Maggio 20th, 2020 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA CAMERA CAMBIA DISCORSO E PARLA DELLA RIFORMA DELLA RAI
Ieri sera Roberto Fico è stato ospite di Giovanni Floris a Di Martedì. 
Tra le tante questioni che sono state affrontate durante la trasmissione andata in onda su La7 c’è stata anche quella che riguarda le nomine e la cosiddetta ‘lottizzazione’ delle poltrone.
A muovere la critica più accesa è stato il direttore de L’Espresso Marco Damilano che, mentre il presidente della Camera parlava delle nomine Rai, ha detto che ci sono compagni di classe di Di Maio ovunque.
«Le poltrone, presidente? Siete campioni della lottizzazione in questo momento», ha detto Marco Damilano rivolgendosi direttamente a Roberto Fico che, però, ha negato spostando l’attenzione sulle nomine Rai e sul riassetto della televisione pubblica.
Allora, il giornalista de L’Espresso, alza il tiro: «C’è un compagno di classe di Di Maio, praticamente, in tutti gli enti pubblici».
La richiesta di chiarimento su questo tema, però, è andata perduta.
Roberto Fico, infatti, tira dritto e prosegue nel suo discorso sulla televisione pubblica: «Mi lasci dire, la Rai ha bisogno di una riforma di sistema assoluto. Lo dico da Presidente prima della Commissione di Vigilianza e ora da Presidente della Camera. Ne ha assoluto bisogno».
Insomma, la domanda di Marco Damilano non ha trovato alcuna risposta e il tema dei compagni di classe di Di Maio — come citati dal direttore de L’Espresso — è finito nell’aere perso dello studio di Di Martedì.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 20th, 2020 Riccardo Fucile
L’APPELLO DEL VIROLOGO PREGLIASCO: “RAGAZZI, NON ROVINIAMOCI L’ESTATE”
La movida mette a rischio la ripresa, c’è bisogno di controlli per scoraggiare party e apericena e scatta “il divieto di assembramento”.
In una circolare inviata ai questori di tutta Italia il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha garantito “massimo impegno” nel controllo del territorio per contrastare mafie, criminalità diffusa e assicurare, allo stesso tempo, “il rispetto del divieto di assembramento”.
La movida, dunque, va fermata e i giovani che vogliono tornare alle abitudini pre Covid vanno chiamati alla responsabilità .
“Bisogna rivolgersi ai giovani – scandisce Massimo Ammaniti – dicendo: “Capiamo la vostra esigenza, perchè dopo le restrizioni la loro reazione è comprensibile, ma dovete essere responsabili. Non pensate solo a voi, ma anche ai vostri genitori, ai vostri nonni”.
Chiamata alla responsabilità . I bollettini registrano il raddoppio del numero dei contagi (dai 451 di lunedì agli 813 di martedì), negli ultimi giorni sui social sono rimbalzate immagini e video di strade e piazze – da Padova a Palermo, passando per Ferrara e Bologna, per citarne alcuni – affollate da venti trentenni senza mascherina e con l’aperitivo in mano.
Per il celebre psicoanalista “quella dei giovani, che al termine della fase di chiusura, claustrofilica e claustrofobica, sono rientrati nell’agorà dimenticando il contagio, negando rischi e problemi, con un atteggiamento, diciamo così, grandioso in parte giustificato dal fatto che sono meno colpiti dal virus, è una reazione comprensibile. Di liberazione, come un momento di iniziazione a una vita più libera”, ma certo non possiamo permetterci rischi. “Per questo è fondamentale chiamare i giovani alla responsabilità – conclude Ammaniti – così come fare i controlli sui territori”.
“No movida, no party”. Il Covid-19 continua a circolare, “non è il tempo dei party e della movida, altrimenti la curva risale” ha sottolineato il premier Giuseppe Conte qualche ora fa, i sindaci delle città in cui sono andati in scena gli assembramenti hanno minacciato nuove chiusure è così hanno fatto diversi presidenti di Regione – in testa Luca Zaia, del Veneto, e Attilio Fontana, della Lombardia – mettendo nel mirino spritz e apericena.
“C’è un problema di possibile riemersione del virus a prescindere dal caldo e se lavoriamo male ci roviniamo l’estate”, avverte il virologo Fabrizio Pregliasco, sottolineando la necessità di continuare ad agire secondo “buon senso e attenzione”.
Controlli in calo. Quest’ultima da declinare anche in termini di sopralluoghi, verifiche e denunce necessari a impedire gli affollamenti e che, numeri alla mano, negli ultimi giorni registrano un calo, soprattutto per quel che riguarda i controlli sulle persone.
Dai dati pubblicati dal Ministero dell’Interno risulta, infatti, che ieri sono state controllate 127.392 persone (409 i sanzionati) e 54.223 attività o esercizi. Il 18 maggio le persone controllate erano state 127.601 (608 sanzionate), mentre le attività 51.590.
Quello di ieri è il numero più basso dal primo maggio, quando le persone controllate erano state 241.786, con 7062 sanzionati. Dall’11 al 17 maggio le persone controllate sono state 1.056.487 (9876 i sanzionati) mentre nella settimana precedente – dal 4 al 10 maggio – i controlli sulle persone erano stati 1.355.687 (16.988 i sanzionati).
Sindaci in prima linea.
“Serve anche la collaborazione dei sindaci e delle associazioni di categoria sui territori, è chiaro che non possono fare tutto polizia e forze dell’ordine”, spiega una fonte dal Viminale. Questa la filosofia che sembra aver ispirato la nuova circolare, firmata dal capo di gabinetto, Matteo Piantedosi, diramata ieri sera dal Ministero dell’interno.
Nella quale si sottolinea che “il sindaco può disporre la chiusura temporanea di specifiche aree pubbliche o aperte al pubblico, in cui sia impossibile assicurare adeguatamente il rispetto della distanza di sicurezza di almeno un metro tra le persone”.
E per i controlli scenderanno in campo anche i vigili urbani. Responsabilità dal vertice – gli spostamenti tra regioni diverse potranno essere limitati solo con provvedimenti statali – alle estremità , dunque. Con l’obiettivo di “contribuire a rafforzare nei cittadini una consapevolezza diffusa dell’importanza di proseguire nell’adozione di comportamenti responsabili ed appropriati”. Siano essi anziani, adulti o giovani.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 20th, 2020 Riccardo Fucile
GRADIMENTO LEADER: MATTARELLA 70%, CONTE 65%, MELONI 31%, ZINGARETTI 29%, DI MAIO E SALVINI 27%, CALENDA 18%, BERLUSCONI 17%, RENZI 12%
Dagli ultimi sondaggi politici elettorali continuano ad arrivare segnali molto positivi per il governo
e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che godono oggi di un livello di fiducia nettamente più elevato rispetto al periodo pre-Coronavirus.
L’ultima conferma di questa tendenza arriva da una rilevazione effettuata dall’Istituto Piepoli diffusa nel corso del programma di Raidue Povera Patria.
Dal sondaggio (con interviste realizzate tra il 14 e il 16 maggio) emerge che il gradimento dell’esecutivo raggiunge il 62 per cento contro il 36 per cento di giudizi negativi e il 2 per cento del campione che non ha un’opinione.
Nel dettaglio il 14 per cento degli intervistati ha detto di gradire “molto” il governo Conte, il 48 per cento ha risposto “abbastanza“, il 20 per cento “poco” e il 18 per cento “per nulla“.
A rendere particolarmente significativo le cifre è il confronto con l’esito di una simile rilevazione realizzata dallo stesso autore a fine 2019.
Lo scorso 25 novembre i rapporti di forza tra soddisfatti e insoddisfatti rispetto all’azione di governo erano praticamente invertiti, con il 36 per cento di giudizi positivi e il 63 di pareri negativi, e solo l’un per cento che non si esprimeva.
Appena l’8 per cento degli intervistati rispondeva “molto“, il 28 per cento “abbastanza“, il 31 per cento “poco” e il 32 “per nulla“.
Buoni segnali per il premier arrivano oggi anche dagli indici di gradimento dei principali leader.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella viene indicato al 70 per cento (dal 57 del 2 marzo scorso), Conte al 65 per cento (dal 46 di due mesi fa), Matteo Salvini al 27 per cento (dal precedente 32), Giorgia Meloni al 31 per cento (dal 33), Nicola Zingaretti al 29 per cento (dal 27), Luigi Di Maio al 27 per cento (dal 22), Silvio Berlusconi al 17 per cento (dal 16), Carlo Calenda al 18 per cento (dal 17) e Matteo Renzi al 12 per cento (dal 14).
(da agenzie)
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Maggio 20th, 2020 Riccardo Fucile
SI APRE LA PARTITA SULLE PRESIDENZE DI COMMISSIONE E RIMANE IL TEMA DI UN TERZO MINISTERO AI RENZIANI
“Tutto è bene quel che finisce bene” commenta un senatore di Italia viva appena Matteo Renzi ha finito di parlare, ha graziato Alfonso Bonafede, non ha aperto una crisi di governo. “Per ora”, aggiunge subito dopo.
Disinnescato l’ennesimo penultimatum al governo, tenuto fino alla dichiarazione di voto del leader di Italia viva sul filo del rasoio dei presunti voti determinanti del suo partito.
Decisivo il faccia a faccia di ieri tra Giuseppe Conte e Maria Elena Boschi, nascosto dai rispettivi staff attraverso i quali non è mai giunta conferma ufficiale.
La capogruppo di Italia viva è uscita molto soddisfatta, la trattativa si è sbloccata. E’ a quel punto che il premier ha deciso di sciogliere la personale riserva e sedersi nell’aula del Senato accanto al suo ex allievo e ministro della Giustizia.
Una mossa scenografica, certo, per ribadire il sostegno al suo Guardasigilli, sapendo già di non rischiare più il collo. Ma anche un modo per riconoscere politicamente Renzi e il suo intervento, assicurandogli con la prossemica ancor prima che nei fatti il maggior riconoscimento politico richiesto.
Una trattativa complicata, giocata su più piani. Che si è sbloccata quando Conte, dopo essere stato in contatto costante con via Arenula, ha potuto assicurare alla plenipotenziaria di Renzi il segnale politico sulla giustizia tanto atteso.
“E’ fondamentale un processo dai tempi certi e ragionevoli”, ha spiegato Bonafede. Offrendo poco più che una bandiera bianca sulla prescrizione: “In maggioranza su questo tema ci siamo divisi, sarà importante una commissione ministeriale per valutare l’efficacia della riforma, perchè la garanzie della difesa e la ragionevole durata dei processi dono due punti imprescindibili”.
Il passaggio significativo è arrivato subito dopo. Una delle accuse più puntute di Italia viva al ministro è stata nei mesi quella di perseguire un’agenda esclusivamente grillina. E dunque sulle riforme il Guardasigilli ha assicurato che è “consapevole che occorre un confronto con le forze della maggioranza costante e approfondito, e una leale collaborazione”. “Questo il passaggio fondamentale”, dice uno dei colonnelli Iv in presa diretta.
Ma i renziani hanno forzato la mano anche sull’agenda del governo. Non è ancora chiaro se Conte si acconcerà a stilare un documento programmatico come richiesto dall’ex rottamatore.
Ma nell’incontro con la Boschi ha aperto a inserire come prioritarie una serie di questioni poste dal suo partito. Dal fisco alla scuola, passando soprattutto per infrastrutture e semplificazione burocratica, due temi fondanti del “piano shock” presentato da Italia viva e che saranno in gran parte recepiti nel prossimo decreto annunciato dal presidente del Consiglio. Oltre alla giustizia, ovviamente.
Gli interessati giurano e spergiurano che non sia stato elemento di trattativa, ma ha avuto un certo peso un’intesa di massima a considerare la sotto rappresentazione di Iv al governo con un riconoscimento nella prossima girandola delle presidenze di Commissione, in scadenza a giugno.
Alla Camera soprattutto, dove i numeri sono più agevoli e gli equilibri meno delicati. Non è un mistero che l’obiettivo sia quello di insediare Luigi Marattin alla guida della Bilancio. Ma i boatos di Palazzo accreditano anche Raffaella Paita ai Trasporti, Lucia Annibali alla Giustizia e la Boschi alle Riforme.
Le prime tre sono tra le sei a guida leghista, mentre le ultime due sono guidate dai 5 stelle. Una girandola che dovrà necessariamente tenere conto di Pd e Leu, e una possibile contrazione dei grillini che finora avevano goduto del vantaggio di aver insediato i propri uomini quando al governo i partiti erano solo due.
Sul rimpasto si vedrà . “Certo, se si apre quella discussione diremo la nostra”, spiega un deputato. Ma in concreto i partner di maggioranza non hanno squadernato quel capitolo. La voce di Gennaro Migliore alla Giustizia in qualità di sottosegretario non tramonta.
Ma le ambizioni vere sarebbero di affiancare un terzo ministero a quelli già guidati da Teresa Bellanova e da Elena Bonetti. L’obiettivo, più che un ritorno della Boschi di cui pur si parla, sarebbero le Infrastrutture.
Complicato, se non irrealistico, visto che il dicastero è un portafoglio pesante in mano al Pd, e che cambiare lì significherebbe dare il via a una partita di domino dagli esiti difficilmente prevedibili.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 20th, 2020 Riccardo Fucile
NELLE DUE MOZIONI DI SFIDUCIA RESPINTE DA 142 VOTI MINIMI IL CENTRODESTRA NE PERDE PER STRADA PIU’ DI QUANTI RENZI AVREBBE POTUTO SOTTRARNE SE AVESSE VOTATO CONTRO… MORALE: E’ TUTTA UNA FARSA
Il Senato respinge le due mozion di sfiducia contro il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede
presentata dal centrodestra con 160 contrari e 131 sì. Cinque senatori dei 297 presenti non hanno partecipato al voto.
Anche la votazione della mozione di sfiducia presentata da +Europa è stata rifiutata. Hanno votato 301 senatori, contrari 158, favorevoli 124, astenuti 19.
Nel suo discorso il Guardasigilli aveva chiesto “gioco di squadra” all’esecutivo sulla giustizia. E aveva aperto ai renziani sui temi della prescrizione.
“Le misure concrete adottate durante l’emergenza – aveva dichiarato Bonafede – sono il frutto del lavoro di squadra di tutto il governo che ha deciso di considerare la giustizia una vera priorità “.
“Tante volte – aveva ammesso il ministro – all’interno della maggioranza ci siamo interrogati e anche divisi in ordine, per esempio, all’impatto conseguente alla riforma della prescrizione. Su questo punto, così come su tutto l’andamento dei tempi del processo sarà importante una Commissione ministeriale di approfondimento e monitoraggio dei tempi che permetta di valutare l’efficacia della riforma del nuovo processo penale e civile”.
La vicenda merita alcune brevi considerazioni:
1) Bonafede avrebbe fatto meglio a farsi sostituire in quanto non è all’altezza di un compito così delicato. Non ha mai spiegato perchè ha preferito un illustre sconosciuto a capo del Dap a un magistrato come Di Matteo.
2) Il M5s non avrebbe dovuto minacciare una crisi di governo per sostenere un suo ministro palesemente incapace, doveva sostituirlo e basta.
3) La Bonino è stata corretta perchè ne ha fatta una battaglia di contenuti “contro certo giustizialismo”, comunque la si pensi.
4) Renzi ha ottenuto un po’ di visibilità , l’abolizione di Irap, la regolarizzazione dei braccianti e la promessa di qualche ministero in più. Non ha torto su una cosa: con 17 senatori la presenza di “Italia Viva” al governo è sottostimata. Al netto di un protagonismo polemico che non sarà mai premiato dagli elettori che non amano gli scassaballe presuntuosi.
5) L’opposizione di destra-centro stasera dovrebbe andare a nascondersi: fanno una battaglia per far cadere il governo, contano sulla carta su 142 senatori a cui va ad aggiungersi qualche ex grillino incazzato con il M5s (vedi Ciampolillo) e in due votazioni ottengono prima 131 e poi 124 voti, roba che se anche Renzi avesse votato la mozione di sfiducia della Bonino, non sarebbero riusciti a mettere in minoranza il governo.
Semplicemente ridicoli.
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Maggio 20th, 2020 Riccardo Fucile
LA REGIONE LOMBARDIA PARLAVA DI 12.000 CONTAGIATI MENTRE ERANO 20 VOLTE DI PIU’
Uno studio di 16 ricercatori divisi dell’ospedale Sacco, dell’Università Statale e del Policlinico di Milano tra cui spicca il nome del professor Massimo Galli dice che il Coronavirus SARS-COV-2 è comparso a Milano nella prima metà di dicembre e che 231mila casi non sono mai stati diagnosticati, contribuendo così allo scoppio dell’epidemia sul territorio lombardo.
Dello studio parla oggi Davide Milosa sul Fatto Quotidiano e si basa sull’analisi sierologica del sangue di 789 donatori dell’area di cui il 60% risiede in città .
Il sangue è stato prelevato dalla banca del Policlinico dove ogni anno vengono raccolti circa 40 mila campioni. Naturalmente essendo donatori si tratta di persone sane e certificate. Senza patologie generali e senza sintomi Covid o simil Covid. I campioni di sangue vanno dal 24 febbraio (tre giorni dopo la scoperta del paziente 1) all’8 aprile. Tutti sono stati analizzati “mediante un test immunologico a flusso laterale” attraverso il “metodo Elisa”, il più affidabile in assoluto e con una percentuale di errore sotto l’l%.
Il primo dato che impressiona è il numero di questi individui sani ma positivi agli anticorpi (IgM e IgG) contro il virus.
Alla data dell’8 aprile ben il 7% del campione è risultato sieropositivo. Il che apre uno squarcio nell’indeterminato mondo dei sommersi. Si legge nello studio: “A livello della provincia di Milano, queste stime corrisponderebbero all’8 aprile a 231.460 casi non diagnosticati, il che significa che solo uno su 20 è stato diagnosticato dal ministero della Salute”.
La cifra, si legge nello studio, ben si accorda al dato nazionale che indica nel 9,8% (poco meno di 6 milioni) la popolazione contagiata dal virus.
Insomma, un altro mondo se solo si pensa che i dati ufficiali della Regione Lombardia comunicati la sera dell’8 aprile parlavano di 12.039 contagi totali.
Se questa è la fotografia di quella giornata, ancora più interessante l’istantanea che emerge dall’analisi dei primi giorni dell’emergenza.
A partire dal 24 febbraio al primo marzo, del totale dei donatori analizzati, il 4,6% ha mostrato di essere positivo ai due tipi di anticorpi.
Il dato comprende sia IgM che IgG. “Questi numeri — si legge nel report — indicano che l’infezione si stava diffondendo nella popolazione prima” che si verificasse “il rapido aumento dei casi gravi di Covid-19”.
Il che conferma la corsa del virus a partire almeno dal 26 gennaio come ha spiegato lo studio del professor Galli sulle sequenze complete di SarsCov2. La percentuale del 4,6% applicata in modo proporzionale alla popolazione dell’area metropolitana (3,2 milioni di abitanti) indica che nell’ultima settimana di febbraio nel Milanese i positivi potevano essere circa 150 mila. Che fine hanno fatto oggi?
La domanda resta senza risposta. E, nell’ipotesi di nuovi focolai, questo diventa ancora più inquietante. Tanto più che ieri in Lombardia i casi sono risaliti: 462 in più con il 50% tra Milano e Bergamo. I campioni analizzati nello studio stanno, come età , in una forbice tra i 18 e i 70 anni.
Ma è nelle fasce più giovani che si concentra quel 4,6% dei primi giorni di epidemia. “L’impatto divergente dell’età sulle tendenze della sieroprevalenza — si legge — è coerente con la possibilità che prima delle restrizioni la diffusionedi SarsCov2 fosse maggiormente presente negli individui più giovani, mentre dopo la chiusura di scuole e università la diffusione sia stata supportata da contatti tra soggetti più anziani”.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 20th, 2020 Riccardo Fucile
SE DAI ALLA GENTE LA POSSIBILITA’ DI ANDARE AL BAR, LA GENTE VA AL BAR
Il dato ha dell’incredibile: se dai alla gente la possibilità di andare al bar, la gente va al bar. Si tratta
di una incredibile decisione di grande imprudenza che infatti sindaci e governatori si sono affrettati a stigmatizzare, minacciando anche di chiudere tutto in caso di ulteriori assembramenti, un po’ come i penultimatum su Alitalia che stavolta sta per fallire davvero ma poi fallirà la prossima volta.
Ad appena 16 giorni dal 4 maggio, prima data della fase 2 dell’emergenza Coronavirus, i politici locali e quelli nazionali si sono infatti accorti di una questione davvero sorprendente: i contagi sono in aumento.
E hanno cominciato a mandare un messaggio che secondo loro dovrebbe funzionare da deterrente contro feste, spritz e rimpatriate fuori regola.
In Veneto, ad esempio,diversi filmati diffusi sui social testimoniano una ripresa della movida ben lontana dalle norme anti-contagio, che prevedono sì la possibilità di uscire, ma sempre evitando assembramenti.
E invece a Padova ecco cori e musica tutti insieme fuori dai locali, abbracci e mascherine abbassate sul mento, tanto che il presidente della Regione Luca Zaia ha già perso la pazienza: “Ci sono arrivate decine di foto e video dei centri delle nostre città con movida a cielo aperto. In dieci giorni io guardo i contagi. Se aumenteranno richiuderemo bar, ristoranti, spiagge e torneremo a chiuderci in casa col silicone”.
La stessa cosa è accaduta a Bergamo (e Giorgio Gori si è arrabbiato), a Palermo (dove si è arrabbiato Leoluca Orlando), a Parma (qui è toccato a Pizzarotti), in Campania e a Milano (dove si sono arrabbiati sindaci e presidenti di Regione).
I giornali puntualmente hanno riportato le solenni arrabbiature degli amministratori locali.
Bisogna invece andare a cercare con il lanternino questioni come quelle sollevate da Giorgio Sestili sul Fatto Quotidiano, ovvero che il sistema di monitoraggio introdotto con il decreto del ministero della Salute del 30 aprile 2020 sui dati epidemiologici e sulla capacità di risposta dei servizi sanitari regionali fa acqua da tutte le parti.
Un esempio è in un grafico tratto dall’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), in cui si vede che ben 9 Regioni nella settimana 4-10 maggio non hanno raggiunto il valore di soglia del 50% (la linea rossa è stata inserita da noi) di dati utilizzabili per il monitoraggio.
Cosa ha fatto allora il ministero? Ha abbassato la soglia al 30%, per far così rientrare la maggior parte delle Regioni.
Questo significa che 7 dati su 10 sono da scartare. “Forse non è chiara l’importanza di raccogliere bene i dati per effettuare un monitoraggio efficace”, sottolinea il fisico Ricci-Tersenghi in un suo post. Abbiamo avuto due mesi di lockdown per preparare il monitoraggio e mettere in sicurezza la Fase 2, possibile che non siamo ancora in grado di raccogliere i dati?
Chi non ha isolato i contagiati? Chi non ha fatto i tamponi?
Uno studio dell’Ospedale Sacco e dell’Università di Milano anticipato oggi dal Fatto Quotidiano dice poi che 231mila casi di Coronavirus non sono mai stati diagnosticati, contribuendo così allo scoppio dell’epidemia sul territorio lombardo.
Si legge nello studio: “A livello della provincia di Milano, queste stime corrisponderebbero all’8 aprile a 231.460 casi non diagnosticati, il che significa che solo uno su 20 è stato diagnosticato dal ministero della Salute”.
La cifra, si legge nello studio, ben si accorda al dato nazionale che indica nel 9,8% (poco meno di 6 milioni) la popolazione contagiata dal virus. Insomma, un altro mondo se solo si pensa che i dati ufficiali della Regione Lombardia comunicati la sera dell’8 aprile parlavano d i 12.039 contagi totali.
Eppure l’idea dei politici locali è che il problema di Milano siano i Navigli e non i tamponi. Eppure i medici non si nascondono i rischi della troppa gente in strada, ma fanno notare molto semplicemente che è stata la gestione dell’emergenza da parte della Regione a rendere più veloce la diffusione del virus.
Massimo Galli, primario di malattie infettive all’ospedale Sacco, lo ha spiegato qualche giorno fa in un’intervista a Repubblica:
Professore, cosa sta succedendo a Milano e in Lombardia, perchè i nuovi casi non calano?
«Soprattutto in città , le nuove diagnosi riguardano cittadini riusciti finalmente ad ottenere un tampone. Si tratta cioè di persone infettate già da tempo, che erano rimaste senza diagnosi. Quello che disturba è che avrebbero potuto ottenere un test molto prima».
Quanto è pericolosa la situazione?
«Quella di Milano è un po’ una bomba, appunto perchè in tanti sono stati chiusi in casa con la malattia. Abbiamo un numero altissimo di infettati, che ora tornano in circolazione. È evidente che sono necessari maggiori controlli. Mi chiedo perchè da noi ci sia stato un atteggiamento quasi forcaiolo nei confronti dell’uso dei test rapido, il “pungidito”, che poteva comunque essere utile».
Bisognava quindi intervenire in modo diverso nelle scorse settimane?
«Si dovevano raggiungere coloro ai quali è stato detto di restare buoni a casa con i sintomi, per avviare il tracciamento dei contatti, e non mi riferisco solo alla Lombardia. Lavorando in quel modo prima avremmo avuto maggiore tranquillità adesso nell’aprire».
Visti i dati dei contagi, certe zone della Lombardia rischiano di richiudere subito. Sarebbe giusto?
«Che con la riapertura si possano presentare dei problemi è un dato di fatto. La nostra regione rischia di richiudere ma anche certe zone del Piemonte o dell’Emilia. Del resto si è deciso che se qualcosa va storto si torna indietro. Speriamo di no, comunque. Questo è il momento dell’estrema attenzione e responsabilità ».
Anche Andrea Crisanti a Piazzapulita ha spiegato che il problema della Lombardia non sono i Navigli: “Se lei divide il numero dei casi per tamponi vede che c’è un rapporto abissale tra Veneto e Lombardia. In Veneto è 23 tamponi per caso, la Lombardia soltanto 3. Il Veneto ha scandagliato il territorio per trovare chi altro era infetto. Solo così si controlla l’epidemia. Quello è l’unico modo per distruggere i focolai”.
Ma gli amministratori lo sanno cosa stanno amministrando?
Poi ci sono gli amministratori che scoprono improvvisamente gli assembramenti dopo aver dormito invece di prevenirli. La Corsarola è una via molto stretta: perchè Gori non ha preso provvedimenti per evitare che le persone si fermassero o stazionassero in zona invece di lamentarsi che l’abbiano fatto dopo?
Nei giorni scorsi a Palermo il sindaco Leoluca Orlando aveva avvertito: «Sono pronto a chiudere le piazze se non si rispetteranno le distanze». Dopo le immagini diventate virali, il sindaco ha pronunciato il suo ultimatum: «Bisogna smettere di fare passeggiate inutili nella stessa strada, creando condizioni per un danno irreparabile».
Ora ovviamente si attende l’ordinanza del Comune che divida le passeggiate utili da quelle inutili e quale sia il criterio a cui dovranno attenersi i palermitani.
Per ultimo lasciamo il virologo laureato all’università della strada Luca Zaia, che ha tanto tempo libero per spiegarci che il Coronavirus è stato fatto in laboratorio (e non a casa dalla nonna con le sue sante manine, come insegna La Bella Canzone Di Una Volta) e dopo aver visto i primi video della fiesta post quarantena esplosa nelle piazze di Padova, ha avvertito i disobbedienti: «In 10 giorni io li vedo i contagi: se aumentano richiuderemo bar, ristoranti, le spiagge, e torneremo a chiuderci in casa con il silicone».
Aggiungendo severo di fronte alle immagini tanti ragazzi con il bicchiere di spritz in mano e mascherina chissà dove: «Li aspetteremo davanti alle porte dell’ospedale. Almeno abbiano rispetto per le 1.820 persone che hanno perso la vita».
Ora l’ispettore Zaia deve solo scoprire chi è quel governatore che fino all’altroieri rompeva le scatole per riaprire tutto e subito e si dichiarava in fase 3 mentre gli altri avevano appena oltrepassato la 1 e scoprire che se si riaprono i negozi poi la gente pretende addirittura di andarci a fare compere per risolvere il caso (umano).
Ovvero il caso di quei politici che prima gestiscono l’emergenza come una festa e poi si lamentano se i loro cittadini fanno la stessa cosa.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 20th, 2020 Riccardo Fucile
TRA LORO ANCHE I FIGLI DEL “PABLO ESCOBAR ITALIANO”, UNO DEI PIU’ GRANDI BROKER MONDIALI DI COCAINA… I CONTROLLI SUGLI AVENTI DIRITTO ANDAVANO FATTI ALL’ORIGINE, NON DOPO, ELARGENDO SOLDI SULLA BASE DI UNA AUTOCERTIFICAZIONE FALSA
Per i tribunali sono boss e colonnelli di storici casati mafiosi, capi e gregari dei maggiori clan di ‘ndrangheta, per l’Erario indigenti e disoccupati da sostenere con aiuti e sussidi.
Per mesi, centouno mafiosi di Reggio Calabria e provincia hanno percepito indebitamente il reddito di cittadinanza e altri 15 avevano già inoltrato la domanda e attendevano l’esito della pratica.
A scoprirlo, la Guardia di Finanza della città calabrese dello Stretto, che ha passato al setaccio una lista dei circa 500 soggetti condannati definitivamente per associazione mafiosa e altri reati di mafia tra la Piana di Gioia Tauro, Reggio Calabria e la Locride. Sulla carta, nessuno di loro avrebbe dovuto ricevere il sussidio.
In teoria, la norma esclude chiunque abbia ricevuto una condanna definitiva negli ultimi dieci anni. Ma basta presentare un’autocertificazione fasulla e ogni controllo viene aggirato.
Oppure – ma su questo le indagini sono in corso – a non far caso a generalità e precedenti di chi inoltra la pratica devono essere impiegati e responsabili di Caf o Centri per l’impiego.
Risultato? Un quinto dei boss e gregari controllati nei mesi scorsi, molti dei quali destinatari di sequestri milionari e secondo i magistrati in grado di accumulare patrimoni da nababbi, ha “dimenticato” le pesanti condanne rimediate e si è messo in fila per ricevere il reddito di cittadinanza. E oltre mezzo milione di sussidi è finito in mano a noti esponenti dei clan.
Fra i beneficiari, ci sono esponenti di spicco dei grandi casati di ‘ndrangheta della città , come i Tegano e i Serraino, capibastone della Locride e persino i figli di Roberto “Bebè” Pannunzi, il Pablo Escobar italiano che si faceva vanto di pesare i soldi anzichè contarli, uno dei più grandi broker mondiali di cocaina, in grado di farne arrivare in Italia anche due tonnellate al mese.
Arrestato e condannato più volte, sfuggito al carcere con una rocambolesca evasione, Pannunzi è stato per anni latitante. Ed ha avuto il tempo di istruire e far crescere il suo erede, come lui, assicurava ai suoi clienti “a disposizione. Siamo con voi fino alla morte… Potete contare su tutto”.
Come il padre, Alessandro si è fatto strada nel grande mondo dei traffici internazionali di cocaina, anche grazie a un comodo matrimonio con la figlia di uno dei più grandi produttori di coca di Medellin. Arrestato nel 2018, circa un anno dopo è riuscito ad uscire dal carcere. E subito ha chiesto il reddito di cittadinanza, ottenuto nonostante nella pratica avesse omesso persino di indicare la propria residenza.
Non è l’unico nome di rango nell’universo dei clan ad aver ricevuto sussidi dallo Stato. I primi erano stati individuati dai finanzieri mesi fa con l’operazione “Salasso”, che ha scovato non solo proprietari di auto e ville di lusso, ma anche condannati per mafia e persino detenuti fra 237 percettori del reddito di cittadinanza della Locride.
Nei mesi successivi i controlli sono stati estesi ad ampio raggio. Base di riferimento, gli elenchi degli oltre 500 interdetti al voto per condanne definitive di mafia. Da lì si è partiti con gli approfondimenti sulla loro situazione patrimoniale e su quella dei nuclei familiari e sono saltati fuori boss e gregari che da mesi usano la card gialla fornita dal ministero per ricevere i sussidi mensili.
Tutti quanti sono stati denunciati e i loro casi segnalati alle procure di Reggio Calabria, Locri, Palmi, Vibo Valentia e Verbania, dove alcuni dei boss erano ormai stabilmente residenti. Toccherà invece all’Inps avviare le procedure di recupero degli oltre 516mila euro di sussidi indebitamente erogati, o quello che ne rimane sulle card. Per il resto, saranno necessari i sequestri. Ma è stata bloccata l’erogazione degli altri 400mila euro che i boss “falsi indigenti” avrebbero dovuto ricevere.
(da agenzie)
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Maggio 20th, 2020 Riccardo Fucile
ARRESTATE 7 PERSONE LEGATE AL CLAN VANELLA-GRASSI DI SECONDIGLIANO, SEQUESTRATI 10 MILIONI DI EURO
Il settore della vigilanza privata e quello immobiliare, ma anche quello legato all’emergenza da
Covid-19: la camorra non si era lasciata scappare questa occasione per infiltrarsi, per mettere le mani su quelle imprese che, in tempi di coronavirus e pandemia, avrebbero avuto un ruolo centrale nell’economia.
Emerge dall’ordinanza che ha portato all’arresto di 7 persone, ritenute legate al clan Vanella-Grassi di Secondigliano, nell’area ovest di Napoli: nata come gruppo satellite dei clan Di Lauro, la cosca guidata da Antonio Mennetta è diventata autonoma e poi predominante dopo la sanguinosa faida con il gruppo Abete-Abbinante del 2012-2013.
Gli inquirenti hanno appurato che, malgrado la detenzione al 41bis, a guidare il clan era ancora Mennetta, che dal carcere riusciva a impartire non solo disposizioni sulla strategia del gruppo criminale ma anche a dare indicazioni su come reinvestire i soldi che provenivano dai traffici di droga e dalle estorsioni.
Tra i settori preferiti dal clan per ripulire i soldi sporchi c’erano quelli della vigilanza privata e quello immobiliare, ma una svolta era arrivata con la pandemia: i Vanella-Grassi avevano fiutato l’affare ed erano riusciti ad accaparrarsi anche incarichi nel campo della sanificazione dei locali.
L’ordinanza, eseguita dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli, ha portato all’arresto di 7 persone, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, concorrenza illecita, intestazione fittizia di beni, riciclaggio e reimpiego di proventi illeciti. Contestualmente sono stati sequestrati beni per complessivi 10 milioni di euro, tra cui 11 società , immobili, automezzi e una imbarcazione, che sarebbero collegati alle attività illecite.
(da Fanpage)
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