Dicembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile
LA RICHIESTA RIGUARDA ANCHE IL COGNATO E ALTRI TRE DIRIGENTI
Processare il governatore della Lombardia per frode in pubbliche forniture. È quello che vuole la procura di Milano alla fine delle indagini sul cosiddetto caso camici.
I pm hanno chiesto il rinvio a giudizio per Attilio Fontana e altre 4 persone per la vicenda dell’affidamento da parte della Regione di una fornitura, poi trasformata in donazione, da circa mezzo milione di euro di 75 mila camici e altri dispositivi di protezione a Dama, la società di Andrea Dini, cognato dell’esponente leghista.
A firmare l’atto il pm Carlo Scalas e Paolo Filippini e dall’aggiunto Maurizio Romanelli.
Oltre a Fontana, la richiesta di processo riguarda Dini (titolare di Dama e cognato del governatore lombardo), Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, rispettivamente ex direttore generale e dirigente di Aria spa (la centrale d’acquisto regionale) e, infine, Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione.
La chiusura delle indagini risale alla fine dello scorso luglio e gli indagati, che inizialmente avevano chiesto di essere interrogati, hanno rinunciato all’esame, ma hanno depositato memorie.
L’inchiesta, che ha visto lo stralcio in vista dell’istanza di archiviazione del capo di imputazione in cui solo Dini e Bongiovanni rispondono di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente, ha al centro la fornitura di dispositivi di protezione individuale, tra cui appunto 75 mila camici, da consegnare in piena pandemia nella primavera 2020 alla Regione.
Ne vennero consegnati in realtà solo 50mila, in quanto venne a galla il conflitto di interessi poichè Dama è società del cognato di Fontana.
Per questo la fornitura fu trasformata in donazione, con la conseguenza, secondo la ricostruzione degli inquirenti, che l’ordine non venne perfezionato per la mancata consegna di un terzo del materiale, cosa che ha portato i pm a formulare l’accusa di frode in pubbliche forniture.
(da agenzie)
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Dicembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile
NON DIMENTICANO QUANDO DI MAIO LI DEFINI’ “TAXI DEL MARE”, CRIMINALIZZANDO LE ONG
«Grazie, ma non possiamo accettare». Inizia con toni cordiali il comunicato con cui la Ong Medici Senza Frontiere rifiuta la donazione decisa dagli iscritti del Movimento 5 Stelle. Ma il documento di Msf è in realtà una stoccata politica al partito di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio.
Il 30 novembre scorso gli iscritti al Movimento hanno infatti votato online come utilizzare i 4 milioni di euro frutto delle restituzioni dei parlamentari pentastellati che, da quando il movimento siede in Aula, destinano una parte dei loro emolumenti a un fondo dedicato ad attività sociali o al sostegno di attività imprenditoriali.
La votazione, a cui hanno preso parte 34mila attivisti, ha stabilito che questi fondi andassero in quota variabile (in base alle preferenze ricevute) ad Anpas (Associazione nazionale pubbliche assistenze), al CNR, a Emergency, al Gruppo Abele Onlus, alla Lega del Filo d’Oro, a Nove Onlus (Emergenza Afghanistan) e appunto a Medici senza Frontiere. Quest’ultima, che ha ricevuto circa il 18 per cento dei voti, avrebbe ricevuto una cifra intorno ai 750mila euro.
Soldi che però non verranno incassati. «Ringraziamo i tanti iscritti del Movimento 5 Stelle, tuttavia, in quanto organizzazione medico-umanitaria impegnata nelle emergenze e nei conflitti in tutto il mondo, non possiamo ricevere fondi da movimenti politici, a garanzia della nostra indipendenza, imparzialità e neutralità», spiega il comunicato di Msf.
La parte più politica arriva però dopo: «Dopo anni di criminalizzazione della solidarietà, auspichiamo che questa dimostrazione di vicinanza sia il segno di una nuova pagina e saremo felici se i fondi che non possiamo accettare andranno a sostenere altri importanti progetti a beneficio dei vulnerabili e della collettività».
Il riferimento, neanche troppo velato, è insomma alle posizioni che il Movimento 5 Stelle ha in passato abbracciato in tema di salvataggio dei migranti. L’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio, quando nel 2017 era leader del partito, si era scagliato contro le Ong al lavoro sul Mediterraneo definendole “Taxi del mare” e accusandole di aiutare i trafficanti. A queste posizioni si aggiunge il supporto alla politica dei “porti chiusi” di Matteo Salvini, ministro dell’Interno del primo governo Conte sostenuto dai 5 Stelle.
(da agenzie)
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Dicembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile
CURE DETOX, MILITARIZZAZIONE DI MEDIASET, PROMESSE AL PARLAMENTO
Come in un déjà vu, anche dieta, massaggi e un po’ di sport fanno parte del racconto. È sempre stato così: i chili che scendono scandiscono i tempi delle ridiscese in campo. Accadeva con le corse nel parco della Certosa o nel resort di Briatore.
E anche stavolta la cura detox a Merano, prevista per fine anno, rivela l’intenzione e la percezione del Cavaliere, che al Colle ci crede davvero.
Vuoi perché, per indole, più gli dicono che è impossibile più si incaponisce, come è sempre stato sin dalla prima discesa in campo, vuoi per quel compiacimento narcisistico per cui il fatto che se ne parli suona già come riabilitazione, vuoi perché è ripartita la gara, tra gli adulanti, a chi gli dice meglio che è il “più figo del bigoncio” per rientrare a corte dalla porta principale, insomma, per tutta una serie di motivi, non c’è commensale, collaboratore, dipendente che, negli ultimi tempi, non abbia ascoltato parole di ottimismo sull’eventualità. O meglio, siccome l’uomo è umorale, diciamo che i momenti di euforia sono superiori a quelli di noia, il sentimento prevalente nelle ultime stagioni.
Mai si era vista un’elezione presidenziale vissuta come una campagna elettorale, fatta di forma fisica da preservare, comunicazione e proposta rivolta al Parlamento con discreto anticipo.
Che poi l’ipotesi rientri nel più classico giro di giostra prima che si inizi a parlare seriamente di Quirinale, è altro discorso.
Però il racconto è, semplicemente, racconto, di cui fa parte anche la chiusura dei programmi di Rete4 – beh, il timing si presta a maliziosi interpretazioni – con tanto di stupore dei medesimi conduttori. Avrà pensato il “Grande Venditore”: non sta mica bene presentarsi all’appuntamento istituzionale per eccellenza, in questo momento poi, avendo in casa gente che consente a fenomeni di baraccone di ululare teorie strampalate su vaccini e green pass in nome degli ascolti. Almeno per un po’ è meglio una vacanza, a costo di perdere qualche punto di share, in fondo è pur sempre un investimento sul mercato della politica.
Certo, il mite Enrico Letta finalmente si è reso conto che, per quanto possa apparire un pesce d’aprile fuori stagione, il Cavaliere sulla carta è a cinquanta voti dall’agognato traguardo, ed era il caso di cominciare a svolgere un lavoro politico uguale e contrario, che non si limitasse al “non può essere”.
Ed effettivamente dire che con Berlusconi al Quirinale significherebbe mettere la parola fine al governo, e dunque alla legislatura, è una mossa proprio sul terreno scelto dal Cavaliere per la sua campagna elettorale: le inquietudini dei parlamentari, che in nome della cadrega, voterebbero anche il diavolo pur di vedere accreditato sul conto corrente anche la mensilità di gennaio 2023.
Il vecchio Silvio, sempre piuttosto abile con le debolezze umane, aveva già promesso la versione riveduta e corretta del famoso milione di posti di lavoro, sotto forma di reddito di cittadinanza da non toccare, e chi lo conosce è pronto a scommettere che, di qui a febbraio, possa anche dirsi convinto della necessità di alzarlo ed estenderlo. Musica per i grillini che dà un po’ non lo chiamano più né Caimano né psiconano. Addirittura Giuseppe Conte ha proposto di dialogare anche con lui sulle riforme istituzionali e chissà se ha ricevuto una telefonata da Arcore di quelle che, per chi conosce il genere, sono piene di seduzione verso l’interlocutore.
Ma è sul reddito di cittadinanza dei parlamentari, tale è lo stipendio fino al 2023 per i parecchi senza né arte né parte né un mestiere decente, che si era giocato la carta più pesante dando ampie rassicurazioni che la legislatura va avanti, ci mancherebbe, e che Draghi deve rimanere a palazzo Chigi, ecco perché le parole di Letta rimescolano il gioco, proprio sul quel terreno, che poi ha la sua importanza, così è.
Almeno è una mossa. Perché, diciamoci la verità, fin qui da un lato si registra una grande attività, di cui fa parte anche il riallineamento di Salvini sulla durata della legislatura, dall’altra poca roba ai limiti della sottovalutazione, al punto che Marco Travaglio, nel suo editoriale, si è detto stupefatto da Pd e Cinque stelle che “balbettano frasi in politichese che lasciano basiti milioni di elettori, abituati da 27 anni a considerare il Caimano la peggior sciagura che si sia abbattuta sulla nostra povera Repubblica”.
Certo, che sapore di amarcord la raccolta delle firme del Fatto contro la candidatura di Berlusconi e quelle dei giornali di destra a favore, con tanto di graffio dell’house organ che, per penna di Minzolini, usa la parola “diserzione” per descrivere le eventuali dimissioni di Draghi come effetto di una elezione divisiva al Quirinale. Ci manca solo il pink tank di Alfonso Signorini e, a quel punto, l’effetto macchina del tempo sarebbe completo.
Peccato per Verdini. “Ah, se ci fosse Denis”, ripetono i parlamentari azzurri, ritornati un po’ più baldanzosi per questi riflettori accesi, gran maestro nell’arruolare in marina con la promessa di un bel giro nel mondo: il gruppo misto è pieno di potenziali marinai, desiderosi di non abbassare il proprio tenore di vita.
Ci sono, in compenso, tanti aspiranti Verdini che chiamano Arcore giurando e spergiurando di “portarne” quota X o Y, ma con capacità tutte da dimostrare anche sei ieri un’anima pia del gruppo misto si è iscritta a Forza Italia. C’è rimasto Dell’Utri come professionista, ombre annesse.
Dopo però che si è presentato a una riunione di coordinatori regionali dicendo ai quattro venti che l’accordo con Renzi era fatto però, in parecchi hanno spiegato al Cavaliere che, visto il curriculum, è meglio tenerlo un po’ più riparato perché non è un bel biglietto per il Quirinale.
E magari l’accordo non c’è, però Dell’Utri non è un farabulano e, andando in giro per i Palazzi, si registra un certo nervosismo di Renzi, quasi un imbarazzo per la candidatura di Berlusconi, sproporzionato rispetto a una cosa ritenuta una bufala, che tradisce un certo disagio.
A forza di far votare con la destra, poi non sai che fare quando si presenta Berlusconi perché, magari, qualcuno dei tuoi lo voterebbe. E comunque, semmai fosse, diventerebbe il principale indiziato. Troppo anche per lui.
(da Huffingtonpost)
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Dicembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile
LA VENDETTA DEGLI EX AZZURRI DI CORAGGIO ITALIA… IL CAV A CACCIA DI VOTI NE PERDE TRENTA IN UN COLPO SOLO
Una controffensiva, con Coraggio Italia, tutta interna al centrodestra per stoppare le ambizioni quirinalizie di Silvio Berlusconi. Proprio mentre lui va a caccia di voti.
Uno scouting in versione molto strong tra i parlamentari senza un tetto politico. Alle porte c’è quindi una disfida tra ex compagni di partito che si tramuta direttamente in una vendetta trasversale.
Una rappresaglia che si sta preparando dopo il comportamento assunto da Forza Italia contro Coraggio Italia (CI). Gli azzurri hanno di fatto estromesso CI da qualsiasi confronto nella coalizione.
La scissione è stata vissuta come un intollerabile voltafaccia, la punizione è la damnatio memoriae. Il partito fondato dal sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, e dal presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, è ora pronto a far pesare i trenta voti a disposizione per l’elezione del Presidente della Repubblica.
Un gruzzolo niente male, specie per chi è consapevole di non avere numeri ampi per provare a scalare il Colle. Un duro colpo per Berlusconi impegnato a cercare proseliti nel gruppo Misto, soprattutto alla Camera, peraltro a quanto pare con metodi anche poco ortodossi.
L’obiettivo non è certo un mistero: vuole a ogni costo i voti in vista della partita del Quirinale. “Chi vuole un favore, bisogna che lo chieda. Se poi invece si pensa di poter rinunciare al voto di trenta parlamentari facciano pure…”, dice a La Notizia il deputato di Coraggio Italia, Osvaldo Napoli, confermando che il benservito a Berlusconi è un’opzione sul tavolo.
“Ai vertici del centrodestra – aggiunge il parlamentare – Coraggio Italia non è mai stato convocato. Ne prendiamo atto. Ma attenzione: nel Vangelo si diceva di porgere l’altra guancia, poi le guance finiscono”. Napoli non rinnega i trascorsi da fedelissimo dell’ex presidente del Consiglio: “Non è in discussione il mio giudizio su Berlusconi, che non cambia. E c’è riconoscenza per quel che ha fatto. Ma qua si fa politica…”, aggiunge il parlamentare, che lascia aperto uno spiraglio: “Questo non significa che sicuramente non voteremmo Berlusconi. Ma c’è un proverbio che ammonisce ‘Aiutati che il ciel ti aiuta’…”.
Il “ciel” di Coraggio Italia è un gruppo alla Camera di 23 unità, sotto la guida di Marco Marin, più una componente di 7 senatori: in totale 30 Grandi Elettori. In CI, alla Camera, ci sono ex berlusconiani di ferro, come Napoli appunto, ma anche Cosimo Sibilia, l’ex pasionaria azzurra Micaela Biancofiore, e il toscano Stefano Mugnai. A rimpolpare il drappello figurano vari ex grillini, dal giornalista Emilio Carelli al furbetto del bonus Inps, Marco Rizzone. Al Senato Coraggio Italia vorrebbe lanciare un segnale di forza e arrivare alla costituzione di un altro gruppo: con 7 parlamentari, tra cui ex ministri del governo Berlusconi, come Paolo Romani, e Gaetano Quagliariello, al momento è possibile tenere in piedi solo una componente.
Nei giorni scorsi era in fase avanzata il dialogo con i senatori Ricardo Merlo e Andrea Causin per salire a 9 unità, una in meno della soglia dei 10.
Brugnaro e Toti è quello vogliono tenere compatta la pattuglia parlamentare, per avere un peso specifico. Da Forza Italia non mancano certo corteggiamenti attraverso messaggeri appositamente inviati. Più che cercare il dialogo, infatti, la strategia forzista è quella di spaccare il partito di Brugnaro e Toti. E accettare qualche ritorno all’ovile, con tanto di magnanimo perdono. Per il Quirinale si fa questo e altro.
(da La Notizia)
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Dicembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile
IL SOLITO GRUPPO DI DELINQUENTI NO VAX SU TELEGRAM, QUANDO POI BUSSANO ALLA LORO PORTA SE LA FANNO ADDOSSO
Minacce a Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna, preso di mira dai No Vax sul profilo di “Basta Dittatura – Proteste” su Telegram.
Sono stati condivisi sia il numero di telefono sia l’indirizzo di casa di Bonaccini. “Andatelo a prendere”, si legge sul profilo del gruppo che organizza manifestazioni No Green pass e che recentemente si è reso protagonista di altre minacce ai danni, tra gli altri, dell’infettivologo Matteo Bassetti.
Questa la reazione del presidente regionale sui social: “Apprendo di nuove minacce nei miei confronti da parte di gruppi no vax sui social. Non è la prima volta: chi ha argomenti discute, chi non ne ha minaccia e aggredisce. Ringrazio le autorità e le forze dell’ordine che stanno vigilando e indagando”.
E aggiunge: “Andiamo avanti facendo tutto ciò che è nelle nostre possibilità per contrastare la pandemia, per tutelare la salute delle persone e per difendere scuola e lavoro”
Infatti non è la prima volta che Bonaccini finisce nel mirino. La scorsa estate i No Vax erano andati a consegnare anche un pacco pieno di pannolini sporchi davanti alla sua casa di Baggiovara, in provincia di Modena.
Solidarietà a Bonaccini dal deputato Pd Andrea De Maria: “Il governatore è ancora una volta vittima di minacce da parte dei no vax. Un atto grave e inaccettabile che vuole colpire chi è impegnato da quasi due anni senza sosta contro il Covid”. “Ignobili le minacce di un gruppo di No Vax. Sono stati condivisi il suo numero di telefono e l’indirizzo di casa di Bonaccini, con l’invito ‘andatelo a prendere’. Questi vanno chiamati col loro nome: delinquenti. Basta tolleranza. Solidarietà a Stefano e alla sua famiglia”. Lo scrive su Twitter Marco Di Maio, vicecapogruppo di Italia Viva alla Camera
(da agenzie)
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Dicembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile
LE PAGINE DEI FAN DI PUZZER LO FANNO GIRARE E I CAZZARI CI CREDONO
La spedizione al Palazzo dell’Onu a Ginevra di Stefano Puzzer è stata un fallimento. Il leader dei portuali di Trieste, tra i principali riferimenti delle proteste contro il Green Pass in Italia, aveva provato a portare all’attenzione delle Nazioni Unite temi che per lui evidenziavano un’emergenza democratica nel nostro Paese, tra i quali lo sgombero dei manifestanti No Green pass dal Molo 4 di Trieste e il daspo che lo ha costretto a sospendere il suo sit in a Roma.
Dopo essere stato mandato a spasso tra vari uffici, Puzzer è stato rimbalzato e ha fatto ritorno a Trieste con un nulla di fatto, lamentandosi dell’accaduto in un video in cui definiva l’Onu “una scatola vuota”.
Ma non tutti hanno voluto accettare questa versione dei fatti.
Sulla pagina Facebook che lo supporta, chiamata “Gente come Noi”, ha iniziato a circolare un fotomontaggio che lo vede stringere la mano a Kofi Annan, ex segretario generale delle Nazioni Unite, di origini ghanesi.
“Mentre i nostri politicanti ci chiudono le porte – recita il post – il Segretario Generale ci ha ricevuto in un incontro cordialissimo, grazie mr. Kofi. W i portuali”.
A supporto del tutto anche il link a un presunto articolo del Fatto Quotidiano, mai esistito, dal titolo “Stefano Puzzer all’ONU: Francia, Italia, Germania e Spagna non lo ricevono ma Kofi Annan lo applaude ‘chi lotta per la libertà ha sempre le porte aperte’”.
Peccato però che Annan sia deceduto nell’agosto del 2018, oltre tre anni fa. Il fotomontaggio stesso, inoltre, è evidentemente fasullo: la sagoma di Puzzer è scontornata male, e pare assurdo immaginare che a un incontro istituzionale di questa portata il portuale potesse essersi presentato indossando la pettorina catarifrangente gialla da lavoro.
Argomentazioni basilari che non smuovono i suoi più ferventi sostenitori. Al punto che alcuni di loro, a chi gli fa notare che Annan è deceduto, gli rispondono: “Wikipedia è tutta una bufala”.
(da agenzie)
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Dicembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile
LA PROVOCAZIONE INTELLIGENTE DI UN DOCENTE UNIVERSITARIO
In Italia più di 2 milioni di cittadini sono in stato di povertà, lo dicono chiaramente i numeri e la pandemia (che non sembra finire presto) sta continuando a pesare sui lavoratori. 25 milioni di lavoratori e pensionati sfiorano o raggiungono a malapena i 25mila euro di reddito. Una nota curiosa: quei 25 milioni sarebbero il primo partito d’Italia, rappresenterebbero il 68% degli elettori votanti alle politiche del 2018.
Fuori dal coro unanime che osanna il governo dei migliori e che applaude ogni nuovo provvedimento c’è un’ampia fetta di italiani che si domanda perché il taglio delle tasse di 8 miliardi voluto da Draghi (di cui 7 sull’Irpef e uno sull’Irap) debba favorire chi guadagna più di 60/70mila euro all’anno dimenticandosi completamente quelli che guadagnano 1.000 euro al mese.
Davide Maria De Luca, giornalista di Domani, sul suo profilo Twitter l’ha detto semplice semplice: «Ho un buono stipendio, – scrive De Luca – un ottimo contratto e una casa di proprietà. Economicamente la pandemia non l’ho praticamente sentita. Ma il governo Draghi, nella sua saggezza, ha ritenuto giusto che fossi io, e quelli come me, a ricevere il taglio di tasse più corposo di questa riforma».
È solo una delle tante voci che stanno intervenendo in questi giorni: gente che non ritiene equo ottenere vantaggi fiscali nella propria posizione.
Filippo Barbera professore di sociologia dei processi economici e del lavoro all’università di Torino, scrive: «Gent.mo Presidente Draghi, ho 51 anni, sono Professore ordinario, pago un mutuo più che sostenibile. Ho una casa in città e una in campagna. Mi piace quello che faccio, guadagno bene senza essere straricco. MA PERCHÈ MI DEVE ABBASSARE LE TASSE?».
Della stessa idea sono anche i sindacati che qualche giorno fa hanno incontrato il ministro dell’Economia Daniele Franco: «ma non ha senso che chi guadagna 100 mila euro ha lo stesso vantaggio di chi ne prende 20 mila: il contrario della progressività», ha dichiarato Landini della CGIL. Sbarra (CISL) dice che «i redditi bassi non sono priorità per questo governo» e Bombardieri (UIL) ha raccontato che «il ministro si è presentato senza un pezzo di carta e con un’intesa blindata, ma quelle sono scelte sbagliate».
Non è un caso che la riforma che ha in testa Draghi renda felici tutti quelli che (soprattutto a destra) insistono in una tassazione flat per tutti, contravvenendo alla progressività fiscale che sta scritta nella Costituzione.
Come scrivono Salvatore Morelli, Economista presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre e membro del gruppo di coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità, e Antonio Scialà, Professore Associato in Scienza delle Finanze presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre, su Jacobin Italia: “in questo senso, parlare di «ceti medi», come molti hanno fatto in questi giorni, sarebbe fuorviante: ciò che nel dibattito pubblico si chiama «reddito medio» è in realtà un reddito medio-alto. È bene ricordare, infatti, che è sufficiente guadagnare circa 100.000 euro di reddito per entrare nell’1% della popolazione adulta con redditi Irpef più alti e circa 35.000 euro per entrare nel top 10%. Questa soglia scende fino a circa 30.000 euro al Sud e sale a circa 40.000 euro al Nord. Dunque il taglio delle tasse premierà principalmente i lavoratori dipendenti e pensionati con redditi alti e la riforma avrà delle ripercussioni distributive anche geografiche, nonché tra centro e periferia”.
Un punto è incontrovertibile: questa riforma è un ulteriore erosione della progressività fiscale, come avviene da decenni e basterebbe notare chi ne sorride soddisfatto per comprenderne la natura.
(da TPI )
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Dicembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile
IMPROVVISAMENTE TANTI VERSANO IL DOVUTO NEL TIMORE DI NON ESSERE RICANDIDATI
La premessa l’ha fatta qualche giorno fa il tesoriere dei 5 Stelle Claudio Cominardi durante l’assemblea con deputati e senatori. Le casse del M5S preoccupano i vertici e i parlamentari che non versano le cifre destinate al partito «stanno creando un danno all’associazione, questa cosa determina un problema», ha spiegato Cominardi.
Una nota dolente, quella dei mancati introiti. «Se si mettono in regola il prima possibile è meglio per tutti», ha aggiunto, specificando che «tutti coloro che intendono assumere un incarico nel Movimento devono essere in regola».
Parole che tradotte significano: nessuna nomina nei comitati tematici per i ritardatari, chi non paga rischia di perdere un posto al sole nella rivoluzione contiana.
Negli ultimi due mesi la situazione finanziaria del M5S è lentamente migliorata. Casualità? Forse.
Ma a spulciare i dati delle restituzioni non si può non notare un effetto-Conte, dovuto magari alla voglia di dare un contributo al nuovo progetto o alle legittime aspirazioni personali dei parlamentari.
Sta di fatto che mentre ad aprile, dopo lo strappo con Rousseau, sui conti del M5S venivano accreditati 168 bonifici dei pentastellati (molti dei quali da contiani doc come Vito Crimi, Mario Turco o Stefano Patuanelli, solo per fare qualche nome), a settembre i bonifici hanno superato quota 350 (a ottobre sono stati 222): un segno di un interesse crescente.
Eppure basta fare un passo indietro per vedere quanto l’ingresso del neopresidente abbia pesato (anche) sulle casse dei 5 Stelle. In tutto luglio sul conto dell’associazione che tiene le fila del M5S sono stati accreditati 174 bonifici, il 4 agosto — il giorno dopo l’approvazione del nuovo statuto che ha dato il la alla rifondazione di Conte — i bonifici ricevuti sono stati oltre 60, praticamente un terzo del mese precedente in sole 24 ore. Ma a impressionare — scorrendo i dati — sono anche gli importi.
Spiccano gli oltre 26 mila euro restituiti a settembre, con tre bonifici diversi, da Carla Ruocco. Oppure i quasi 15 mila, in due tranche, di Gilda Sportiello. O ancora i 12 mila di Roberto Fico (che del progetto contiano è uno dei massimi sostenitori) e i 14 mila di Luigi Iovino a settembre. Nell’elenco anche Angelo Tofalo (17 mila euro tra settembre e ottobre) e Valentina Corneli (12.500 a settembre).
I nomi dei big sono presenti quasi sempre nell’elenco. Da Luigi Di Maio a Stefano Buffagni, da Michele Gubitosa a Laura Castelli: molti scelgono una cadenza quasi mensile. C’è chi invece, come il deputato Maurizio Cattoi, ha eseguito sette versamenti distinti tutti a fine settembre (7.500 euro). Il dibattito interno sulle restituzioni intanto si riaccende. «Servirebbe maggiore chiarezza da parte di chi ha smesso da mesi di restituire — dice un 5 Stelle —. Se una persona vuole partecipare alla vita del M5S deve seguire le regole che ci siamo dati, altrimenti può tranquillamente dimettersi».
(da il Corriere della Sera)
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Dicembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile
SEGUONO BERSANI, BONINO, CARTABIA E GENTILONI
La stragrande maggioranza degli italiani (59,8%) preferirebbe poter eleggere direttamente il nuovo Capo dello Stato auspicando di fatto un passaggio da una Repubblica Parlamentare ad una Repubblica Presidenziale.
Questo è il dato che emerge da un sondaggio svolto dalla società IZI Spa di Roma somministrato ad un campione rappresentativo della popolazione italiana tra il 19 ed il 21 novembre.
Il 28,3 per cento degli italiani preferirebbe l’attuale sistema con il presidente eletto dal Parlamento. L’11,8 per cento degli italiani dice di non sapere.
Nel toto nomi al primo posto si attestata l’attuale premier Mario Draghi con il 23,4% delle preferenze seguito da Silvio Berlusconi (20,6%) e dal Presidente in carica Sergio Mattarella con il 19,3% delle preferenze. Segue Pier Luigi Bersani con il 12%.
Il primo nome femminile è quello di Emma Bonino che con il 10,1% delle preferenze si attesta al quinto posto di questa classifica.
Marta Cartabia si ferma al 5,2%. Seguono Paolo Gentiloni (4,1%), Pierderdinando Casini (2,4%), Paola Severino (1,9%). Chiude Giuliano Amato all’1,1%.
(da agenzie)
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