — sostiene — sarebbe il sindaco di Roma. Questo a suo dire, ovviamente.
Una buona percentuale della vittoria di Virginia Raggi è dovuta proprio al fatto che era un volto nuovo, giovane, fresco, e — last but not least — una donna.
Un personaggio su cui costruire una narrazione mediatica ben precisa e d’impatto.
De Vito proveniva dalla sconfitta alle elezioni del 2013, per esempio, quindi non era certo “vergine” in quel senso.
Con la scelta della Raggi, la Casaleggio & Associati e Beppe Grillo — che ci risulta impossibile credere non fossero informati delle false accuse a De Vito — hanno sicuramente fatto centro nel presentare alle elezioni l’ex addetta alle fotocopie dello studio Previti. E, peraltro, è risaputo ormai che una buona fetta dell’elettorato della Raggi proveniva dalla destra “alemanniana” vicina alla madre della sindaca.
La vittoria della Raggi è stata dunque frutto di una serie di variabili che, anche senza l’ignobile dossier contro di lui, non è detto avrebbero portato al trionfo quello che oggi è il Presidente dell’Assemblea Capitolina.
E qui casca l’asino. Il silenzio sotto cui è stata tenuta tutta la sordida faccenda del dossier falso, costruito — a quanto dicono le fonti — da quello che poi è diventato nientemeno vicesindaco di Roma, ovvero Daniele Frongia, getta una livida luce su tutto il m5s romano e nazionale.
Agli italiani e ai romani, le principali vittime della situazione, il m5s è stato spacciato da tutti i protagonisti pentastellati dell’affaire del dossier, nessuno escluso, come il meglio che la Capitale potesse sperare di avere come guida della città , in vista della futura presa di Palazzo Chigi e della nazione.
Così come, nel 2013, quando fu il favorito Frongia a essere silurato dalla Lombardi per far posto allo stesso De Vito come candidato sindaco, tutti rimasero in silenzio e andarono avanti nell’omertà più assoluta.
L’obiettivo era prendere Roma — e le poltrone — così come nel 2016 e “le lingue sciolte affondano le navi”.
L’onestà intellettuale avrebbe voluto che qualcuno denunciasse pubblicamente le manovre sotterranee per favorire questo o quel candidato, nel 2013, e — ancor più insistentemente — nel 2016, in cui si è toccato il fondo con la costruzione di false accuse per affossare un concorrente e, assieme a lui, distruggerne l’ eminenza grigia nonchè una rivale fortissima alle prossime elezioni interne al movimento, ovvero Roberta Lombardi.
Il silenzio e l’omertà sul caso De Vito nel 2016 e sul caso Frongia nel 2013 rivelano opacità e sotterfugi tipici dei partiti tradizionali, quelli da cui il m5s sostiene di essere scevro.
Forse anche peggiori, visto che poi — sotto i riflettori — tutti recitano il “volemose bene” d’ordinanza.
Non possiamo dimenticare le festicciole pre-elettorali con le idilliache carinerie fra Roberta Lombardi e Virginia Raggi, quando in realtà — e ormai è ampiamente dimostrato dalle intercettazioni — se si abbracciavano era solo per attaccarsi la polmonite.
Insomma, il caso del dossier De Vito dimostra soltanto una cosa: il m5s non è quella specchiata forza politica di semplici cittadini probi e rispettosi del prossimo, desiderosi di portare un’aria nuova nella politica e una sana ventata di onestà e trasparenza, quanto invece una sorta di eterogenea cricca in cui regnano, fra le altre cose, odi, ripicche, gelosie, smanie di potere, sgambetti, ricatti, lotte fra primedonne (maschi e femmine) e financo dossier falsi.
Il tutto, ovviamente, taciuto all’opinione pubblica, che viene a scoprire il tutto solo quando diventa oggetto d’indagine delle procure.
Ora De Vito, forse, verrà ripagato dell’ignominioso dossier contro di lui con una poltrona di vicesindaco e, se Grillo decidesse di staccare la spina alla Raggi, di primo cittadino.
La carica che, a suo dire, gli sarebbe stata tolta dalla congiura ordita a suo svantaggio.
Ma chi ripagherà mai i romani per avere questa “improvvisata” (nella migliore delle ipotesi) compagine alla guida della loro città , della Capitale d’Italia?
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 1st, 2017 Riccardo Fucile
IL GRILLINO VITTIMA DEL FUOCO AMICO ….CHI AVEVA INTERESSE A “PORTARE” COME SINDACO LA RAGGI?
“Se non ci fosse stata quella carognata del finto dossier contro di me, il candidato sindaco non sarebbe
stata Virginia, ma io”.
Lo afferma il presidente del consiglio comunale capitolino, Marcello De Vito, in un colloquio con il Messaggero.
Sulla vicenda del presunto dossieraggio che avrebbe contribuito a sconfiggere De Vito alle primarie del M5S nella corsa alla Campidoglio, la procura di Roma ha aperto un fascicolo senza ipotesi di reato nè indagati.
“Sulle comunarie online “quanto ha influito il dossier? Quanto ha voluto dire essere stato calunniato?”, si chiede De Vito, che spiega di aver taciuto “per il bene del M5S. Mi sono comportato da vero militante, non ho voluto fare casini in giro, in questo anno sono stato molto zen, ma lo so solo io cosa significa, quanti bocconi ho dovuto mandar giù. Ci vuole la mia pazienza – conclude – per sopportare un anno così”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 1st, 2017 Riccardo Fucile
SFILATA DI TESTIMONI DAVANTI AI MAGISTRATI
Il primo numero di telefono digitato da Roberta Lombardi uscendo dagli uffici della Procura, dove sabato scorso l’aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Francesco Dall’Olio l’hanno sentita come persona informata dei fatti, è quello di Beppe Grillo.
È a lui, al capo politico del Movimento, che la deputata romana rivela tutta la sua preoccupazione per il nuovo faro acceso dagli inquirenti sul “Raggio magico”: relativo, stavolta, al dossier confezionato a fine 2015, in piena campagna per le comunarie cinquestelle, contro Marcello De Vito, lo sfidante più temibile dell’avvocata di Ottavia e del fido scudiero Daniele Frongia, che infatti un paio di mesi dopo si ritirò dalla consultazione avviata fra gli attivisti per individuare il candidato sindaco e fece convergere i suoi voti su di lei.
È in ansia, la parlamentare.
Teme che questo ulteriore filone di inchiesta possa innescare una slavina in grado di dare il colpo di grazia alla già pencolante giunta capitolina, rimasta miracolosamente in piedi – sebbene rimaneggiata – dopo l’arresto di Raffaele Marra.
Troppe le domande cui Lombardi ha dovuto rispondere. A spettro assai più ampio rispetto all’indagine per cui formalmente è stata convocata a riferire. Innescata dall’esposto presentato il primo luglio 2016, otto mesi prima, dal senatore di Idea Andrea Augello, che sulla scorta di alcuni articoli di stampa ricostruiva il “processo” interno intentato dagli ex consiglieri grillini Frongia, Raggi e Stefà no contro il collega De Vito, promotore di un accesso agli atti per una pratica edilizia che – secondo gli accusatori – poteva configurare il reato di abuso d’ufficio.
Un processo in più fasi, al quale – fra dicembre 2015 e gennaio 2016 – vennero chiamati ad assistere svariati parlamentari (da Di Battista a Carla Ruocco e Paola Taverna) oltre che numerosi esponenti territoriali del Movimento.
E a nulla valsero le giustificazioni di De Vito, che si difese sostenendo che quella richiesta di accesso agli atti era del tutto lecita, sollecitata dagli avvocati grillini della Regione Lazio allo scopo di verificare una segnalazione su presunti illeciti arrivati alle loro orecchie.
L’improvvisato “tribunale del popolo” sollevò tali e tanti sospetti sull’attuale presidente dell’assemblea capitolina, che la sua candidatura a sindaco venne irrimediabilmente compromessa.
Scatenando una ridda di ipotesi e di veleni sull’autore occulto del dossier, da molti poi identificato – ma sempre a mezza bocca per paura di ritorsioni – in Raffaele Marra, l’uomo che dopo la presa grillina di Roma divenne vice-capo di gabinetto e potentissimo braccio destro della sindaca.
Probabilmente, è il sospetto dei pm, una delle ragioni per cui Raggi ha legato il suo destino politico e personale a quello dell’ex capo delle Risorse Umane finito in galera per corruzione: indizio di un possibile ricatto, ancora tutto da provare, però.
Non è allora un caso se, il giorno successivo all’audizione di Lombardi, in Procura sia stato ascoltato pure De Vito.
Mentre quello dopo ancora, lunedì, è toccato a Gianluca Perilli, consigliere regionale nonchè componente del minidirettorio romano, e all’avvocato del gruppo 5S Alessandro Canali. Tutti chiamati a ricostruire la vicenda dossieraggio e a fornire chiarimenti sul modus operandi dei grillini in campagna elettorale.
Una raffica di convocazioni che ha fatto scattare l’allarme rosso lungo la direttrice Genova-Milano. La tesi, finora andata per la maggiore, secondo cui sia stata l’arcinemica di Virginia Raggi ad alimentare il terrorismo giudiziario intorno a lei, non regge più.
Al punto che i vertici del Movimento si starebbero ora predisponendo a far scattare il piano B, quello già studiato all’indomani dell’arresto di Marra, poi non andato in porto per l’ostilità della sindaca. Ovvero rafforzare politicamente la giunta con un vice che non sia tecnico come Luca Bergamo bensì cinquestelle doc, non bastando gli uomini di fiducia di Grillo e Casaleggio (Colomban alle Partecipate e Montanari all’Ambiente) che sono altrettanto tecnici, non eletti e neppure romani.
Un uomo della base, riconosciuto e riconoscibile, che ha fatto tutta la gavetta dentro il Movimento e infine premiato con una valanga di preferenze.
Identikit che porta dritto a Marcello De Vito. Il protegè di Lombardi, bestia nera di Raggi.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 1st, 2017 Riccardo Fucile
“NOVE MILIONI DI IMMIGRATI SONO PASSATI SOTTO QUELLA STATUA, RENDENDO GRANDE L’AMERICA”
Gli ordini esecutivi di Trump contro gli immigrati, le sfide che essi pongono alla Chiesa americana, e
la strategia da parte del Presidente degli Stati Uniti di dividere i vescovi, tra pro migranti e pro life. Huffpost incontra Joe Tobin, cardinale di Newark, a Roma, dove domenica 29 gennaio, ha preso possesso della “sua” parrocchia, quella di Santa Maria delle Grazie al Trionfale, a pochi metri dalle Mura Vaticane.
L’UNHCR, organizzazione delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha stimato in circa 20 mila il numero di persone che subiranno immediatamente l’impatto della sospensione dell’ingresso negli Stati Uniti. Come cittadino americano e come cardinale cattolico come si sente difronte a questa situazione?
“Turbato. Sento una grande perplessità perchè va contro la tradizione e addirittura l’ethos del popolo, l’esperienza stessa degli Stati Uniti, una nazione costituita principalmente da migranti. Poi mi colpisce perchè io sono l’arcivescovo di Newark, e la Statua della Libertà è parte della mia Diocesi. La Statua della Libertà – monumento simbolo di New York e degli Stati Uniti – è costruita su Bedloe’s Island, che è una piccola porzione del New Jersey, all’imboccatura del porto di New York, un pezzetto del mio territorio. La Statua della Libertà è diventata il simbolo dell’immigrazione, in quanto per oltre 9 milioni di immigrati arrivati negli Stati Uniti via mare, nella seconda metà del 19° secolo, la Statua era la prima cosa che si vedeva del nostro Paese. Anche mia nonna è passata di lì. E’ per questo che sono rimasto perplesso e turbato da quest’ultimo sviluppo della politica di Trump”.
Quando lei era arcivescovo ad Indianapolis ha polemizzato con l’allora governatore dell’Indiana, attuale vicepresidente, Mike Pence, che si schierò contro l’accoglienza dei rifugiati siriani. Pensa che questi rifugiati che in parte sono cristiani devono avere una protezione speciale?
“Io credo che non c’è altra protezione speciale che il diritto di tutti. Ed infatti ho letto ieri sera che un vescovo in Iraq ha dichiarato che offrire una protezione particolare ai cristiani, in realtà mette a ulteriore rischio i cristiani stessi come classe privilegiata. Noi sappiamo che in alcuni Paesi del Medioriente i cristiani sono già vittime di una terribile persecuzione”.
I sostenitori del Presidente Trump affermano che negli anni passati il suo predecessore Barack Obama ha respinto 2 milioni e mezzo di migranti. Allo stesso modo, in relazione al Muro del Messico, sostengono che chi iniziò a costruirlo fui addirittura Bill Clinton. Cosa risponde a questa obiezione che negli ultimi giorni è stata molto ripresa anche in Italia? Cosa ha fatto negli anni passati la Chiesa cattolica americana?
“I vescovi degli Stati Uniti – già durante la presidenza Obama – hanno insistito sulla riforma della legge dell’immigrazione. Noi vescovi protestiamo per gli ultimi sviluppi, ma non ci vogliamo affatto affidare alla legge così com’è. In questo senso, anche il governo delle amministrazioni precedenti ha fallito. Forse a causa della polarizzazione del Congresso, ma comunque sia, non sono riusciti a fare una una vera riforma. E’ la riforma della legge che è la soluzione, è questa riforma che è necessaria. Noi non vogliamo negare il diritto delle Nazioni al controllo delle proprie frontiere, ma la decisione della settimana scorsa (cioè l’ordine esecutivo di Trump di bloccare per quattro mesi gli ingressi da alcuni Paesi, ndr) è lontana, molto lontana dalla vera riforma, l’unica che funzionerà ”.
Qualcuno dice che c’è una differenziazione nella Chiesa americana tra i vescovi che sono più attenti ai temi pro life, del diritto alla vita, e quanti invece hanno una sensibilità maggiormente sociale. Secondo lei questi atti così forti del Presidente Trump cambieranno la posizione dei vescovi ?
“Secondo me c’è la possibilità che la coincidenza tra uno spiraglio di speranza che l’Amministrazione ha offerto alla grande manifestazione pro- vita che si è tenuta a Washington la scorsa settimana, e l’annuncio delle decisioni di chiusura ai migranti, non sia una casualità . E’ stata una strategia per dividere i vescovi, per dividere la Chiesa Cattolica. Io da parte mia affermo che i grandi valori della vita umana vanno rispettati tutti e in tutti i momenti: dal concepimento a alla morte naturale”.
Papa Francesco ha preso l’interim della responsabilità dei migranti nel nuovo Dicastero per lo sviluppo umano integrale, presieduto dal Prefetto cardinale Peter Turkson, pensa che il Papa possa scrivere una nuova Enciclica proprio sulle migrazioni?
“Non c’è dubbio che il dramma dell’immigrazione è molto vicino al cuore del Santo Padre per quello che ha visto a Lampedusa e Lesbo, ma anche per le notizie che arrivano ogni giorno in Vaticano: le migrazioni sono un dramma mondiale. Non solo in Medioriente. Come un Apostolo che legge i segni dei tempi alla luce della fede, Francesco non può che rispondere che dando una reale priorità a questa urgenza”.
Un altro problema degli Stati Uniti è l’aumento del numero dei poveri: e questo, secondo gli analisti del voto è stato un fattore decisivo per la vittoria di Trump. E’ così?
“Forse in gioco non è solo la povertà reale, ma l’esclusione, la sensazione che le decisioni più importanti della vita sono fuori dal controllo delle persone. Su questa insicurezza Trump ha fatto leva ed è riuscito a convincere la popolazione che l’altro partito, i Democratici, sono un partito delle èlite, lontano dalla gente. Decisivo è stato non solo il livello reale della povertà , ma l’abisso sempre crescente tra i più ricchi e i poveri: questo genera un senso di disperazione, è molto pericoloso”.
Gli americani pensano veramente che sono gli immigrati che tolgono loro il lavoro?
“C’è chi diffonde questa caricatura della realtà , ma si tratta appunto di una caricatura, si tratta di un’ideologia. Così come avviene da voi in Italia per un partito del Nord. Ma questo non è vero. Gli immigrati svolgono i lavori più umili all’interno di una società , quelli che nessun altro farebbe e spesso lo fanno con gratitudine. Io non ho mai visto neppure uno studio sociologico che dimostra questo: si tratta appunto di un’ideologia che fa leva sulle paure della gente. Anche in Europa si vive con questa paura generalizzata e spero che la tradizione di fede, di tolleranza di umanesimo vincano anche in Europa, perchè quando la paura prende il sopravvento , gli uomini sono capaci di grandi atti barbarici”
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 1st, 2017 Riccardo Fucile
SUCCEDE A PISTOIA E MANTOVA
Palermo sarà la capitale italiana della cultura del 2018. Lo ha comunicato oggi il presidente della Commissione Stefano Baia Curioni al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini nella Sala Spadolini del Mibact.
Il voto è stato unanime.
“La candidatura — recita la motivazione – è sostenuta da un progetto originale, di elevato valore culturale, di grande respiro umanitario, fortemente e generosamente orientato all’inclusione alla formazione permanente, alla creazione di capacità e di cittadinanza, senza trascurare la valorizzazione del patrimonio e delle produzioni artistiche contemporanee. Il progetto è supportato dai principali attori istituzionali e culturali del territorio e prefigura a che interventi infrastrutturali in grado di lasciare un segno duraturo e positivo. Gli elementi di governance, di sinergia pubblico-privato e di contesto economico, poi, contribuiscono a rafforzarne la sostenibilità e la credibilità ”
La rosa delle dieci finaliste comprendeva Alghero, Aquileia, Comacchio, Ercolano, Montebelluna, Palermo, Recanati, Settimo Torinese, Trento, Erice e i comuni ericini (Buseto Palizzolo, Custonaci, Erice, Paceco, San Vito Lo Capo e Valderice).
La lista iniziale comprendeva 24 candidate.
Pistoia è la capitale della cultura per il 2017, Mantova lo è stata nel 2016. La vincitrice riceverà un milione di euro dal Mibact per realizzare il progetto presentato, oltre all’esclusione dal vincolo del patto di stabilità dei fondi investiti.
Sull’ampia rosa di partecipanti il ministro ha spiegato come questa competizione virtuosa generi “un meccanismo di partecipazione condivisa. Essere nella short list è un po’ come ricevere una nomination all’Oscar: consente di lavorare molto anche in termini di progettazione e promozione”.
Franceschini ha annunciato poi annunciato che “nel 2018 verrà designata la capitale italiana del 2020 (il 2019 “salta” perchè l’Italia ha la capitale europea della Cultura, Matera n.d.r.) che avrà quindi due anni a disposizione per realizzare al meglio il progetto”.
“Provo una profonda emozione – ha detto il sindaco, Leoluca Orlando, dopo che il ministro Franceschini ha letto il nome della vincitrice, contenuto nella busta che Baia Curioni gli aveva consegnato pochi minuti prima -. “Abbiamo vinto tutti, perche’ ognuno di noi e’ stato capace, per il proprio impegno, a narrare le bellezze dei nostri territori – ha aggiunto -. Questo e’ un messaggio anche per i livelli istituzionali regionali e nazionali, dobbiamo attrezzarci per narrare le bellezze delle nostre regioni”.
“La cifra piu’ importante di questo riconoscimento e’ l’accoglienza, in un periodo in cui emerge il fastidio dell’altro”, ha proseguito. Orlando, presente alla manifestazione, ha voluto accanto a sè i colleghi delle nove città sconfitte.
“Raggiante – si è dichiarato il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta -. “Sono felice che una città con la storia come quella di Palermo sia stata scelta come capitale della Cultura – aggiunge Crocetta – questa scelta ci ha reso giustizia. E’ un’occasione importante per incrementare il turismo”.
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2017 Riccardo Fucile
MUORE DI INFARTO A 39 ANNI ANDREA PIETROLUNGO, SOCCORRITORE DELL’HOTEL RIGOPIANO….UNA VITA DEDICATA AD AIUTARE GLI ALTRI
Un altro angelo del soccorso ci ha lasciati. Il Corpo nazionale di Soccorso alpino e speleologico Abruzzo
è in lutto.
Si è spento ieri mattina poco dopo le 6, all’età di 39 anni, Andrea Pietrolungo, tecnico speleo e direttore della scuola regionale Speleo di cui era istruttore da anni, volontario del Cnsas e capostazione delle Forre Abruzzo.
Pietrolungo da ieri aveva avvertito dei dolori ossei e pensava a un’influenza. Dall’inizio del mese era stato impegnato per il coordinamento degli elicotteri nelle emergenze maltempo nel Teramano: giorni e giorni trascorsi in mezzo alla neve a soccorrere le persone isolate dalla neve.
Aveva partecipato anche ai funerali a L’Aquila dei soccorritori del 118 morti nello schianto con l’elicottero a Campo Felice.
Lo stress, la stanchezza, il continuo correre in soccorso al freddo…
Andrea era sano come un pesce e chiunque avrebbe pensato a un’influenza. Invece il suo grande cuore ha ceduto.
L’esperienza di Andrea Pietrolungo come tecnico speleo era rinomata in tutta Italia: pioniere dell’ultima grotta scoperta a Roccamorice, quella della Lupa, il giovane aveva partecipato in due spedizioni in Georgia, dove ha aperto numerose nuove forre. Questa mattina il malore: l’ambulanza del 118 non ha fatto in tempo neanche a prenderlo in consegna.
L’infarto era talmente evidente che anche i medici hanno ritenuto superflua la ricognizione autoptica, lasciando la salma ai familiari. La notizia della morte del giovane speleologo ha gettato nel dolore l’intera comunità pianellese e listato a lutto il Corpo del Soccorso alpino e speleologico abruzzese, che si stringe commosso alla famiglia. I funerali si terranno oggi, mercoledì 1 febbraio, alle ore 15, nella chiesa madre di Pianella
(da “il Centro”)
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