Dicembre 20th, 2021 Riccardo Fucile
SI LAVORA PER RAFFORZARE I RAPPORTI TRA I DUE PAESI
Colloquio bilaterale a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio Mario Draghi e il cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Secondo quanto anticipato dalla testata tedesca Frankurter Allemeine Zeitung, sul tavolo c’è un «piano di azione» per rafforzare le relazioni fra Roma e Berlino. Il progetto è sul modello di quello che è stato il Trattato del Quirinale siglato il 26 novembre scorso tra Italia e la Francia di Emmanuel Macron, sempre a Roma.
Il portavoce del cancelliere, Steffen Hebestreit, ha anticipato il vertice dicendo che Scholz e Draghi affronteranno «la gamma più vasta dei temi bilaterali, europei e internazionali», visto che l’Italia «è un importante e stretto partner della Germania». Tra i temi affrontati oggi, 20 dicembre, ci sono stati temi internazionali, come i rapporti con la Russia e la Cina – soprattutto in chiave energetica e commerciale -, ma anche il Patto di stabilità. Roma e Parigi spingono da tempo verso un ammorbidimento delle regole europee, e, con il cambio di cancelleria, Draghi prova a fare nuove pressioni su Berlino.
La preparazione del contratto è alla sua fase iniziale e non ci si aspettano annunci ufficiali a stretto giro oltre alla conferenza stampa congiunta. Come scrive la Faz, «i due paesi hanno la volontà di dare una nuova dinamica ai loro rapporti». I diplomatici che lavorano al progetto sperano che la nuova collaborazione possa rendere lo scambio di rapporti fra Italia e Germania «più stabile e indipendente dai cambiamenti del panorama partitico»
«Tanto di cappello per l’impegno dell’Italia, che si sta dando molto da fare», ha detto Scholz in conferenza stampa. «E sulla lotta alla pandemia i nostri Paesi hanno deciso di parlare con una sola voce. Serve una stretta cooperazione tra i nostri Paesi e siamo d’accordo per rafforzarla». «Questa visita contribuisce e conferma la profondità del legame tra i due Paesi, ed è nostra volontà collaborare per affrontare le grandi sfide europee», ha detto Draghi. «Il nostro rapporto è fondamentale per far progredire l’Ue».
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Dicembre 20th, 2021 Riccardo Fucile
DA BASSETTI A D’AMATO
“Il governo deve introdurre l’obbligo vaccinale. Faccio l’esempio del Lazio: ci sono ancora 400mila persone non vaccinate. Potranno sembrare poche rispetto a una popolazione di 6 milioni. Ma in termini assoluti è un numero altissimo, che mette a rischio gli altri abitanti”. È quanto ha detto al Messaggero l’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato.
“Certo – ha aggiunto l’assessore -, stiamo iniettando ogni giorno 2 mila prime dosi, non e’ poco. Ma abbiamo fatto di tutto per convincerli e ormai l’unico modo per sradicare questo zoccolo duro e’ l’obbligo vaccinale. Per questo chiedo all’esecutivo di introdurlo su tutto il territorio”.
“Quando si dice che oltre al Super Green Pass ci vuole un tampone per andare al cinema, si manda un messaggio sbagliato – spiega D’Amato – si rischia di sostenere che la copertura della vaccinazione sia poco efficace. Invece abbiamo visto che la dose booster ha aumentato le difese contro le varianti”
“In Liguria su 30 pazienti in terapia intensiva 24 sono non vaccinati. In area medica arrivano sia non vaccinati che vaccinati, ma questi ultimi hanno dei quadri clinici più blandi” ha detto, invece, a Cusano Tv, il rimario di Malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova, Matteo Bassetti.
“Se viene contato il malato covid che va in rianimazione esattamente come un malato di altra patologia che ha un tampone positivo – ha aggiunto l’esperto -, vuol dire che viene fatto un conto solo per giustificare alcune misure”.
“La situazione non è di emergenza – ha spiegato Bassetti -, dobbiamo dirlo forte è chiaro. È di emergenza per i non vaccinati, ma per quanto riguarda i vaccinati che entrano in ospedale con tampone positivo, è evidente che questi andrebbero scorporati dal computo totale dei malati covid. Sbaglia il Cts? Questo non lo dico, ma forse bisognerebbe dare maggiore ascolto a chi fa il medico e meno a chi fa il teorico”.
Sulle possibili misure di restrizione a Natale, prosegue Bassetti, “io sento in questi giorni le tesi più disparate, come mettere i tamponi obbligatori per andare allo stadio anche a chi ha ricevuto tre dosi di vaccino. Sono tutti provvedimenti cosmetici. L’unico provvedimento che bisognerebbe prendere con urgenza sarebbe quello di rendere il vaccino obbligatorio, approfittando di queste due settimane di chiusura delle scuole per vaccinare chi non è ancora vaccinato”.
“Dopodiché – puntualizza Bassetti – bisognerebbe dare la possibilità a tutti di vaccinarsi in strutture aperte senza prenotazione e dire che dal 10 gennaio chi non è vaccinato paga una sanzione. Non si tratta di imporre un tso come qualcuno dice, si tratterebbe di porre una sanzione amministrativa. E’ stato giusto imporre l’obbligo a sanitari, docenti e forze dell’ordine, ma ora più che procedere per categorie di lavoratori, bisognerebbe procedere per fasce d’età, dai 40 anni in su, dove il virus picchia molto duro. Chi ha più di 40 anni per poter uscire e andare a lavorare dovrebbe essere vaccinato. Io come medico dico che ci vorrebbe l’obbligo vaccinale, poi decidere come applicarlo spetta ai politici, almeno qualcosa lo facciano loro”.
(da agenzie)
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Dicembre 20th, 2021 Riccardo Fucile
E’ STATA LEGITTIMA DIFESA
A ricostruire la vicenda, su Avvenire, è Stefano Zirnella: “Con una sentenza per molti aspetti storica – scrive – la Corte di Cassazione ha deciso una questione giuridica del tutto nuova, La questione è se possa considerarsi legittima la condotta di persone migranti che, dopo essere state soccorse in acque internazionali da una nave italiana (il rimorchiatore Vos Thalassa), assumano atteggiamenti aggressivi verso l’equipaggio per evitare di essere riconsegnate alle autorità libiche, costringendo il comandante a rivolgersi alle autorità italiane e ottenendo, infine, di essere portate in Italia.
La norma applicata dalla Cassazione è la “legittima difesa”, che nel suo nucleo centrale è rimasta immutata da quasi un secolo: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa» (articolo 52 Cp)
Prima di giungere in Cassazione, la questione era stata oggetto di pronunce di segno opposto da parte dei giudici di merito.
Nel 2019 il gup di Trapani aveva riconosciuto la legittima difesa, affermando che i migranti avevano difeso il proprio diritto a non essere respinti verso la Libia (un Paese nel quale rischiavano di subire torture e trattamenti inumani e degradanti), ossia quel diritto al nonrefoulement che è cristallizzato nell’ordinamento italiano e internazionale, già riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo proprio in un caso di respingimento verso la Libia (sentenza Hirsi del 2012).
Nel 2020, tuttavia, la Corte d’Appello di Palermo aveva ritenuto che i migranti, intraprendendo il viaggio verso l’Europa, avessero volontariamente generato il pericolo dal quale pretendevano di difendersi, e che ciò precludesse l’operatività della legittima difesa.
Conseguentemente, i giudici palermitani avevano inflitto agli imputati una severa condanna per i reati di resistenza, violenza e minaccia a pubblico ufficiale, nonché di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare.
Il procedimento è giunto infine in Cassazione e la Suprema Corte ha annullato la condanna, riconoscendo che gli imputati avevano in effetti agito per legittima difesa, come originariamente stabilito dal gup di Trapani. Le motivazioni non sono state ancora depositate, ma fin d’ora si possono esprimere alcune valutazioni.
Anzitutto, è evidente che la sentenza della Corte d’Appello era incorsa in un errore logico, confondendo il pericolo al quale si erano esposti i migranti (quello di naufragare durante la traversata) con il pericolo generato dal comandante della Vos Thalassa, sulla base delle istruzioni ricevute dalle autorità italiane (quello di subire atti di violenza da parte delle autorità libiche).
In secondo luogo, la sentenza Vos Thalassa può essere letta congiuntamente alla sentenza Rackete, nella quale la Cassazione aveva ritenuto giustificata la resistenza a pubblico ufficiale realizzata dalla comandante della Sea Watch-3 sulla base dell’adempimento del dovere di soccorso in mare.
Tanto l’adempimento del dovere di soccorso, quanto la legittima difesa, sono regole che servono a risolvere contrasti tra interessi confliggenti, determinando la prevalenza dell’interesse di rango superiore.
Ecco allora che, ogniqualvolta si cerchi di far prevalere l’interesse alla protezione dei confini rispetto ai diritti fondamentali alla vita e all’integrità fisica, è del tutto fisiologico che queste norme vengano in rilievo per giustificare il ripristino, persino con la forza, del corretto bilanciamento dei valori in gioco.
Di fronte ai tentativi di trasformare il Mediterraneo in un confine italiano ed europeo invalicabile per migranti e richiedenti asilo, l’ordinamento giuridico sta dimostrando di essere in grado di reagire, grazie all’intelligenza, alla lucidità di pensiero e anche al coraggio degli avvocati difensori e a magistrati fermi e sereni nel giudizio”
Così Avvenire.
“Esprimiamo grande soddisfazione per questa importante pronuncia che, in linea con l’orientamento già espresso nella vicenda della comandante Rackete e, prima ancora, nella sentenza Hirsi Jamaa e altri del 23 febbraio 2012, ribadisce, una volta di più, che le operazioni di soccorso in mare che si concludano con il rimpatrio dei naufraghi in Libia costituiscono una violazione di principio del non refoulement e violano il diritto delle persone soccorse ad essere portate in un posto sicuro dove la loro vita non sia più minacciata e sia garantito il rispetto dei loro diritti fondamentali”, dicono gli avvocati che hanno seguito i migranti, Fabio Lanfranca e Serena Romano.
Si è trattato di una sentenza storica considerando gli oltre 30 mila migranti intercettati dall’inizio dell’anno dalla guardia costiera libica e riportati indietro, in un paese non sicuro dove i più basilari diritti umani non sono garantiti. E la Cassazione lo ha confermato inequivocabilmente.
(da Globalist)
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Dicembre 20th, 2021 Riccardo Fucile
DICIOTTO MILIONI PER ORA INTENZIONATI A METTERSI IN VIAGGIO
I dati degli ultimi giorni, con i contagi Covid in aumento, stanno spaventando gli italiani al punto che 8 milioni di persone hanno deciso di cancellare la prenotazione dopo le notizie sulla diffusione della variante Omicron non solo nel nostro Paese ma anche nel resto del mondo.
Nello specifico, sono 24 milioni gli italiani che hanno scelto di non partire (48 per cento): il 12,4 per cento di loro perché, «pur volendo, ha ancora timore a viaggiare»; il restante 16 per cento ha annullato tutto a causa della variante Omicron.
A dirlo è Demoskopika in un report anticipato dall’Ansa.
Di contro, in Italia, sono in tutto 18 milioni gli italiani pronti a mettersi in viaggio e a fare le valigie. Nove su 10 sceglieranno mete italiane. Poco più della metà, il 52 per cento, avrebbe deciso di andare in vacanza per le festività di fine anno e il 24 per cento ha già prenotato. Il 15 per cento è indeciso.
(da agenzie)
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Dicembre 20th, 2021 Riccardo Fucile
DON LELIO E’ PARROCO IN PROVINCIA DI PORDENONE
Don Lelio Grappasonno è soltanto l’ultimo di una lunghissima serie di no vax che si sono ricreduti sulle loro convinzioni dopo aver preso il Covid e hanno chiesto scusa. Parroco di Sant’Odorico di Sacile e di Nave a Fontanafredda, in provincia di Pordenone, l’uomo ha rivolto una lettera aperta ai fedeli della sua parrocchia per fare ammenda dopo aver messo in dubbio più volte la pandemia di Coronavirus.
Un passo indietro doveroso e necessario, arrivato però soltanto dopo essere risultato positivo: “Sento fortemente il desiderio di chiedere scusa e perdono per i miei atteggiamenti di ribellione”, scrive nella lettera, riportata oggi dal Piccolo di Trieste, dopo un mese trascorso in isolamento
“I miei atteggiamenti – aggiunge – hanno involontariamente danneggiato le relazioni con tante persone e di questo, non sono fiero. Ho vissuto un tempo di prova che mi ha fatto ricordare che dal male il Signore ricava sempre un bene maggiore. Voglio ringraziare con tutte le mie forze i parrocchiani per la collaborazione nel poco e intenso tempo vissuto insieme, che mi ha permesso di valutare ciò che c’era e il nuovo che ci aspettava”.
Si è poi rivolto ai fedeli per informarli del suo ritorno in chiesa: “Chiedo ai miei carissimi parrocchiani di avere ancora pazienza perché ho bisogno di un tempo congruo per rimettere i pezzi al posto giusto e ritrovare l’equilibrio e l’armonia interiore. Porterò tutti nel mio cuore e nel ricordo a ogni santa messa e grazie per la comprensione”.
Lelio Grappasonno ha un passato in Argentina, dal quale è scappato per non andare a combattere in guerra. Lì ha studiato per portare avanti l’altra passione della sua vita, il pianoforte, che gli ha permesso – una volta arrivato in Italia – di trovare lavori saltuari negli alberghi e nelle ville. Fino al giorno in cui un viaggio a Medjugorje l’ha convinto a prendere i voti.
(da agenzie)
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Dicembre 20th, 2021 Riccardo Fucile
MINACCE E SALUTI ROMANI: LE GUARDIE BIANCHE DEL SISTEMA… MA IMPARATE A OCCUPARLE VOI LE SCUOLE, INVECE CHE FARE I MAZZIERI PER CONTO TERZI, RIDICOLI!
Blitz di stampo squadrista nella notte tra sabato e domenica al liceo Ruffini di piazza Dante a Viterbo, occupato quella stessa mattina dagli studenti in segno di protesta contro la decadenza della struttura e lo schema dei “doppi turni”. “Ad un certo punto – racconta a Tusciaweb una delle ragazze che gestisce l’occupazione – sono riusciti ad entrare con l’intenzione di aggredirci e spaccare tutto. Urlavano, insultavano e facevano il saluto romano inneggiando al duce”.
Protagonisti del gesto un gruppo di circa venti persone non meglio identificate, che hanno provato a forzare gli ingressi e dopo essere stati respinti hanno lanciato bottiglie contro le finestre dell’edificio, minacciando gli occupanti.
“Sono arrivati dopo la mezzanotte – spiega Teresa Pianella, una occupante – e ci hanno assaltato, sono riusciti ad entrare, ma li abbiamo costretti a restare sulla porta”.
Alcuni hanno desistito, mentre altri hanno continuato con le minacce restando all’esterno del liceo fino alle 4 di notte.
La Digos è intervenuta il mattino seguente e ha avviato un’indagine su quanto accaduto. Intervenuti anche il presidente della provincia Alessandro Romoli, il presidente uscente Pietro Nocchi e il comunale Giacomo Barelli.
Quest’ultimo ha dichiarato: “Quanto accaduto al Ruffini ha una chiara matrice fascista, non perché riconducibile a questo o quel partito, ma perché le modalità con cui si è svolta sono quelle. E rammarica sapere che il sindaco di Viterbo Giovanni Arena non sia venuto a dare la propria solidarietà ai ragazzi che stanno occupando la scuola. Non per l’occupazione, ma per la violenza politica subita la scorsa notte. Un argomento che chiederò di discutere al prossimo consiglio comunale”.
(da agenzie)
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Dicembre 20th, 2021 Riccardo Fucile
NEL PROGRAMMA RENDERE PUBBLICHE SANITA’ E PENSIONE
Domenica si è votato in Cile per il ballottaggio delle elezioni presidenziali e i cittadini hanno scelto il candidato di Sinistra Radicale Gabriel Boric, che ha vinto nettamente contro l’estrema destra nostalgica di Kast.
In queste elezioni i cileni avevano di fronte una scelta netta, da un lato Jose Antonio Kast, il candidato dell’estrema destra, ammiratore di Pinochet (ha dichiarato che se fosse candidato avrebbe votato per lui). Suo fratello Miguel Kast è stato un’importante figura nel regime ricoprendo più volte il ruolo di Ministro e presidente della Banca centrale. Al primo turno Kast era arrivato primo, con il 28% dei voti, ed era riuscito ad ottenere il supporto di tutti i candidati della destra radicale e moderata per il ballottaggio.
Durante la campagna elettorale, è anche emerso che il padre di Kast, immigrato in Cile dalla Germania, aveva scelto di aderire al Partito nazista nel 1942, cosa che Kast aveva sempre negato.
Kast ha espresso ammirazione anche per Bolsonaro e per l’ex dittatore peruviano Alberto Fujimori, oggi imprigionato per i crimini contro i diritti umani commessi dal suo regime.
La sua visione politica coniuga un cattolicesimo fortemente conservatore (è contrario al diritto all’aborto, ai diritti LGBT, ai movimenti femministi e persino alla legge sul divorzio) con una politica economica liberista e una dura retorica sulla sicurezza e contro l’immigrazione.
Il suo programma prevedeva una diminuzione la spesa pubblica e delle tasse per le imprese, un ulteriore disimpegno dello stato dall’economia cilena e la difesa della “famiglia tradizionale” cilena (lui stesso è sposato da 30 anni e ha 9 figli). Kast si presentava come il candidato della “legge e dell’ordine”, pronto a combattere il narcotraffico, usare la mano dura contro le rivendicazioni territoriali delle popolazioni native, a limitare al minimo l’immigrazione nel paese e riportare l’ordine dopo anni di proteste, con qualunque mezzo necessario.
Dall’altra parte invece c’era Gabriel Boric il candidato della sinistra radicale (ma non estrema, aveva sconfitto alle primarie della sinistra Daniel Jadue, il candidato del Partito comunista), deputato, storico leader dei movimenti studenteschi, si presentava con un programma fortemente ambientalista, puntando alla completa decarbonizzazione del Cile.
A 35 anni è il più giovane candidato della storia delle Presidenziali del Cile. Si dichiara femminista e dice che da presidente il suo sarà “il primo governo Ecologista della storia del Cile”. Boric critica fortemente il neoliberismo e vuole rendere pubblico il sistema sanitario e quello pensionistico, oggi entrambi privati e decentralizzare i poteri dello Stato, devolvendo verso le regioni e le comunità locali con grande attenzione verso le popolazioni native.
Nonostante i sondaggi li dessero sostanzialmente appaiati, appariva più probabile l’elezione di Kast, visto che complessivamente la destra aveva conseguito un risultato migliore a novembre, durante il primo turno elettorale.
A sorpresa invece ha vinto nettamente Gabriel Boric, raggiungendo circa il 56% dei voti (mentre scrivo devono essere conteggiate ancora qualche decina di sezioni), contro il 44% di Kast.
L’elezione di Boric simboleggia il momento di grandi cambiamenti e incertezze che il Cile sta attraversando da anni: già alle primarie della Sinistra ha vinto partendo da sfavorito, poi grazie al crollo dei partiti tradizionali, con la destra tradizionale e la coalizione di centrosinistra entrambe inchiodate al 12% e superate persino dall’economista indipendente di centrodestra Franco Parisi, arrivato terzo con il 12.8%, Boric è riuscito a ottenere il 25.8% dei voti ed accedere al ballottaggio da secondo.
A dimostrazione della forte polarizzazione di queste elezioni l’affluenza al ballottaggio è stata del 55%, ben otto punti in più del primo turno, la più alta dal 2012, anno in cui il voto in Cile è stato reso non più obbligatorio.
Durante il mese che separava le elezioni dal ballottaggio, sia Boric che Kast hanno provato a trasmettere una immagine più moderata e rassicurante, Boric per il secondo turno è riuscito ad ottenere il sostegno dell’intero centrosinistra, tra cui il Partito socialista e nonostante qualche mugugno interno, i centristi del Partito democratico cristiano. Del centrosinistra unito avrà bisogno anche per provare a legiferare, visto che la coalizione che lo ha sostenuto al primo turno ha ottenuto solo un quarto dei seggi in Parlamento.
Per comprendere il sorprendente successo di Boric, bisogna prima capire il contesto cileno degli ultimi anni a partire dalle proteste del 2019, contro il governo conservatore di Sebatian Pinera, che, dopo essere state represse brutalmente tramite il dispiegamento dell’esercito, che ha causato decine di morti e migliaia di feriti tra i manifestanti, hanno lasciato una fortissima volontà di cambiamento nella società cilena.
Volontà di cambiare un sistema che ha superato la dittatura di Pinochet, ma non la sua eredità politica, ancora presente nella Costituzione e nel sistema economico di un paese ricco (rispetto alla media del Sudamerica), ma tremendamente diseguale, dove la sanità e le pensioni sono private e pochi oligopoli commerciali privati controllano quasi tutti i settori strategici.
Questo cambiamento si è catalizzato innanzitutto nel referendum dello scorso anno, che ha dato il via a un nuovo processo costituente, per riscrivere e rifondare il sistema istituzionale cileno, in una fortissima crisi dei partiti tradizionali, che in queste elezioni sono stati puniti dall’elettorato, mandando al ballottaggio i due candidati più radicali.
Al ballottaggio si sono confrontate due visioni diverse del Cile, mentre Kast faceva leva sulla paura dei conflitti sociali e prometteva di riportare legge, ordine e stabilità al paese, a qualunque costo, Boric invece è riuscito incanalare questa enorme volontà di cambiamento, con un messaggio di speranza verso il futuro.
Ora il Cile, con un nuovo Presidente e una nuova Assemblea costituente, può cambiare per davvero.
(da Huffingtonpost)
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Dicembre 20th, 2021 Riccardo Fucile
ASPETTO NEGATIVO: SONO LAVORETTI PRECARI, SOLO IL 15% SONO CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO
Ma alla fine chi percepisce il reddito di cittadinanza sta trovando un lavoro? La domanda impatta sulla grande questione sollevata fin dall’inizio dalla misura voluta dai 5 stelle ed entrata in vigore a marzo del 2019.
Prova a rispondere l’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro: in due anni e mezzo sono stati 546mila quelli che hanno trovato una nuova occupazione. Sono il 30,2% del totale, dove il totale è costituito dagli 1,8 milioni di beneficiari che sono stati indirizzati ai Centri per l’impiego per la presa in carico.
Fa più fatica chi è più lontano dal mercato del lavoro, ma anche quelli che sono più vicini riscontrano difficoltà a intercettare un nuovo impiego, in proporzione alla distanza dall’ultima esperienza lavorativa.
Il rapporto tra chi prende il Rdc e il mondo del lavoro è più proficuo se si prendono in considerazione i dati aggregati.
Sono oltre un milione e mezzo i posti di lavoro attivati, di cui 1,2 milioni nuovi, ma questi numeri tengono dentro tutti i movimenti, quindi più posti di lavoro riferiti alla stessa persona, che appunto è passata da un’occupazione ad un’altra, e anche il fatto che circa 328mila beneficiari avevano un lavoro quando hanno ricevuto la prima mensilità del sussidio.
Torniamo ai posti di lavoro creati in misura, cioè ai nuovi rapporti attivati mentre si percepiva il sussidio. La maggior parte di chi ha trovato una nuova occupazione (45,9%) era vicino al mercato del lavoro, mentre solo una piccola quota (15,4%) di chi era più lontano è riuscito ad attivarsi nella ricerca e a intercettare un posto.
Chi ha avuto più fortuna sono stati gli uomini (37,9%) a fronte di un’incidenza che per le donne si è fermata al 23,2 per cento. Soprattutto cittadini stranieri, che rappresentano il 17,2% della platea presa in considerazione: sono loro a presentare una quota con nuova occupazione in misura più alta se confrontata ai soli beneficiari del reddito che hanno la cittadinanza italiana (36,8% contro 28,9%).
Sono gli over 50 a bucare meno il mercato del lavoro. Per le fasce di età fino a 50 anni, la quota di beneficiari del reddito di cittadinanza che hanno attivato nuovi rapporti di lavoro si attesta su valori uguali o superiori al 31 per cento. Scende al 24,3% per i 50-59enni e addirittura solo al 14,7% degli over 60. E i giovani? Dopo gli over 60 sono i più lontani dal mercato del lavoro. Eppure gli under 30 presentano la quota di nuovi occupati più elevata (20,9%), pari a uno su cinque.
La ripartizione geografica dei dati non consegna invece dati inediti. È chi vive al Nord e al Centro ad aver occupato i nuovi posti di lavoro, con più di un beneficiario su tre: sono le Regioni del Nord-Est a presentare la quota maggiore, seguite da quelle del Nord-Ovest e del Centro. Mentre la Valle d’Aosta, il Friuli-Venezia Giulia e la provincia autonoma di Trento hanno valori vicini o superiori al 50%, la Campania e la Sicilia registrano percentuali rispettivamente del 22,5% e del 23,8 per cento.
Tutto merito dei centri per l’impiego? Innanzitutto va ricordato che non tutti i beneficiari del reddito di cittadinanza sono uguali nel senso che non tutti sono occupabili.
Fuori dagli obblighi ci sono i minorenni, gli studenti, chi frequenta un corso di formazione, i pensionati o comunque gli over 65 e le persone con disabilità. Ai centri per l’impiego sono indirizzati chi ha perso un posto di lavoro negli ultimi due anni, chi ha beneficiato dell’indennità di disoccupazione negli ultimi dodici mesi, ancora chi ha un patto di servizio presso uno dei centri, chi appartiene a una famiglia con una persona che ha almeno una di queste caratteristiche.
Dentro anche gli under 30, anche se il nucleo di appartenenza è indirizzato ai servizi sociali. Quest’ultimi assorbono le altre famiglie, chiamate a sottoscrivere il Patto per l’inclusione sociale. A differenza di chi viene indirizzato al centro per l’impiego, non è immediatamente occupabile.
Altra considerazione per valutare quanto è stato determinante il ruolo dei centri per l’impiego nel trovare un nuovo lavoro: la quota di beneficiari che sono stati presi in carico è ancora relativamente bassa, anche per via della pandemia che ha strozzato l’accesso e le attività degli stessi centri.
L’analisi dell’Anpal isola gli individui che hanno sottoscritto un Patto per il lavoro durante la misura. La quota di beneficiari con almeno un rapporto di lavoro tra chi è stato preso in carico è del 3,18% a fronte del 29% registrato tra chi non ha sottoscritto alcun Patto di servizio durante l’erogazione del sussidio. In poche parole: la presa in carico comporta un aumento di circa il 10% della probabilità di trovare un’occupazione.
Ma che tipo di contratto hanno ottenuto i beneficiari del reddito di cittadinanza? Prendendo il dato aggregato degli 1,2 milioni di rapporti attivati, ben il 63,6% è a tempo determinato. Meno del 15%, invece, è a tempo indeterminato (compreso l’apprendistato). La natura precaria del lavoro trovato riflette l’andamento generale del mercato del lavoro nazionale.
Il reddito di cittadinanza è stato visto spesso come un disincentivo a trovare un lavoro. Ma i dati, spiega sempre l’Anpal, dicono che il sussidio non ha portato i beneficiari ad abbandonare la ricerca di un lavoro e, soprattutto, non sembra abbia alzato il salario a tal punto da portarli a rifiutare lavori a termine, anche se di brevissima durata.
La quota di contratti non superiore ai tre mesi sfiora il 69% e, in particolare, più di un terzo non supera il mese.
Ne viene fuori “un elevato livello di precarietà”, associato a periodi di occupazione brevi e molto brevi. La capacità di rimanere nel mondo del lavoro, quindi, è debole e c’è “una marcata difficoltà” a uscire da una condizione di povertà.
I posti di lavoro occupati dai beneficiari del Rdc rispondono a profili professionali bassi. Oltre il 41% dei rapporti attivati, infatti, richiede un basso livello di competenza, mentre solo il 4% skill di alto profilo. Si trova lavoro soprattutto nel settore del trasporto e del magazzinaggio, seguito da quelli dell’alloggio e della ristorazione.
Cosa succede sul fronte del lavoro dopo sei mesi o un anno dal primo assegno ricevuto? All’ingresso il tasso di occupazione è poco inferiore al 18%, a sei mesi cresce fino a quasi il 23%, poi aumenta marginalmente a un anno portandosi appena sopra questa soglia.
Ci sono differenze notevoli tra i beneficiari perché conta la condizione individuale di ingresso. Su una platea di 1,3 milioni di beneficiari (chi ha una distanza di almeno un anno tra la prima tranche di Rdc ricevuta e il 30 settembre di quest’anno), sono più di 711mila quelli che sono più distanti dal mercato del lavoro: i tassi di occupazione sono particolarmente bassi e sempre inferiori al valore medio. Una tendenza che conferma la difficoltà di entrare nel mercato da parte di chi ha poco familiarità con il lavoro, oltre ad avere un titolo di studio basso o appartenere a una famiglia in condizioni di forte disagio.
(da agenie)
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Dicembre 20th, 2021 Riccardo Fucile
ESPULSO DAL PARTITO (MA FINO A IERI DICEVA LE STESSE COSE)
C’è di tutto nell’ultimo post su Instagram di Raj Ducci, responsabile del circolo di Fratelli d’Italia di Fino Mornasco, nel Comasco.
Omofobia, body shaming, classismo, e – per non farsi mancare nulla – anche qualche errore grammaticale.
Ieri sera ha iniziato a circolare sui social una card con una sua foto e una serie di “differenze” che secondo lui distinguerebbero quelli che appartengono a Fratelli d’Italia da un “voi” generico e non specificato, che il coordinatore identifica con chiunque non la pensi come lui.
“Noi abbiamo un taglio decente – scrive – voi vi fate i rasta; noi ci alleniamo, voi dormite in un centro sociale; noi lavoriamo, voi occupate i parchetti e i marciapiedi; noi vestiamo con rigore, voi vestite stracci che toccano per terra; noi beviamo in compagnia, voi avere (scritto proprio così, ndr) problemi di tossico dipendenza (scritto staccato, ndr); noi studiamo, voi sbraitate slogan; noi siamo puliti, voi siete sporchi; noi siamo belli e lo sono anche le nostre donne; voi siete unti, brutti e vi fa schifo la figa”.
Ducci espulso immeditatamente dal partito
La chiosa è la chiave di lettura dell’intero post: “È questione di stile…e questo perché noi siamo uomini, voi siete zecche”. Un trionfo di machismo, bullismo, luoghi comuni e pressapochismo
Lo stesso fatto che abbia considerato accettabile pubblicare un post simile la dice lunga. Un messaggio che ha imbarazzato anche i suoi colleghi di partito.
Stefano Molinari, coordinatore provinciale di FdI, ha comunicato che Ducci “è stato immediatamente espulso dal partito”. “Il circolo è stato commissariato – ha spiegato alla testata locale ComoZero – e da oggi tutte le iniziative dovranno essere avallate dal commissario Alberto Di Turi, responsabile provinciale del dipartimento organizzazione di Fdi”.
(da agenzie)
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