Novembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
IL CAPOLAVORO È STATO RAGGIUNTO QUANDO PUR DI FAR VEDERE E SENTIRE SALVINI, HANNO RIPULITO LA SUA DICHIARAZIONE SU “GLI 8 MORTI ACCERTATI”
Ha destato scalpore la dichiarazione – definiamola intempestiva – del leader della Lega, Vicepremier e Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini riguardo ai dispersi nella tragedia di Ischia, che – all’inaugurazione della M4 a Milano – egli ha definito “otto morti accertati”, tanto da indurre il Prefetto di Napoli Claudio Palomba e il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a smentirlo pubblicamente.
A tal proposito, il giornalista e conduttore televisivo e radiofonico Antonello Piroso ha sottolineato in un tweet come il Tg2 – diretto ad interim da Carlo Pilieci dopo la nomina di Gennaro Sangiuliano a capo del Ministero della Cultura – abbia “ripulito” la dichiarazione di Matteo Salvini.
Scrive Piroso: “Su Ischia il Tg2 di ieri sembrava Rai Eiar”, aggiungendo che: “Il capolavoro è stato raggiunto quando pur di far vedere e sentire Salvini, hanno ripulito la sua dichiarazione su “gli 8 morti accertati”.
Al Tg2 delle 20.30 di ieri, sabato 26 novembre 2022, infatti, la dichiarazione di Salvini è stata trasmessa con un evidente taglio strategico nel punto del discorso del Vicepremier che ha suscitato tante polemiche
(da vigilinazatv.it)
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Novembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
NEL TG2 DELLE 13 DI IERI UNA IMPRESSIONANTE SFILZA DI DICHIARAZIONI E TWEET DI QUASI TUTTI I MINISTRI DEL GOVERNO MELONI. CHE ACCIDENTI C’ENTRAVANO?
Nel Tg2 delle 13 di ieri, ovviamente, l’apertura era la tragedia di Ischia. Dopo il servizio (ottimo) dell’inviato è andata in onda una impressionante sfilza di dichiarazioni e tweet di quasi tutti i ministri del governo Meloni. Quelli interessati all’accaduto (ovvero, quelli le cui parole avevano rilievo giornalistico) sono, se non erro, due: Interni e Ambiente. Oltre alla presidente del Consiglio.
Tutti gli altri, che accidenti c’entravano? Con quale diritto, e quale titolo, dichiaravano?
Terminata l’assurda sfilza delle parolette governative, ministro per ministro, il Tg2, incredibile ma vero, ha pensato di dare un poco di spazio anche alle reazioni politiche: nuova sfilza di dichiarazioni dei capigruppo dei partiti, compresi, in coda, quelli di opposizione.
Lascio immaginare al lettore il palpitante interesse delle frasi di circostanza spese da ministri e onorevoli.
Si andava dal commosso cordoglio all’urgenza dei soccorsi. Un portalettere, una cantante lirica, un geometra avrebbero potuto commentare l’accaduto con identica genericità.
Ci si domanda: posto che un tigì è un giornale, che rapporto, anche vago, hanno questi rosari di parole di circostanza con il giornalismo? Ve lo dico io: nessun rapporto. E a proposito di ministri, se avesse ragione Valditara quando elogia l’umiliazione come esperienza formativa, la Rai ne uscirebbe super formata, perché super umiliata da decenni di asservimento alla politica.
Uno dei pochi veri segni di cambiamento di questo Paese sarà il giorno che alla Rai diranno ai tirapiedi dei ministeri e dei partiti: guardi, richiami domani che qui stiamo lavorando, e il nostro lavoro non è uguale al vostro.
(da La Repubblica)
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Novembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
NELLA NOTTE IL LIMITE E’ SALITO DA 30 A 60 EURO
Nessun obbligo per i commercianti di accettare i pagamenti con carte e bancomat fino a 60 euro. Nell’ultima bozza della manovra, circolata in queste ore, è stato aumentato da 30 a 60 euro il limite sotto al quale non sarà prevista alcuna sanzione per chi non accetta i pagamenti con il Pos. Non si tratterebbe ancora del testo definitivo, ma l’intenzione del governo pare sempre più chiara e va appunto nella direzione di eliminare le multe per chi non accetta carte e altre modalità elettroniche per i piccoli pagamenti.
Se nella prima bozza circolata sui giornali si parlava di un limite fissato a 30 euro, nella seconda questa soglia è stata alzata fino ai 60: sotto questa cifra non sarà quindi più obbligatorio accettare i pagamenti con il Pos.
Al momento la normativa prevede l’obbligo per i commercianti, artigiani e professionisti di accettare per qualsiasi pagamento carte e bancomat, pena la sanzione. Una regola introdotta dal governo precedente di Mario Draghi (ma già abbozzata da quello di Giuseppe Conte) e citata anche nel Piano nazionale come importante tassello nel percorso di digitalizzazione del Paese e di contrasto all’evasione.
Nei giorni scorsi si era parlato dell’ipotesi di togliere l’obbligo per i piccoli pagamenti, quelli sotto i 30 euro, e sospendere le multe relative. Ora però il governo sembra intenzionato ad alzare questa soglia a 60 euro.
Nel testo della nuova bozza si legge:
ART. 69
(Misure in materia di mezzi di pagamento)
1. All’articolo 49 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 2, le parole “di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), numero 6), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11” sono sostituite dalle seguenti “di cui all’articolo 1, comma 2, lettera h-septies.1), numero 6), del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385”; b) al comma 3-bis, secondo periodo, le parole “1.000 euro” sono sostituite dalle seguenti “5.000 euro”.
2. All’articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, le parole: “di qualsiasi importo” sono sostituite dalle seguenti: “di importo superiore a sessanta euro”.
(da Fanpage)
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Novembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
“DOVE NON SI PUO’ INTERVENIRE SERVE DELOCALIZZARE”
Studiare il territorio, monitorarlo per poter intervenire in tempo e, se necessario, avere anche il coraggio di delocalizzare. Nelle ore concitate della frana di Casamicciola la priorità è l’intervento immediato, salvare i superstiti, ma la domanda che ritorna è sempre la stessa: si poteva, in qualche modo, evitare la tragedia?
A Fanpage.it Antonello Fiore, presidente nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale, sottolinea un aspetto fondamentale: l’Italia non ha ancora un piano di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.
Presidente Fiore, cosa è mancato nella gestione delle criticità ad Ischia?
La situazione odierna di Ischia è molto complessa. Per adesso la Protezione Civile sta dicendo ai cittadini di restare in casa, e questo va benissimo per alluvioni, per colate di fango. Però una parte di questo dissesto oggi ha interessato anche delle abitazioni: gli edifici sono in totale sicurezza? É chiaro che la Protezione Civile ha un quadro degli scenari, ma allo stesso tempo vediamo che ogni volta si interviene in emergenza, che rincorriamo questi eventi.
Ho sentito tutti gli schieramenti politici esprimere solidarietà ai cittadini e alle istituzioni locali, ma queste catastrofi evidenziano sempre questo pregio e difetto nazionale: se da un lato abbiamo la migliore Protezione Civile anche a livello internazionale, dall’altro abbiamo una carenza di attività di previsione, prevenzione, monitoraggio e manutenzione. Bisogna intervenire con opere strutturali per mitigare gli effetti del dissesto geo-idrologico dove non è possibile avere coraggio di delocalizzare: non tutto è sanabile; spostare aree urbanizzate o industriali.
L’Italia come si sta muovendo in questo senso?
Sulla politica di mitigazione siamo fermi. Un piano nazionale è stato avviato nel 2016 e presentato nel 2018 ma non è stato ancora approvato. A quello avrebbero dovuto seguire i vari piani locali. Oggi l’interesse sembra monopolizzato dalle grandi opere, quelle che ci daranno prestigio internazionale, ma resta l’enorme problema di messa in sicurezza e delle infrastrutture.
Ad Ischia già ci sono stati episodi di questo tipo, come si è proceduto?
C’è uno studio di Antonio Santo del 2012 che in quell’area, tra Casamicciola e Lacco Ameno, individua 15 episodi di crolli storici, l’ultimo nel 2009 con una vittima e 20 feriti. Quel territorio è predisposto di sua natura. Se a questo vado ad aggiungere gli effetti del cambiamento climatico è chiaro che abbiamo una situazione che va tenuta sotto controllo e soprattutto gestita
É vero che esiste una questione di consumo di suolo, di pianificazione mancata, e che ulteriori problemi potrebbero essere connessi all’abusivismo edilizio. Ma abbiamo anche la necessità di rivedere la pianificazione in base ai mutamenti climatici in corso, alla crisi che sta facendo aumentare piogge brevi ed intense, fenomeno che, se viene associato ad aree impermeabili, crea un aumento di acque. Per Ischia abbiamo avuto il cedimento di un frontone su cui naturalmente si erano accumulati detriti, la stagione secca ha reso i terreni ancora più disgregati e le piogge hanno mobilitato tutto.
Il discorso vale anche per i centri abitati: devono essere riviste tutte le infrastrutture attuali. In molte città il sistema fognario, realizzato decenni fa, non è più idoneo. Inoltre sono aumentate le piogge brevi ed intense. Stiamo andando verso un problema di allagamento urbano, su questo non ci sono dubbi. Gli effetti del cambiamento climatico in atto, innegabili, possono diventare ancora più severi sulla base di come noi abbiamo costruito il territorio.
Lei parla di delocalizzazione. Significa sgomberare intere aree?
La priorità è mettere in salvo delle vite umane. Si deve trasmettere alla popolazione che ci sono situazioni di pericolo che possono evolvere drammaticamente e si deve ragionare sulla possibilità di creare infrastrutture che siano adatte a queste nuove esigenze o sulla effettiva impossibilità di intervenire.
Il territorio ha una sua evoluzione naturale, la cui velocità può anche cambiare in funzione dell’andamento climatico generale. Se con le nostre opere interferiamo con questa evoluzione dobbiamo poi essere in grado di saper gestirla, altrimenti verremo travolti. Davanti a scenari critici dove non è possibile intervenire abbiamo due scelte: accettare il rischio, consapevoli che potrebbe accadere una tragedia, oppure delocalizzare, spostare centri abitati o industriali.
Sarebbe una soluzione che andrebbe messa in campo nel rispetto dei diritti dei cittadini e anche tenendo conto del mancato controllo sulle costruzioni negli anni scorsi: non si può pensare di limitarsi ad abbattere tutto, dopo aver permesso di costruire centinaia di case senza autorizzazione, senza un piano di sostegno ai cittadini.
(da Fanpage)
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Novembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
ART. 25 : “DEFINIZIONE DELLA PROCEDURE DI CONDONO”
“Per accelerare le pratiche impantanate noi abbiamo introdotto l’articolo 25 che non è un condono, ma una procedura perché si espletasse più celermente l’esito delle pratiche”.
A parlare è Giuseppe Conte, ospite della trasmissione di Rai 3 “Mezz’ora in più” a 24 ore dal disastro di Ischia.
Incalzato da Lucia Annunziata sulla norma che riguardava l’isola, contenuta nel decreto del 2018 sul Ponte di Genova, l’allora premier del governo gialloverde risponde: “L’apprezzo perché ha letto l’articolo 25 del decreto sul Ponte ma le dico che non era affatto un condono. È uno dei primi dossier che abbiamo assolto – ha osservato in un altro passaggio – con senso di responsabilità cercando di sbloccare una situazione che c’era senza derogare ai vincoli idrogeologici. Era una procedura di semplificazione”, aggiunge.
Ma qualcosa non torna. Con l’articolo 25, che porta nello stesso nome la parola condono (“Definizione delle procedure di condono”) in sostanza è stata data la possibilità di riaprire i termini di un vecchio condono – quello del 1985 – e sanare gli abusi costruiti negli anni.
Conte prova a spiegare: “Ischia è una tragedia in un territorio molto complicato, violentato dal dissesto idrogeologico. Quando mi sono insediato nel 2018 abbiamo trovato una unità di missione che impiegava solo nove mesi per attuare un progetto. Chiamai il ministro Costa e chiesi – insieme al capo della Protezione civile, Borrelli – di elaborare un progetto chiamato ‘Proteggi Italia’, un piano per mettere in sicurezza edifici pubblici e privati italiani. Per quel piano abbiamo stanziato 11,5 miliardi e abbiamo reso soggetti attuatori i presidenti delle Regioni. Di quei soldi non so dire esattamente ma è stata spesa una piccolissima parte ed è un problema che ci trasciniamo da tempo”.
E ancora. “A Ischia ci sono richieste di condono precedenti al 2018, dunque precedenti al mio governo, per circa 27mila abitazioni su 60mila abitazioni, quindi la metà con richiesta di condono. In più ci sono richieste per danni da terremoto per 1.100 abitazioni. Per accelerare le pratiche impantanate noi abbiamo introdotto l’articolo 25 che non è un condono, ma una procedura perché si espletasse più celermente l’esito delle pratiche”, dice il presidente del Movimento 5 stelle in tv.
(da La Repubblica)
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Novembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
“STANNO FACENDO LE VALIGIE RUBANDO TUTTO QUELLO CHE RIESCONO A TROVARE”
Le forze russe potrebbero presto lasciare la centrale nucleare di Zaporizhzhia.
E’ quanto sostiene il presidente dell’agenzia nucleare ucraina Energoatom, Petr Kotin.
«Nelle ultime settimane abbiamo ricevuto informazioni che gli occupanti potrebbero presto abbandonare il sito», ha detto alla tv nazionale ucriana. Anche su diversi media russi, ha ricordato Kotin, sono usciti recentemente articoli secondo cui i russi potrebbero lasciare il controllo della centrale allo staff dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
Per il capo dell’agenzia ucraina, è ancora troppo presto per dire che l’esercito russo stia lasciando l’impianto, ma tutto lascia pensare che si stiano preparando a farlo. «Ho l’impressione che stiano facendo le valigie e rubando tutto quello che riescono a trovare». Ogni sviluppo, anche in tal senso, andrà comunque affrontato con la massima cautela, ha richiamato ancora Kotin, dal momento che le forze agli ordini di Putin «hanno caricato l’area di tutto: equipaggiamento militare, uomini, camion, probabilmente carichi di armi ed esplosivi, e minato tutto il territorio circostante».
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
COME I CRIMINALI DEL CREMLINO MANDANO AL MASSACRO I GIOVANI COSCRITTI RUSSI
La granata, sganciata dal drone che l’ha portata sopra l’obiettivo, scende sugli uomini in mimetica, sdraiati nella trincea molle di fango. Non è veloce: la sua traiettoria è verticale, ma il peso relativo la fa ondeggiare nella caduta. Tre secondi e centra il bunker.
Quando la nuvola dell’esplosione si rarefà, si vedono due uomini, due soldati russi, fermi a terra. Probabilmente uccisi. E gli altri, sono sei, che faticano a muoversi. Accennano ad allontanarsi, gattonano. È come se non avessero la forza di sottrarsi.
Siamo a Est di Bakhmut, da due mesi il centro della battaglia del Donbass. Qui i russi, segnatamente i mercenari di Wagner, stanno conducendo una controffensiva feroce, ma spesso in trincea l’esercito ha mandato i coscritti: i soldati appena reclutati, impreparati e costretti al fronte.
“Non si muovono perché sono in ipotermia”, spiega un giornalista ucraino e confermano alcuni analisti americani. Sono congelati dal freddo. Di giorno la temperatura nell’area si attesta sui quattro gradi centigradi. Qualcuno, forse, stava dormendo. Qualcuno, si può ipotizzare, ha combattuto la temperatura bevendo. E la reazione alle bombe sganciate dal drone è stata lenta.
“Hanno l’ordine di non cedere la posizione, non lasciare un metro al nemico”. Così il freddo che Vladimir Putin vuole imporre nel suo vestito peggiore alla cittadinanza ucraina — a questo serve il bombardamento russo dei centri energetici della nazione, non consentire a chi è rimasto nella sua casa di riscaldarsi, bere acqua potabile, avere luce artificiale per la sera — diventa il primo avversario per le stesse truppe che hanno invaso.
Hanno ricevuto l’ordine di restare in una trincea-pozzanghera del Donbass, ma i loro vestiti sono insufficienti, il morale azzerato. E da martedì prossimo si andrà cinque gradi sotto.
Il Gruppo Wagner, dicevamo, ha preso l’insediamento di Kurdyumovka, a sud di Bakhmut, offrendo dopo sessanta giorni una notizia contraria all’avanzata verso Est delle forze ucraine. Ma l’area che dalla città assediata si allunga in direzione Soledar è — evidenziano nuovi video e fotografie — uno scempio di corpi, spesso russi, senza vita. Sono stati colpiti dai droni e dall’artiglieria. Una carneficina. Poco più a settentrione altri soldati sono costretti in altre trincee con il crinale innevato e il fondo di ghiaccio. Quelli ucraini, almeno, hanno uniformi appropriate, fornite dalla Nato.
Dice il sito iStories, fondato da due giornalisti russi e con la sede in Lettonia, che Putin è pronto alla macelleria invernale. Citando una fonte dei servizi russi, Fsb, e una seconda dello Stato maggiore di Mosca, iStories scrive che il Cremlino prevede di “stabilizzare il fronte in Ucraina” durante l’inverno, dopo l’arretramento di settembre e ottobre, per poi ripartire con l’offensiva in primavera, “pur sapendo che ciò comporterà grandi perdite fra i soldati russi. Potrebbero arrivare a 100mila i morti”.
Questo aspetto, si legge, “non spaventa nessuno: possono essere sostituiti da coscritti del servizio militare obbligatorio”. Chiamati dallo scorso settembre.
In realtà, il numero di 300mila neoarruolati al fronte è già stato raggiunto, ma il presidente della Federazione russa non ha ancora revocato il decreto di mobilitazione, nonostante la richiesta di diversi deputati, e ha secretato la parte che indica, appunto, il tetto dei coscritti da utilizzare.
“Entro la primavera 2023”, si chiude così la rivelazione di iStories, “il ministero della Difesa intende preparare 120mila nuovi soldati da mandare in Ucraina, compensando le perdite”. Secondo il comando ucraino, ad oggi, 9 mesi di guerra trascorsi, sono morti 86.710 uomini dell’esercito russo. Tra loro, diversi ufficiali e alti ufficiali.
(da La Repubblica)
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Novembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
MAKEI ERA CONSIDERATO UNO DEI POSSIBILI SUCCESSORI DI LUKASHENKO, IL DITTATORE VASSALLO DI PUTIN, E TRA I POCHI A NON ESSERE SOTTO L’INFLUENZA RUSSA
Gli incessanti bombardamenti russi contro le infrastrutture elettriche sono dei «crimini di guerra» secondo Kiev e i suoi alleati occidentali. E in questi nove mesi di guerra, il regime di Lukashenko è stato accusato di permettere alle truppe russe di sparare contro l’Ucraina dal territorio bielorusso con missili e droni.
Non solo, è sempre dalla Bielorussia che a febbraio i militari del Cremlino hanno invaso l’Ucraina da Nord. Ieri l’agenzia di stampa statale Belta ha dato notizia della morte «improvvisa» del ministro degli Esteri Vladimir Makei senza precisarne la causa.
«Ci sono voci secondo cui potrebbe essere stato avvelenato», ha dichiarato il consigliere del ministero dell’Interno ucraino, Anton Gerashchenko, senza fornire alcuna prova. Secondo lui, «Makei era considerato un possibile successore di Lukashenko» ed «era uno dei pochi a non essere sotto l’influenza russa». La Reuters sottolinea invece che Makei era un sostenitore degli stretti rapporti tra Mosca e Minsk al punto che sosteneva che a provocare la guerra fosse stato l’Occidente.
Ieri l’Ucraina ha paragonato l’invasione criminale delle truppe russe al Holodomor: la terribile carestia provocata dal regime di Stalin che 90 anni fa uccise milioni di persone.
«Nel 90° anniversario del Holodomor in Ucraina, la guerra di aggressione genocida della Russia persegue lo stesso obiettivo del genocidio del 1932-1933: l’eliminazione della nazione ucraina e della sua statualità», ha dichiarato il ministero degli Esteri di Kiev.
«Prima ci volevano distruggere con la fame, adesso col buio e col freddo», ha poi rilanciato Volodymyr Zelensky sul suo canale Telegram.
Il presidente ucraino si riferisce ovviamente ai bombardamenti di queste settimane, ai missili e ai droni russi che hanno preso di mira senza sosta le infrastrutture energetiche del Paese facendo strage di civili e mettendo in ginocchio la rete elettrica. I raid dell’esercito russo hanno lasciato milioni di persone al buio e al gelo o senza acqua. Adesso che il termometro comincia a scendere sotto lo zero le ripercussioni sulla popolazione civile rischiano di essere gravissime
L’Onu teme una crisi umanitaria. «Questo inverno sarà pericoloso per la vita di milioni di persone in Ucraina», ha avvertito l’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui fino a tre milioni di ucraini potrebbero essere costretti a lasciare le loro case a causa dei bombardamenti sulle infrastrutture elettriche.
L’Onu giovedì ha denunciato che da ottobre in questi raid sono stati uccisi almeno 77 civili, mentre altri 272 sono stati feriti. Ma secondo le autorità ucraine altri 15 civili hanno perso la vita nei bombardamenti che hanno colpito Kherson venerdì, e il comandante della polizia, Igor Klimenko, afferma che sono 32 le persone uccise dai missili russi nella regione dal 9 novembre, giorno in cui le truppe del Cremlino sono state costrette a lasciare la città sul Dnipro.
I tecnici sono al lavoro per riportare al più presto l’elettricità nelle case degli ucraini dopo i massicci raid di mercoledì scorso che hanno colpito diverse regioni del Paese.
A causa dei bombardamenti, le centrali nucleari ucraine erano state disconnesse automaticamente dalla rete elettrica come previsto dalle misure di “protezione d’emergenza”, ma sono state poi ricollegate.
Milioni di ucraini, fino a ieri, erano però ancora senza luce o riscaldamento: addirittura sei milioni di famiglie, ha denunciato venerdì notte Zelensky. Una delle città più colpite è Kiev, dove secondo il presidente ucraino «molti abitanti sono rimasti senza energia elettrica per più di 20 o persino 30 ore». Proprio nel giorno in cui l’Ucraina ricorda le vittime della Grande Fame, Kiev ha ospitato un vertice per lanciare «Grano dall’Ucraina», un programma che prevede la partenza di 60 vascelli carichi di cereali verso Paesi a rischio per carestie e siccità come Etiopia, Yemen e Sudan.
Zelensky ha annunciato di aver raccolto a questo scopo 150 milioni di dollari da oltre 20 Stati e dall’Ue. Kiev sottolinea così il suo ruolo chiave per la sicurezza alimentare mondiale dopo il recente prolungamento dell’intesa sul grano che in estate ha consentito di riprendere le esportazioni di cereali via mare dall’Ucraina dopo un blocco durato cinque mesi e di cui è accusata la Russia. Con l’accordo sul grano tra Mosca e Kiev, l’Onu mira anche ad alleviare la tragica crisi alimentare che quest’ anno ha spinto verso la fame 47 milioni di persone nel mondo.
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2022 Riccardo Fucile
ALDO GRASSO STRAPPA LA BACCHETTA AL “MAESTRO” BEATRICE VENEZI, CHE VORREBBE ISTITUIRE UN ALBO PER LA PROFESSIONE DI CRITICO: “L’ANALISI CRITICA PUÒ NON SERVIRE A NULLA, MA INSEGNA UNA SOLA COSA: LA LIBERTÀ DI PENSIERO”
Il rumore sottile della critica. Il maestro (desidera essere chiamata così) Beatrice Venezi, consigliere per la musica del ministero della Cultura, vorrebbe istituire un albo per la professione di critico professionista, dopo «un percorso di formazione» (o di rieducazione?).
La proposta inquieta: «Oggi chiunque sia dotato di uno smartphone si erge a critico. E certe “critiche”, possono esaltare o affossare la carriera di un artista. Ecco perché penso a un percorso di formazione specializzato e a un albo dei critici professionisti».
Da anni si parla di «morte della critica», del sempre minore spazio che le tocca nei media, della sua sempre più debole capacità di agire sulla cultura contemporanea, ma quello che sembra allarmare il maestro sono i giudizi sconclusionati sui social.
Ma come può un «albo» porre freno alla natura stessa della Rete, dove chiunque è libero di dire la sua? E poi l’istituzione di tale albo ci ritufferebbe in periodi neri della nostra storia: torniamo alle corporazioni?
L’analisi critica può non servire a nulla, ma insegna una sola cosa: la libertà di pensiero, del come si sta al mondo da critici e non da manutengoli.
Al consigliere Venezi, grande star di spot tricologici, suggerirei di vedere il film Ratatouille, dove un vecchio topo spiega a cosa serve la critica.
Aldo Grasso
(da il “Corriere della Sera”)
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