Novembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
IL MOTIVO? DIRE “CHI PUÒ LAVORARE NON DEVE RICEVERE IL SUSSIDIO” E’ FACILE, PIU’ DIFFICILE E’ SAPERE QUANTE PERSONE SAREBBERO COINVOLTE DAL PROVVEDIMENTO E IN CHE CONDIZIONI VIVONO E POI BISOGNA TENERE CONTO DEI FIGLI A CARICO”
La corsa per la definizione della manovra vive di qualche certezza e di molte incognite. Domani o al massimo martedì il Consiglio dei ministri deve licenziare la legge di bilancio, i margini di spesa sono pochi e tra i partiti il confronto è ancora serrato.
Un punto fermo c’è: la Finanziaria sarà di circa 32 miliardi di euro, di cui due terzi destinati a contrastare il caro bollette con la proroga delle misure esistenti. La questione aperta è trovare le risorse per le altre spese. La voce più importante è la revisione del reddito di cittadinanza. Nel vertice di venerdì sera è emerso che Giorgia Meloni vorrebbe procedere in maniera più decisa del previsto: l’ipotesi è di abolire il sussidio fra sei mesi a tutti i beneficiari cosiddetti «occupabili».
Le resistenze sono molte, a cominciare da quelle della ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, contraria a un intervento drastico. Con lei i governatori del Sud, anche di centrodestra, come Roberto Occhiuto.
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti durante l’incontro nella Sala Verde di Palazzo Chigi si è rivolto ai capigruppo della maggioranza: «Se mi date un mandato, io procedo». Nessuno ha fatto obiezioni e la premier a quel punto ha chiuso il dibattito: «Decisione presa».
Se il principio tutto sommato è di semplice comprensione, «chi può lavorare non deve ricevere il sostegno dallo Stato», molto più complesso è stabilire quante persone sarebbero coinvolte da questo provvedimento. La stima che circola in ambienti di maggioranza di 900 mila «occupabili» non coincide con quella dell’agenzia per il lavoro, l’Anpal (660 mila), né tantomeno con quella dell’Inps che conta in questa categoria solo 372.000 persone. Secondo l’Istituto di previdenza occorre ad esempio tenere conto dei figli a carico.
Dalla definizione della platea dipendono i risparmi possibili. L’obiettivo del governo varia da 1,5 a 2 miliardi. Ieri di questo tema si è parlato in un incontro a Palazzo Chigi tra i tecnici del legislativo, i funzionari del Tesoro e quelli del ministero del Lavoro. La titolare del dicastero di Via Veneto, Calderone, non era presente al vertice politico di venerdì ed è contraria a tagli importanti al sussidio. La Lega, attraverso il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, aveva proposto una soluzione più soft di quella a cui pensa Fratelli d’Italia: mantenere l’assegno per 18 mesi e di allungare a sei mesi la pausa oggi limitata a trenta giorni.
Durante quel periodo, il percettore del reddito potrebbe lavorare senza correre il rischio di perderlo successivamente. Forza Italia invece appoggia il pugno duro di Meloni, chiedendo controlli anche nella fascia dei «non occupabili» (i cui assegni costano 6 miliardi l’anno), anche perché spera che la misura possa generare risparmi da utilizzare per le riforme sognate da Silvio Berlusconi: pensioni minime a mille euro (se associate a redditi inferiori a 15mila euro l’anno) e sgravi contributivi per chi assume lavoratori sotto i 34 anni: «Invece di pagare i giovani per non lavorare, aiutiamo chi li assume», sintetizza il capogruppo alla Camera Alessandro Cattaneo.
Tra gli azzurri però si apre un problema interno: «La nostra è una Regione con uno dei tassi più alti di povertà assoluta», dice il governatore della Calabria, Occhiuto. «Per questo motivo il reddito di cittadinanza è una misura che in un periodo come questo non si può cancellare». Dentro Fratelli d’Italia c’è la chiara consapevolezza delle conseguenze politiche di un taglio importante del sussidio. Giuseppe Conte, l’ala sinistra del Pd e la Cgil di Maurizio Landini ritroverebbero un’insperata sintonia.
«Scommetto in un immediato sciopero generale», gongola un Cinque Stelle che chiede l’anonimato. Governare però costa un prezzo e la Meloni ha bisogno di trovare risorse. «La coperta è corta», ammette persino Salvini. Nel vertice di venerdì si è parlato per questo anche di pensioni.
Un decreto già firmato da Giorgetti prevede che a partire dal primo gennaio gli assegni vengano rivalutati del 7,4 per cento a causa dell’inflazione: la misura costa venti miliardi solo nel 2023. Ma poiché ogni partito chiede risorse (Forza Italia ad esempio preme per aumentare gli assegni minimi), si sta valutando se limitare gli aumenti concessi per l’inflazione alle pensioni più alte (dai 2.500 euro), con una rivalutazione pari al 50 per cento, o meno. In questo modo si potrebbe finanziare ad esempio una riduzione più forte delle tasse sul lavoro.
Dice Giorgetti: «La misura non è finanziata per il 2023. La volontà del governo è di rinnovarla e aumentarla ai redditi più bassi». Non scontentare nessuno è quasi impossibile. A ieri non c’erano ancora le risorse nemmeno per l’annunciato taglio dell’Iva su pane e latte. La soglia per la tassa piatta dei lavoratori autonomi dovrebbe salire a 85mila euro annui, ai cui Lega e Forza Italia vorrebbero aggiungere 25 mila euro di spese detraibili per l’acquisto di beni strumentali. Insomma, nonostante il tempo stringa il libro dei sogni resta aperto.
(da la Stampa)
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Novembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
“È UN ERRORE: LA RUSSIA DEVE PERDERE QUESTA GUERRA, LA SCONFITTA LE PROVOCHERÀ MUTAMENTI INTERNI, UTILI PER LA SICUREZZA EUROPEA”
L’Ucraina è pronta a cedere terra in cambio della pace, o a iniziare a
negoziare mentre ancora i russi occupano il suo territorio?
«Sfortunatamente gli ucraini hanno già sperimentato sulla loro pelle il principio dello scambio del territorio in cambio della pace. Nel 2014 i mediatori europei, privi di qualsiasi comprensione dell’essenza della Russia contemporanea, proprio questo ci avevano proposto.
La guerra odierna è anche il frutto catastrofico di quell’errore fatale. Ciò per il fatto che il regime di Mosca guarda al diritto internazionale e ai compromessi come segni di grande debolezza. Dunque, anche oggi la mossa di cedere territori non condurrà ad alcuna vera pace, bensì garantirà un’ulteriore escalation del conflitto», ci dice Mykhailo Podolyak, tra i massimi consiglieri del presidente Volodymyr Zelensky.
Gli Stati Uniti non stanno spingendo verso un negoziato con Putin? Per esempio, consigliando di congelare lo status della Crimea?
«Congelare certe questioni aperte, compreso la Crimea, è impossibile, perché la logica della guerra offre altre soluzioni. E voglio aggiungere che i nostri partner, anche gli americani, credono sinceramente che soltanto l’Ucraina debba determinare l’agenda del negoziato. Ovvio che non esercitano pressioni, mentre sia noi che Washington siamo consapevoli che dalla Russia non giunge alcuna concreta proposta di trattativa».
Quali sono le vostre condizioni per negoziare?
«È necessario che cessino i bombardamenti con missili da crociera contro le città e il sistema energetico ed è anche indispensabile il ritiro incondizionato delle truppe russe.
Putin deve riconoscere che ci sta facendo la guerra, solo allora potremo avviare il processo per terminarla. Poi tratteremo il fatto che la Russia deve riconoscere i danni che ci ha inflitto, oltre ai crimini contro la nostra popolazione. Mosca deve riconoscere il nostro diritto imprescindibile di Stato sovrano. Abbiamo la necessità che le élite politiche europee abbandonino la convinzione illusoria per cui la Russia va rispettata in quanto pericolosa. È un errore: la Russia deve perdere questa guerra, la sconfitta le provocherà mutamenti interni, utili per la sicurezza europea».
Come rispondete alle accuse russe di avere ucciso una decina di soldati che si arrendevano nel Donbass?
«Tutto è abbastanza chiaro. Questi i fatti: i nostri militari avevano accerchiato un gruppo di nemici in un rifugio, fu intimato loro di arrendersi e venne piazzato un punto di fuoco di fronte all’uscita. Alcuni di loro cominciarono ad alzare le mani, ma almeno uno aprì il fuoco contro i nostri, i quali hanno subito risposto. Lo scambio di colpi ha causato la morte dei russi. Vorrei dire, non credete mai a quello che dicono a Mosca».
E come mai non vi fidate delle versioni dei vostri partner americani e polacchi sulla vicenda del missile caduto in territorio polacco?
«Non abbiamo sfiducia verso i nostri alleati. Inizialmente abbiamo valutato l’incidente sulla base dei nostri dati militari, non va dimenticato che i russi avevano sparato oltre 100 missili quel giorno. Ma teniamo un approccio obbiettivo e abbiamo proposto che nostri commissari partecipino all’inchiesta, accetteremo ogni responso. All’origine ci sono gli attacchi russi».
Come vede una mediazione del Papa?
«Siamo aperti a qualsiasi mediazione. Però il mediatore deve capire le vere cause della guerra e che la Russia intende annientare l’Ucraina».
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
LA “STRETTO DI MESSINA SPA” E’ STATA CREATA A GIUGNO DEL 1981 E DA ALLORA E’ COSTATA ALLO STATO 300 MILIONI SENZA FARE NULLA…E ORA MATTEO SALVINI SI PREPARA A FARLA RINASCERE
Quando fu fondata il Capo dello Stato era Sandro Pertini, il presidente
del Consiglio Arnaldo Forlani, gli azzurri non avevano ancora vinto il Mundial e nella hit italiana del momento, “Maledetta primavera”, Loretta Goggi si chiedeva «che fretta c’era». E di fretta, in effetti, non ce n’è stata: la “Stretto di Messina spa”, la società che probabilmente domani il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini farà resuscitare per sovrintendere alla realizzazione del Ponte, è stata creata a giugno 1981 e da allora è costata allo Stato oltre 300 milioni senza fare, letteralmente, alcunché.
Con un paradosso anche nel suo epilogo: nel 2013, dopo l’ultimo stop al progetto, il governo Monti la mise in liquidazione, ma quel percorso, affidato poi all’ex capo di gabinetto di Giulio Tremonti, Vincenzo Fortunato, non si è ancora completato. E dire che alla liquidazione era stato assegnato un anno di tempo.
L’ultimo bilancio racconta di un risultato di esercizio minimo, 47.095 euro, ma la società non ha ancora smesso di funzionare. Anche perché nel frattempo sono piovuti ricorsi su ricorsi: Fortunato – al quale secondo il sito della società è stato accordato un compenso di 120mila euro all’anno fino al 2020 e di 100mila da allora – si è trovato subito a dover fronteggiare il contenzioso da 700 milioni con Eurolink, il consorzio capeggiato da Salini-Impregilo che nel 2003 si era aggiudicato la gara per realizzare l’opera.
A quella disputa, poi, se ne sono aggiunte diverse altre, inclusa per paradosso quella intentata proprio da “Stretto di Messina spa”: nel 2017, infatti, la società ha chiesto il risarcimento dei soldi spesi in 32 anni di attività, 325 milioni di euro. A chi? Al ministero delle Infrastrutture, cioè allo Stato.
Peccato però che proprio lo Stato sia il proprietario della società. Il capitale dell’azienda ammonta a 383 milioni: l’81,8 per cento è in mano all’Anas, il 13 è controllato da Rete ferroviaria italiana e il rimanente 5,2 è diviso in parti quasi uguali fra le Regioni Calabria e Sicilia.
Soci che adesso rischiano di dover farsi carico di un lungo elenco di spese: oltre ai 100mila euro annui per Fortunato ci sono infatti i 214mila del personale distaccato (visto che l’azienda, ovviamente, non ha più dipendenti diretti, ma se li fa “prestare”), 55mila per le consulenze legali, 50mila di altri costi, 20mila per il collegio sindacale e 13mila per la revisione dei conti, affidata a Ernst & Young. Così, negli anni, la società ha accumulato un debito che secondo l’ultimo bilancio ammonta a 24,8 milioni.
«La revisione contabile – si legge nella relazione di Ernst & Young – non consente di escludere che il commissario liquidatore possa richiedere agli azionisti di effettuare ulteriori versamenti per il pagamento dei debiti sociali». Per una società che per legge sarebbe dovuta andare in archivio nel 2014. Ma d’altronde «che fretta c’era».
(da Repubblica)
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Novembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
UNO DEI TRAINING ERA ‘OPERAZIONI SEGRETE NEI TERRITORI OCCUPATI’. HANNO NASCOSTO OVUNQUE STAZIONI RADIO, MUNIZIONI, ESPLOSIVI. SONO STATI ADDESTRATI CON I MEZZI PIÙ MODERNI DI COMBATTIMENTO, HANNO INSEGNATO AGLI UCRAINI A USARE IL ‘BATTLEFIELD MANAGEMENT SYSTEM’
Mieczyslaw Bieniek è stato il primo vice comandante strategico polacco della Nato, ha combattuto in Iraq, Afghanistan e Siria. Lo abbiamo incontrato a Cracovia, nel clima ancora incandescente del missile caduto al confine con l’Ucraina. Ma Bieniek è ottimista sulle prospettive di pace in Ucraina: «Qualcosa sta succedendo: basti pensare alla dinamica della ritirata di Kherson». E, a proposito della città-simbolo della resistenza ucraina, il generale polacco rivela che dal 2016 la Nato ha cominciato ad addestrare «migliaia » di ucraini per prepararli alla resistenza nel caso di un’invasione russa.
Generale, quanto è ottimista su un negoziato per la pace?
«Il comandante russo Gerasimov e quello americano Muller stanno comunicando. E, sì, penso che qualcosa stia succedendo, dietro alle quinte. Pensi alla ritirata di Kherson: 25mila soldati russi, sull’orlo dello sterminio, che vengono evacuati in tre giorni e due notti. Solo passando sul ponte Antonovski e due ponti militari costruiti da loro sul Dniepr. Avrebbero potuto distruggerli in ogni momento, erano un bersaglio facile. Invece non è successo. Penso sia un sintomo che Biden ha parlato con Zelensky, che gli ha detto lasciali andare, non sbarrare la strada a negoziati futuri».
A proposito di Kherson, a giugno sono emerse le camere per le torture, c’era una fortissima resistenza lì.
«Certo. E le spiego perché. Le truppe speciali ucraine sono state addestrate dal 2016 dalle truppe speciali della Nato. Per creare un movimento dei partigiani: c’era una grande consapevolezza che ci sarebbe stata l’invasione da parte della Russia, prima o poi».
Ma dove sono state addestrate? In Ucraina?
«Non solo. Non posso entrare nei dettagli. Ma uno dei tanti training era proprio ‘Operazioni segrete nei territori occupati’. Hanno nascosto ovunque stazioni radio, munizioni, esplosivi, gli hanno insegnato come muoversi, organizzarsi, come comunicare. Sono stati addestrati con i mezzi più moderni di combattimento, rigorosamente difensivi: obici, sistemi antiaerei e anti missilistici. E una delle basi è stata ad esempio a Yavorov, vicino a Leopoli, non a caso bombardata in primavera dai russi».
Erano cellule dormienti partigiane?
«Certo, nascoste tra civili. Ecco perché gli ucraini erano così preparati, così efficaci. E non solo lì. A Novofedorivka, la base aerea in Crimea, c’erano due soli orari possibili per colpire gli aerei e i piloti insieme, e hanno attaccato durante uno di questi slot. Qualcuno gli ha dato l’informazione in tempo reale: un partigiano. Hanno insegnato agli ucraini a usare il ‘Battlefield management system’, BMS, un metodo per integrare spie, satelliti e altri mezzi di comunicazione e colpire bersagli in tempo reale. Ecco perché hanno ucciso ad esempio tutti quei generali russi all’inizio della guerra».
(da la Repubblica”)
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Novembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
SENZA FORZA ITALIA IL GOVERNO NON HA LA MAGGIORANZA E SPERNACCHIARE IL CAV PUO’ ESSERE PERICOLOSO
«Un milione di nuovi posti di lavoro». Ventotto anni dopo la discesa in
campo, Silvio Berlusconi rispolvera il suo storico slogan. Inaugurando a Milano la nuova sede regionale di Forza Italia, sotto le note dell’inno azzurro il leader rilancia la promessa che fece nel 1994. Come provare a mantenerla?
Con due misure mirate, da inserire nella manovra che il governo sta preparando: «Addio alle autorizzazioni preventive per l’edilizia – spiega deciso – e zero tasse per le imprese che assumono giovani». Ma Berlusconi, che non vuole certo finire all’angolo di quel centrodestra che ha fondato, lancia appunto un altolà a Fratelli d’Italia e Lega: «Metteremo in campo il meglio di noi per riuscire ad ottenere
queste cose, anche se magari non sono nelle corde dei nostri alleati».Parlando della legge di Bilancio, l’ex premier entra poi nel dettaglio: «Una delle mie idee riguarda i giovani – spiega Berlusconi -: se per un periodo di tre, quattro o cinque anni dovessimo favorire le imprese dicendo loro “ti togliamo ogni tassa, tutto ciò che ti costa un lavoratore in più rispetto allo stipendio”, in modo che lo stipendio che darai ai giovani dai 18 ai 34 anni sia uguale ai tuoi costi, questo significa che le aziende avranno una grande convenienza ad assumere giovani».
Nelle misure per creare nuovi occupati, il leader azzurro chiede di inserire in manovra anche una corposa facilitazione per costruire: «Elimineremo le autorizzazioni preventive per chi vuole realizzare una casa, ristrutturarla e aprire una farmacia o un ristorante – annuncia -. Con questa norma chi vuole realizzare queste cose potrà mandare una lettera raccomandata al Comune e il giorno dopo comincia a lavorare».
Per il taglio del nastro, al fianco del «presidente», ci sono la compagna Marta Fascina e Licia Ronzulli con Alessandro Cattaneo, rispettivamente capigruppo di Senato e Camera: «Questa non è solo l’inaugurazione di una sede di Forza Italia, ma un fatto simbolico da cui vogliamo ripartire per conquistare tutta l’Italia».
Il numero uno di Forza Italia lancia poi la corsa alle Regionali, senza però menzionare esplicitamente il candidato del centrodestra Attilio Fontana (Lega), governatore uscente: «I lombardi, ne sono sicuro, sceglieranno la nostra efficienza, concretezza e serietà: e soprattutto il valore che sostiene tutti gli altri, che è la libertà».
E locali in via Vincenzo Monti, a due passi dall’avveniristico quartiere di CityLife, diventeranno infatti anche il quartier generale in vista delle prossime elezioni in Lombardia.
Una partita di cui, numeri alla mano, Berlusconi ha ben compreso l’enorme valore politico per la tenuta di Forza Italia. I risultati delle ultime Politiche, infatti, non solo hanno incoronato vincitore indiscusso il partito di Giorgia Meloni (26% a livello nazionale), ma hanno evidenziato una falla sempre più grossa in Lombardia, storico bacino di voti azzurri, dove FI è finita sotto l’8%, mentre Fratelli d’Italia ha superato il 28%
È per questo che, durante il brindisi lontano da telecamere e giornalisti, l’ex presidente del Consiglio ha lanciato una campagna motivazionale, spronando i consiglieri regionali uscenti (quasi tutti ricandidati e presenti in sala) a puntare tutto sul rilancio dell’identità forzista: «Noi siamo noi, manteniamo le promesse da molti anni, e per questo siamo diversi dagli altri. Lo dobbiamo evidenziare, sempre», dice ai presenti. E alle pareti della nuova sede, proprio nell’ambito di questa «operazione identitaria», sono state affisse alcune immagini di Berlusconi che raffigurano pezzi di storia del partito.
Ci sono anche fotografie del leader azzurro con Vladimir Putin (in tutto tre, in una i due brindano con un bicchiere di vodka, in un’altra sono assieme a George Bush e nella terza soli in una stanza, forse al Cremlino). In un altro scatto il leader è con Jacques Chirac mentre l’ultimo lo immortala mentre alza il trofeo della Champions league da presidente del Milan. Non mancano i manifesti elettorali delle varie campagne degli azzurri e uno slogan di Berlusconi impresso sul muro sulla «rivoluzione giudiziaria» di Mani Pulite, preludio alla sua scelta di scendere in politica per la prima volta nel 1994.
(da Corriere della Sera)
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Novembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
DA BRANDO BENIFEI A PEPPE PROVENZANO, DALLO ZINGARETTIANO MARCO FURFARO AL LETTIANO MARCO MELONI FINO A MICHELA DI BIASE: SONO TUTTI PER ELLY SCHLEIN
“Ho creduto di dovervi parlare in questa riunione di circolo perché ho
deciso di candidarmi a segretario del Partito Democratico nazionale”. Come previsto, lo annuncia il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, parlando nel suo circolo di Campogalliano (Modena) e ricevendo un’ovazione dai sostenitori presenti. “Mi è parso giusto dirlo prima di tutto a voi e dirlo qui. Cioè agli iscritti del mio circolo, ai compagni e alle compagne, agli amici, nel mio comune. Peraltro, io sono nato proprio lì davanti, in questa piazza”, ha aggiunto.
Ma se Bonaccini non perde tempo anche altrove nel partito ci si sta muovendo.
I quarantenni dem (con la sponsorizzazione di Dario Franceschini nelle vesti del padre nobile) hanno siglato una sorta di patto di San Ginesio di democristiana memoria versione bonsai. Allora quell’accordo tra De Mita e Forlani produsse un ricambio generazionale nella guida della Dc.
Fatte le debite differenze, i «giovani» del Pd hanno siglato un’intesa per pensionare la maggior parte dei «vecchi» capicorrente (non tanto anagraficamente quanto per gli anni «di servizio» nel partito) con l’intenzione di appoggiare Schlein alla segreteria.
Tra i protagonisti di questa operazione, il capogruppo europeo Brando Benifei, che di Schlein è stato compagno di università, il vice segretario Peppe Provenzano, lo zingarettiano Marco Furfaro, il lettiano Marco Meloni e Michela Di Biase.
Ma è prevedibile che altri quarantenni o su di lì si aggregheranno. Piero De Luca, per esempio, se il padre Enzo non deciderà di scendere in campo in proprio, e Francesco Boccia. L’eco di una certa insofferenza delle nuove generazioni rimbomba in un passaggio dell’intervento di Provenzano: «C’è chi dall’alto delle sue due, tre legislature ha sostenuto tutto e il contrario di tutto nel Pd».
Se un’operazione del genere andasse in porto (e non è detto, perché Schlein non ha ancora definitivamente sciolto le riserve) a trovarsi in difficoltà sarebbe la sinistra di Goffredo Bettini e Andrea Orlando, che dovrebbe decidere se accodarsi a Bonaccini o a Schlein.
L’insofferenza per le vecchie generazioni e anche per le correnti ormai monta. Lia Quartapelle e Marianna Madia propongono di scioglierle e attaccano Franceschini che le difende: «Se non cambiamo questa prassi siamo destinati al dissolvimento».
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
“ECCO COME HO IMPARATO A ODIARE IL RAZZISMO”… QUANDO IMPARERAI COME SI CONQUISTA UNA SEGRETERIA DOPO CHE I VOTI SI SONO RIDOTTI A UN QUARTO?
Immigrazione, omosessualità, suicidio assistito e rapporto con la Lega.
Sono questi alcuni dei temi trattata dal leghista Luca Zaia, il governatore del Veneto, che in una lunga intervista sul Corriere della Sera ha reso note le sue posizioni – che sembrano, in qualche modo, distanti dalle posizioni del suo partito, ovvero la Lega – su determinati argomenti.
Per Zaia, che ha iniziato a odiare il razzismo dopo l’incontro con Francesco, un senegalese ospitato in casa dai suoi zii che avevano un’azienda agricola in Veneto, «la Lega è antirazzista e antifascista. Il tema – racconta – che poniamo sui migranti è un tema di coerenza, di rispetto della dignità umana e di legalità. Il Veneto è terra dove l’accoglienza è un faro, dove il modello di integrazione è sotto gli occhi di tutti, ma è anche una comunità che chiede il rigoroso rispetto delle regole».
Per il governatore del Veneto esistono poi delle «battaglie di retroguardia che fanno perdere energia». Tra queste, quelle contro l’omosessualità: «Non si può parlarne come se fosse un problema».
«La politica – per Zaia – deve garantire le libertà e i diritti, non limitarli o reprimerli. Anche i temi dell’etica, del fine vita, dei diritti della persona vanno affrontati, non lasciati alla sinistra», conclude.
Mentre sul fine vita la sua posizione è chiara: lo Stato deve «tutelare la libera scelta garantendo comunque ogni forma di sostegno sanitario, psicologico ed economico alle persone malate. Non dobbiamo giudicare, ma saper rispettare».
A chi gli chiede di sfidare Matteo Salvini per la leadership della Lega, Zaia risponde che con il Segretario del Carroccio non ha «un rapporto conflittuale- Sono concentrato sul mio impegno con il popolo veneto, che tre anni fa mi ha rieletto presidente con il 77% dei voti».
Altro tema affrontato e che negli ultimi giorni è stato al centro di pesanti malumori per i governatori del Sud, di opposizione e non dopo la bozza presentata da Roberto Calderoli, è l’Autonomia differenziata sulla quale Zaia ribadisce che è da sempre la ragione sociale della Lega.
Dopo aver affermato che la Lega dovrebbe occupare il centro dello schieramento politico, Zaia descrive il fondatore del partito, Umberto Bossi, come «geniale» perché «è riuscito con il percorso separatista a convogliare le diverse anime e a porre la questione della riforma federalista in questo Paese. Il federalismo è centripeto; il centralismo è centrifugo, disgrega l’unità. Se oggi nell’agenda di governo c’è l’autonomia, è merito della Lega», conclude.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
DALLE POLEMICHE SULL’ASSEGNAZIONE ALLA VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI, FINO ALLE FAVORITE PER LA VITTORIA FINALE
È il primo Mondiale autunnale, il primo in un Paese mediorientale, l’ultimo a 32 squadre e l’ultimo – a meno di miracoli fisici – dei due giocatori che hanno segnato l’attuale epoca calcistica, Lionel Messi e Cristiano Ronaldo. A 12 anni da quando l’allora presidente della Fifa Sepp Blatter srotolò il talloncino con il nome del Paese che avrebbe ospitato il torneo del 2022, domenica iniziano i Mondiali in Qatar.
Non i più attesi per gli italiani, che per la seconda volta di fila non potranno tifare gli Azzurri, e tra i più contestati della storia calcistica moderna, dalle 16 del 20 novembre si spegneranno le luci sui lavori preparatori e si accenderanno i riflettori sulla cerimonia inaugurale.
È il caso quindi di ricordare come siamo arrivati al calcio di inizio di questo Qatar 22, quali siano state le polemiche che hanno investito la Fifa e il Paese ospitante e cosa possiamo aspettarci da queste 64 partite in programma da domenica 20 novembre a domenica 18 dicembre 2022.
L’assegnazione dei Mondiali al Qatar
Nella sede principale della Fifa a Zurigo, il 2 dicembre 2010 l’allora presidente della federazione che governa il calcio mondiale mostra un sorriso abbozzato. Dopo aver assegnato la Coppa del mondo 2018 alla Federazione russa, Sepp Blatter ha appena annunciato che i membri del comitato esecutivo hanno assegnato l’edizione 2022 al Qatar. Mentre l’allora sceicco dell’Emirato Hamad bin Khalifa Al Thani e sua moglie Moza bint Nasser Al-Missend esultano e ricevono il trofeo dorato, la delegazione statunitense guidata da Bill Clinton applaude forzatamente. Erano proprio gli Stati Uniti i candidati più probabili a ospitare il torneo, blindati da un accordo dietro le quinte tra Blatter il presidente Uefa Michel Platini. Almeno fino a qualche giorno prima del voto.
Come racconta una lunga inchiesta di France Football nel 2013 – e ricostruito da varie testate, dietro la scelta del piccolo Emirato arabo ci sarebbe stato un giro di tangenti ad alcuni membri del comitato esecutivo della Fifa – due dei quali furono esclusi dal voto per questo motivo. Ma non solo. Per convincere Platini a rompere il suo patto con Blatter e appoggiare la candidatura del Qatar, secondo la procura di Parigi sarebbe intervenuto Nicolas Sarkozy. Quello che sappiamo è che successivamente alla cena tra l’ex presidente francese, il numero 1 della Uefa ed emissari qatarini, Parigi vendette una grossa fornitura di armi all’emirato, il Psg venne venduto al doppio di quanto inizialmente richiesto dall’ex proprietario Bazin – stretto amico di Sarkò – e nove giorni più tardi il Qatar ricevette l’agognato torneo. L’indagine interna della Fifa si è poi conclusa con un nulla di fatto, anche altre vicende giudiziarie non hanno dato esito, ma la giustizia francese sta continuando a indagare mentre sull’assegnazione del Mondiale rimangono lunghe ombre. Poche settimane fa l’ex presidente della Fifa Blatter ha ammesso: «Quella scelta fu un errore».
I numeri dell’Emirato
Tra i motivi che hanno generato perplessità sulla vittoria del Qatar, i primi sono stati sulle peculiarità del Paese. Il Qatar è il Paese più piccolo che abbia mai ospitato un Mondiale, e con i suoi circa 3 milioni di abitanti è anche uno dei meno popolosi. Non solo, a causa del clima desertico d’estate si raggiungono facilmente i 45 gradi, ed è per questo motivo che per la prima volta nella storia il torneo non si svolgerà né a maggio, né a giugno né a luglio. Per permettere lo svolgimento del campionato del mondo con temperature compatibili con l’attività agonistica e ravvicinata che il calendario della competizione impone, sono stati stravolti tutti i campionati nazionali, costretti a una inusuale sosta autunnale. Non solo.
Per rendere il Paese in grado di sostenere la gestione di un evento che attira centinaia di migliaia di turisti e ospitare tutte le partite della competizione, sono stati spesi circa 200 miliardi di dollari. Una cifra dieci volte superiore a quella impiegata dalla Russia per l’edizione precedente. Le risorse sono state necessarie per costruire gli 8 stadi di nuova costruzione che ospiteranno le partite, per ristrutturare altri impianti sportivi, realizzare un nuovo aeroporto internazionale, un nuovo sistema di trasporto urbano, chilometri di strade e numerose strutture per l’accoglienza, sia per i tifosi che per le squadre.
Le morti bianche
Per realizzare l’ambizioso piano di ammodernamento del Paese in tempi rapidissimi, il Qatar ha fatto affidamento sui circa 2 milioni di lavoratori stranieri presenti nell’emirato, provenienti principalmente da India, Bangladesh, Pakistan, Nepal, Sri Lanka, Filippine e Kenya. Condizioni di lavoro disumane, tangenti da pagare per poter lavorare, vita nel cantiere e fuori dal cantiere senza alcuna tutela: in questi 12 anni decine di associazioni e di testate internazionali hanno sottolineato come lo sforzo per rendere i Mondiali 2022 una vetrina per il Qatar sia ricaduto quasi esclusivamente sulle spalle di operai sfruttati e sottopagati. Secondo l’inchiesta del Guardian, sono 6.500 i migranti lavoratori morti per tirare su stadi, strade ed intere città. Le autorità qatarine hanno contestato questa versione: secondo le stime del Comitato organizzativo, sono 37 gli operai morti, e solo tre di loro sono deceduti per cause direttamente legate al lavoro. Amnesty International ha proposto di stanziare un fondo di 440 milioni di dollari – pari al montepremi messo in palio dalla Fifa da dividere per le Nazioni partecipanti – per indennizzare le famiglie delle vittime, ma il ministero del Lavoro qatarino ha rifiutato.
I diritti umani
Ci sono altre ragioni per le quali una vittoria del Qatar sembrava impossibile, e riguardano il rispetto dei diritti umani. Secondo Amnesty International nell’emirato, dove la svaria è una delle principali fonti del diritto, la libertà d’espressione e di manifestazione sono severamente limitate. Chi critica le autorità rischia di essere arrestato e processato, sulla base di confessioni estorte – come denunciano alcuni attivisti. A destare particolari preoccupazioni sono le condizioni della donna e le discriminazioni verso la comunità Lgbt+. Fino ai 25 anni anni, le donne non sono autonome per la maggior parte degli aspetti della vita quotidiani, dalla scelta del partner a quella del lavoro alla possibilità di viaggiare o spostarsi all’estero. Nel codice penale sono considerati un crimine i rapporti omosessuali e le persone transessuali possono essere obbligate a seguire terapie per la conversione come condizione per la loro scarcerazione. Anche su questo punto, Human Rights Watch ha documentato diversi casi di abusi delle forze di polizia qatariota contro la comunità lgbt+. Per questo si sono moltiplicate le iniziative per non far sparire il tema del rispetto dei diritti umani dalla manifestazione sportiva. La Danimarca aveva deciso di far indossare ai suoi giocatori, nelle sedute di allenamento, delle magliette con una scritta a favore dei diritti umani, una possibilità poi negata dalla Fifa. Sulle tribune non potranno esserci bandiere arcobaleno, ma c’è chi ha pensato a un metodo alternativo per aggirare i severi controlli.
Perché l’Italia non gioca i Mondiali
Per la seconda edizione di fila – un unicum nella nostra storia – l’Italia non si è qualificata alla Coppa del mondo. Nel 2017, l’allenatore degli Azzurri era Giampiero Ventura e l’Italia usciva come migliore seconda dai gironi, dietro alla Spagna di Lopetegui. A San Siro si concretizzò l’incubo. Dopo aver perso 1 a 0 a Solna, l’11 azzurro ospitò a San Siro la Svezia per ribaltare il risultato dell’andata e volare a Russia 2018. Ma la partita finì senza reti, tra lo sconforto dei tifosi sugli spalti e lo sconcerto dei giocatori. Per la prima volta dal 1958 non ci qualificammo al Mondiale. Sembrava il punto più basso della nostra Nazionale, un punto da cui ripartire. E infatti nel 2021 l’Italia strappa all’Inghilterra gli Europei, con un gruppo nuovo, un tecnico nuovo, una ritrovata alchimia nello spogliatoio. Nonostante un sorteggio favorevole, gli Azzurri arrivano secondi nel girone C di qualificazione a Qatar ’22, dietro la Svizzera. Ancora una volta, il passaggio alla fase finale è appeso agli spareggi, che si confermano una bestia nera. La Nazionale perde contro la Macedonia del Nord e manca la qualificazione. A voler aggiungere una nota ancora più amara sulle prestazioni Mondiali degli azzurri, basti pensare che chi è nato dopo il 2006, dopo la vittoria di Berlino, non ha mai visto l’Italia superare i gironi e accedere – almeno – a un ottavo di finale, nelle ultime quattro edizioni. Il magro bottino è di 6 partite in 16 anni, una sola vittoria, 2 pareggi e 3 sconfitte.
Chi vincerà i Mondiali in Qatar?
Nonostante tutte le polemiche e l’assenza dell’Italia, la febbre Mondiale a ridosso del calcio d’inizio è iniziata a salire. Sono diverse le nazionali che possono legittimamente ambire alla vittoria. Sull’altra sponda dell’Atlantico, Argentina e Brasile sembrano quelle più in forma, dopo un solido e convincente percorso di avvicinamento al torneo. La albiceleste deve risolvere alcuni problemi legati agli infortuni e ai dubbi sui recuperi, ma sarà capitanata, probabilmente per l’ultima volta, da Lionel Messi: avendo compiuto 35 anni, è difficile immaginarsi che possa essere convocato anche in Nordamerica nel 2026. Il Brasile, come ogni edizione, parte favorito e in rosa ha giocatori d’esperienza e giovani talentuosi. Accanto a Neymar, Thiago Silva, Alisson e Marquinhos, giocheranno Rodrygo, Vinícius Júnior e Raphinha. Oltre alle due americane, ci sono tre squadre europee che possono puntare al titolo e altrettante che partono leggermente indietro ma potrebbero infastidire le più quotate. La Francia è la squadra da battere, ha vinto l’ultimo Mondiale e ha un gruppo solido, ma dovrà fare a meno a centrocampo di Kante e Pogba. L’Inghilterra anche parte avanti, nonostante la squadra si sia smarrita dopo la sconfitta a Wembley contro l’Italia. La Spagna e il Belgio sono da tenere d’occhio per ragioni opposte: la prima è piena di giovani promettenti – come Pedri, Gavi e Ansu Fati – è in fase di ricostruzione ed è allenata da Luis Enrique, la seconda ha un gruppo di campioni intorno ai 30 anni – Lukaku, de Bruyne e Hazard – che ha forse l’ultima opportunità per portare a casa un trofeo internazionale. Infine, Germania e Olanda non sono considerate favorite, ma rimangono due nazionali estremamente competitive.
(da Open)
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