Novembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
LIBERI TUTTI SUL COVID, DISPOSIZIONI CONTRO IL DIRITTO A MANIFESTARE (PENA FINO A 6 ANNI). TETTO DEL CONTANTE A 10 MILA EURO: SONO QUESTE LE PRIORITÀ DEL GOVERNO MELONI? O PIUTTOSTO IL CARO-BOLLETTE?
Oggi, in un passaggio dell’ultimo libro di Bruno Vespa, la Meloni ha confessato: “Non ho mai temuto davvero di non riuscire a fare un governo anche se ho preso in considerazione l’ipotesi di presentarmi in Parlamento senza un accordo preventivo con tutti gli alleati, quando alcune proposte mi sono sembrate irricevibili”.
“Con Salvini si è stabilito un rapporto nuovo e diverso – ha detto la premier -. Ha capito quel che si poteva e quel che non si poteva fare e mi ha aiutato a cercare soluzioni. Un mediatore? Be’, il fatto di non schierarsi aprioristicamente con Berlusconi mi ha aiutato molto”.
Al di là delle dichiarazioni, il “nuovo e diverso rapporto” (manco la Flavi in ‘’Agenzia matrimoniale’’) con il Cazzaro verde, ritornato in modalità Papeete, si sta rivelando a dir poco deleterio. E’ Salvini che ha insistito sul “liberi tutti” sul Covid: una cantonata che ha fatto incazzare il 99,4% di medici che si sono vaccinati e si sono sacrificati durante la pandemia.
E’ sempre il Truce lombardo che ha insistito sul neo ministro dell’interno Piantedosi (suo ex capo di gabinetto al Viminale) a emanare le disposizioni contro il popolo del rave (pena fino a 6 anni!). A parte che ci sono già le leggi per sgombrare chi occupa abusivamente, ma Piantedosi ha dimenticato chi ricopriva il ruolo di prefetto di Roma quando avvenne l’assalto dei fasci alla sede della Cgil, devastandola: lui.
E’ sempre dalla Lega, nella persona del no-euro Bagnai, che è spuntata l’idea idiota di portare il tetto del contante a 10 mila euro. Altro tema, altra cantonata, questa volta innescato dal forzuto Gasparri sulla legge 194 sull’aborto. Per non parlare poi dell’en plein di Salvini con le nomine del sottogoverno con Durigon, Molteni, Borgonzoni, etc.
Sono queste le priorità del governo Meloni? O piuttosto i problemi economici derivanti dall’inflazione e dal caro-bollette, tema in discussione al consiglio dei ministri del prossimo venerdì?
E’ chiaro che Giorgia Meloni è stata messa sotto dal Cazzaro verde. Del resto, non è una cosa semplice a 45 anni occupare la prima poltrona di Palazzo Chigi per una che è sempre stata all’opposizione, che non ha pratica di governo né di Deep state (Corte Costituzionale, Consulta, Servizi, Esercito, etc.).
Al rodaggio e ai contrattempi della “Piccoletta” (Berlusconi dixit) va aggiunta l’azione di quelli, come Salvini, che vogliono farla inciampare per poi dirle “Ti salvo io”. Emblematica la questione del Ministero dell’Economia. Il destino del Direttore Generale Alessandro Rivera è segnato. Tutti i dossier rimasti aperti (Ita, concessioni, etc) sulla scrivania di Rivera dovrebbero passare entro la settimana prossima a Luigi Buttiglione, un analista molto quotato che ha buoni collegamenti con i mercati. Ed è il secondo cavallo di razza (secondo molti, gli unici due) della squadra della Meloni dopo il sottosegretario Mantovano.
Ma cuor di coniglio Giorgetti al solito tentenna sulla defenestrazione di Rivera mentre il suo boss Salvini gli ha chiesto – con quale titolo? – una rosa di tre nomi per sostituirlo. Altra prossima rogna: le nomine alle Ferrovie di Stato. Se Giorgia vuole cambiare, Salvini dice di no, restano tutti, ma lo fa perché mira a portare un suo uomo. Insomma, un sabotaggio continuo per “indurre gli italiani a credere che il vero premier è lui”
(da Dagoreport)
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Novembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
“SE DA REGGIO CALABRIA A MESSINA CI METTI TRE MINUTI, POI PER ARRIVARE DA MESSINA A PALERMO CI METTI TRE ORE”… “PROVATE A FARE LA CATANIA-PALERMO. CI SI ALLENANO I MOTOCICLISTI DELLA PARIGI – DAKAR”
“Prima di fare il ponte facciamo le strade della Sicilia, facciamo il binario doppio della ferrovia. Che sulla Catania-Palermo si vanno ad allenare i motociclisti della Parigi-Dakar”. Così Fiorello nella diretta giornaliera su Instagram in cui si sta ‘allenando’ per il ritorno in RAI con Viva Rai2.
Il tema è naturalmente il ponte sullo Stretto di Messina che è diventato (di nuovo) attualissimo con l’avvento del Governo Meloni e con Matteo Salvini come ministro delle Infrastrutture.
Ebbene, secondo lo showman siciliano, con la costruzione del Ponte se “da Reggio Calabria a Messina ci metti tre minuti, poi per arrivare da Messina a Palermo ci metti tre ore”.
Per non parlare della Catania – Palermo: “Provate a farla. Io vi posso dire che i motociclisti della Palermo – Dakar si allenano” su questo tratto autostradale. “Quando parti da Catania a Palermo – ha proseguito Fiorello con la sua solita ironia pungente – ci sono persino gli psicologi che ti dicono ‘piano piano lei arriverà’”.
Quindi, per il catanese 62enne, “prima di fare il ponte, facciamo le strade della Sicilia”. Tra l’altro, “il binario doppio non c’è. Se ci sono due treni, uno si deve fermare perché deve passare l’altro”. Infine, l’appello a Salvini: “Prima di pensare al ponte, pensiamo alle strade”.
Di recente, anche Ficarra e Picone hanno parlato del ponte sullo Stretto. È accaduto a Taormina, nella serata di gala di Taobuk del giugno scorso. Il duo, con l’ex presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci sul palco, lo hanno pungolato, per l’appunto, anche sul ponte “che non c’è”, ricordando che ” siamo venuti dalla Palermo-Catania e ci siamo stati tre ore”.
(da agenzie)
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Novembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
LE SPESE PAZZE IN REGIONE PIEMONTE: RIMBORSI ILLEGITTIMI
La condanna è arrivata nel dicembre del 2021: un anno e 7 mesi per peculato, nell’ambito dell’inchiesta sulle spese pazze della Regione Piemonte. All’epoca dei fatti, Augusta Montaruli era consigliera regionale di maggioranza nel Pdl, negli anni in cui la giunta era guidata dall’ex governatore leghista Roberto Cota (2010-2014).
Dopo l’elezione in Parlamento con Fratelli d’Italia nel 2018, la “pasionaria” della destra torinese entra adesso nel governo Meloni come sottosegretaria all’Università. Un incarico che arriva a pochi mesi dall’ultimo strascico giudiziario della rimborsopoli piemontese: una sentenza d’appello bis in cui i magistrati hanno confermato le condanne nei confronti di molti dei politici coinvolti.
Per i giudici quello scoperto dalla Procura di Torino era un sistema che si fondava su un “tacito accordo”, “spartitorio” e “criminoso”, e su “una scelta cosciente e volontaria” basata sulla “reciproca conoscenza dell’illegittimità dei rimborsi”. E si fondava sull’aspettativa che non vi fosse alcun controllo.
A proposito di Montaruli, i giudici rimarcano: “Se quest’ ultima avesse avuto anche soltanto il timore di incorrere in un minimo controllo da parte del soggetto, che istituzionalmente era il garante della corretta destinazione del fondo destinato al gruppo, certamente si sarebbe astenuta dal proporre a rimborso spese non solo del tutto non inerenti alle finalità del gruppo, ma decisamente stravaganti ed eccentriche rispetto a dette finalità”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Novembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
INCLUDE UNIVERSITA’, PIAZZE E LUOGHI DI LAVORO: CHI DISSENTE RISCHIA 6 ANNI DI GALERA, LA CONFERMA DI GIURISTI E AVVOCATI
Con il Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, aggiungendo nel codice penale l’articolo 434-bis, viene introdotta di fatto una nuova specie di reato. «Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica».
Cosa prevede la norma
In sintesi: chi «organizza o promuove» un evento da cui «può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica» potrà essere punito «con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000».
Ad essere puniti, nello specifico, i «raduni» di oltre cinquanta persone. La norma si applica in caso di «invasione arbitraria di terreni o edifici altrui», non solo privati ma anche pubblici.
Dunque include anche spazi come università, piazze, luoghi di lavoro. Per chi non organizza né promuove l’evento, ma vi prende parte, la norma si limita a indicare che «la pena è diminuita».
Al posto dei «rave», inoltre, la scelta di includere i «raduni» nella fattispecie spiana la strada a maggiori interpretazioni.
Riguardo alle «cose che servirono per commettere il reato» è «sempre ordinata la confisca».
Le polemiche
Pene durissime e « spropositate. Il provvedimento è stato pubblicato in maniera fulminea, considerando le tempistiche: questo ha portato diverse voci del mondo giurista a evidenziarne le lacune.
Per esempio, riguardo all’aspetto della «pericolosità». Se i raduni possono essere bollati come minacce «per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica» semplicemente per quanto potrebbe succedere in un ipotetico futuro, la norma potrebbe essere teoricamente «applicabile a qualunque raduno che l’autorità pubblica reputi pericoloso a suo giudizio», commenta la giurista Vitalba Azzolini. E aggiunge: «Giudizio del tutto discrezionale, perché la norma non fornisce criteri»: dunque «potrà essere sgomberata qualunque occupazione non autorizzata, pure quella del liceo, se l’autorità reputa ex ante, in modo discrezionale, che potrebbe risultare pericolosa».
Le fa eco il coordinatore della segreteria di Più Europa, Giordano Masini, parlando di una «vaghezza» sufficiente a «ricadere nell’arbitrio più assoluto». Di chi? «Essenzialmente dei prefetti, ovvero del governo». Anche il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, parla di «una misura che si estende praticamente a chiunque voglia manifestare».
A contestare la decisione del governo c’è anche il presidente delle Camere penali, Gian Domenico Caiazza, che a proposito dei chiarimenti di Giorgia Meloni sull’uso delle intercettazioni nelle indagini sui rave ha detto: «La norma che vieta i rave stabilisce sanzioni anche per i partecipanti, nei confronti dei quali la pena è “diminuita”. Ciò vuol dire che il giudice, al termine del processo, deve applicare una diminuzione che può arrivare fino ad un terzo della pena edittale che nei confronti degli organizzatori può andare dai tre ai sei anni. Non comprendo, quindi, perché il premier Meloni abbia voluto rivendicare di non avere dato il via libera alle intercettazioni dal momento che questo reato prevede pene superiori ai cinque anni». Caiazza ha poi aggiunto che «la pena superiore ai cinque anni consente che possano essere disposte intercettazioni e, secondo me, anche nei confronti dei partecipanti».
(da agenzie)
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Novembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
I MINISTRI CHE FANNO LA VOCE GROSSA CON GLI UNDERDOG DEI RAVE PARTY PERCHE’ NON LO FANNO CON GLI ULTRAS CHE HANNO USATO LO STADIO DI MILANO COME CASA LORO?
L’ordine pubblico è solo un’opinione. Tra il rave party di Modena e la curva di San Siro svuotata dagli ultras dell’Inter (polizia autoproclamata), qual è l’affronto più grave alle leggi e all’ordine?
Da una parte c’è un capannone vuoto occupato illegalmente, e un branco di ragazzi che si rintronano di decibel e di altra robaccia.
Dall’altro ci sono padri con i bambini, che hanno comperato un biglietto, magari fatto un centinaio di chilometri per andare alla partita, e vengono sgomberati a spintoni perché un capo della tifoseria, noto pregiudicato, è stato ammazzato. E allo stadio di Milano il lutto diventa obbligatorio, come nei quartieri di mafia quando muore il boss.
Di chi è lo stadio di San Siro, e di chi sono tutti gli stadi? Sono luoghi pubblici, nei quali vale la legge italiana? Oppure sono, come ognuno può vedere, luoghi privatizzati a suon di sberle, minacce, ricatti?
I ministri che fanno la voce grossa con gli underdog (termine di moda, a Palazzo Chigi) dei rave party, la farebbero, o la faranno, anche con gli ultras che hanno usato lo stadio di Milano come casa loro, rovinando un sabato di festa a famiglie che avevano il solo torto di essersi sedute in curva? Ci scommetto: non lo faranno.
I rave dispiacciono anche politicamente a questo governo, gli ultras delle curve no. C’è una nota e rivendicata familiarità politica tra esponenti della destra oggi ministeriale e il tifo ultras. Sgomberare un capannone da ragazzi alterati, ma pacifici, e chiudere gli occhi sullo scempio di sabato a San Siro: l’ordine pubblico è solo un’opinione.
(da La Repubblica)
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Novembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
PRIMA DICE: “NON ESCLUDO CHE L’ITALIA ABBIA INVIATO ANCHE UOMINI IN UCRAINA”, POI LA CORREZIONE
La diplomazia russa a Roma prova a correggere il tiro dopo la diffusione dell’intervista dell’ambasciatore in cui ipotizza la presenza di truppe italiane in Ucraina
«Solo armi? Forse. Io non escludo che l’Italia abbia mandato anche uomini» in Ucraina. L’insinuazione, non troppo velata, arriva dall’ambasciatore russo in Italia Sergey Razov, che punta anche a spaccare il fronte politico e l’opinione pubblica italiana. Se il sostegno a Kiev è stato ribadito più volte anche dalla neo presidente del Consiglio Giorgia Meloni, questo si è limitato ad aiuti economici e di forniture militari, e non all’invio di militari.
Al Verona Eurasian Economic Forum che si è tenuto il 27-28 ottobre 2022 a Baku, Razov però dice altro.
In un’intervista di 40 minuti a Oval Media, l’ambasciatore interviene in italiano durante una domanda del giornalista. «Forse, non lo escludo», si intromette il diplomatico di Mosca quando l’intervistatore spiega che a Donetsk sono arrivati i cannoni italiani e non gli italiani. «Forse anche gli italiani?», chiede ancora il giornalista. «Sì», risponde sempre in italiano l’ambasciatore, per poi proseguire l’intervista in russo. L’ambasciata russa ha poi corretto il tiro: «Non si tratta di persone, ma di cannoni usati per bombardare Donetsk, che potrebbero essere anche di produzione italiana, ma la parte russa non ne ha certezza».
Ma l’accusa al governo italiano essere coinvolto nella guerra in Ucraina ben più di quanto pubblicamente ammesso non è l’unica rivolta a un paese europeo. Proprio oggi Mosca ha puntato il dito contro Londra per il sabotaggio del Nord Stream e il bombardamento delle navi russe a Sebastopoli.
(da agenzie)
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Novembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
VUOL DIRE TUTELARE LA BIODIVERSITA’ E LE PICCOLE PRODUZIONI CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO E LA GRANDE INDUSTRIA ALIMENTARE, NON FARE L’OPPOSTO
C’è un termine che è emerso più volte nel discorso che la neo-presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto di fronte alla Camera martedì, una parola-totem che è stata determinate nella formazione del consenso della leader di Fratelli d’Italia negli anni di opposizione, ma che ora la maggioranza sembra determinata a utilizzare più come ornamento che per veicolare concetti reali. La parola in questione è: sovranità.
Non c’è da stupirsi, del resto stiamo parlando di una maggioranza costituita da partiti in larga parte sovranisti, che non hanno mai nascosto l’intenzione di calcare col pennarello grosso i confini italici.
È curioso però notare come il termine “sovranismo”, un tempo sfoderato per rivendicare, senza troppi indugi, un’indipendenza monetaria e politica dall’Unione Europea, venga riciclato in quello che è un discorso dichiaratamente europeo e atlantista, e utilizzato per tutt’altro.
Il termine sovranità compare quattro volte nel discorso di Meloni: la prima volta per definire il popolo italiano come “titolare della sovranità”; la seconda per predicare “una riforma costituzionale in senso presidenziale, che garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare”; la terza per annunciare che la transizione digitale prevista dal PNRR dovrà “accompagnarsi alla sovranità tecnologica, al cloud nazionale e alla cyber-security”; la quarta, per citare quella “sovranità alimentare” che, com’è noto, è addirittura stata inclusa nella denominazione del dicastero dell’Agricoltura.
“L’Italia deve tornare ad avere una politica industriale, puntando su quei settori nei quali può contare su un vantaggio competitivo.” ha detto Meloni “Penso al marchio, fatto di moda, lusso, design, fino all’alta tecnologia. Fatto di prodotti di assoluta eccellenza in campo agroalimentare, che devono essere difesi in sede europea e con una maggiore integrazione della filiera a livello nazionale, anche per ambire a una piena sovranità alimentare non più rinviabile.”
Ma cosa significa, esattamente, “ambire a una piena sovranità alimentare”? Cosa si intende per “sovranità alimentare”
Il concetto di sovranità alimentare è stato teorizzato per la prima volta nel 1996 da Via Campesina, un’associazione che riunisce 182 organizzazioni di contadini provenienti da 82 paesi, e che, tra le altre cose, si è fatta promotrice di pratiche agricole sostenibili, concentrandosi in particolare sulla difesa dei diritti delle piccole comunità di contadini.
Da allora, le idee promosse da Via Campesina si sono diffuse trovando diverse declinazioni, e catalizzando l’interesse di organismi istituzionali, tra cui la Banca Mondiale e le Nazioni Unite. Nella dichiarazione di Nyéleni del 2007 la sovranità alimentare viene definita come “diritto dei popoli a un cibo sano e culturalmente appropriato prodotto attraverso metodi ecologicamente sani e sostenibili, e il loro diritto di definire i propri sistemi alimentari e agricoli.”
La necessità di difendere così strenuamente questi diritti nasceva dalle condizioni di sfruttamento in cui versavano (e versano tuttora) molte popolazioni indigene, le più virtuose per quanto riguarda l’adozione di pratiche sostenibili, ma anche le più vulnerabili di fronte alla progressiva industrializzazione del settore agricolo e alle ricadute sempre più devastanti della crisi climatica.
Non a caso, la dichiarazione di Nyéleni specifica anche che la sovranità dovrebbe “mettere coloro che producono, distribuiscono e consumano cibo al centro dei sistemi e delle politiche alimentari piuttosto che delle richieste dei mercati e delle società.” precisando che questo approccio “difende gli interessi e l’inclusione della prossima generazione, e offre una strategia per resistere e smantellare l’attuale regime alimentare e commerciale corporativo.” Per poi concludere che questo approccio dovrebbe privilegiare “una produzione, distribuzione e consumo di cibo basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica.”
In una congiuntura storica in cui l’agricoltura si trova ad essere sia vittima che responsabile della crisi climatica, in cui le ondate di caldo e le alluvioni stanno rendendo sempre più zone incoltivabili, in cui la sicurezza alimentare di intere popolazioni è messa ulteriormente a repentaglio da una guerra che sta portando a galla tutte le iniquità del settore agricolo globale, i principi proposti in origine dai fautori della sovranità alimentare sono sicuramente rilevanti.
Prova ne è il fatto che lo scorso 17 ottobre, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, il nuovo presidente di Slow Food, Edward Mukiibi, abbia posto l’accento su questo concetto, invitando a “riconoscere e aiutare gli agricoltori che applicano tecniche tradizionali basate sull’agroecologia e sull’approccio rigenerativo alla terra e agli ecosistemi.” facendo notare come spesso gli agricoltori biologici siano ignorati dai governi, e sistematicamente esclusi dalle riunioni di pianificazione.
Di fronte a un governo che decide di inserire il termine “sovranità alimentare” nella dicitura di un ministero, è lecito domandarsi quante probabilità ci siano che questi principi vengano promossi e applicati. Ecco: a giudicare da come hanno operato e votato le persone che lo compongono, molto poche.
Togliere ai piccoli agricoltori per dare all’agrobusiness
In un’intervista al Corriere della Sera, il ministro delle Politiche agricole della Sovranità alimentare e forestale, Francesco Lollobrigida, ha rivelato che il nuovo ministero è in sostanza una copia carbone dell’omonimo francese: “Sa perché lo abbiamo copiato?” ha dichiarato “Perché la Francia ha la capacità di difendere i propri interessi nazionali. E credo che ogni nazione dovrebbe avere il dovere e il diritto di difendere le proprie eccellenze alimentari.” aggiungendo che “sovranità alimentare significa tutelare l’economia e rimettere al centro della produzione il rapporto con i coltivatori non solo per proteggere una parte della filiera agroalimentare, ma la cultura rurale.”
Parole piuttosto vaghe, ma che comunque provano a rientrare nel solco della sovranità alimentare. Non fosse che, nella loro storia parlamentare, gli esponenti e i ministri di questo governo hanno votato per misure che vanno in totale contraddizione con i principi della sovranità alimentare. Una su tutte: la cosiddetta Politica Agricola Comune (PAC), uno strumento comunitario introdotto nel 1962 e che ora impegna circa il 39% del Bilancio dell’Unione Europea.
Sulla carta, la PAC avrebbe obiettivi virtuosi e condivisibili: produrre di quantità di cibo tali da garantire la sicurezza alimentare nell’UE, promuovere prodotti alimentari sicuri e di qualità elevata a costi accessibili a tutte le fasce della cittadinanza, e nel contempo proteggere il lavoro degli agricoltori e la salute delle comunità rurali, mitigare il riscaldamento globale e tutelare la biodiversità.
Nei fatti, tuttavia, l’ultima versione della PAC approvata dai paesi UE va in tutt’altra direzione: un pool di 3600 scienziati provenienti da diversi paesi europei ha bocciato sonoramente la nuova politica agricola, poiché mostra “gravi carenze per quanto riguarda la conservazione della biodiversità, la protezione di clima e suolo, il degrado del territorio e le sfide socioeconomiche, soprattutto nelle zone rurali”.
Al momento di deliberare in sede europea sulla PAC, Fratelli d’Italia ha avvallato una misura che di fatto prevede sussidi agli agricoltori tramite pagamenti diretti in base all’estensione delle coltivazioni, e che dunque va a premiare la grande agricoltura industriale e gli allevamenti intensivi, senza peraltro disporre interventi ambiziosi per la tutela della biodiversità e la mitigazione climatica.
Non solo: se con una mano la PAC foraggia i grandi nomi dell’agrobusiness, con l’altra leva ai piccoli agricoltori, tramite tagli di bilancio per i Programmi di Sviluppo Rurale, oggi fondamentali per promuovere un’agricoltura locale e sostenibile.
Per tutelare le eccellenze bisogna tutelare il clima
Il fatto che a questo governo di biodiversità ed ecosistemi (e dunque di sovranità alimentare) interessi poco è lampante anche solo per la scelta di includere solo in un secondo tempo (e a fronte di vive proteste) un riferimento alle foreste nella dicitura del ministero.
Il nostro è un paese coperto per il 36% di foreste, ecosistemi di strategica importanza e sempre più vulnerabili, che andrebbero dunque valorizzati e gestiti in maniera appropriata, non soltanto per i servizi ecosistemici che forniscono, ma anche per contenere il rischio di incendi che, sempre per colpa della crisi climatica, sono sempre più frequenti e intensi.
Ma anche volendo concentrarsi unicamente sul settore agroalimentare, è curioso che Lollobrigida parli di “diritto e dovere di difendere le proprie eccellenze alimentari”, quando le eccellenze alimentari italiane sono da anni in ginocchio per le ricadute della crisi climatica.
Pensiamo alle difficoltà che stanno emergendo nei vitigni della Franciacorta e della Valdobbiadene, ai problemi che stanno affrontando i molluschicoltori nella sacca di Scardovari, o chi produce miele di fiori d’arancio in Sardegna, ai crolli vertiginosi nella produzione di olio, per non parlare di tutte le coltivazioni collassate in un 2022 piagato dalla siccità; il tutto mentre nelle regioni meridionali si coltivano sempre più specie esotiche, come l’avocado, il mango e il caffè.
Un governo che ha a cuore le eccellenze alimentari del proprio Paese, e che millanta di voler proteggere la filiera agroalimentare e la cultura rurale, dovrebbe porsi come priorità la lotta alla crisi climatica e la tutela della biodiversità agricola; eppure, quando si è trattato di votare per l’introduzione in Costituzione della tutela dell’ambiente e della biodiversità, il partito di Giorgia Meloni ha fatto melina, e lo stesso è accaduto quando si è cercato di approvare provvedimenti analoghi in sedere europea.
Nel frattempo, invece di parlare di agricoltura rigenerativa, di agrivoltaico, di contrasto dell’erosione del suolo e di tutela della biodiversità agricola, il ministro Lollobrigida ha annunciato un piano per eliminare il limite all’utilizzo del suolo italiano coltivabile, così da poter “sbloccare” un milione di ettari; non si sa bene a quale scopo, dato che l’Italia, per la sua conformazione, dovrebbe puntare più sull’agricoltura di qualità che su quella estensiva.
A fronte di tutto ciò, viene da chiedersi perché abbiano deciso di includere la locuzione “sovranità alimentare” nel nome del ministero, visto che sembrano decisi a percorrere tutt’altra direzione. Il dubbio è che non si siano nemmeno preoccupati di sapere cosa significasse.
(da Fanpage)
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Novembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
IL LOGO DELL’ASSOCIAZIONE “LOMBARDIA MIGLIORE” HA TUTTA L’ARIA DI UN SIMBOLO ELETTORALE – NELLA RETE DELL’EX MINISTRO CI SONO L’EX ASSESSORE REGIONALE LUCA FERRAZZI, L’EX VICESINDACO DI LODI LORENZO MAGGI, L’EX CONSIGLIERE REGIONALE MARCO TIZZONI, E POI DIVERSI SINDACI
Sito internet, simbolo e organigramma con tanto di referenti provinciali. La macchina è in moto, uscita allo scoperto e potenzialmente pronta a correre verso le Regionali. Si chiama «Lombardia migliore», nome che richiama un gruppo già presente nel Consiglio regionale (quello di Manfredi Palmeri).
Il logo dell’associazione «Lombardia migliore» ha tutta l’aria di un simbolo elettorale, bianco e blu, con una freccia tricolore che punta verso l’alto e l’acronimo «LM», che guarda caso corrisponde alle iniziali di Letizia Moratti.
L’entourage morattiano, a dire il vero, si mantiene abbastanza abbottonato su questo portale, che in effetti resta molto sul vago su programmi e candidati, ma nell’ambiente ci sono pochi dubbi: il sito e l’associazione rappresentano l’abbozzo di una lista guidata dalla vicepresidente della Regione, un primo passo di quella «rete civica» di cui i suoi sostenitori parlano da mesi.
«L’obiettivo – così Bergamonews riporta le dichiarazioni di Ivan Rota, referente della Bergamasca, imprenditore ed ex deputato di Italia del valori – è raccogliere le istanze di cittadini, associazioni, terzo settore e categorie per chiedere a Letizia Moratti di essere disponibile a ben governare la Lombardia».
I nomi non sono tutti notissimi, ma c’è chi è piuttosto conosciuto: l’ex assessore regionale Luca Ferrazzi, l’ex vicesindaco di Lodi Lorenzo Maggi, l’ex consigliere regionale Marco Tizzoni, e poi diversi sindaci, uno della provincia di Cremona (Luca Zanichelli, di Rivarolo del Re) e uno del Pavese (Gianluca Orioli di Cicognola).
Il responsabile milanese è Renzo Di Biase, a Como c’è Maria Grazia Sassi. In ogni caso, i lavori sono in corso, le riunioni si tengono settimanalmente, a volte alla presenza della stessa Moratti, che avrebbe sovrainteso alla fondazione di «Lombardia migliore».
Fra i referenti provinciali, alcuni parlano espressamente del loro sostegno alla «eventuale candidatura» della ex sindaco di Milano, qualcuno osserva che la «rete» va oltre l’associazione ma ammette anche che nel gruppo «sono in tanti a volere che la Moratti si candidi».
La data del voto è incerta, potrebbero mancare solo tre mesi o anche il doppio, eppure i giochi si faranno in questi giorni. Ora che è stata completata la squadra di governo, con ministri e sottosegretari, tutti si aspettano che venga sciolto il nodo che da mesi cinge il futuro del centrodestra lombardo.
Per la Lega, il candidato presidente sarà l’uscente Attilio Fontana, e non sembra che intendano opporsi gli altri partiti di centrodestra – vincolati fra loro da un accordo complessivo che tiene conto anche delle altre Regioni al voto.
Il centrodestra sta lavorando a una proposta da sottoporre a Letizia Moratti, dopo che è saltata – o è stata fatta saltare – la nomina ad amministratore delegato dell’ente che dovrà organizzare le Olimpiadi (ipotesi che ormai per la stessa Moratti va considerata archiviata). Se non andrà a buon fine questo tentativo di trovarle un ruolo che sia consono alla sua esperienza, e se Fontana riceverà, in una qualche forma, l’investitura della coalizione, Letizia Moratti dovrà decidere se fermarsi o andare avanti da sola. Anzi, con «Lombardia migliore».
(da Il Giornale)
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Novembre 1st, 2022 Riccardo Fucile
“I MEDICI ‘PREMIATI’ HANNO AGITO CONTRO LA SCIENZA”
Sulla liberalizzazione del Coronavirus il professor Roberto Burioni va all’attacco del governo Meloni. Le nuove norme sull’emergenza, che fanno decadere l’obbligo vaccinale e reintegrano medici e infermieri No vax, secondo il virologo, rischiano di far cadere la fiducia nei vaccini. Burioni spiega oggi in un editoriale su Repubblica che i provvedimenti vanno nella giusta direzione ma la normalità non si può ottenere per decreto.
La rimozione dell’obbligo ha scientificamente un senso perché le condizioni di partenza sono cambiate: adesso abbiamo un virus meno pericoloso e un vaccino meno efficace nel prevenire il contagio.
Ma rimane il fatto che i sanitari oggi premiati hanno preso una decisione che va contro la scienza. E adesso la politica dovrà decidere se e come proteggere i cittadini da loro. In più con questa scelta il governo rischia di far cadere la fiducia nell’immunizzazione.
Ora, è il ragionamento del professore, ci sarà bisogno di una comunicazione impeccabile perché in nessun modo qualcuno possa trarre la conclusione (sbagliata) che il governo è diventato tollerante nei confronti dei No vax. Infine, sulle mascherine in ospedale e nelle Rsa, è necessario utilizzare i dispositivi di protezione individuale quando ci si trova davanti una persona fragile. E qui va ricordato che il ministro Schillaci, dopo le prime indiscrezioni che parlavano di un addio all’obbligo, lo ha rinnovato fino al 31 dicembre. Anche a causa delle tante voci di protesta sollevatesi nel frattempo. E mentre il presidente dell’Ordine dei Medici Anelli aveva detto che avrebbero deciso comunque i camici bianchi.
(da agenzie)
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