Dicembre 13th, 2021 Riccardo Fucile
BERLUSCONI CERCA VOTI IN PARLAMENTO, MA RESTA L’IPOTESI DRAGHI
Finché c’è Silvio c’è speranza. Ma non è detto che per il centrodestra nella partita del Colle sia una buona notizia.
Per Giorgia Meloni è un “patriota”, Draghi non si sa. E proprio dal Cavaliere Salvini ha iniziato il giro di telefonate dei leader per non arrivare in ordine sparso all’appuntamento di fine gennaio.
Poi gli altri: Toti, Letta, Conte, Renzi, Meloni, con la proposta di un “tavolo di confronto” che potrebbe partire dopo la manovra. Mentre il Capitano si intesta le “consultazioni” (nelle ultime ore, riferiscono dalla Lega, Matteo Salvini ha contattato anche Giuseppe Conte, Enrico Letta e Matteo Renzi. Salvini ha parlato – tra gli altri – con Silvio Berlusconi e ha incontrato Giovanni Toti)
Berlusconi si muove per sedurre quei 30-40 voti del gruppo Misto che unendosi al centrodestra a ranghi compatti gli garantirebbero l’elezione, ma nel frattempo ha incaricato “ambasciatori” di sondare le intenzioni concrete dei parlamentari alleati. Draghi continua a non far sapere di non essere interessato, e la doppia negazione suona ormai come una conferma per molte orecchie.
Per la prima volta il centrodestra ha i numeri per dare le carte sul prossimo presidente della Repubblica, nonché sui tempi residui della legislatura, ma rischia lo stallo.
Anzi, il logoramento. Perché finché c’è “Silvio” in campo non potrà esserci “Mario”, ripetono tutti. E l’avallo al sogno berlusconiano da parte dei dei due principali alleati irrita non poco la galassia centrista, che considera il tutto un’”ammuina”.
Fatto sta che dal palco di Atreju, la leader di FdI ha aperto al Cavaliere, ed è il giorno dell’orgoglio di coalizione. ”Chi più patriota di Silvio” rincara l’azzurro Gasparri, mentre Isabella Rauti giura compattezza sul suo nome: “FdI non è disponibile a inciuci né compromessi”.
Meloni tuttavia non ha chiuso del tutto alle eventuali aspirazioni dell’attuale premier. “Se Draghi scendesse apertamente in campo, chi potrebbe dirgli di no?” argomenta un dirigente meloniano. Con un sottinteso molto condiviso: se l’ex presidente della Bce aggiungesse una frasetta per cui servirà ancora un anno intero ad avviare i progetti del Pnrr – ovvero fino al 2023 – l’Italia avrebbe il suo tredicesimo capo dello Stato. Perché i nove decimi del Parlamento, si sa, non vogliono andare al voto anticipato per nessun motivo (e nessun candidato) al mondo. E dunque, puntano a sentirsi dire forte e chiaro che le Camere non saranno sciolte.
Con un rumor che echeggia per i corridoi romani, destinato a far riflettere i potenziali franchi tiratori: se Draghi finisse impallinato nella corsa, si congederebbe anche dal governo, lasciando il Paese ad affogare.
In questo scenario aggrovigliato anche dal punto di vista istituzionale, Meloni non ha una strategia definita – né lei né altri, troppe ancora le variabili – ma una cornice in cui muoversi. Lo scenario migliore per la presidente del primo partito di opposizione, che intorno al 20% ha ormai stabilmente superato la Lega ed è secondo tra le forze politiche dopo il Pd, resta quello delle urne anticipate. Per capitalizzare la candidatura alla premiership.
Di qui la carta Draghi, tenuta alta (in solitudine) fino a poco fa nella versione: senza di lui a Palazzo Chigi non Franco o Cartabia bensì il diluvio.
Amici e nemici, però, sottolineano un dato: FdI ha una pattuglia non certo determinante di grandi elettori (37 deputati, rispetto ai 27 renziani e i 22 di Coraggio Italia; al Senato 21, cinque in più di Italia Viva). Di talché potrebbe doversi adeguare a un prolungamento – magari fino a settembre 2022 – dell’attuale schema del governo di unità nazionale, rimanendo all’opposizione.
In fondo, dopo aver contribuito a eleggere un presidente europeista, gradito a tutte le cancellerie, forte nei consessi internazionali, chi potrebbe opporre alla Meloni una conventio ad excludendum al turno successivo?
Al riguardo le parole meno convinte, e solo vagamente smentite, le ha pronunciate proprio Berlusconi: “E se Draghi viene eletto a chi dà l’incarico di formare un nuovo governo? A Salvini? Alla Meloni? Ma dai, non scherziamo”.
Lo scenario peggiore, però, per quest’ultima sarebbe un altro: l’uscita dal governo della Lega, con Matteo Salvini che tornerebbe soltanto di lotta e pronto a sei-dodici mesi di campagna elettorale muscolare e populista. Una concorrenza da destra di cui l’ex ministra della Gioventù non sentirebbe affatto il bisogno.
(da Huffingtronpost)
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Dicembre 13th, 2021 Riccardo Fucile
I LUNGHI MESI DELL’ODIO DEI NO VAX
Dai virologi alle massime cariche dello Stato, passando per le aziende di trasporti a cui chiedono indietro i soldi dell’abbonamento.
Negli undici lunghi mesi di campagna vaccinale anti Covid il tiro a freccette dei gruppi Telegram No vax e No Green pass ha scelto innumerevoli bersagli.
Il 1° settembre il mondo sommerso dei «Basta dittatura» contava circa 40 mila componenti: con decine di post al giorno si organizzavano per bloccare le stazioni ferroviarie di 54 città, «perché il Green pass è un passaporto-schiavitù». Sommosse che nella realtà ebbero però poco impatto, come pochi giorni dopo a Montecitorio nell’annunciato presidio di Roma. Poliziotti pronti, pochi manifestanti e qualche giornalista. Piazze a quel tempo semivuote ma comunque temute, dopo che l’ondata d’odio un mese prima aveva travolto bar e ristoranti. La direttiva del governo a cui si stavano attenendo era quella di permettere l’ingresso solo ai muniti di pass sanitario. Una misura che ai «Basta dittatura» era andata di traverso: nel giro di poche ore centinaia di recensioni negative assalirono i siti dei locali su Google e Tripadvisor.
Da lì sempre più numerose proposte di azioni eversive hanno cominciato a riempire le bacheche degli anti pass, destando a quel punto l’attenzione di Digos, Procure e forze dell’ordine.
La scienza bersagliata
Tra i bersagli primari il mondo della medicina. «Ecco l’indirizzo, sapete cosa fare». L’indirizzo di cui si parla è quello dell’abitazione del primario di Infettivologia dell’Ospedale “Sacco” di Milano, Massimo Galli. E a seguire numero di telefono, mail, data di nascita e ogni informazione personale utile a raggiungere in qualsiasi modo il soggetto da punire.
Sono state 50 in una sola notte le chiamate che il primario del San Martino di Genova Matteo Bassetti ha ricevuto dagli esponenti No Green pass: l’indagine per stalking tuttora in corsa ha visto la perquisizione di nove persone da parte della Digos di Genova e l’identificazione di 36 persone, responsabili a vario titolo dei reati di istigazione a delinquere, atti persecutori, minaccia aggravata, diffamazione e molestie. Da qui una lunga lista di nomi, da Fabrizio Pregliasco a Roberto Burioni, minacciati di atti violenti insieme alle loro famiglie per aver sostenuto la validità di Green pass e vaccini.
La rabbia contro i politici
Il gruppo Basta Dittatura è stato chiuso il 28 settembre scorso. Ma l’ondata d’odio e intenzioni criminali ha preso altre forme. Da quel momento Telegram si è riempito di sottogruppi no pass con lo stesso identico tono minatorio. Fino a identificarsi con«» un ulteriore unico grande gruppo in sostituzione di quello vecchio: “Basta Dittatura Proteste” è diventato il “Basta Dittatura Ufficiale”. E così si riprende da dove si era rimasti. E in particolare da un altro bersaglio, quello della classe politica. Gli ultimi attacchi sono stati riservati al premier Mario Draghi.
L’invito fatto da diversi utenti ai più dei 7 mila iscritti è quello di trovarsi ogni sera alle 21 davanti alla sua abitazione privata. Senza contare il nome del ristorante preferito di Draghi in Umbria «per andare a prenderlo e impiccarlo». La polizia postale ha riferito di indagini sulle minacce di attacchi al presidente del Consiglio.
Ma di certo non è novità degli ultimi giorni. Nei mesi precedenti gli indirizzi di casa, i nomi delle mogli e dei mariti, dei figli e dei familiari di esponenti politici hanno cominciato a circolare senza sosta in rete, come fondamentali dati per rintracciare e punire «gli artefici della dittatura sanitaria». E così nell’elenco Pierpaolo Sileri, l’ex direttore vicario dell’Oms Ranieri Guerra, il ministro della Salute Roberto Speranza, «il bastardo Figliuolo». Il primo a trovarsi sul web il proprio indirizzo di casa fu il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, «andiamo a prenderlo».
«Giornalisti terroristi»
Intanto la Procura di Roma ha indagato quattro persone, 18 a Torino. La giustizia tenta come può di stare col fiato sul collo: nelle perquisizioni di un mese fa a casa degli indagati sono state trovate baionette, coltelli e balestre. Per i Basta Dittatura è sempre stata colpa anche delle forze dell’ordine, «schiavi del sistema» e dei giornalisti «terroristi». Il rapporto con la stampa è senza dubbio un altro fronte complicato. Decine di giornalisti minacciati per aver scritto un articolo sui vaccini o fatto un’intervista ad esperti o virologi. Un attacco violento alla libertà di stampa ed espressione di cui anche Open è stato vittima più volte.
(da Open)
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Dicembre 13th, 2021 Riccardo Fucile
“LA GUARDIA NAZIONALE PROTEGGERA’ I FAN DI TRUMP”
Mark Meadows, ex capo dello staff di Donald Trump, aveva inviato una email prima del 6 gennaio 2021 in cui assicurava che la Guardia Nazionale sarebbe stata presente «per proteggere la gente di Trump» in vista dell’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio scorso.
È il nuovo dettaglio della vicenda, contenuto nel rapporto della commissione parlamentare che sta indagando sull’assalto.
Si complica, dunque la posizione dell’ex presidente Trump, e dello stesso Meadows, che – come emerso nei giorni scorsi – aveva ricevuto un piano per il golpe. Un piano da lui stesso consegnato alla commissione parlamentare, con l’assicurazione da parte dei suoi legali di non averlo mai preso in considerazione.
La scoperta della nuova mail arriva dopo il passo indietro dell’ex capo staff della Casa Bianca, che ha rinunciato a collaborare con la commissione parlamentare d’inchiesta dopo una iniziale disponibilità. Ora, Maedows rischia di essere denunciato per oltraggio al Congresso dopo la sua decisione di non testimoniare.
(da agenzie)
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Dicembre 13th, 2021 Riccardo Fucile
BASSETTI PUBBLICA LE TOMOGRAFIE COMPUTERIZZATE DI ALCUNI POLMONI DI PAZIENTI
Con l’inizio della pandemia di Sars-Cov-2 che si appresta a “compiere” due anni esatti, un tempo lunghissimo che ha cambiato radicalmente le abitudini di tutti e che nel mondo ha visto morire quasi 5 milioni e mezzo di persone per la malattia Covid-19, mai ci si sarebbe aspettati di dover ancora stare a spiegare “col disegnino” quali sono i danni, soprattutto a livello polmonare, che la polmonite causata dal virus comporta.
Si è sentito in dovere di farlo Matteo Bassetti, per l’ennesima volta, ma questa volta utilizzando immagini inequivocabili: le tomografie computerizzate dei polmoni di persone non vaccinate, tra i 50 e i 60 anni, arrivate al Policlinico San Martino di Genova, dove Bassetti è primario nel reparto Malattie Infettive.
“Dove c’è bianco anziché nero i polmoni non scambiano ossigeno”, spiega il medico cercando di essere il più semplice e lineare possibile. “Si ha così – aggiunge – la cosiddetta fame d’aria che non si può e non si deve augurare a nessuno. Neanche al peggiore nemico”.
Poi l’affondo verso chi ha fatto propaganda antivaccinista: “Mi rivolgo a giornalisti, politici e predicatori vari che, occupando stabilmente la comunicazione contro il beneficio dei vaccini, pensano di avere la verità in tasca (e non solo). Cosa volete dire oggi a queste persone in fin di vita anche per colpa vostra? Vi vergognate un po’ di aver messo nuovamente in difficoltà gli ospedali e i sanitari italiani che lavorano sul Covid da 23 mesi? La colpa non solo è di chi non si è vaccinato, ma vostra che gli avete raccontato un sacco di menzogne. Avete sulla coscienza molte vite. Vergognatevi”.
Una operazione di divulgazione simile era stata compiuta nell’Agosto del 2020 anche da Giuseppe Walter Antonucci, dottore magistrale in Tecniche Diagnostiche, che aveva semplificato l’analisi delle lastre con l’aiuto di due slide, la prima di un paziente sano e la seconda di uno guarito dal Covid.
“Ogni volta che si ricovera o si intuba un non vaccinato – prosegue nella riflessione l’infettivologo – è una sconfitta per tutti i sanitari. Tutti. Nessuno escluso. Non sappiamo più come dirlo. La gente è libera di credere a che Babbo Natale scende dal camino, come a credere che i vaccini non salvino la vita. Però questa libertà poi mette in difficoltà tutti noi”. Il San Martino di Genova è ormai alle prese con la quarta ondata se si analizzano i ricoveri.
(da agenzie)
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Dicembre 13th, 2021 Riccardo Fucile
QUESTI VANNO RICOVERATI A PSICHIATRIA
Credono che Marco Marchesin, il no vax apparso in video con il casco cpap dal reparto di terapia intensiva dell’Ospedale di Piacenza per invitare tutti a vaccinarsi dopo essere risultato positivo al Covid, sia nient’altro che un “figurante”, lo stesso che venne inquadrato durante un collegamento del programma La vita in diretta mentre si trovava in una terapia sub-intensiva senza mascherina nell’Ospedale Amedeo di Savoia a Torino.
Questo è l’ultimo complotto dei no vax sui social, che mettono a confronto due fotografie che proverebbero la somiglianza tra i due soggetti: somiglianza che in realtà sarebbe tutta da verificare, visto che in realtà i due non si assomigliano e le immagini sono molto mosse e sgranate.
Informazioni come queste vengono messe in circolo su Telegram, dove pullula di antivaccinisti e complottisti che cercano qualunque appiglio per giustificare le proprie teorie che rappresentano una negazione per la scienza e un’offesa a quanti sono morti durante la pandemia. Dati mai verificati e dati per buoni da chi ne fa ormai una battaglia personale.
Nel thread venutosi a creare sotto il tweet iniziale, circolano anche diversi video, assolutamente non verificati, senza data né contesto, in cui – secondo i no vax – verrebbe dimostrato come le scene negli ospedali siano in realtà filmate in set cinematografici.
La credibilità di queste teorie, totalmente prive di fonti verificabili, era già stata smontata in un precedente articolo, risalente a quando “esplose” il caso del collegamento con l’Amedeo di Savoia di Torino.
In quel caso i complottisti sostenevano che l’uomo senza mascherina – che per loro adesso coincide con Marco Marchesin – non avrebbe dovuto finire nell’inquadratura, cosa falsa perché venne ripreso in realtà più volte durante la breve diretta. L’uomo viene in realtà screditato per il messaggio che ha postato sui suoi social: “Non pensavo di arrivare qui, non ho il vaccino, molti dei presenti qui non ce l’hanno. Ci ha da poco lasciato una ragazza di 41 anni, morta di Covid. Ho sbagliato, vaccinatevi, non fatevi uccidere dalla malattia. Vaccinatevi, non è uno scherzo, di questo si muore. Questa malattia brucia i polmoni. Vaccinatevi, non fate come me, che ho aspettato, è un inferno”.
(da agenzie)
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Dicembre 13th, 2021 Riccardo Fucile
LA RISPOSTA DELLA STUDENTESSA DI CHIAVARI
Ci ha pensato una studentessa di liceo a rispondere a tono a Simone Pillon: il senatore della Lega si era lamentato in un post sul suo profilo Facebook della decisione del liceo Marconi Delpini di Chiavari di ospitare una conferenza di attivisti LGBTQIA+. “Il tutto con buona pace del pluralismo – ha scritto Pillon – oltre che del contraddittorio, della scienza, del rispetto per la fede cristiana e soprattutto del diritto dei genitori di educare liberamente i propri figli, specialmente con riguardo a questioni tanto delicate e dibattute”.
La risposta della studentessa a Pillon che farnetica sul “gender”
Al post ha risposto, appunto, una studentessa proprio di quella scuola, Ludovica Orlandini.
“Posso tentare di tranquillizzare i vostri bollenti spiriti – ha scritto la giovane – informandovi del fatto che il corpo studentesco abbia accolto con entusiasmo questa iniziativa, e che nessuno di noi si sia sentito disturbato da ciò”. “Tuttavia – ha aggiunto – mi intristisce il clima caratterizzato da un estremo accanimento nei confronti di un qualcosa che, ormai, fa parte della nostra quotidianità e N O R M A L I T À. Piuttosto, fossi in lei, utilizzerei il potere e il suo seguito per battermi per cause più rilevanti, rispetto all’informazione ed alla possibilità di comprendere meglio sia noi stessi che gli altri, tipo concentrandomi sulle classi in dad per mancanza di riscaldamento e così via”.
La ragazza ha “rassicurato” Pillon e i suoi seguaci che “se l’argomento in questione è così assurdo, come questa sezione dice, dei ragazzi del liceo se ne renderanno benissimo conto”.
Poi un ulteriore affondo: “Lo scopo di questo commento è quello di farvi dormire tranquilli, i vostri figli supereranno anche questa come hanno superato due anni di distruzione psicologica ,data da una pandemia, di cui nessuno di voi politici si è interessato fino ad ora”.
(da agenzie)
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Dicembre 13th, 2021 Riccardo Fucile
SI TEME CHE SI VADA A VOTARE CON UN PNRR DA FARE
Meglio un Draghi al governo, anche se solo per un altro anno fino a elezioni nel 2023, che un Draghi al Colle, che ‘garantirebbe’ per il paese per i prossimi sette anni, ma nell’immediato potrebbe portare il paese a elezioni anticipate l’anno prossimo, aprendo scenari di pericolosa instabilità.
In questo periodo, nei consessi europei, l’argomento ‘cosa succederà in Italia l’anno prossimo’ in concomitanza con l’elezione del nuovo capo dello Stato, è gettonatissimo.
Tra i partner stranieri, tutti chiedono lumi agli esponenti del governo italiano, man mano che si avvicina la data dell’elezione del successore di Sergio Mattarella. Prevale la preoccupazione che un vuoto al governo, in caso l’ex governatore della Bce fosse eletto presidente della Repubblica, causi ritardi all’Italia nella gestione dei fondi del Next Generation Eu.
Non è un rischio da niente. Oltre che paese fondatore dell’Ue, l’Italia è uno dei paesi più popolati dell’Unione, rappresenta una delle maggiori economie del continente e dell’area euro. Ed è destinataria della fetta maggiore dei fondi del Next Generation Eu, oltre 191 miliardi, proprio a causa della situazione di crisi creata dal Covid ma anche per via del debito pubblico fuori norma che il paese si ritrova sulle spalle da prima della pandemia.
Se si ferma l’Italia nell’uso dei fondi del piano di ripresa e resilienza, le conseguenze arrivano anche in Europa. È per questo che le altre cancellerie dell’Unione sono particolarmente interessate alla riuscita del piano italiano e sperano che possa rimettere in moto e in fretta una crescita tale da assorbire il debito pubblico.
Finora, agli occhi degli interlocutori europei, la nomina di Mario Draghi presidente del Consiglio ha garantito il buon funzionamento della macchina, nonostante ‘intoppi’ quali le decisioni ancora attese a Bruxelles in materia di concorrenza e le ultime riforme da fare per prendere la prima tranche dei finanziamenti del Next Generation Eu entro fine anno, dopo l’anticipo della scorsa estate.
Ma, si ragiona in ambienti europei, se Draghi fosse eletto al Colle, chi garantirebbe per il governo che l’anno prossimo?
Entro giugno, l’Italia dovrà completare i progetti necessari per accedere alla seconda tranche dei finanziamenti del piano di ripresa e resilienza: eventuali elezioni anticipate farebbero perdere al minimo 4 mesi sulla tabella di marcia. Terremotare l’architettura politica di governo esporrebbe il paese a un rischio altissimo.
Le fonti europee sentite da Huffpost considerano il fatto che se l’attuale presidente del Consiglio diventasse capo dello Stato, l’incarico durerebbe 7 anni, coprendo un arco temporale ben oltre la scadenza del 2026, entro la quale vanno spesi i fondi del Next Generation Eu. Non è cosa da poco avere Draghi al comando, seppure al Quirinale e non al Governo, considerato il prestigio di cui gode a livello internazionale. Ma negli ambienti Ue, spesso sensibili agli umori dei mercati, si ragiona secondo scenari più immediati, anche per via delle incertezze legate alla pandemia.
E, nell’immediato, il timore che si staglia all’orizzonte, insieme a un’eventuale elezione di Draghi al Colle, è l’instabilità del paese.
Un timore che prevale sulla pur presente consapevolezza che avere l’ex governatore della Bce al Quirinale significherebbe avere una qualche ‘garanzia’ sull’Italia e la sua performance economica per sette lunghi anni: non è roba da poco, appunto, ma il problema è cosa succede nell’immediato, troppo urgente la necessità di rimettere in sesto le economie europee, a cominciare dall’Italia, per riagganciare la ripresa post-pandemia.
Il tutto, fatta salva la sovranità nazionale, ci mancherebbe. Ma in una Unione di 27 paesi legati a doppio filo, ancor più con la pandemia e i fondi comuni anti-crisi del Next Generation Eu, il destino di uno Stato membro è parte del destino degli altri. Normale che, a margine dei vertici europei e nelle chiacchierate tra colleghi di diversi governi nazionali, scatti il confronto sul prossimo futuro e l’interesse sui destini politici dei vari Stati membri.
Il prossimo presidente della Repubblica non è deciso da Emmanuel Macron, come recrimina Giorgia Meloni usando una scorciatoia verbale che porta fuori strada. Ma certamente non è argomento che resti fuori dalle riflessioni dei partner con cui l’Italia condivide molto del suo presente e futuro, nonché del passato.
(da Huffingtonpost)
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Dicembre 13th, 2021 Riccardo Fucile
E’ PATRIOTTICO ANDARE A BRACCETTO CON CHI IN EUROPA PORTA AVANTI EGOISMI ANTI-ITALIANI O FARE IL GIOCO DI POTENZE STRANIERE? ALTRO CHE PATRIOTI, SONO TRADITORI
“Il prossimo presidente deve essere un patriota” è una di quelle frasi (meglio, uno di quegli slogan) che riescono a lasciare un senso di spiacevole disagio senza un perché evidente. Razionalmente potrebbero filare lisce senza lasciare scorie politiche: vuota retorica tutta significante e zero significato. In fondo, si penserà, è talmente ovvio che un presidente debba essere un patriota che dirlo non può dare nessuno fastidio. Ma il disagio resta e, anzi, si fa più forte.
E allora, per capire la stortura di quella frase, bisogna fare un passo indietro e soffermarsi sul alcuni particolari che rendono tutto questo stomachevole per chi sogna una politica sana ed equilibrata.
Con quello slogan apparentemente innocente Giorgia Meloni in realtà confessa tutto il suo estremismo interiore: prepolitico, culturale, psicologico. E scatena tutto il populismo di cui può essere capace una destra ontologicamente illiberale. Cosa comporta davvero la richiesta che il “prossimo presidente” debba essere un “patriota”? Qual è il significato oltre il significante? Qual è il non detto di un urlo politico che potrebbe sembrare ridicolo nella sua ostentata ovvietà?
La risposta si nasconde furbescamente dietro alla banalità di quelle poche parole. Quando Meloni chiede un “presidente patriota” sta dicendo, sta urlando, che qualsiasi altro presidente non scelto da lei non potrà essere considerato un patriota.
Di più, sta dicendo che qualsiasi presidente diverso dai suoi desiderata non potrà che essere considerato un antitaliano.
Quello che vuole Meloni, qualcuno dovrà pur dirlo, è un’eterna guerra civile tra chi pensa di incarnare l’essenza stessa di una nazione (sono Giorgia, sono italiana, sono cristiana) e tutti gli altri che si trasformano in “nemici del popolo, della patria, della tradizione”. Con questi presupposti chiunque può diventare “nemico della patria”, traditore e “servo di potenze straniere”. Anche Draghi? Anche Mattarella? Giorgia dovrebbe avere il coraggio di dirlo…
Quella di Meloni è una declinazione caricaturale del patriottismo che, in piena coerenza con qualsiasi destra illiberale, rifiuta con orgoglio i valori (e le regole) della democrazia parlamentare.
Quello di Meloni non è patriottismo, è becero nazionalismo estremista. E infatti una politica (parole sue) “senza compromessi” che vuole uscire dal “pantano parlamentare” è, nei fatti, una politica estrema e identitaria che rifiuta i valori fondanti del sentirsi patrioti.
Torniamo all’inizio, riavvolgiamo il nastro. Chi è un patriota? È patriota chi dona se stesso a una comunità chiamata patria. Più di una comunità, una famiglia per scelta più grande della famiglia di sangue. Patriottismo è sentirsi “fratelli” (sì, fratelli d’Italia) nonostante le differenze, grazie alle differenze. E allora, se patriottismo è questo, ogni politica urlata, divisoria, totalitaria, ogni politica che ha bisogno di nemici interni diventa una politica per nulla patriottica.
Forse è Meloni che dovrebbe andare a lezione di patriottismo. Perché non basta dirsi patriottici per esserlo davvero. Solo un esempio tra i tanti possibili.
È patriottico andare braccetto con chi in Europa porta avanti egoismi anti italiani, quando applaude a chi si opposto ai soldi del Pnnr e a chi è contrario alla ridistribuzione dei migranti? No, non lo è. Come non lo è chiedere un presidente patriota.
Quella è solo retorica, pericolosa retorica.
(da Huffingtonpost)
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Dicembre 13th, 2021 Riccardo Fucile
LA BATTAGLIA PER L’EGEMONIA NEL MONDO DELL’ULTRADESTRA CHE E’ MISERAMENTE FINITA A REGGERE LO STRASCICO DI FDI E LEGA
Due mesi dopo l’assalto squadrista alla sede della Cgil a Roma: che fine ha fatto Forza Nuova?
Cosa e quanto è rimasto – al netto degli arresti dei suoi leader e delle inchieste giudiziarie in corso – del più antico partito neofascista italiano ancora in attività (dal ’97, sempre con lo stesso simbolo)?
E ancora: quali scenari ha aperto, nella galassia dell’estrema destra, il violento show down forzanovista, quell’attacco eversivo al primo sindacato italiano partorito dalla “diarchia” Fiore-Castellino al culmine delle proteste No Vax e No Green Pass infiltrate da oltre un anno e mezzo non solo ma anche e soprattutto dai neri?
In attesa che magistratura e/o governo decidano sullo scioglimento di Fn – la mozione è stata già votata da Camera e Senato -, per provare a rispondere a queste domande conviene partire da un dato di realtà.
Fn è implosa. Si è – di fatto – sbriciolata. Sui suoi resti, avventandosi come un avvoltoio sul cadavere, ha lanciato un’Opa CasaPound Italia, ovvero il movimento (non più partito) che rappresenta oggi l’unica forza stabile e punto di riferimento nell’area dell’estrema destra.
L’attacco e lo schianto
È un’operazione “politica” condotta sottotraccia, iniziata ben prima della “presa” e della devastazione di corso d’Italia. E che in sessanta giorni ha portato a un riassetto dell’area neofascista. Prima di raccontare la genesi dell’Opa, guardiamo ai numeri. Tenuto conto che nella storia dei movimenti neofascisti le stime sono da sempre liquide e oscillanti, in molti casi gonfiate dagli stessi gruppi e partiti, nelle ultime fotografie scattate dalle divisioni di polizia e carabinieri che si occupano di estremismo politico fa capolino un numero.
Trecento (300). Sono gli iscritti “reali” rimasti in pancia a Fn. Briciole. Nemmeno tre anni fa i comunicatori del partito fondato dell’ex terrorista Roberto Fiore e da Massimo Morsello vendevano per buono un bacino di utenza (riferito solo ai tesserati) di 7.500 militanti.
Anche volendo prendere sul serio questo numero, e ad arrotondare a 500 la cifra dei forzanovisti rimasta su una nave destinata ad affondare quanto meno nella sua declinazione originaria, in tre anni Fn si è disgregata: 25 volte più piccola.
Decine di sezioni chiuse, un crollo che Fiore e il suo delfino pluripregiudicato Giuliano Castellino non sono riusciti a fermare nemmeno con quello che doveva essere un audace tentativo di rilancio. Il clamoroso assalto alla Cgil.
Un apparente – eppure infine quasi tafazziano – “salto di qualità”. Lo commenta così un ex dirigente di Fn. “Spinti da una crisi interna devastante, hanno provato a giocarsi tutto alzando il tiro con un’azione ‘forte’, il cui primo obiettivo era richiamare le suggestioni degli assalti fascisti ai sindacati di cento anni fa.
Ma lo scopo doveva essere la riconquista dell’egemonia nel mondo dell’ultradestra. Riprendersi la scena”. Cosa che è mediaticamente riuscita, ma i cui effetti appaiono ora disastrosi.
Il partitino svuotato
Due lettere. Scritte dal carcere napoletano di Poggioreale. I “detenuti politici” Fiore e Castellino – per usare la definizione un po’ patetica del coordinatore nord Italia e capo ultrà dell’Hellas Verona Luca Castellini, anche lui denunciato per i fatti di Roma (obbligo di dimora) e che per sostenere i due ras ha lanciato una raccolta fondi – si appellano alla sbrindellata platea forzanovista usando toni accorati.
“Non volevamo assaltare la sede della Cgil, ma solo accerchiarla”, scrive Castellino. Fiore (difeso da Carlo Taormina): “Invito gli aderenti di Fn a rigettare e respingere i tentativi di scioglimento del movimento… Forza Nuova non si scioglie… Non incorrete in attività che possano essere strumentali al sistema per tentare di criminalizzare il movimento”. Attenzione alla parola “movimento”.
Fiore non la usa a caso, ma in modo ambiguo. Movimento nazionale-Rete dei patrioti è il primo nemico ” interno” di Fn. Quello che l’ha spolpata. Frutto della scissione avvenuta a maggio 2020, quando più del 50% dei militanti, in rivolta contro lo stesso Fiore e Castellino poiché esasperati dall’ascesa di quest’ultimo, è uscito dal partito.
Risultato: sezioni molto più che dimezzate, sedi chiuse. Uniche roccaforti appena sopravvissute allo sfascio: Roma, e pezzi di Piemonte e Veneto.
Sparita la Lombardia, dove la Rete dei patrioti si è presa la sede storica di Fn, il “Presidio” di piazza Aspromonte a Milano.
“La nostra lotta e i nostri ideali continuano”, ripete da un anno e mezzo Salvatore Ferrara (su Fb si firma “SSalvatore”, con la doppia “S” a rievocare le SS naziste).
Era l’uomo di Fiore in Lombardia: oggi è il coordinatore lombardo del “Movimento nazionale-Rete dei patrioti”. Gli scissionisti che hanno portato fuori dal partitino nero anche le associazioni, in primis i Circoli “Evita Peron” che da anni organizzano le colonie estive fasciste per i “bambini italiani poveri”. Poi, la botta finale. Gli arresti e le denunce per l’assalto alla Cgil e l’inchiesta giudiziaria che potrebbe portare alla messa al bando di Fn.
Terreno spianato
Qui entra in gioco CasaPound. A terreno già spianato. Una data: 13 ottobre. Quattro giorni dopo Roma e i fascisti saltati fuori dal cavallo di Troia dei No Green Pass. Con un comunicato ufficiale nel quale prendono posizione contro l’ipotesi di scioglimento di Fn per decreto, le tartarughe nere esprimono una blanda solidarietà ai competitor. “Dal movimento di Fiore ci distinguono tante cose, da sempre. Ma reprimere il dissenso e criminalizzare un intero mondo, farlo per decreto è la morte dello Stato di diritto”.
La mossa è politica: per difendere il “mondo” dell’ultradestra – di cui vuole essere sigla egemone – Cpi gioca a solidarizzare con Fiore e camerati. Ma in realtà li scarica. L’Opa è già lanciata. Da mesi Cpi fa manifestazioni insieme con il Movimento nazionale-Rete dei patrioti: il 2 luglio in piazza Diaz a Milano davanti alla sede di Atlantia chiedono la revoca della concessione e la nazionalizzazione della rete autostradale. Il 30 ottobre si ritrovano per un concerto identitario. Dove? Al “Presidio” di piazza Aspromonte sfilato a Fn.
La nuova partnership neofascista serve a CasaPound per rafforzare il proprio ruolo e assorbire almeno parte degli ex militanti forzanovisti. “Nella ridefinizione dell’area del neofascismo emerge alla fine Cpi come principale punto di riferimento – ragionano all’Osservatorio democratico sulle nuove destre -. Cpi che guarda a un rapporto politico con la destra che conta, Fratelli d’Italia e Lega. Una linea non più di autosufficienza, come in precedenza praticata da Fn. Una linea che sta facendo scuola se guardiamo anche al territorio lombardo e a Lealtà Azione”.
La strategia della tartaruga
Sotto inchiesta per tentata ricostituzione del partito fascista, dopo l’esperienza delle manifestazioni No Lockdown l’anno scorso con le “mascherine tricolori” CasaPound sulla battaglia contro vaccini e misure di contenimento ha tenuto una linea più defilata rispetto a Fn (sabato le mascherine tricolori sono tornate con un flash mob nei centri commerciali, ndr). Lasciando che fosse quest’ultima a infiltrare le piazze negazioniste. “Forse qualche uccellino aveva spifferato del piano di Fn contro la Cgil, e quelli di Cpi sapevano che quel piano avrebbe infine trasformato Fn in un partito agonizzante e contendibile”, aggiunge l’ex dirigente forzanovista.
E dunque: quando Fn attacca schiantandosi, Cpi è lì che attende. Oltre 130 sedi in Italia – molti sono pub o locali, un modo per occupare spazi di aggregazione giovanile – l’ultimo censimento attendibile di Cpi contava 4.500 militanti iscritti.
A cui vanno aggiunti simpatizzanti e associazioni “vicine”, tipo Casaggì di Firenze.
A che cosa ambiscono le tartarughe nere una volta cannibalizzato il moribondo partito di Fiore? L’interlocuzione con Lega prima e FdI poi, seppure negata da quest’ultima, è sempre nell’orizzonte. Si guarda al 2023.
Per quella data a destra della destra ci sarà solo Cpi (al cui modello organizzativo si ispira Lealtà Azione). Che a quel punto potrà essere impiegata dalla destra istituzionale della Meloni per garantire la militanza più identitaria e movimentista sul territorio.
Non è più un rebus, il rapporto dell’ultradestra con FdI. Lo stesso Fiore, che fino a ieri con i suoi camerati occupava a Roma un immobile della fondazione ex An (e oggi FdI), ha cercato sponde. A fine marzo il vicepresidente del Senato Ignazio La Russa accoglie a palazzo Madama Fiore e Castellino.
Fn aveva già infiammato le piazze violente novax, ma tant’è. E adesso? Raccontano che il detenuto Fiore una qualche attenzione dai meloniani ancora se la aspetti. I canali non possono essere in chiaro, ma sono aperti.
Tra i possibili “ganci” è accreditato il consigliere regionale campano Marco Nonno. Quando nel 2009, da consigliere comunale a Napoli, fu arrestato (poi anche condannato) per la vicenda delle rivolte ultrà contro la discarica a Pianura, l’allora eurodeputato Fiore andò a trovare Nonno in carcere. E Nonno, secondo qualcuno, adesso potrebbe ricambiare il favore: a parti invertite.
Il lumicino sul tramonto politico di Fn risucchiata dal lento appetito della tartaruga nera.
(da La Repubblica)
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