Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
LA RICHIESTA DI AVERE 115.000 DEL FONDO PER IL PLURALISMO E POI IL RITIRO STRATEGICO
La procura indaga sui fondi a Radio Padania. A Roma piazzale Clodio ha aperto un’inchiesta
dopo un esposto del senatore rampante Alfonso Ciampolillo del MoVimento 5 Stelle.
Dei fondi avevano parlato i giornali a gennaio, il ministero dello Sviluppo guidato da Luigi Di Maio aveva promesso l’apertura di un’inchiesta senza poi fare nulla.
Racconta il Fatto:
Si tratta di circa 115 mila euro che fanno parte del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione per le emittenti locali. “Non abbiamo ancora dato un euro, verificheremo. E comunque si tratta di un bando del 2017 del governo Gentiloni”, ha spiegato in quei giorni Di Maio. Mentre Matteo Salvini assicurava: “Radio Padania sarà trattata come tutti gli altri”.
Alla fine quei soldi non arriveranno mai e per volontà dell’emittente stessa, che ha fatto un passo indietro rinunciando ai fondi con una email inviata al Mise.
La storia poteva chiudersi così, se non fosse che Ciampolillo è andato dai carabinieri (che poi hanno trasmesso l’esposto in Procura) per chiedere di verificare se ci sia stata una “tentata truffa”: “Anche se alla fine hanno fatto un passo indietro e non hanno ricevuto i contributi, comunque la richiesta c’è stata”, spiega il senatore M5S al Fatto.
La storia raccontata da Valeria Pacelli e Carlo Di Foggia prosegue con il racconto dello stop alla trasmissione digitale di qualche tempo fa:
“Quel giorno le agenzie di stampa, citando “fonti del ministero dello Sviluppo economico”, riportarono la versione “ufficiale ”del Mise: “La Direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica, di radiodiffusione e postali con nota del 29 aprile scorso (…) ha intimato alla emittente di cessare la trasmissione dei contenuti in tecnica digitale attraverso il consorzio nazionale Eurodab.
Tale nota, adottata dalla direzione generale senza che il gabinetto del ministro Di Maio ne fosse informato, si chiude con la previsione della possibilità di disporre la revoca dell’autorizzazione alla trasmissione in tecnica digitale in ambito locale a carico dell’emittente. Il procedimento eventuale di revoca della suddetta autorizzazione non è neanche stato avviato dalla direzione competente”.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
TUTTA COLPA DELLA UE E DI MONTI, NON DI CHI DESTABILIZZA I MERCATI CON DICHIARAZIONI FOLLI OGNI GIORNO E SPUTTANANDO I SOLDI DEGLI ITALIANI
Non sapevamo che l’avvocato Francesca Donato oltre ad essere esperta di economia e di politiche valutarie fosse anche docente di storia.
Lo abbiamo appreso ieri a Di Martedì quando la neo-Europarlamentare no-Euro è comparsa in studio per spiegarci la sua versione degli eventi del 2011.
L’eurodeputata leghista e fondatrice (assieme al marito) del Progetto Eurexit ormai è una presenza fissa da Floris e noi poveri telespettatori dobbiamo sorbirci
«La dinamica dello spread in realtà segue molto di più le dichiarazioni e gli umori che il reale andamento dei conti e il reale andamento dell’economia» dice la Donato per spiegare che la colpa dell’innalzamento dello spread è delle letterine della Commissione Europea dove si minacciano procedure di infrazione.
Vale la pena di ricordare che la Commissione ha detto che la per ora ventilata procedura riguarda il bilancio del 2018 Rinaldi per il fatto che l’Italia ha speso lo 0,2% di interessi in più perchè sono saliti i tassi di interesse.
E sono saliti non per un oscuro complotto dei Poteri Forti ma perchè tra marzo e giugno i componenti dell’attuale governo si sono divertiti a fare dichiarazioni che hanno fatto “preoccupare” i mercati circa la nostra capacità di ripagare il nostro debito.
Quindi è vero come dice la Donato che lo spread segue le dichiarazioni, ma non quelle della Commissione. Sono le dichiarazioni di Salvini che parla di fare 30 miliardi di debito extra che preoccupano i mercati e fanno salire il rendimento dei nostri titoli di Stato al di sopra di quelli emessi dalla Grecia.
Come scriveva l’attuale governo nel DEF (ma forse Donato questa se l’è persa): «i rendimenti a cui lo Stato si indebita sono un termometro della fiducia nel Paese e nelle sue finanze pubbliche. Inoltre, essi giocano un ruolo cruciale nel determinare le condizioni di finanziamento per le banche e le aziende italiane».
Quando nei giorni scorsi la Commissione si è mossa con la “letterina” Salvini già da giorni parlava di fare nuovo debito per finanziare le sue promesse elettorali. I mercati non sono certo stati a guardare.
Il partito di cui fa parte l’onorevole Donato promette di abbassare le tasse (ma non quelle locali) e di non far aumentare l’Iva (senza dire come) e poi ci si stupisce che chi dovrebbe finanziare quelle riforme comprando il nostro debito non si fidi.
Anche perchè questa benedetta Flat Tax nessuno sa come sarà perchè nessuno ha visto la bozza della legge.
La Donato inizia con il suo «che il discorso della professoressa Fornero che è intervenuta nel 2012 per un’emergenza eravamo sull’orlo del baratro. Lì il debito pubblico era al 120% nel periodo del Governo Monti è salito di 13 punti e noi ci portiamo ancora questa zavorra».
Insomma se abbiamo un debito pubblico alto è colpa del governo Monti e non solo di Monti e della Fornero perchè secondo l’europarlamentare no-euro all’epoca: «lo spread era salito perchè c’era un tam tam mediatico della Commissione, della BCE che davano ai mercati la sensazione che stessimo fallendo».
La Donato sta riscrivendo la storia? Pare proprio di sì perchè come spiegano Floris e il professor Cottarelli il debito pubblico ha continuato a salire anche con il governo Monti (non di 13 punti percentuali come sostiene l’eurodeputata leghista) perchè stava già salendo.
Quello che è accaduto durante il breve periodo del governo tecnico del 2011-2013 è stato che si sono messe in campo delle riforme (tra cui la Legge Fornero, che il governo del cambiamento vuole abolire) che hanno messo in sicurezza i conti pubblici per evitare che questi potessero esplodere.
La “frenata” c’è stata ma è chiaro che non si poteva chiedere al governo di “inchiodare” perchè avrebbe peggiorato la crisi del Paese e perchè “inchiodare” avrebbe significato non spendere nulla per evitare di far salire il debito.
Ma questo evidentemente Francesca Donato non lo capisce.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
PER LA RAGAZZA OLANDESE NON SI TRATTA DI EUTANASIA (ANZI ERA STATA NEGATA DALLE AUTORITA’ DEI PAESI BASSI)… IL DRAMMA DELLA GIOVANE CHE SI E’ LASCIATA MORIRE NON E’ MATERIA PER SPECULAZIONI POLITICHE SOVRANISTE
Certe scelte sono difficili da capire. La cosa migliore sarebbe limitarsi a rispettarle, in silenzio.
Ma il silenzio non si addice a Giorgia Meloni che ieri ha sentito l’irrefrenabile impulso di commentare la decisione di Noa Pothoven, una ragazza olandese di 17 anni che in Olanda ha chiesto di poter essere lasciata morire.
«Io non mi arrendo e continuerò a lottare contro la cultura della morte, contro una società insensibile che abbandona le persone fragili e offre alle vittime solo la possibilità di morire per alleviare il dolore» scrive la leader di Fratelli d’Italia su Facebook.
In Olanda, spiegano i giornali, esiste una legge che consente anche ai minori di chiedere l’eutanasia. E se sei sovranista devi sovranare. Una brava sovranista dovrebbe rispettare la sovranità degli altri Stati e accettare il fatto che ogni nazione ha le leggi che ritiene opportune.
In fondo non abbiamo mai sentito la Meloni lamentarsi per la pena di morte negli Stati Uniti, dove vengono condannati a morte anche ragazzi minorenni.
Noa Pothoven ha invece chiesto di poter morire, e secondo i resoconti dei giornali è morta nei giorni scorsi a casa sua, assistita dai genitori.
Non è molto chiaro invece in che modo si possa parlare di eutanasia, anche il sistema scelto sembra alquanto inusuale perchè la ragazza ha deciso di lasciarsi morire di fame e di sete. L’unico aiuto medico è stata — riferisce Repubblica — la somministrazione di antidolorifici per alleviare il dolore.
Marco Cappato però su Twitter scrive che quello di Noa non è stato un caso di eutanasia legale. In un’intervista rilasciata a dicembre del 2018 dove dichiara di aver chiesto di poter ottenere l’assistenza al suicidio (legale) e di aver ottenuto una risposta negativa.
I medici della Levenseindekliniek, clinica specializzata nel fine vita e nell’eutanasia legale le avevano risposto che non era pronta, che avrebbe dovuto attendere fino ai 21 anni per una valutazione. Lei però questa vita non la voleva più vivere. Perchè?
È come dice Giorgia Meloni? Che lo Stato olandese ha abbandonato una vittima di stupro?
La vicenda è più complessa. Noa ha raccontato di aver subito due violenze sessuali, la prima a 11 anni la seconda a 14 (da parte di due persone).
Per vergogna e paura non ha mai denunciato i suoi stupratori che per questo motivo non sono mai stati identificati e processati. Le violenze però hanno lasciato un segno profondissimo nella ragazza che ha iniziato a soffrire di depressione e anoressia. Noa ha tentato molte volte il suicidio, e ne portava i segni sulle braccia.
Non è nemmeno vero che non è stato fatto nessun tentativo per curarla o cercare di alleviare le sue sofferenze. È stata ricoverata in una clinica per il trattamento dei disordini alimentari, è stata ricoverata in tre diversi centri per specializzati in pazienti adolescenti, un giudice aveva stabilito dovesse essere ricoverata in un centro di salute mentale (ma — spiegava — le liste di attesa erano troppo lunghe) e veniva costantemente visitata da personale medico.
Nonostante tutti questi sforzi (ci sono foto dove indossa un sondino nasogastrico per l’alimentazione artificiale) Noa non ha mai superato il trauma delle violenze. E soprattutto aveva perso la voglia di vivere e lottare.
Aveva scritto di tutte queste sue esperienze in un libro, dove criticava anche il sistema burocratico e la difficoltà per i giovani e gli adolescenti di ricevere un trattamento terapeutico. Domenica Noa è morta e — scrive sempre il giornale Gelderlander — si era rivolta alla Levenseindekliniek senza che nessuno lo sapesse.
In un ultimo post su Instagram che ora è stato rimosso Noa però aveva annunciato di avere smesso di mangiare e di bere già da qualche giorno e che entro poco avrebbe smesso di vivere. Non sembra che questo sia esattamente un protocollo per l’eutanasia legale. Sembra invece che più che di suicidio assistito si debba parlare di rifiuto delle cure.
I giornali italiani scrivono che la morte di Noa è avvenuta nella pressochè totale indifferenza dei media olandesi, forse abituati alle eutanasie legali o forse estremamente riservati.
L’articolo cui fa riferimento Cappato è — come detto — del dicembre del 2018. Possibile che nel giro di sei mesi sia stata condotta una nuova valutazione e che l’equipe medica abbia dato l’assenso?
La legge olandese prevede che la volontà del paziente debba essere espressa in maniera chiara con richieste ripetute nel tempo. Un secondo medico deve poi confermare la valutazione fatta dal primo e poi si può procedere con l’eutanasia. La scelta di lasciarsi morire di fame non sembra essere in linea con le procedure mediche raccontate sui giornali quando si parla di suicidio medicalmente assistito
Ammettiamo che quello di Noa sia stato un caso di eutanasia. Non ne aveva il diritto? È giusto fare come fa Giorgia Meloni cioè intromettersi in una vicenda personale di cui si sa poco o nulla (e quel poco che si sa potrebbe non essere del tutto vero) per denunciare i crimini della cultura della morte?
No, non è giusto e non è rispettoso nei confronti di una persona che — in un modo o nell’altro — ha scelto di morire. Perchè appiattire il dibattito alla “battaglia” contro lo stupratore che “così vince due volte” elimina dal discorso la sofferenza individuale, che scompare per lasciare spazio a chi sul corpo di Noa (come su quelli di altre persone) vuole condurre una battaglia politica. Scegliere di morire non è facile, e parlarne come se fossimo al bar non dà la misura delle sofferenze psicologiche patite da Noa Pothoven.
La nostra società dovrebbe interrogarsi — e non è certo un lavoro facile da affidare ai post su Facebook — se abbia senso difendere ad oltranza la vita senza tener conto dei vissuti individuali. È successo per la morte di Robin Williams e succederà ancora, perchè non esiste una risposta che vada bene per tutti quelli che in un modo o nell’altro scelgono di morire (ad esempio suicidandosi).
Esiste, o meglio dovrebbe esistere, una certa sensibilità che dovrebbe consentire di non giudicare e soprattutto di capitalizzare una vicenda drammatica e personale per prendere i voti dei prolife.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI ROMA HA PRESENTATO APPELLO CONTRO L’ASSOLUZIONE IN PRIMO GRADO IN MERITO ALLA PROMOZIONE DEL FRATELLO DI MARRA: “LA SINDACA NON E’ STATA RAGGIRATA”
Il calvario giudiziario di Virginia Raggi ricomincia.
Ieri i magistrati che la hanno mandato alla sbarra per falso in atto pubblico, Paolo Ielo e Francesco Dall’Olio, hanno infatti depositato il ricorso per l’appello. L’intenzione è chiara: ribaltare il verdetto di assoluzione deciso in primo grado, lo scorso 10 novembre , dal tribunale monocratico.
Le motivazioni con cui il giudice Roberto Ranazzi, che sono state rese pubbliche un mese fa, non hanno affatto convinto i magistrati romani. Ielo e Dall’Olio non credono che il primo cittadino di Roma abbia fornito elementi mendaci all’Anticorruzione del Campidoglio («Raffaele Marra non ha partecipato alla fase istruttoria dell’interpello per le nomine da dirigente amministrativo» scrisse la sindaca all’Anac, mentre era vero il contrario) perchè «vittima di un raggiro», come sostiene Ranazzi, da parte dei due fratelli Marra.
Ielo e Dall’Olio restano invece convinti che Virginia abbia mentito consapevolmente. Per difendere il suo ex braccio destro (che brigava per far promuovere il fratello Renato a capo del Dipartimento Turismo, con annesso aumento di stipendio) e, soprattutto, per difendere se stessa.
La procura, durante il processo di primo grado, ha infatti ipotizzato come la bugia (la sindaca ha sempre spiegato di essere stata lei sola a gestire la pratica, mentre email e sms raccontano una storia diversa) servisse ad evitare di essere considerata una complice di Marra. Soprattutto, a impedire l’apertura di un’indagine penale che avrebbe potuto costringerla a dare le dimissioni dal M5S e — in estrema ratio — dalla carica di sindaco di Roma.
Nelle fitte 300 pagine di motivazioni, invece, Ranazzi evidenzia che, seppure «il fatto c’è», seppure l’affermazione della Raggi all’Anac «non corrisponde alla realtà », quest’ultima però «non costituisce reato».
Perchè, sostiene il giudice, mancherebbe il dolo. Non ci sarebbe dunque «il movente». «Saremmo di fronte a una rarissima ipotesi di falso ideologico senza movente o “fine a se stesso”, commesso senza alcuna ragione».
Per Ranazzi, Ielo e Dall’Olio sbagliano: non solo i rapporti tra Raggi e Marra erano, al tempo della presunta menzogna, «tutt’altro che buoni», ma il «codice etico del M5S vigente», chiude il giudice monocratico, non prevedeva in automatico le dimissioni dal partito e dalla poltrona di sindaco in caso di avviso di garanzia. Insomma, sulla nomina in questione la Raggi sarebbe stata raggirata, con i due fratelli che hanno «chiaramente agito all’insaputa del sindaco».
Nella requisitoria, però, i magistrati inquirenti non hanno mai parlato di dimissioni automatiche ma solo di un rischio politico (innegabile, per chi segue le cronache del M5S) che un avviso di garanzia avrebbe potuto creare alla Raggi. Ora la partita ricomincia dai nastri di partenza.
E per il sindaco, in caso di condanna, c’è sempre il rischio concreto di perdere la poltrona: il M5S, anche se più morbido dopo la sconfitta elettorale alle Europee, ha dimostrato — nel caso Siri, solo indagato anche se per eati molto più gravi, e in quello del viceministro leghista Rixi — di non essere disposto a cambiare linea politica in caso di condanne penali.
(da “L’Espresso”)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
MA LA VERA PARTITA SI GIOCA AL QUIRINALE
Fino a prima del voto Matteo Salvini di solito diceva: “Ci sono delle difficoltà , è vero, Ma questo
governo durerà quattro anni perchè noi siamo di parola”.
Oggi ha invertito il suo ragionamento, e la formula che ha iniziato ad usare è: “Sono un uomo di parola, vogliano durare quattro anni, Ma devono arrivare i sà, alle grandi opere, alla Flat Tax, alle autonomie, e alle cose da fare che ci stanno a cuore”.
In questa variazione dialettica, apparentemente minima, si cela in realtà un abisso, un cambio di strategia radicale. La Lega non pensa più al governo gialloverde come prospettiva di lungo periodo. Anzi.
“Matteo si è rotto le palle, vuole andare al voto”, mi dice uno dei principali dirigenti della Lega, in off record. “E ci vuole andare da solo, senza nessun alleato. La mossa sarebbe questa: rivolgersi agli elettori d chiedere, ad un paese esasperato dalle incertezze e dai tira e molla, il consenso per governare da solo, senza mediare con nessuno. Poi — prosegue la gola profonda leghista — potremmo allearci con la Meloni dopo le elezioni. Ma mai più con Berlusconi, a livello nazionale, perchè questa per Salvini è una scelta fuori discussione”
È vero? Oppure è solo un bluff per mettere sotto pressione il M5s, spaventarlo e fargli mandare giù i rospi che non vuole digerire in queste ore? Una dirigente che adesso è un prima fila come Paola Taverna pensa che con questa Lega si debba trattare: “Autonomie e Flat Tax? Gli elettori li hanno investiti di consenso, le facciano”.
L’accordo sul codice degli appalti potrebbe essere un indizio di questa strategia bastone-e-carota. Ma negli uffici di via Bellerio, in questi giorni, si sta studiando con molta attenzione una cartina del voto delle europee, che ha una ricaduta immediata su qualsiasi scenario si voglia immaginare per le elezioni politiche.
È una mappa in cui il colore dominante è il verde, ed è ovviamente quella della prevalenza di partito divisa per province.
In questa distribuzione molte leggende mediatiche che sono proliferare sui giornali vengono ridimensionate. La Lega alle politiche era il primo partito in 28 province (tutte la nord), adesso è prima in 76. Una enormità . Ha conquistato tutta la Sardegna con una sola eccezione, parte della Calabria e della Puglia, domina in tutto il nord dal Piemonte al Veneto senza eccezione alcuna.
Il Pd era primo in 10 province, adesso lo è solo in sei. Tre di queste zone si trovano in Emilia Romana, tre in Toscana (una è Firenze), e nemmeno una bandierina del Pd è piantata fuori dai confini delle regioni rosse. Uno scenario drammatico.
Il caso di scuola è Milano. Dove è vero che in città c’è stato un effetto-Pisapia di cui si è discusso molto, con il Pd che è diventato primo partito. Ma dove è vero anche che il paradosso Ztl fa sì che in tutta la provincia, ancora una volta, trionfi la Lega.
Il M5s, ovviamente ha una situazione speculare ed opposta: dominava in 68 province, adesso domina solo in 24.
Ma perchè è così importante per gli analisti politici questi dati? Perchè è quello che prefigura lo scenario di prevalenza dei collegi uninominali, quelli con cui si assegnano un terzo dei parlamentari.
Quindi se è vero che sulla carta M5s e Pd sembrano avere una forza quasi equivalente a quella del “blocco sovranista”, è vero anche che, senza un accordo di desistenza (molto improbabile nei collegi), in Parlamento non avrebbero i numeri.
E perchè con la prospettiva di questi nuovi rapporti di forza per Salvini potrebbe essere allettante abbandonare la sua strategia dell’abbraccio mortale con il M5s (governare con Di Maio e intanto succhiargli il sangue) che ha così tanto pagato?
Perchè anticipando il voto, il nuovo partito dominante otterrebbe un vantaggio enorme: in caso di vittoria eleggerebbe matematicamente il prossimo Presidente della Repubblica. Non con la maggioranza 2018, dove Pd e M5s sono ancora dominanti.
Ma con quella delle cartine a prevalenza verde delle elezioni europee.
Se poi Salvini e la Meloni si mettessero d’accordo nei collegi con un patto elettorale, aggiungerebbero a quelle 76 province molti altri territori, soprattutto al Sud. È questa la partita che si gioca.
Una partita che per paradosso ha nel mirino il Quirinale del futuro, ma che ha come interlocutore il Quirinale del presente. Perchè in queste ore Mattarella è solidamente in campo per gestire la crisi, con la sua moral suasion. Era stato informato dal premier del suo intervento, aveva letto preventivamente il testo. Mattarella è impegnato in primo luogo a spiegare che in consentirà giochini.
Quello che il Colle considera grave (e su cui considera istituzionalmente legittimo un intervento per evitarlo) è lo scenario in cui si va al voto per fare cassa di consenso, ma nel frattempo si lascia il paese senza un governo solidamente insediato nei primi giorni di autunno, nei giorni della manovra è della trattativa con l’Europa sul debito.
È un rischio concreto, anche perchè nel 2018 le trattative per la formazione del governo durarono mesi, fissando un record di incertezza. Ed è proprio in quei giorni che lo spread si elevò per la prima volta lievitando sopra quota duecento.
Quindi il gioco dello staccare la spina ha tre ipotesi: potrebbe farlo Salvini, per andare al voto, potrebbe farlo Di Maio (anche se è improbabile) per recuperare i voti di sinistra che la sua alleanza gli preclude.
Potrebbe staccare la spina Giuseppe Conte, se i due contendenti continuano la guerriglia. Questa mossa sarebbe diversa da quella degli altri due per due motivi: perchè sarebbe fatta dopo aver informato il Quirinale. E perchè — in questo caso — non aprirebbe la strada al voto anticipato, ma alla possibilità di nuove maggioranze.
La prima a vedere questa ipotesi come il fumo negli occhi, non a caso è Giorgia Meloni, che ai suoi già dice: “Sarebbe l’anticamera di un nuovo governo tecnico, se ci provano noi facciamo le barricate”.
Una durezza che si spiega con il successo virtuale dell’asse sovranista. Ma anche con la vera posta in gioco, della partita per “staccare la spina”. Che, come abbiamo visto, non è “solo” il governo. Ma anche, e soprattutto, un obiettivo più importante: il nuovo Presidente della Repubblica.
(da TPI)
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Giugno 5th, 2019 Riccardo Fucile
BRUXELLES RACCOMANDA L’AVVIO DI UNA PROCEDURA DI INFRAZIONE CONTRO L’ITALIA PER DEBITO ECCESSIVO: DAL GOVERNO SCELTE DANNOSE PER I CONTI PUBBLICI
“Per l’Italia, è giustificata una procedura per disavanzi eccessivi per il debito”. Sic et simpliciter: come previsto, la Commissione Europea approva il pacchetto di primavera e per l’Italia raccomanda una procedura per debito elevato, già al 132,2 per cento del pil nel 2018 e in aumento al 133,7 per cento quest’anno e al 135,2 per cento nel 2020, secondo le previsioni di Bruxelles.
Ora, per evitarla, Roma dovrà fare una manovra correttiva di oltre 3 miliardi di euro
“Nel caso italiano — si legge nel rapporto — l’analisi suggerisce che la regola del debito non è rispettata e che quindi una procedura per debito eccessivo è giustificata”.
Pierre Moscovici annuncia le decisioni della Commissione, sottolinea che “oggi non stiamo attuando la procedura, la consigliamo al Consiglio. Ma questo è un primo passo che può portare all’esito finale”.
Poi interrompe il discorso fin lì in francese e dice in italiano: “La mia porta è aperta”, lo sottolinea con enfasi, messaggio al governo itlaiano.
Molto dipenderà dalle reazioni da Roma. “Non siamo qui a dire che il governo deve fare questo o quello – continua Moscovici rispondendo a chi gli chiede se l’Italia deve fare una manovra correttiva per evitare la procedura – ma siamo sempre aperti a scambi oggettivi con il governo italiano su cifre e dati, dobbiamo farlo ora. La porta è aperta ma è il governo italiano che ora deve dimostrare che la procedura per debito eccessivo può essere evitata e come si possa farlo”.
Decisamente più duro il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, responsabile per l’euro nella squadra Juncker. “Oggi non stiamo aprendo la procedura – chiarisce anche lui – prima gli stati membri devono esprimere un’opinione”, e lo faranno presumibilmente all’Ecofin del 9 luglio, dopo che il ”comitato economico e finanziario avrà espresso il proprio parere”.
Il Comitato ha due settimane per farlo, ma si riunirà già martedì prossimo.
“Non è solo una questione di proedura”, continua Dombrovskis, ponendo l’accento su “alcune politiche”, adottate dai governi a Roma, che hanno prodotto un aumento delle “spese per interessi nel 2018 pari a 2.2 mld di euro in più. Oggi l’Italia paga in interessi sul debito tanto quanto spende per il sistema istruzione, un onere di 38.800 euro per abitante con costi in interessi di circa mille euro a persona”.
E ancora: “La crescita si è interrotta. Nel 2019 e 2020 dovrebbe esserci un aumento del debito pari a 135 per cento del pil, con un divario tra tassi di interesse e crescita che produce il cosiddetto effetto palla di neve”. §
Nel mirino di Dombrovskis anche le ”privatizzazioni non attuate”. Ma, conclude: “C’è un modo per rimediare: attuare uno sforzo di riforma e non spendere di più se non c’è lo spazio fiscale per poterlo fare”.
Dal Vietnam, Giuseppe Conte assicura che “farò di tutto per scongiurare la procedura di infrazione”.
Ma l’Iter è partito e sarà un negoziato complesso. “Se i numeri verranno confermati, non potremo sottrarci alla procedura d’infrazione” ha detto stamani Gunther Oettinger, commissario europeo al Bilancio, “l’Italia non dovrebbe diventare un rischio per l’Eurozona”.
La commissione suggerisce al Consiglio delle procedure anche per la Francia, Belgio e Cipro, secondo l’articolo 126.3 del trattato sul funzionamento dell’Unione. La Commissione ha inoltre adottato relazioni a norma dell’articolo 126, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) nei confronti di Belgio, Francia, Italia e Cipro, in cui esamina la conformità di questi paesi con i criteri relativi al disavanzo e al debito previsti dal trattato. Tutti salvi, tranne l’Italia.
L’Ungheria e la Romania sono soggette a una procedura per deviazione significativa, rispettivamente dal 2018 e dal 2017. La Commissione rivolge oggi un avvertimento a Ungheria e Romania sull’esistenza di una deviazione significativa nel 2018 e raccomanda al Consiglio di raccomandare loro di correggere tale deviazione.
La Commissione ha inoltre adottato la terza relazione per la Grecia nell’ambito del quadro di sorveglianza rafforzata che è stato istituito dopo la conclusione del programma di sostegno alla stabilità del meccanismo europeo di stabilità . Se da un lato nella relazione si rileva che, a partire da agosto 2018, la Grecia ha affrontato il periodo post-programma in modo ragionevole, dall’altro si constata che l’attuazione delle riforme nel paese ha subito un rallentamento negli ultimi mesi e che la coerenza di alcune misure con gli impegni assunti nei confronti dei partner europei non è garantita, mettendo a rischio il conseguimento degli obiettivi di bilancio concordati.
“Il semestre europeo ha contribuito in modo decisivo a migliorare la situazione economica e sociale in Europa – sono le parole del commissario Valdis Dombrovskis – Rimangono però sfide notevoli da affrontare, mentre si appesantiscono i rischi per le prospettive economiche. Preoccupa vedere che in alcuni paesi il ritmo delle riforme sta rallentando. Esortiamo tutti gli Stati membri a investire nuove energie per rendere le nostre economie più resilienti e a sostenere una crescita che sia allo stesso tempo sostenibile e inclusiva. Investimenti più mirati possono offrire un contributo significativo al raggiungimento di questi obiettivi”.
“Con questo pacchetto di primavera, l’ultimo del nostro mandato, ribadiamo il
nostro impegno per un’applicazione intelligente del patto di stabilità e crescita: le nostre decisioni non si basano su un’applicazione meccanica o formale delle regole, bensì sulla loro utilità o meno per la crescita, l’occupazione e l’equilibrio delle finanze pubbliche – dice Pierre Moscovici, Commissario responsabile per gli Affari economici – I risultati ottenuti dimostrano la validità di questo metodo: le finanze pubbliche sono costantemente migliorate senza penalizzare la crescita. Oggi insistiamo inoltre sulla necessità che alcuni Stati membri proseguano e, se necessario, intensifichino gli sforzi per contrastare una pianificazione fiscale aggressiva, nell’interesse dell’equità nei confronti di tutti i contribuenti”.
(da “Huffingtonpost”)
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