Dicembre 22nd, 2021 Riccardo Fucile
I TRUCCHI DEL CAIMANO: “FATE RICONOSCERE I VOSTRI VOTI“ … IL TIMORE DI ESSERE IMPALLINATO DA UNA CINQUANTINA DI FRANCHI TIRATORI
È il trucco più vecchio del mondo. Quello che serviva alle correnti della Democrazia cristiana per “contarsi” in Aula (nel 1992 c’era una precisione chirurgica: “Arnaldo Forlani”, “Forlani Arnaldo”, “on. Arnaldo Forlani”, “Forlani”, “Forlani on. Arnaldo”) e che portò Amintore Fanfani, nel 1971, a chiedere di scrivere il proprio nome in verde, rosso, con la stilografica, con la matita e aggiungere – in sequenza – i titoli di “professore”, “senatore”, “presidente” e così via. Ma fu impallinato lo stesso.
Lo stesso stratagemma fu pensato nel 2006 per eleggere il presidente del Senato Franco Marini e “segnare” tutti i partitini dell’Unione di Romano Prodi. Quella volta riuscì.
È un metodo che serve, nella testa di chi lo pensa, a fermare (o almeno a identificare) i pugnali affilati dei franchi tiratori durante l’elezione del presidente della Repubblica che avviene a scrutinio segreto.
Adesso ci sta pensando anche Silvio Berlusconi. Sa che i franchi tiratori, lui, ce l’ha in primis in casa sua. Tant’è che anche i suoi emissari in Parlamento glielo hanno spiegato chiaramente: “Caro Silvio, di voti non te ne mancano 50 ma 100”. Perché, mentre continua lo shopping parlamentare nel gruppo Misto, Berlusconi non può essere sicuro nemmeno di avere già in tasca i 450 voti di partenza che coincidono con i grandi elettori del centrodestra
Fonti leghiste stimano che nel gruppone dei 197 parlamentari del Carroccio, circa trenta non voterebbero Berlusconi. Sono i deputati e senatori duri e puri, salviniani, euro-scettici e no green pass che non hanno mai sopportato la veste “moderata” ed “europeista” del leader azzurro.
Anche in Fratelli d’Italia qualche traditore se lo aspettano: una decina in tutto sui 58 parlamentari. Un big del partito di Meloni ricorda che tra Berlusconi e la leader non c’è mai stato un grande feeling (eufemismo).
Senza escludere che qualche defezione potrebbe arrivare anche dall’ala liberal di Forza Italia, quella rappresentata dalle ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, che negli ultimi mesi hanno aperto una guerra contro il cerchio magico di Arcore. Anche i centristi di “Coraggio Italia” – conteggiati tra i 450 voti che Berlusconi ha a disposizione sulla carta – sono molto irritati dagli abboccamenti degli sherpa berlusconiani nel loro gruppo.
Insomma, almeno una cinquantina di voti potrebbero venire a mancare anche nel centrodestra. Un problema che i leader della coalizione porranno domani, durante il vertice di villa Grande.
Lui però non demorde. Anzi, rilancia. Ha già pronta la strategia per “stanare” i traditori dentro al centrodestra. È stata lanciata qualche giorno fa dal direttore del Giornale di casa, Augusto Minzolini, ed è piaciuta molto ad Arcore.
Dopo i primi tre scrutini in cui chiederà agli alleati di votare scheda bianca, dal quarto l’idea di Berlusconi è quella di “segnare” i voti per ogni partito della coalizione.
E dunque chiederà a Forza Italia di votare “Silvio Berlusconi”, alla Lega solo “Berlusconi”, a Fratelli d’Italia “Berlusconi Silvio” e ai centristi “S. Berlusconi”.
Un modo per capire chi tradirà e chi no nella sua coalizione e allo stesso tempo fare da deterrente per chiunque stia pensando di non votarlo.
Anche perché, fa sapere a tutti, non potrebbe mai accettare di essere impallinato in Aula dai propri alleati come successe nel 2013 con Romano Prodi: “Il centrodestra, a quel punto, non esisterebbe più” dicono da Arcore.
Nel frattempo, a villa Grande si stanno preparando per l’arrivo di Berlusconi e per il vertice di domani quando il padrone di casa riceverà Salvini, Meloni e i leader dei partiti minori.
Ieri il segretario della Lega ha fatto un passo indietro spiegando che al vertice si parlerà solo di Manovra e non di Quirinale (“ci pensiamo a gennaio”) ma è difficile che non si toccherà l’argomento.
E l’ex premier farà sapere agli alleati che non ammette “piani B”. Non accetterà mai quindi un altro nome, da Letizia Moratti (che ieri ha fatto sapere che “Berlusconi è l’unico candidato”) a Pier Ferdinando Casini passando per Marcello Pera. “O me o Draghi” dirà Berlusconi agli alleati.
Parallelamente continua lo scouting in Parlamento per provare a racimolare qualche voto.
Fonti azzurre raccontano che tra le più attive ci sia Renata Polverini, assoldata per cercare i voti tra i 5 Stelle e tra gli ex 5 Stelle nel Misto.
D’altronde fu proprio lei, nel gennaio scorso, in piena crisi del governo Conte-2, a lasciare Forza Italia per passare tra i “responsabili” che avrebbero votato la fiducia al premier giallorosa. Poi a maggio è tornata in Forza Italia e a ottobre è stata tra i pochi, dentro il partito, a incontrare Berlusconi a villa Grande. Ora si sta muovendo a Montecitorio per portare voti al capo.
(da il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 22nd, 2021 Riccardo Fucile
MELONI STA PER SUPERARE SALVINI, DEBACLE RENZI E M5S
Sono ben lontani i tempi d’oro della ‘bestia’ di Salvini. E pure la ‘bestiolina’ renziana non gode di ottima salute. Anzi, a vedere i dati, la seconda sta molto peggio della prima.
Gli utenti dei social non seguono interagiscono più con lo stesso interesse con il vertice del Carroccio e con il fondatore di Italia Viva perché – fatte le dovute proporzioni in base al numero dei follower di ciascuno – preferiscono i contenuti di altri politici. Li commentano, li condividono, lasciano reazioni, perché interessati ai temi trattati.
Chi si aspettava di vedere il segretario della Lega o, per restare nel campo del centrodestra, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni in vetta alla classifica dei politici con un più alto indice di performance sui social media, resterà deluso. Secondo l’analisi di DeRev – azienda italiana che dal 2012 si occupa si occupa di strategia, identità digitale e comunicazione sui social media – sul podio si collocano, nell’ordine, Carlo Calenda, Roberto Speranza e Enrico Letta.
Giorgia Meloni e Matteo Salvini arrivano subito dopo, seguiti da un nome a sorpresa: Luca Zaia. Dopo di lui c’è Silvio Berlusconi, approdato sui social da pochi anni, eppure con prestazioni migliori rispetto a Giuseppe Conte.
Male i 5 stelle, nati e cresciuti sui social, lentamente, ma costantemente, accantonati dai follower. Non è un caso se verso la coda della classifica si collocano Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista. Ultimo in assoluto Matteo Renzi.
Un dettaglio non irrilevante: quanto si ‘funziona’ sui social non dipende dal numero dei follower che si hanno. Anzi, le tabelle dimostrano che spesso ha molto più engagement chi è seguito da meno utenti.
Cosa ci dicono questi dati? Li abbiamo analizzati con Roberto Esposito, fondatore e Ceo di DeRev, entrato nel 2011 nel Guinness World Records per il post di Facebook con più commenti al mondo (per chi si chiedesse cosa ci fosse scritto, la risposta è più semplice di quanto si immagini, ma ha un lungo lavoro alle spalle. La frase, che ha ricevuto oltre 600mila commenti in tre mesi, era: “Questo sarà il post con più commenti al mondo”).
Calenda, Speranza, Letta: perché sull’engagement superano gli altri
Il leader di Azione, secondo DeRev, è il migliore in assoluto su Twitter, dove raggiunge un indice di performance del 100%. Significa che i suoi tweet interessano, vengono commentati e rilanciati molto. Il suo successo, ci spiega Esposito, è dovuto principalmente alla strategia social per le elezioni a Roma: “La comunicazione, durante la corsa a sindaco, è stata ottima, probabilmente una delle migliori”. Dopo le elezioni l’engagement si è ridotto, “non perché lui sia sparito ma perché ai suoi follower interessano di meno i contenuti che pubblica”.
Se Calenda è il re di Twitter, Speranza va molto bene su Facebook.
I suoi post – rispetto a Salvini e Meloni che puntano sulla quantità, ne pubblica pochi, mediamente uno al giorno – sono molto seguiti e commentati. “Dipende anche dal momento storico – spiega ancora Esposito – alla pandemia in corso, che inevitabilmente dà maggiore visibilità al ministro della Salute. Ma in ogni caso sui social questa visibilità è stata utilizzata nel modo giusto”.
La popolarità di Letta, invece, è slegata da un motivo preciso: ”È molto più trasversale – continua il ceo di DeRev – e ha una certa presa anche su Instagram, non è un caso se è stata sua la proposta di dare il diritto di voto ai sedicenni”.
Dalla parte del segretario del Pd c’è anche il fatto che “non prende posizioni forti né provocatorie. Il merito della buona resa sui social, quindi, è tutto suo”.
In tutti e tre i casi a premiare non è la quantità dei post, ma la qualità. Non è detto, però, che sia sempre così: “In termini di visibilità pagano sia la quantità che la qualità. Nel primo caso, però, si colpisce di più la pancia del Paese, che spesso si trova su Facebook. Nel secondo caso si parla maggiormente a una nicchia”, che però è fidelizzata
A dimostrazione del fatto che il numero di follower non è per forza direttamente proporzionale al rendimento del profilo, basti considerare un dato: nella classifica dei 15 di DeRev, Letta, Calenda e Speranza sono quelli che hanno meno seguaci. Primi della lista sono invece Salvini, Conte e Renzi. Solo quarta Giorgia Meloni.
Un dato accomuna tutti i politici, o quasi, è la difficoltà a sfondare su Instagram: “Nessuno ha trovato la chiave per parlare ai giovani”, ci dice ancora Esposito. E ciò è dimostrato dal fatto che su Instagram non sfonda nessuno.
Letta piace, è vero, ma va comunque meglio su Facebook e Twitter. Ma a cosa è dovuta questa fatica sul social delle foto? “Su Facebook è più facile, un po’ per l’algoritmo, un po’ perché è più semplice cavalcare i trend, o fare post populisti – continua il ceo di DeRev – su Instagram, invece, c’è un’utenza più giovane, nativa digitale, che conosce bene i social e, potremmo dire, non ci casca”.
Ci sono solo due figure che fanno eccezione, almeno per quanto riguarda la crescita dei follower: Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. La curva crescente della leader di Fratelli d’Italia si spiega con il consenso che sta avendo il suo partito. Quella di Berlusconi ha origini diverse e, se vogliamo, più interessanti.
Perché uno dei politici più anziani sulla scena piace ai giovani? Perché ha fatto un percorso: “Inizialmente – prosegue Esposito – era terrorizzato dai social, ne stava alla larga, perché abituato alla comunicazione unidirezionale. Quella della tv, in particolare, e dei giornali. Per questo motivo ne è stato alla larga. Quando è approdato sui social, inizialmente ha fatto fatica. Poi ha ingranato, complice il suo riposizionamento, il suo presentarsi come figura saggia e rassicurante che guarda al Quirinale. E i dati dimostrano che sta funzionando”.
La sfida a destra c’è anche sui social. Salvini resta campione assoluto di follower, ma al momento nulla di più. Il leader della Lega, che ha fatto della comunicazione social uno dei suoi cavalli di battaglia, in questo momento è in difficoltà. E non bastano i 4,6 milioni di follower su Facebook, i 2,26 milioni su Instagram e i l′1,4 su Twitter per giudicare positivamente le sue prestazioni social.
Nell’indice delle performance di DeRev il leader del carroccio si colloca al quinto posto, dietro Giorgia Meloni: “Salvini sta iniziando a piacere di meno, è segno che ha stancato, anche nella comunicazione social. Perché non ha idee nuove e anche perché il far parte del governo Draghi gli sottrae occasioni di polemica. L’addio di Morisi c’entra poco, perché i suoi effetti si vedranno nei prossimi mesi”, spiega ancora esposito. Se continua così, la leader di Fd’I lo supererà anche nel mondo virtuale: “Meloni, che sale in tutti i social, sta rincorrendo Salvini e piano piano lo sta raggiungendo. Lui se ne dovrebbe preoccupare”.
C’è chi scende e c’è chi sale. In quest’ottica, Matteo Renzi è prossimo al fondo. Basta anche un’occhiata rapida alle tabelle per vedere che i follower lo abbandonano e anche chi rimane sui suoi canali, è disinteressato ai suoi post.
“Anzi – continua il ceo di DeRev – a volte i post sono un’occasione di perdita di altri utenti”. Il leader di Italia Viva, spiega ancora Esposito, “dà la sensazione di essere caduto in disgrazia e di aver perso il feeling con la base”.
Un discorso a parte meritano i 5 stelle. “Sono nati sul web, erano i più bravi sui social e mostrano un andamento particolare. Di Battista e la Raggi, ad esempio, non esistono. Cala anche Di Maio”. Giuseppe Conte tiene su Twitter, ma da quando non è più premier ha avuto un crollo vertiginoso
Ci sono politici che pagano per avere visibilità e loro colleghi che invece non versano un euro. E spesso ottengono risultati migliori.
Il politico che ha pagato di più è Salvini, che ha speso quasi mezzo milione di euro per sponsorizzare 674 post. Dopo di lui c’è Matteo Renzi, che però con 227mila euro ha pubblicizzato 2501 post. Segue Calenda, che con poco più di 136mila euro ha sponsorizzato 295 post. Giorgia Meloni ha sborsato quasi 68mila euro per 127 post. Sempre secondo i dati messi a disposizione da DeRev seguono Berlusconi e Vincenzo De Luca.
Il presidente della Campania è uno dei due governatori presenti nella lista di DeRev. Enrico Letta, invece, ha pagato appena 850 euro. Neanche un soldo è stato speso invece dai 5 stelle e da Roberto Speranza. Che, però, anche se è seguito da una nicchia, ha delle ottime prestazioni.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2021 Riccardo Fucile
DRAGHI SI PROPONE AL COLLE MA LA CONTRADDIZIONE E’ CHE CHIEDE AI PARTITI UN PROGETTO POLITICO CHE NON HANNO
Nell’avverbio “indipendentemente” c’è la chiave.
La chiave della sostanziale candidatura di Mario Draghi al Quirinale, che nulla fa per nascondere la sua volontà, anzi si spinge fin dove è possibile per non violare i confini dell’irritualità, nell’abito di una conferenza stampa dove era il principale argomento, che il premier non ha affatto evitato, anzi.
Anche il clima, l’atteggiamento, il finto sottrarsi, aggiungendo ad ogni risposta un dettaglio argomentativo racconta della costruzione di una eventualità. Ma l’avverbio è anche la chiave delle contraddizioni, tutte politiche, e dei rischi che reca con sé: “Il governo – dice – va avanti indipendentemente da chi ci sarà. È il Parlamento che decide la vita dei governi”.
Nell’“indipendentemente” c’è l’auspicio della continuità della legislatura, che rappresenta il presupposto dell’operazione.
Il premier sa che deve evitare il cortocircuito tra la sua candidatura e le elezioni anticipate per due ordini di ragioni: oggettive, perché è complicato immaginare elezioni mentre si discute di mascherine all’aperto e di tamponi per i vaccinati; soggettive, perché, come noto, è complicato chiedere a questo Parlamento di optare per la propria eutanasia.
La candidatura è dunque squadernata. Ed esce dal campo delle suggestioni e delle elucubrazioni per diventare ipotesi politica, la principale sul campo, in assenza, almeno per ora, di alternative condivise. Non solo non è esclusa – in fondo, tutte le ragioni che hanno portato alla formazione del suo governo sono immutate, a partire dalla nuova fase della pandemia segnata dalla variante Omicron, sarebbe stato facile per Draghi sottrarsi – ma è anche accompagnata anche da argomentazioni politiche.
La più forte, implicita in ogni risposta, è la consapevolezza che, a immutata indisponibilità di Mattarella, altre figure in grado di coagulare un ampio consenso non ci sono.
E quindi se è vero che la sua ascesa al Quirinale rappresenta un’incognita sul governo, è vero anche che una maggioranza sul Colle diversa da quella del governo comunque non sarebbe priva di conseguenze: “È da temere – dice Draghi – se la maggioranza si spacca sul capo dello Stato. È immaginabile una maggioranza che si spacchi sul presidente della Repubblica e si ricompone sul governo?”.
Però in quell’“indipendentemente” ci sono anche parecchie incognite e contraddizioni, perché, sostanzialmente, si chiede ai partiti un progetto che non hanno, così come non lo avevano quando Sergio Mattarella indicò il nome di Draghi per un governo di emergenza, senza che passasse dalle consultazioni.
Draghi è stato l’effetto, non la causa, del collasso del sistema politico. È pensabile che quello stesso sistema politico collassato possa essere l’artefice di un patto per eleggere Draghi al Colle e contestualmente dare continuità alla legislatura senza che il quadro vada fuori controllo?
A domanda sull’esistenza di un altro nome capace di tenere assieme il diavolo e l’acqua santa, ritenuta una prerogativa eccezionale dell’attuale premier, Draghi ha sbrigativamente risposto “chiedete a loro”, cioè ai partiti.
Certo, di più no poteva dire. E magari non era la sede per aggiungere altro. Ma è chiaro che conferenza stampa di oggi segna un salto di qualità, sotto due punti di vista. Il primo è l’effetto che avrebbe sul governo e sul sistema un eventuale rifiuto della candidatura avanzata oggi dal premier: potrebbe rimanere a governare con delle forze politiche che non lo hanno voluto al Quirinale senza che questo abbia delle conseguenze in termini di forza e legittimazione?
La seconda riguarda l’esigenza e l’assenza di una regia politica in grado di gestire l’operazione costruendo un patto con i partiti che porti Draghi al Colle e dia vita a un altro governo. Figura che finora non c’è stata nella misura in cui il governo Draghi è nato non per volontà dei partiti, ma grazie alla regia politico- istituzionale di Mattarella, cui giustamente il premier ha riconosciuto il ruolo non solo di “notaio” ma di “garante” della Costituzione e del paese.
E se in queste parole con cui l’uscente è stato indicato come un esempio si può leggere anche l’idea che Draghi ha del suo potenziale ruolo al Quirinale, appunto di “garante” chiunque vada al governo, il problema è la gestione politica del passaggio, perché la politica è in una fase segnata dalla priorità del Quirinale ma il paese è ancora nella fase segnata dalla priorità della pandemia.
E in quell’avverbio c’è il rischio più grande se qualcosa dovesse andare storto, di una rottura tra il livello istituzionale e il sentimento del paese, proprio nel momento, come ha ricordato Draghi in cui, lo sforzo collettivo e non solo del governo, ha prodotto dei risultati non banali e non può permettersi avventure.
(da Huffingtonpost)
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Dicembre 22nd, 2021 Riccardo Fucile
L’ATLETA, BRONZO OLIMPICO A TOKYO, HA SPIEGATO I MOTIVI CHE L’HANNO INDOTTA A RENDERE PUBBLICA LA PROPRIA OMOSESSUALITA’: “QUELLA FESTA SGUAIATA MI HA FATTO SCHIFO“
Venti giorni fa aveva deciso di abbattere quella cortina di fumo e rendere pubblica la propria omosessualità.
Così Irma Testa – bronzo olimpico a Tokyo 2020 nel pugilato, il primo podio italiano di sempre in quella disciplina al femminile – si è raccontata in tutte le sue sfaccettature pubbliche e private.
Un coming out che è sempre difficoltoso nel mondo dello sport, ma supportato da un evento accaduto solo qualche settimana prima.
Perché questa decisione è arrivata dopo aver visto quella sguaiata esultanza tra gli scranni del Senato, quando i parlamentari – con una frotta di franchi tiratori mai identificati – votarono quella tagliola che ha portato all’affossamento del ddl Zan. Urla da stadio immortalate in queste immagini affinché rimangano nella memoria della politica italiana.
mOggi, dopo il suo coming out attraverso le pagine di Vanity Fair, Irma Testa torna a raccontarsi. Lo ha fatto con un’intervista al quotidiano La Repubblica dove ha spiegato i motivi che l’hanno spinta a rendere pubblica la sua omosessualità in questo lungo percorso di normalizzazione della normalità che sembra essere ancora molto difficile nel nostro Paese.
“Quando ho visto tanti senatori della Repubblica italiana saltare scompostamente di gioia nel momento in cui non è passato il Ddl Zan. In quell’istante ho deciso che dovevo fare qualcosa. Si può essere contrari, magari ci si può confrontare per apportare dei correttivi a una legge, ma vedere quella festa sguaiata mentre c’erano persone che ne soffrivano mi ha fatto letteralmente schifo”.
L’affossamento del disegno di legge per contrastare l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo poteva essere un colpo da K.O., ma Irma testa ha deciso di reagire nel modo più naturale possibile: annunciando la sua omosessualità. Un montante destro sopra la cintola di tutti quei senatori che si sono alzati in piedi, gridando sguaiatamente e confondendo un’Aula istituzionale per la curva di uno stadio per aver affossato i diritti dei cittadini. Perché Irma Testa ha vinto la medaglia di bronzo, ma è al Senato che ci sono tante facce di quello stesso metallo.
(da NextQuotidiano)
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Dicembre 22nd, 2021 Riccardo Fucile
E MADRE E FRATELLO LO HANNO PURE AIUTATO
Nettuno e Anzio sono due comuni in provincia di Roma, a Sud della capitale. Da qualche settimane l’incidenza dei contagi è cresciuta in modo esponenziale e solo in quelle due cittadine – secondo l’ultimo bollettino – ci sono oltre mille persone attualmente positive al Sars-CoV-2.
Un dato molto alto, considerando il numero effettivo degli abitanti, che nei giorni scorsi ha portato le amministrazioni comunali a correre ai ripari, anticipando le decisioni prese anche dalla Regione Lazio (e che a breve potrebbero essere estese a tutto il territorio Nazionale con un decreto). La misura reintrodotta è quella dell’obbligo della mascherina anche all’aperto, ma nel giro di pochi giorni è già arrivato il primo episodio violento con un vigile aggredito a Nettuno per aver chiesto a un giovane di indossarla.
Dallo scorso 17 dicembre, il Comune di Nettuno ha reso nuovamente obbligatorio il dispositivo di protezione individuale anche nei luoghi all’aperto. E lo ha fatto comunicandolo in tutte le salse ai cittadini. Ma questa notizia non sembra essere piaciuta a un 18enne della zona che aveva deciso di girare per le strade della cittadina senza mascherina. Poi, però, è stato “pizzicato” da un agente della Polizia locale che gli ha chiesto di indossarla. E da lì un’assurda reazione violenta.
Dopo aver gridato frasi sconclusionate relative ai vaccini, il 18enne – aiutato anche dalla madre e dal fratello, ovviamente anche loro senza mascherina – ha colpito più volte il vigile.
Con grandissime difficoltà, dopo lunghi momenti di tensione, i colleghi dell’agente della Polizia locale sono riusciti a bloccare e identificare il giovane che è stato denunciato (a piede libero) e sanzionarlo per non aver indossato la mascherina (secondo quanto previsto dall’ordinanza comunale). Il vigile aggredito a Nettuno è stato poi portato in ospedale dove le sue ferite (guaribili in dieci giorni) sono state medicate.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2021 Riccardo Fucile
NESSUNA INTENZIONE DI COSTITUIRSI CONTRO L’AMMISSIBILITA’ DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE
Non ci sarà nessuna posizione avversa del governo sull’ammissibilità – davanti alla Corte Costituzionale – dei referendum sull’eutanasia e su quello per la legalizzazione della cannabis. Lo ha confermato – in linea con le decisioni già prese nel corso degli scorsi mesi – il Presidente del Consiglio Mario Draghi durante la conferenza stampa di oggi. Il capo del governo ha, di fatto, sottolineato come le misure precedenti prese dal Consiglio dei Ministri da lui presieduto erano il simbolo della reale strategia dell’esecutivo.
“Il Governo non si costituirà contro l’ammissibilità di questi referendum. Il governo avrebbe potuto, per alcuni di questi referendum, creare le condizioni perché la loro presentazione fosse slittata all’anno prossimo, non l’ha fatto”. Anzi.
Con un decreto licenziato proprio dal Consiglio dei Ministri è stata dato un mese in più per la verifica e la raccolta firme del referendum sulla legalizzazione della cannabis. Il tutto nonostante l’astensione dei ministri leghisti durante quel CdM del 29 settembre scorso e il tentativo, a inizio novembre, del Carroccio e di Fratelli d’Italia di sopprimere quel referendum in Commissione Affari Costituzionali alla Camera.
Le parole di Mario Draghi sui referendum eutanasia e cannabis libera, dunque, indicano la strada che intende proseguire il suo esecutivo. Almeno fino a quando rimarrà in piedi questa maggioranza. Perché, oggi ancor di più, lo stesso capo del governo non ha chiuso totalmente la porta a un suo più che prossimo possibile passaggio da Palazzo Chigi al Quirinale. Ma lo ha fatto ricordando che questo potrebbe avvenire solamente se in Parlamento si manterrà una ampia maggioranza. E stabile. Insomma, difficile far convivere, senza di lui, chi lotta per i diritti all’eutanasia e alla cannabis libera e chi, invece, vuole sopprimere questi referendum.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2021 Riccardo Fucile
QUELLI CON REGOLARE CONTRATTO SONO SOLO 488
Boom di segnalazioni per irregolarità nei contratti e mobbing a Montecitorio.
Nel mirino sono finiti almeno 80 parlamentari, di cui 20 sono già finiti davanti al giudice del lavoro. Tra le accuse: lavoro in nero, stipendi troppo bassi e contributi mai pagati. Ne ha parlato il Tempo in un’inchiesta.
Sono circa 80, infatti, i collaboratori parlamentari che nel corso di questa legislatura hanno segnalato irregolarità contrattuali e situazioni al limite dello sfruttamento e del mobbing da parte dei loro datori di lavoro. «Ci sono onorevoli che si fanno consegnare la spesa a casa dai propri assistenti, o che li mandano a comprare gli assorbenti in farmacia», si legge nell’articolo. Molti rimangono in silenzio, per paura di non poter più lavorare nella politica, ma qualcuno si è fatto avanti e ha denunciato la situazione.
Lo scorso luglio, la Camera ha pubblicato per la prima volta i dati ufficiali sul numero dei collaboratori dei deputati: delle diverse centinaia di assistenti che si aggirano ogni giorno tra i corridoi di Montecitorio, solo 488 sono contrattualizzati.
Di questi il 24% ha un contratto di lavoro subordinato, il 40% circa ha un contratto di collaborazione, mentre il restante 36% è inquadrato come lavoratore autonomo. Una situazione anomala rispetto al quadro europeo, dove quasi in ogni Paese sono previste specifiche regole di assunzione e una retribuzione fissa per i collaboratori dei parlamentari.
Nel nostro caso, invece, gli assistenti, per la maggior parte, prendono tra i 500 e i 600 euro al mese, se tutto va bene. Qualcuno più fortunato riesce ad arrivare addirittura a 1000 euro, per una mole di lavoro che in genere supera le 40 ore settimanali. Ma sono ancora tantissimi quelli che vengono pagati solo con il «prestigio» di lavorare nei palazzi della politica, un prestigio per il quale – sembra presupporre chi li assume – vale la pena lavorare gratis.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2021 Riccardo Fucile
MORTI SUL LAVORO
“Morire contromano disturbando il pubblico”, con questi versi del suo brano “Construção” nel 1971, il cantautore brasiliano Chico Buarque denunciava il fenomeno delle morti sul lavoro ed il silenzio degli organi di informazione di allora. Seguì una provocazione: nel corso di un concerto aveva fatto lanciare, dal palco, della carne macinata fresca.
Quel gesto intendeva alludere alle vittime di quegli incidenti, mal pagate e mandate ai cantieri a rischiare la vita poiché la sicurezza avrebbe gravato sui costi delle imprese; quelle morti liquidate subito dopo indagini sommarie perché i cantieri non potevano fermarsi. Insomma, quel gesto alludeva ai lavoratori come “carne da macello” data in pasto agli interessi finanziari.
Filippo, mio antico compagno universitario, ricorda questo episodio legato alle morti sul lavoro e all’impegno degli artisti su questo tema. La canzone “Construção” venne classificata dalla rivista statunitense Rolling Stone come la più grande canzone brasiliana di tutti i tempi. In Italia venne interpretata da artisti importanti come Ornella Vanoni ed Enzo Jannacci.
Era il 1971 e in Brasile c’era la dittatura.
Oggi nel 2021 in democrazia, nella civile Europa, quasi come un bollettino di guerra nuovi nomi si aggiungono alla lista delle morti bianche. Non sono morti bianche, sono morti nere come le nostre coscienze anestetizzate. Ogni giorno, ogni maledetto nuovo giorno, altre morti, altre famiglie a piangere padri, madri, figli.
Il bollettino del “crimine di pace” dei caduti del lavoro non si ferma, un crimine che dovrebbe pesare come un macigno sulla coscienza di ognuno e della intera società, nessuno escluso. A parte i sindacati, che quotidianamente aggiornano il bollettino dei caduti sul lavoro e chiedono sicurezza per le persone, nessuno sembra interessarsi realmente a questa tragedia.
Non si può uscire di casa per andare al lavoro e non farci più ritorno. Non oggi! Non in questo Paese che si definisce civile e che ha il lavoro e il lavoratore tra i pilastri della sua Costituzione.
Eppure in tanti fanno finta di non sentire il rumore del dolore e il peso delle lacrime. È una questione che non fa audience nei talk show e non fa crescere nei sondaggi i politici. Gli stessi lavoratori si sentono più minacciati dai vaccini che dalla mancanza di sicurezza sui posti di lavoro.
Ci vorrebbe un sussulto di classe, si diceva un tempo, un tempo giusto in cui le parole erano pietre e lasciavano il segno e non erano coriandoli da lanciare in slogan “vuoti a perdere”.
C’è bisogno di un sussulto di umanità direi ora, di una grande alleanza tra lavoratori, giornalisti e anche artisti e intellettuali, ultimamente, ahimè, troppo concentrati sulle proprie ipocondrie quotidiane, in un continuo essere dei giovani Holden smarrendo la capacità di indignarsi e accusare, di essere in sintonia con la realtà circostante.
Il poeta, l’artista, l’intellettuale, chi ha la forza della parola ha smarrito l’antico ruolo sociale di “anello mancante” di chi è senza voce. La politica non riconosce più chi difendere ma sta attenta a non chi non disturbare.
Politica e impegno civile hanno abbandonato il mandato sociale che gli veniva riconosciuto dalla collettività per inseguire, invece, l’ansia da prestazione di autoespressione, di un’approvazione a portata di mano.
Domani altri cadranno, altre vittime si aggiungeranno a questo crimine di pace e, come al solito, pochi si indigneranno, qualcuno controllerà la curva di gradimento, altri cercheranno parole che suonano bene. Ma l’orrore non sarà cancellato da numeri e parole. Domani sarete/mo nuovamente colpevoli di silenzio, un silenzio che uccide. Almeno non chiamiamole più morti bianche, sono vittime di crimini in tempo di pace di una guerra che nessuno pare voler vincere nell’indifferenza più totale, per evitare di “disturbare” il traffico e, visto il periodo, morire in silenzio per evitare di disturbare il Natale.
(da Huffingtonpost)
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Dicembre 22nd, 2021 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI DUE ETIOPI PERFETTAMENTE INTEGRATI…STESSA SORTE A UN RAGAZZO DI NAPOLI
Incredibile? No: perché il razzismo (e l’omofobia) che tanti negano è in mezzo a noi: due ragazzi è stato negato l’accesso in una discoteca dal buttafuori perché di colore. E’ quanto è successo nel Meranese e l’episodio è stato raccontato dai ragazzi Robel e Michael al quotidiano Alto Adige.
Secondo il racconto dei giovani, sarebbero stati “rimbalzati” anche altri ragazzi: chi nero, chi romeno, chi albanese e anche un giovane nato a Napoli.
Secondo il gestore del locale, interpellato dal giornale locale, “solitamente sta fuori chi gira con compagnie poco raccomandabili o chi ha dato problemi in passato”.
“Come si possono respingere tutte le persone “straniere” per il semplice sospetto che siano delinquenti – ribattono i due ragazzi che hanno comunque ripreso la scena davanti al locale con il telefonino – Il video l’abbiamo fatto perché eravamo increduli, quel che stava succedendo andava documentato. Non volevo svegliarmi col rimpianto il giorno dopo. Bisogna far vedere dove stiamo andando”.
I due comunque non demordono e insistono per poter raggiungere gli amici all’interno del locale, ma il buttafuori resta irremovibile. “Se non è questione di razzismo portateci qua fuori un nero che avete fatto entrare”, chiedono Robel e Michael, ma l’uomo si allontana senza rispondere.
Dal governatore altoatesino Arno Kompatscher arriva una netta condanna. “Non bisogna giudicare prima di conoscere esattamente i fatti – ha commentato – ma le notizie che ci giungono vanno nella direzione di una conferma. Se così fosse, è un fatto che va condannato e che deve avere delle conseguenze. Rimango senza parole, è una cosa inaccettabile”.
Chi sono i due ragazzi
I due giovani sono nati in Etiopia, ma cresciuti in Alto Adige e si sentono italiani. Michael è stato adottato a due anni e mezzo e ora frequenta l’università a Torino. L’amico Robel è arrivato in Italia a sei anni e ha la passione dello sport, gioca infatti nel campionato di Eccellenza del Rotaliana.
“Sono sempre stato accolto bene da tutti – spiega il ragazzo – Non ho mai subito atti discriminatori: crescendo mi sono accorto che forse si trattava di discriminazione “passiva”, non immediatamente riconoscibile”.
Racconta di sentirsi più a suo agio e bene accetto a Londra. Il giovane ha anche partecipato all’ultima manifestazione antirazzista in piazza Walther a Bolzano.
(da NextQuotidiano)
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