Dicembre 31st, 2021 Riccardo Fucile
L’ACCUSA E’ DI ABUSO D’UFFICIO PER LA NOMINA DI DUE DIRIGENTI
Il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cagliari, Andrea Vacca,
avrebbe depositato la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del governatore della Sardegna Christian Solinas, dell’assessora agli Affari generali e al personale Valeria Satta e della capo di gabinetto Maria Grazia Vivarelli. L’inchiesta si riferisce alle nomine di due direttori generali: Silvia Curto alla presidenza e Antonio Pasquale Bello alla guida della Protezione civile.
La notizia è stata anticipata ieri sera dal periodico online Indip e arriva a quasi un anno dalla chiusura dell’indagine avviata dopo le nomine. Per ora il condizionale è d’obbligo perché l’atto non è stato notificato agli interessati che verranno informati solo quando sarà fissata l’udienza preliminare. Il presidente della Regione Sardegna – difeso dall’avvocato Salvatore Casula – è indagato per abuso d’ufficio, mentre all’assessora Satta è finita nei guai perché sospettata anche di tentata concussione.
Gli accertamenti della Procura erano nati dalla decisione di nominare alle direzioni generali l’avvocata Curto e l’ingegnere Belloi, una scelta che aveva fatto scattare polemiche e proteste da parte anche dei sindacati dei dirigenti regionali che contestavano l’assenza di titoli sufficienti a ricoprire l’incarico.
Sulla vicenda era stato depositato anche un ricorso al Tar ed era stata poi emanata una legge regionale, la 25 del 2019, composta da soli tre articoli che il Consiglio aveva approvato il 23 dicembre 2019. Con quella norma, secondo l’accusa, si sarebbe cercato di “sanare” la nomina dei dirigenti esterni. Ora la palla passa all’ufficio Gip del Tribunale che dovrà fissare la data dell’udienza: il gup dovrà così decidere se gli elementi raccolti dal pubblico ministero Vacca siano sufficienti a sostenere un processo.
(da agenzie)
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Dicembre 31st, 2021 Riccardo Fucile
SE IN ITALIA CI FOSSE ANCORA QUALCHE FASCISTA SERIO CHIEDEREBBERO LORO I DANNI
Il saluto romano in piazza a Napoli un atto fascista? Ma no, soltanto una trovata tra amici che non si vedono da tanto tempo.
Parola di Luigi Rispoli, membro della Direzione nazionale di Fratelli d’Italia e candidato alle ultime elezioni comunali, che in un’intervista a Fanpage ha commentato la fotografia che lo vede insieme ad una trentina di persone mentre fa il braccio teso, circondato da militanti del partito di Giorgia Meloni come Alfredo Catapano, anche lui in corsa per il consiglio comunale, o Pietro Diodato, cacciato soltanto qualche mese fa per essersi candidato con la lista civica di Catello Maresca. L’occasione per la rimpatriata nostalgica erano le celebrazioni del 40esimo anniversario del Movimento sociale italiano
“Era un incontro fra ex militanti del Msi di Napoli – dice Rispoli – alcuni di noi non si vedevano da vent’anni. Io sono un politico e sono stato nelle istituzioni italiane. Credo nella nuova destra e negli sforzi che sta facendo Giorgia Meloni in Fratelli d’Italia. Mi fa meraviglia, francamente, questo clamore”.
Come faccia a stranirlo l’eco intorno alla vicenda resta inspiegabile: la leader del suo partito, Giorgia Meloni, ha passato settimane a cercare goffamente di smarcarsi dalle accuse di fascismo provenienti in particolare dal giornale online diretto da Francesco Cancellato in seguito all’inchiesta “Lobby Nera” sui legami tra il suo braccio destro, l’europarlamentare Paolo Fidanza, e alcuni personaggi del neofascismo italiano.
Alla fine, faticosamente, in un’intervista al Corriere della Sera aveva detto: “Nel dna di Fratelli d’Italia non ci sono nostalgie fasciste, razziste e antisemite. Non c’è posto per nulla di tutto questo”.
E una scena del genere non dovrebbe generare clamore?
“Mi rendo conto che paghiamo un peccato d’origine che non ci toglieremo mai di dosso. Menomale che la gente è stufa di queste cose, ormai ne parlano solo gli addetti ai lavori”, dice Rispoli, ignorando che la legge Mancino dice che il saluto romano è reato, e una sentenza della Corte di Cassazione del 2018 ha sancito che non lo è “solo se è un atto commemorativo”.
Non il caso in questione, quindi, visto che Rispoli stesso ha smentito si trattasse di una celebrazione ufficiale dicendo che si trattava tuttalpiù di “un nostro segno distintivo di comunità”.
“Siamo accomunati dalla nostalgia personale – ha spiegato – non da quella politica. Nella politica guardiamo al futuro”.
Il solito teatro: lanciare il sasso e nascondere la mano.
(da NeXtQuotidiano)
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Dicembre 31st, 2021 Riccardo Fucile
LA MELONI UN MESE FA: “NEL DNA DI FDI NON CI SONO NOSTALGIE FASCISTE“
Non dovrebbe essere difficile questa volta per Giorgia Meloni riconoscere la matrice
del gesto fatto a Napoli da dirigenti nazionali, candidati alle ultime elezioni e militanti di Fratelli d’Italia: tutti in posa, sorridenti, e col braccio teso per fare il saluto fascista. A piazzetta Augusteo, a pochi passi da via Toledo, una trentina di persone – come riportato dall’edizione locale di Repubblica – si lasciano andare alla recita da avanpettacolo del saluto romano: tra loro il componente della Direzione nazionale di Fdi e candidato alle ultime elezioni comunali, Luigi Rispoli e il giovane Alfredo Catapano, anche lui in corsa per il Consiglio comunale con il partito di Giorgia Meloni.
Nella fotografia spunta pure Pietro Diodato, ex consigliere regionale, protagonista di uno scontro fisico con il consigliere Marco Nonno (anche lui di Fratelli d’Italia, ndr) ed espulso dal partito per essersi poi candidato nella civica di Catello Maresca a poche ore dalla consegna delle liste per le comunali.
Il gesto è avvenuto a margine dell’evento per la celebrazione del 40esimo anniversario del Movimento sociale italiano, il partito fondato dopo la Seconda Guerra Mondiale che nel simbolo porta la fiamma tricolore presente anche nel logo di Fratelli d’Italia. Dopo un brindisi ai tavoli di un bar, il memorabile scatto sui gradini Conte Di Mola, accanto alla stazione della funicolare.
“Nel dna di Fratelli d’Italia non ci sono nostalgie fasciste, razziste e antisemite. Non c’è posto per nulla di tutto questo”, aveva dichiarato Meloni in un’intervista al Corriere della Sera difendendosi – dopo essere stata invitata più volte a dissociarsi – dalle accuse che le erano piovute addosso dopo l’inchiesta di Fanpage “Lobby Nera”. Aveva assicurato che tutti i personaggi nostalgici del fascismo erano stati allontanati da Fratelli d’Italia e che le accuse fossero soltanto attacchi strumentali della sinistra. Chissà se lo ripeterà in faccia a tutti i presenti nello scatto.
Chiudere il sipario dell’avanspettacolo.
(da agenzie)
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Dicembre 31st, 2021 Riccardo Fucile
CALENDA LA SFOTTE: “E’ IN GIOCO LA LIBERTA’ DI NUOTARE? A CHE LIVELLI E’ ARRIVATA…”
“La piscina bella azzurra e trasparente è evidente che sia un po’ di destra” cantava Gaber nella memorabile ‘Destra-Sinistra’.
Deve aver avuto questo verso in mente Giorgia Meloni quando stamani ha deciso di scrivere l’ennesima corbelleria su Twitter, questa volta però con un effetto comico che difficilmente passa inosservato.
“Adesso, invece di fare mea culpa e chiedere scusa, perseverano sulla strada della repressione delle libertà con l’estensione illogica del green pass rafforzato, scegliendo di colpire le solite categorie odiate dalla sinistra: ristoratori, albergatori, palestre e piscine” scrive in un thread di sproloqui contro il Governo e la malagestione della pandemia (detta da una che non vuole fare vaccinare sua figlia perché ‘i migranti ci portano il covid’, qualunque cosa voglia dire) che vi risparmiamo.
Ma abbiamo uno scoop che ci fornisce la leader di Fratelli d’Italia: la sinistra odia le piscine.
Il nesso logico, come sempre, ci sfugge. Appaiono più che altro parole in libertà, dettate da una volontà precisa: quella di aizzare le persone contro un governo. Il che è un atto di irresponsabilità davvero avvilente e preoccupante da parte di una persona che vorrebbe guidare l’Italia.
La retorica della Meloni appare sempre la stessa: la colpa del Covid è del governo. E nonostante sia vero che Omicron, grazie ai vaccini (cosa che Giorgia Meloni, finalmente, ammette in questo stesso tweet) sia più blanda, è anche vero che siamo tornati ai livelli di 200 morti al giorno. Una strage quotidiana, davanti alla quale non si può fare spallucce.
E così anche Calenda è partito all’attacco.
“La sinistra odia le piscine. E reprime la libertà di nuotare. Il perché non è dato conoscerlo, sarà considerata un’attività decadente? Questo è il livello della politica di opposizione (per fortuna) in Italia. Che il signore ci conservi Draghi”.
(da Globalist)
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Dicembre 31st, 2021 Riccardo Fucile
CIRCA 4.000 SOLO A ROMA
Nuovo anno, vecchi sfratti. Con la “normalizzazione” della pandemia di Coronavirus
cominciano a saltare alcuni provvedimenti straordinari adottati nei primi mesi dell’emergenza.
E dopo la fine del blocco dei licenziamenti, è ora la volta della fine della sospensione degli sfratti. A partire da domani, 1 gennaio 2022, per molte famiglie rischiano di partire le procedure di sfratto pendenti, che verranno attuate nelle varie città a seconda dei tempi della burocrazia.
A lanciare l’allarme è la Caritas, che parla di 4mila sfratti già programmati a Roma e almeno 32mila in tutta Italia.
I numeri
Si tratta di sfratti causati dalla morosità che «richiedono un’attenta riflessione da parte del governo e del parlamento», si spiega. Perché il problema è complesso, non è certo nuovo ma è aggravato dalla situazione sanitaria e dalla conseguente crisi economica. «Si tratta di situazioni molto complesse che riguardano il diritto all’abitare di famiglie che erano già in gravi difficoltà economiche prima della pandemia di Covid-19 e che in questi mesi hanno subito ancora di più gli effetti della crisi», dicono ancora dalla Caritas di Roma. Ricordando che bisogna pure «tutelare i piccoli proprietari che hanno nella casa affittata un’integrazione fondamentale per il reddito familiare».
Nella Capitale vige una sospensione temporanea fino al 7 gennaio, annunciata dal Prefetto di Roma su richiesta dell’amministrazione di Roma Capitale. La Caritas di Roma si augura però che «al più presto» si arrivi a «un provvedimento che prenda in considerazione il problema dell’abitare con un impegno straordinario delle diverse parti coinvolte, a partire dalle istituzioni pubbliche e delle diverse parti sociali, sindacati e proprietari, per venire a capo di un dramma non semplice da superare anche perché per troppi anni è rimasto privo di adeguati interventi».
La Caritas Roma ricorda una sentenza dell’11 novembre scorso della Corte Costituzionale riguardante la sospensione degli sfratti per morosità proprio in ragione della situazione sanitaria. E chiede l’attivazione di «quelle linee di finanziamento che sono disponibili in città, per abbassare la pressione sugli sfratti per morosità, a partire dal recente finanziamento regionale di circa 12 milioni per bonus affitti». Non è infatti pensabile «risolvere in pochi giorni un`’emergenza che, oltre ai 4mila sfratti in via di esecuzione, a Roma coinvolge migliaia di famiglie e di persone prive di un tetto o costrette a vivere in condizioni di precarietà e di disagio sociale umanamente non tollerabile».
«Anche considerando una breve tregua di fatto fino alla conclusione della pausa natalizia, una valanga di sfratti, oltre 100mila, saranno immediatamente in esecuzione con la forza pubblica, a cui vanno aggiunte altri oltre 100mila esecuzioni immobiliari per insolvenza per mutui o debiti, senza che le città abbiano strumenti e risorse per affrontare questo tsunami sociale», aggiunge l’Unione degli Inquilini. Che ricorda quanto tutto questo sia strutturale e non “eccezionale”, a causa della mancanza di una politica sociale della casa. Una situazione in cui il virus è un’aggravante, non una causa. «La legge finanziaria non affronta minimamente questa gravissima situazione, non destina risorse nuove o nuovi strumenti operativi alle città. Oggi per le famiglie sotto sfratto non viene garantito il passaggio di casa in casa. Mancano delle soluzioni e laddove vengano adottate, si tratta di situazioni che aumentano la promiscuità e favoriscono oggettivamente l’espandersi ulteriore dei contagi, oltre che essere non degne di un Paese civile in violazione dei trattati e delle convenzioni internazionali ratificate dal Parlamento».
Il sindacato chiede al governo di agire, e subito. Con «un intervento vero che costituisca in ogni Prefettura una cabina di regia che programmi le esecuzioni in relazione alla possibilità di un vero passaggio da casa a casa. Serve il reperimento immediato di alloggi da mettere a disposizione delle città per questa operazione», specifica il segretario nazionale Walter De Cesaris. «Da ‘io resto a casa’ a ‘ti butto fuori di casa’. Questa è la sintesi di come il governo Draghi sta gestendo l’emergenza sociale nata da quella sanitaria», affondano Maurizio Acerbo, segretario nazionale, e Nicolò Martinelli, responsabile politiche sociali del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea. «Niente è stato fatto dal giugno scorso, quando la Corte Costituzionale raccomandava al legislatore di adottare misure idonee e proporzionate per bilanciare i diritti dei proprietari di casa con quelli degli inquilini ad avere un tetto sulla testa anche in una fase di emergenza pandemica».
E chiedono che «il governo dia mandato alle prefetture di graduare l’uso della forza pubblica per l’esecuzione degli sfratti, in modo che senza esclusioni sia garantito il diritto per ciascuna famiglia al passaggio da casa a casa; a livello di programmazione occorre che le poche risorse previste dal Pnrr in tema di diritto alla casa vengano immediatamente sbloccate e impiegate nella ricostituzione di un patrimonio abitativo pubblico velocemente assegnabile, evitando che in ultima istanza essi rientrino come contributi pubblici nelle tasche della speculazione immobiliare».
La denuncia poi è per la manovra, con cui verrano spesi 200 milioni di euro «in maniera anti sociale» con «la possibilità di detrazione per i giovani delle spese per l’affitto con contratto a libero mercato invece di incentivare il canale agevolato».
(da Open)
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Dicembre 31st, 2021 Riccardo Fucile
“PENSAVO DI MOLLARE TUTTO, MA HO RESISTITO PER MIA MAMMA”
Il giovane campione, in un’intervista a Open, ricorda ancora «il freddo patito» la mattina quando si alzava alle 4 per fare 10 km in bici con la madre. E poi la delusione di non poter concorrere ai campionati a 16 anni perché non aveva la cittadinanza italiana. «Sono favorevole allo ius soli», dice oggi a gran voce
Quest’anno la redazione di Open ha voluto scegliere un personaggio dell’anno, un giovane che si è contraddistinto, che ce l’ha fatta da solo e che, dal nulla, è riuscito a stupire tutti, a diventare uno dei quattro atleti più veloci al mondo.
Un esempio, un modello per i giovani, in un anno difficile, come quello appena trascorso, nel pieno di una pandemia che non intende fermarsi. Il nostro personaggio dell’anno è Fausto Desalu, campione olimpico della staffetta 4×100 metri ai Giochi olimpici di Tokyo, che, grazie a una grinta da vendere e una determinazione da far paura, si è aggiudicato la medaglia d’oro.
Classe 1994, Desalu, di origine nigeriana ma nato e cresciuto in Italia, ha avuto un’infanzia non semplicissima: la vittoria è stata per lui e per sua madre Veronica un vero e proprio riscatto sociale.
Sua madre, infatti, abbandonata dal marito dopo due anni dall’arrivo nel nostro Paese, si è subito rimboccata le maniche, andando a lavorare «nei mattatoi», raccogliendo pomodori e facendo la badante. Non si è mai fermata un attimo per dare un futuro a “Faustino”.
Adesso è lui a ripagarla di questi sforzi. Un tempo le diceva sempre «Diventerò qualcuno». Oggi può dirlo a gran voce contro ogni previsione, contro chi lo accusava di sognare troppo. Simpatico, divertente, intelligente e scanzonato, è anche l’emblema dell’integrazione.
Peccato che viva in un Paese, l’Italia, che gli ha concesso la cittadinanza italiana solo a 18 anni: prima non poteva concorrere nemmeno ai campionati, non poteva indossare la maglia azzurra.
«Ci sono rimasto male, oggi sono a favore dello ius soli. Infatti, chi nasce in un Paese deve avere la cittadinanza di quel Paese, poi a 18 anni decide cosa fare della propria vita», spiega. Lui, però, tra tante difficoltà, ha atteso, soffrendo in silenzio, fino alla maggiore età. Ha pensato di mollare tutto ma ha tirato dritto perché non voleva deludere la madre.
Ora dalle Canarie, nella video intervista di Open, lancia un messaggio forte e chiaro a chi non vuole vaccinarsi: «La scienza ha fatto progressi, non abbiate paura del progresso e vaccinatevi», dice. Lui, atleta, giovane, in salute, nel pieno della sua carriera, si è già fatto la terza dose (Pfizer, non Moderna «perché asmatico»). Senza alcuna esitazione.
Le fobie, l’infanzia difficile e la cittadinanza italiana negata
Da quel 6 agosto del 2021, quando si è laureato campione olimpico della staffetta 4×100 metri correndo la terza frazione e stabilendo il record italiano di 37″50, la sua vita è cambiata. Non solo dal punto di vista economico. Oggi, infatti, lo fermano spesso per strada: «Non voglio apparire, però, per il “calimero” di turno, per quello che è cresciuto senza padre e con tanti problemi. Io sono un atleta, non un divo».
E, come tutti i ragazzi della sua età, con tanti hobby – dai manga alla musica fino al calcio (il Milan sempre nel cuore) – e anche con qualche fobia: «Soffro le vertigini, infatti faccio fatica quando mi affaccio sul balcone di casa. I ragni? Un po’ sì anche se mi piace farmi “mordere” così da trasformarmi in Spiderman, idolo della mia infanzia».
Con Filippo Tortu è stato compagno di stanza, con Marcell Jacobs ha condiviso momenti importanti e anche dolorosi: è stato lui, ad esempio, ad aiutarlo in un periodo di depressione, dopo la delusione della gara individuale dei 200 metri.
Con la madre, Desalu – se non si fosse già capito – ha un rapporto bellissimo (anche se lei lo vorrebbe vedere presto padre ma lui, al momento, rifiuta l’offerta e va avanti): «A lei devo i valori che ho, il duro lavoro, i sacrifici. Quando ho pensato di mollare tutto, alla fine ho tirato dritto per non mancarle di rispetto. Ha lavorato persino nei mattatoi. Mi ricordo ancora quando ci svegliamo alle 4 del mattino e ci facevamo 10 km in bici. Io, che ero piccolissimo, stavo dietro nel sellino. E, ancora oggi, a distanza di tempo, ricordo il freddo che pativo».
E il papà? Non l’ha sentito nemmeno dopo la vittoria di Tokyo. «Non lo sento da sei anni. Non mi è mai andato giù il fatto che, nei momenti difficili, lui non ci sia stato, lasciando da sola una donna in un Paese straniero con tante difficoltà. Non ho astio nei suoi confronti, siamo sangue dello stesso sangue e siamo tutti esseri umani e tutti commettiamo errori. Ma non mi interessa conoscerlo o andare con lui a pesca. A me bastava che mia madre fosse felice», ci confida Desalu ricordando, infine, che mamma Veronica – nonostante abiti in Italia ormai da 30 anni – non ha ancora la cittadinanza italiana. Incredibile ma vero. «Mi ha detto che è difficile e che si sta informando».
Da qualche mese sua madre lavora in una casa di riposo e vorrebbe tornare un po’ nel suo Paese d’origine perché – come dice suo figlio “Faustino” – «non c’è nessun posto come casa».
(da Open)
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Dicembre 31st, 2021 Riccardo Fucile
MA LA LEGA CONTINUA A FARE BARRICATE, NON GLI BASTANO ANCORA I MORTI
Per il 5 gennaio, vigilia dell’Epifania, è in programma il consiglio dei ministri che
porterà una ulteriore stretta per combattere la pandemia di Coronavirus. E il presidente del Consiglio Mario Draghi ha due opzioni sul tavolo. La prima è quella del Super Green pass obbligatorio sul lavoro.
Una decisione che riguarderebbe 23 milioni di dipendenti. La seconda è imporre l’obbligo vaccinale a tutti gli italiani. Il governo sta studiando come procedere dopo che la Certificazione Verde Covid-19 per lavorare era finita anche nelle discussioni dell’ultimo Cdm che ha varato le nuove regole per la quarantena. La mediazione politica puntava sull’imposizione graduale dell’obbligo per categorie di lavoratori. Partendo da quelli della Pubblica Amministrazione e da chi era a contatto con il pubblico. Ma nel frattempo Palazzo Chigi si è convinto che sarebbe difficile distinguere per categorie.
E allora meglio un provvedimento chiaro e che riguardi tutti, possibilmente dando ulteriore tempo ai cittadini per mettersi in regola. In questi giorni continueranno gli approfondimenti tecnici e all’inizio della prossima settimana potrebbero anche essere consultate le parti sociali: sindacati e imprese.
Che invece si sono schierate per l’obbligo vaccinale, come ha fatto sapere il presidente di Confindustria Carlo Bonomi.
Un retroscena di Repubblica racconta oggi che dietro l’accelerazione di Draghi c’è anche una questione politica. Il premier non è più disposto a rallentare l’azione del suo governo a causa dei veti di pezzi della sua maggioranza. Come è successo nell’ultimo Cdm quando le norme sul Green pass sul lavoro sono state stoppate dalla Lega e dal M5s. D’altro canto la maggioranza litiga su molti argomenti. Il decreto fiscale, il taglio delle bollette, il congelamento del taglio delle tasse per i più abbienti: tutte questioni politiche che hanno aumentato la conflittualità all’interno dell’esecutivo.
Decidere sul Green pass è quindi un segnale che Draghi manda anche in ottica Quirinale. Ha già fatto capire che è disposto a salire al Colle soltanto in cambio di un governo bis che continui il suo lavoro. E intanto non intende perdere altro tempo mentre la variante Omicron fa sfondare il tetto dei 120 mila contagi. E chissà se ascolterà il capodelegazione della Lega nel governo Giancarlo Giorgetti, che ieri è tornato proprio a chiedere gradualità nell’imposizione dell’obbligo di Green pass sul lavoro «per non paralizzare il paese».
La direzione è comunque segnata. E l’appuntamento del 5 gennaio serve anche a evitare che le Regioni procedano in ordine sparso e assumano iniziative autonome di fronte a una tumultuosa crescita di positivi sul territorio. Per questo Draghi vuole decidere sul Green pass. O sull’obbligo vaccinale per tutti, visto che sul tavolo c’è anche questa opzione.
L’altra opzione
Sarebbe politicamente più deflagrante. Ma una fonte di Palazzo Chigi spiega oggi a La Stampa sotto la garanzia dell’anonimato che «il problema dell’obbligo vaccinale non è il se, ma il quando». Tutto dipenderà dagli ospedali. Ma anche da un’altra opzione. Il quotidiano racconta che Draghi sta cercando di coinvolgere anche altri leader europei. E ha chiesto al ministro della Salute Roberto Speranza di discuterne con Francia, Spagna, Portogallo e Grecia. Magari con l’ipotesi di varare una stretta comune nello stesso momento. Ieri anche il segretario del Partito Democratico Enrico Letta si è esposto per l’obbligo. E ha detto che se l’Italia diventa il primo paese a imporlo, questo scatenerà un effetto domino sugli altri. Un’opzione che non dispiace nemmeno a Draghi. Che è stato apripista in molte occasioni di decisioni poi prese a livello europeo.
Se alla fine l’obbligo rimarrà sulla carta il consiglio dei ministri deciderà in ogni caso l’introduzione del Super Green pass in tutti i luoghi di lavoro. Con tutte le problematiche del caso, a cui si cercherà di dare risposta prima del varo del decreto. Il 10 gennaio entrerà in vigore il quasi lockdown per i non vaccinati (ovvero il certificato verde rafforzato obbligatorio ovunque, tranne che nei negozi e per i servizi essenziali). Sono intanto partiti intanto i contatti tra i rappresentanti della categoria dei farmacisti e il commissario per l’Emergenza Francesco Paolo Figliuolo, che d’intesa con il Ministro della Salute siglerà un protocollo con farmacie e rivenditori autorizzati per calmierare il prezzo delle mascherine Ffp2 fino al 31 marzo 2022. Il governo monitorerà l’andamento dei prezzi, che potrebbero aggirarsi tra i 50 centesimi (la catena della grande distribuzione di Coop ha annunciato questo prezzo di vendita) e un euro.
Le norme sulla quarantena
All’orizzonte – ma fuori dal decreto che è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale – ci sono anche nuove norme sulle quarantene degli studenti. I tecnici del Governo stanno lavorando affinché sia esteso anche alle scuole elementari e alla prima media l’autosorveglianza per i ragazzi vaccinati e la quarantena per i non vaccinati nel caso di due studenti risultati positivi in una classe. Ma non si esclude che questo provvedimento possa scattare anche con un solo caso positivo in classe.
(da agenzie)
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Dicembre 31st, 2021 Riccardo Fucile
A GIORNI DECISIONE PER IL SUPER GREEN PASS AL LAVORO
Non è entrato nell’ultimo decreto per via dell’opposizione di Lega e Movimento 5 Stelle, ma l’obbligo di Super Green Pass al lavoro – spinto fortemente dal ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta – si ripresenterà sul tavolo della discussione a gennaio, con altissime probabilità di approvazione.
Partito democratico e Forza Italia spingono per la misura ormai da tempo, così come i ministri del Lavoro Andrea Orlando e delle Pari opportunità Elena Bonetti: si parla di 23 milioni di persone, per la maggior parte già vaccinati, tranne una stima – riportata dal Messaggero – di 3 o 4 milioni di no vax.
Persone che se vaccinate contribuirebbero a ridurre la curva epidemiologica e ridurrebbero il numero di morti che va via via aumentando: per questo motivo il premier Mario Draghi non ha più intenzione di seguire le ideologie dei partiti e per la prima riunione del Consiglio dei Ministri dell’anno, fissata probabilmente già per il 5 gennaio, chiederà con forza l’approvazione dell’obbligo vaccinale ai lavoratori.
Brunetta, che suggeriva di cominciare dai dipendenti pubblici “per dare l’esempio” ma ora è convinto per l’estensione a tutto il mondo del lavoro, non si nasconde più: “I ritardi non sono a costo zero: ogni giorno che passa comporta il rischio di colorazione più scura delle Regioni e accorcia la vita dei malati con patologie diverse dal Covid. La prossima settimana dovremo approvare il provvedimento.
A meno che Giorgetti non avanzi obiezioni più concrete di quelle presentate sinora”. Il ministro dello Sviluppo economico – riporta Repubblica – chiede che oltre a imporre l’obbligo vaccinale si pensi a redigere un elenco di lavoratori fragili da esentare e a un giusto indennizzo per chi subisce danni dopo l’iniezione.
Maria Stella Gelmini, ministro per gli Affari regionali, suggerisce di introdurre la misura gradualmente e dopo “un ulteriore momento di concertazione con i sindacati e le associazioni datoriali”. “Il problema – dice Gelmini – è che dobbiamo fare in modo che questo passaggio non blocchi, da un giorno all’altro, attività professionali ed economiche”.
(da agenzie)
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Dicembre 31st, 2021 Riccardo Fucile
L’EX CONCORRENTE DEL GRANDE FRATELLO SOMMERSA DI CRITICHE
Viste le ultime restrizioni previste dal decreto legge varato dal Consiglio dei Ministri,
Daniela Martani ha scritto sul suo profilo Twitter – bloccato e visibile soltanto previa sua autorizzazione – di voler andare via dall’Italia.
L’ex concorrente del Grande Fratello 9 ed influencer non sopporta quelle che definisce limitazioni della sua libertà, come ad esempio l’obbligo di Super Green Pass per viaggiare sui mezzi di trasporto. La sua uscita ha però sortito sui social un effetto contrario rispetto a quanto sperava: moltissimi invece di darle ragione ed empatizzare con lei hanno accolto festosi la notizia, invitandola a partire quanto prima e non fare più ritorno.
Dopo l’approvazione delle restrizioni per le feste di Capodanno, aveva criticato aspramente il presidente del Consiglio Mario Draghi. “Avevo tre feste in cui avrei dovuto cantare – ha scritto – ma grazie a nonno Draghi perderò i cachet che mi permettono di vivere perché sono state annullate tutte. Per lo Stato italiano non si può morire di Covid, ma di fame sì”.
Daniela Martani lo scorso 23 ottobre inscenò una polemica con un controllore di Trenitalia che l’aveva fatta scendere dal treno da Milano a Roma all’altezza di Bologna perché il suo Green Pass ottenuto tramite tampone era scaduto. A novembre era di nuovo finita al centro delle discussioni per aver usato una pigna per allontanare Selvaggia Lucarelli durante una manifestazione al Circo Massimo. Nell’agosto del 2020 aveva polemizzato con gli addetti all’imbarco di un traghetto perché si rifiutava di indossare la mascherina.
(da agenzie)
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