Novembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
“INUTILE PROPAGANDA” PER LA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI…ALLA GENTE NON FREGA UNA MAZZA LA “DIFESA DEI CONFINI” INESISTENTE, INTERESSANO CAROVITA, INFLAZIONE, BOLLETTE E SANITA’
Più della metà degli italiani non ritiene che i flussi migratori debbano essere una priorità per il governo. Di più: le scelte operative del governo per fermare le navi delle Ong vengono giudicate niente più che un’inutile operazione di propaganda assolutamente inefficace per la soluzione del problema.
Il sondaggio effettuato dalla Ipsos di Nando Pagnoncelli per la trasmissione “Di martedì” de La 7 conferma quanto l’agenda seguita dal governo in questi primi 20 giorni sia lontana da quella degli italiani.
E tutti i principali sondaggisti concordano nel dire che immigrazione e sicurezza non sono neanche sul podio delle preoccupazioni dei cittadini, le cui priorità sono costo della vita, caro bollette, inflazione, occupazione e sanità.
“Il tema dell’immigrazione – spiega Pagnoncelli nell’illustrare il suo sondaggio – sta molto indietro nella gerarchia delle priorità degli italiani e le soluzioni adottate suscitano scetticismo”. Ecco dunque il sondaggio: per il 56 % degli intervistati le scelte operative del governo sono inutili, di propaganda e di principio e non risolutive, il 33 % pensa invece che le soluzioni adottate siano utili e disincentivino gli arrivi dei migranti.
Per converso, un cittadino su due (il 49 %) è scettico sulla possibilità che con il governo Meloni la sua situazione economica migliorerà, mentre uno su tre (appartenente soprattutto al ceto medio-basso, spiega Pagnoncelli) si dichiara fiducioso.
Complessivamente, il 49 % ritiene comunque sicura la partenza del governo Meloni mentre il 37 % (ovviamente elettori dell’opposizione) pensa che l’azione dell’esecutivo sia incerta e confusa.
“L’immigrazione ormai da molto tempo non è più il problema ma un problema come gli altri – osserva Ilvo Diamanti – non è neanche tra le cause che generano insicurezza nei cittadini. Questo è fuor di dubbio. La mia impressione è che il problema venga agitato e riproposto perché in questo momento è un argomento che torna utile essendo favorevole alla Destra e soprattutto alla Lega. Gli italiani sanno bene che oggi il grosso dell’immigrazione arriva da est e non dalle navi, che l’Italia è il paese con il più alto indice di denatalità e che il mondo del lavoro ha bisogno dell’immigrazione. Anche questo spiega perché questo non sia affatto un tema che preoccupa la gente”.
L’influenza dell’attenzione mediatica
I sondaggisti sono tutti concordi nel rilevare come l’immigrazione, a differenza di alcuni anni fa, non sia più tra le priorità degli italiani. Ma pongono l’accento sull’importanza dell’attenzione mediatica al tema che potrebbe far cambiare questa percezione.
“Dobbiamo sforzarci di ragionare su tempi più lunghi – spiega Antonio Noto, di Noto sondaggi – negli ultimi due anni i temi dell’immigrazione e della sicurezza hanno perso rilevanza nell’opinione pubblica e nei media. Le navi arrivavano ugualmente ma non trovavano più le telecamere ad aspettarli al molo. Dunque, non siamo ancora in grado di dire se il governo sta dando all’immigrazione un’attenzione che il Paese non sente o se nel tempo questa aumenterà con l’aumentare dell’attenzione dei media. Ad oggi possiamo di certo dire che i temi più sentiti dagli italiani sono il caro-bollette, la paura dell’inflazione, la diminuzione del potere di acquisto, il tema dell’economia personale in tutte le sue declinazioni per intenderci. E dietro l’economia un altro tema emergente è quello della sanità: dopo il Covid i cittadini sentono fortemente l’ansia di essere assistiti in maniera non adeguata dal nostro sistema sanitario”.
L’arma di distrazione del governo
“Io direi che il governo, proprio perché ha un ristretto margine di manovra sulle questioni economiche che sono decisamente la priorità per tutti gli italiani, ha deciso di accendere i fari su questioni identitarie (prima i rave ora l’immigrazione) capaci anche di ricompattare l’elettorato di destra”, è l’analisi di Lorenzo Pregliasco di YouTrend che osserva: “C’è sicuramente uno iato tra i primi segnali inviati dal governo e le preoccupazioni della gente. L’immigrazione è una distrazione che però può spostare l’attenzione delle persone, è il tentativo di spostare il dibattito politico, vecchie dinamiche già conosciute. Dall’altra parte dobbiamo però ricordare che le priorità degli italiani non sono immutabili nel tempo e risentono di quello che succede. Al momento sicuramente l’immigrazione è un tema molto marginale, ricordo l’ultima rilevazione Demos di agosto, soltanto il 4 % degli italiani lo citava tra le sue preoccupazioni”.
Il problema del calo demografico
Il Covid e la guerra in Ucraina hanno catalizzato l’attenzione degli italiani negli ultimi due anni e l’immigrazione, complice anche il calo dell’interesse degli organi di informazione è scivolata giù.
Lo pensa anche Nicola Piepoli che però osserva: “Gli italiani ignorano diversi problemi che invece dovrebbero essere pressanti a cominciare dal calo demografico. I nuovi nati potrebbero venire anche dai flussi migratori verso il nostro Paese. Io vedo con grande apprensione il saldo demografico a -250.000 tra morti e vivi, significa che in 4 anni l’Italia perderà un milione di persone e che a fine secolo saremo 38 milioni contro gli attuali 53 milioni. Una catastrofe naturale ma questo gli italiani non lo avvertono e l’agenda del governo al momento sembra dettata più dalle contingenze che da altro. Per il resto è indiscutibile che il tema dell’economia è quello che turba i sonni degli italiani”.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
NEL TESTO IL DEPUTATO CRITICAVA L’OPERATO DELLA MAGISTRATURA E FORNIVA UNA RICOSTRUZIONE DEI FATTI CHE SI È POI RIVELATA FASULLA
«Se il ministro interpellato intenda sollecitare da parte del direttore generale dell’amministrazione penitenziaria il conferimento dell’encomio solenne al corpo di polizia penitenziaria in servizio presso l’istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere che, in operazione di particolare rischio, ha dimostrato di possedere, complessivamente, spiccate qualità professionali e non comune determinazione operativa».
Recitava così l’interpellanza parlamentare, presentata nell’aula della camera dei Deputati, il 15 giugno 2020, dai deputati di Fratelli d’Italia che chiedevano l’encomio solenne per i poliziotti penitenziari coinvolti in una delle pagine più buie della storia carceraria italiana.
Il primo firmatario era Andrea Delmastro Delle Vedove che, nel nuovo governo di Giorgia Meloni, è diventato sottosegretario alla Giustizia, il ministero che decide sulle sospensioni degli agenti.
L’interpellanza, rimasta senza risposta, era destinata proprio al dicastero dove l’allora deputato oggi occupa la poltrona di sottosegretario. Il deputato criticava l’operato della magistratura, arrivava a proporre un premio e ricostruiva le vicende seguendo le indicazioni dei vertici dell’amministrazione, dell’allora governo M5s-Pd e dei sindacati, ricostruzioni che si sono rivelate totalmente false e che erano già state messe in discussione dall’avviso di garanzia notificato a 44 agenti. Il reato contestato era quello più grave per chi indossa la divisa: tortura.
Il 6 aprile 2020, nel carcere Francesco Uccella, 283 poliziotti penitenziari entrarono e massacrarono di botte i detenuti inermi del reparto Nilo. Nell’aula bunker del tribunale di Santa Maria Capua Vetere è iniziato il processo a carico di 105 persone accusati di tortura pluriaggravata, lesioni, falso, calunnia. In 77 sono stati sospesi dal servizio, altri hanno continuato a lavorare con tanto di avanzamento di carriera. Decisioni che spettano al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e proprio al ministero della Giustizia. Ma cosa c’era scritto in quell’interpellanza?
I deputati di Fratelli d’Italia ricostruivano i fatti così: «Il giorno 5 aprile 2020 è esplosa una violentissima rivolta nell’istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere nel corso della quale circa 150 detenuti, dopo aver occupato alcuni reparti, hanno minacciato gli agenti della polizia penitenziaria con olio bollente e alcuni coltelli». Non era andata così. Nessuna protesta violentissima era esplosa, il dato era facilmente desumibile dalle parole pronunciate all’esterno del carcere dal magistrato di sorveglianza, Marco Puglia. «Il profilo dell’ordine e della sicurezza è sotto controllo, c’è stata solo una protesta, rientrata», aveva detto al tg regionale della Rai.
La ricostruzione dei deputati continuava riferendo dei fatti accaduti l’indomani. «Il giorno 6 aprile 2020, a seguito di una perquisizione straordinaria disposta dalla amministrazione penitenziaria, sono state ritrovate e sequestrate diverse spranghe, bacinelle piene di olio, numerosi pentolini per far bollire l’olio e altri oggetti contundenti nella disposizione dei detenuti; nel corso della predetta perquisizione gli animi si sono surriscaldati e vi sono stati alcuni contusi che, comunque, non hanno riportato conseguenze tali da essere ricoverati in ospedale fra i detenuti mentre 50 agenti della polizia penitenziaria sono stati refertati».
Le bacinelle piene d’olio non c’erano e neanche le spranghe, le fotografie erano state manipolate. I poliziotti erano stati refertati, ma le ferite erano le conseguenze dei pugni, degli schiaffi e delle botte sferrate ai detenuti inermi.
Quattro giorni prima della presentazione dell’interpellanza c’era stata la notifica di 57 decreti di perquisizione e di 44 avvisi di garanzia ad altrettanti agenti del carcere. Ma anche l’atto della magistratura, la perquisizione, veniva bollata come un’operazione «spettacolare di dubbia utilità investigativa», veniva citato anche l’intervento del procuratore generale di Napoli, Luigi Riello, che «ha avvertito la necessità di intervenire sulle modalità spettacolari dell’azione diretta dalla procura».
Gli interroganti concludevano ricordando anche un’aggressione avvenuta, il 12 giugno 2020, ai danni di alcuni agenti prima di sottoporre all’attenzione del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, l’insolita richiesta perché «è necessario riaffermare, oltre alla indipendenza della magistratura, che nel caso di specie condurrà le indagini, anche l’indipendenza della politica». Il 6 aprile veniva definita «una necessaria operazione di contenimento della rivolta carceraria».
Abbiamo contattato il sottosegretario per chiedergli se intende promuovere l’iniziativa dell’encomio oppure si è pentito, ma non ha risposto. Tra gli interpellanti, oltre ad Andrea Delmastro Delle Vedove, c’erano Wanda Ferro ed Emanuele Prisco, diventati sottosegretari al ministero dell’Interno; Alessio Butti, nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri e Galeazzo Bignami, diventato sottosegretario alle Infrastrutture. Sono stati tutti promossi.
(da EditorialeDomani)
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Novembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
IL GENERALE: “TENTIAMO NUOVA LINEA DIFENSIVA SU RIVA SINISTRA DEL DNEPR”
Il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha ordinato alle truppe di Mosca di ritirarsi dalla città ucraina di Cherson. A riferirlo è l’agenzia di stampa russa Tass. Dopo le ultime ore di scontri in cui le forze russe avevano tentato di difendere il controllo della città a sud dell’Ucraina, l’esercito di Kiev è riuscito a vincere e a riprendersi l’importante territorio.
Il consigliere dell’amministrazione regionale di Cherson in esilio Sergii Khlan aveva parlato poche ore fa di una ritirata di massa: «Oggi i russi hanno effettivamente cominciato a far crollare l’intera linea del fronte in direzione di Cherson e hanno iniziato una ritirata».
Ora la notizia ufficiale dell’ordine dallo stesso ministro della Difesa russo. Ad aggiungere altri dettagli L’agenzia russa Interfax aggiunge altri dettagli raccontando della proposta avanzata dal comandante delle forze russe in Ucraina, il generale Surovikin, «di rischierare le truppe sulla riva sinistra del Dnepr per organizzare una nuova linea difensiva dopo la ritirata da Cherson». Idea che sarebbe stata accettata da Shoigu.
«La decisione è stata presa perché sulla riva destra del fiume le forze russe rischiavano un isolamento totale», spiega ancora Interfax, «e i civili rimasti erano a rischio per i bombardamenti ucraini». Il generale Surovikin ha poi fatt sapere che la situazione delle truppe russe in Ucraina «è stata stabilizzata» e che le forze di Mosca «sono state incrementate grazie all’arrivo di soldati mobilitati e di volontari».
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
LE COMICHE FINALI E OBIETTIVITA’ GARANTITA
La direzione del Tg2 è rimasta vacante dopo la nomina di Gennaro Sangiuliano, chiamato da Giorgia Meloni a guidare il Ministero della Cultura. Tutto ciò si inserisce in un contesto ancor più complesso: a ogni cambio di governo (e non solo di legislatura) la televisione pubblica è destinata a subire riassestamenti, con pedine che cambiano di posizione. Perché lo sappiamo: la Rai è da sempre soggetta a influenze (almeno nell’organizzazione interna) da parte della politica partitica.
E ora è tempo di nuove nomine e da qualche giorno si è fatto insistente il nome di Mario Giordano alla direzione degli spazi informativi del secondo canale.
A riportare la notizia è stato Il Fatto Quotidiano, poi ripreso anche da Il Tempo. Perché nelle idee di Giorgia Meloni – e di chi è al suo fianco al governo – i nomi per la direzione del Tg2 orbitano ovviamente nell’emisfero ideologico della destra italiana. E il primo nella lista, in ordine gerarchico, ci sarebbe Nicola Rao: attualmente vicedirettore del Tg1 e con un passato di lungo corso tra viale Mazzini e gli studi di Saxa Rubra.
E a una spanna di distanza da lui ci sarebbe – ribadiamo, ancora non vi è alcuna conferma ufficiale – il nome di Mario Giordano.
Il conduttore di Fuori dal Coro, in onda su Rete4, non sta vivendo un rapporto felice e sereno con Mediaset. Alcune punzecchiature sono arrivate soprattutto durante i due anni abbondanti di pandemia, soprattutto per le posizioni del giornalista sui vaccini e sui provvedimenti presi dai governi per cercare di contenere la curva dei contagi. Ma, con il nuovo corso governativo guidato da Giorgia Meloni, ecco che il suo futuro potrebbe essere lontano dagli studi di Cologno Monzese, verso la Rai. Verso il Tg2 con un impronta “sovranista” già lasciata da Sangiuliano.
(da NextQuotidiano)
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Novembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA APPROVA ALL’UNANIMITA’ UNA MOZIONE IN TAL SENSO MA I CONSIGLIERI DI FDI NON VOTANO ED ESCONO DALL’AULA
I medici no vax «saranno reintegrati, l’ha già fatto l’Ordine, andranno a svolgere delle funzioni nell’ambito delle loro competenze ma noi dobbiamo anche salvaguardare la situazione dei pazienti, per cui non avranno contatti nei reparti dove ci sono pazienti fragili, immunocompromessi, dove ci sono possono essere rischi di contaminazione» ha detto l’assessore al Welfare di Regione Lombardia, Guido Bertolaso, a margine della seduta del Pirellone.
«Il governo ha preso delle decisioni e il presidente della Repubblica ha firmato il decreto legge. Quindi, è una legge dello Stato e da funzionario dello Stato io devo eseguirla. Da questo punto di vista non è il problema del reintegro di alcuni medici, di alcuni infermieri e del personale amministrativo ma il problema è di garantire la sicurezza di tutti e la salute di tutti», ha aggiunto.
Secondo i dati forniti dallo stesso Bertolaso, che ha risposto a una interrogazione di Michele Usuelli di +Europa/Azione, in Lombardia sono in tutto 679 gli operatori sanitari non vaccinati contro il Covid-19 interessati dal reintegro deciso dal nuovo Governo: 19 sono medici, 4 alti dirigenti non medici, 245 infermieri-ostetrici, 67 tecnici sanitari, 145 operatori socio sanitari, 129 amministrativi, 68 tecnici non sanitari e 2 ricercatori.
Il Consiglio regionale, dal canto suo, ha approvato all’unanimità una mozione presentata dal gruppo del Partito Democratico che chiede all’assessore al welfare di «dare indicazioni ai Direttori Generali delle Ats e Asst lombarde affinché il reintegro degli operatori sanitari no-vax non avvenga presso i reparti con pazienti fragili maggiormente a rischio».
Il gruppo di Fratelli d’Italia non era presente in Aula al momento della votazione. La mozione fa seguito a quanto deciso dal governo in merito al reintegro del personale sanitario no-vax nei reparti.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
LA VETRERIA DI BORGONOVO VAL TIDONE DOVE DOMENICA È MORTA SCHIACCIATA DALLE MACCHINE NICOLETTA PALLADINI, CONTINUA A LAVORARE COME SE NON FOSSE SUCCESSO NULLA…“SI È PERSO IL VALORE DELLE PERSONE. SEI SOLO UN NUMERO”
La vetreria di Borgonovo Val Tidone non si è fermata lunedì. Non si è fermata neanche ieri. «La produzione prima di tutto. La produzione sopra a ogni cosa. Si è perso il valore delle persone. Sei solo un numero. Contano i soldi e quel che produci. Niente altro».
Sono arrabbiati i colleghi di Nicoletta Palladini, l’operaia cinquantenne che, nella notte tra domenica e lunedì ha perso la vita in questa azienda, a una ventina di chilometri da Piacenza, stritolata tra i rulli e la navetta del reparto “Fondo linea”. «Non c’è più il rispetto per le persone. Neanche per la morte», ripetono.
Avevano chiesto all’azienda di bloccarsi, di sospendere le attività almeno un giorno, in segno di lutto e di rispetto per la famiglia di Nicoletta. Per i colleghi che hanno provato a soccorrerla, che l’hanno vista lì, con il corpo incastrato nel macchinario che l’ha uccisa. E invece niente.
«Anche i colleghi che l’hanno trovata morta domenica notte sono dovuti tornare la notte di lunedì. A lavorare intorno al punto esatto in cui lei ha perso la vita» Una scelta che l’azienda preferisce non commentare: «Abbiamo ritenuto di non sospendere le attività. Chi non se la sentiva poteva scegliere individualmente di restare a casa», taglia corto con modi gentili Elena Remondini, responsabile del personale.
Così, a partire dalle 14 di ieri pomeriggio e poi ancora alle 18 per una fiaccolata simbolica, parte degli operai ha deciso di scioperare, e di organizzare con i sindacati un presidio permanente davanti ai cancelli dell’azienda. Non solo i colleghi, ma anche chi conosceva Nicoletta è venuto qui a onorarla, a portare rose bianche e margherite sotto la sua foto sorridente, appesa alla ringhiera della vetreria.
«Nicoletta era così, rideva sempre, era piena di forza, non si risparmiava mai. Con nessuno. Né con noi né con la sua famiglia», racconta un’operaia che chiede di restare anonima. Come tutti qui «perché è meglio parlare con un’unica voce, non esporsi personalmente».
Ricorda che ha iniziato a lavorare qui nel 2000, a 19 anni: «Nicoletta era arrivata quattro anni prima di me. Le ho subito voluto bene, era così solare. E le risate, solo quelle, voglio ricordarmi di lei. Era come una sorella, che poi assomigliava anche a mia sorella. Non si fermava mai».
Continua a fregarsi le mani, nervosamente mentre guarda la foto di Nicoletta: «Ha fatto tanti sacrifici per la sua famiglia, per quei due figli Giovara e Joshua. La più grande è un bravo medico, il suo orgoglio. Il secondo, bellissimo, uno sportivo, era il suo cocco. Ora sono distrutti. Era così felice Nicoletta, che finalmente, col marito Giorgio, era riuscita a comprare la casa, a ristrutturarla. Quanto l’aveva sognata. Tanti sacrifici. Troppi, per finire così».
Anche al reparto di Nicoletta le attività sono state sospese solo fino alla fine del turno della notte tra domenica e lunedì.
Poche ore dopo il ritrovamento del corpo della donna, il tentativo vano di salvarla, le urla disperate dei colleghi, la produzione è ripartita «come nulla fosse successo».
Sono lacrime e abbracci al presidio. Soprattutto tra le operaie che da una vita lavorano in questa vetreria. Che negli ultimi vent’ anni, con Nicoletta hanno diviso problemi, preoccupazioni, sorrisi.
C’è anche il cognato, Tino, che va e viene dal presidio: «Ho lavorato trentasei anni in questa azienda anch’ io. Ora sono in pensione. Non si può morire così. È inaccettabile».
In attesa dell’autopsia e delle indagini dei carabinieri – in due sono indagati per omicidio colposo, tra loro il titolare della vetreria – Tino non vuole aggiungere altro: «Lo faremo al momento giusto». Sono tante le ipotesi dietro alla morte Nicoletta: solo la consulenza che a breve sarà disposta dalla procura potrà chiarire che cosa è successo. Per ora resta il dolore dei colleghi: «Non doveva essere pericoloso. Come è potuto succedere? Nel 2022 non si può morire così».
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
RIEPILOGO DELLE LEGGI INTERNAZIONALI VIOLATE DAL GOVERNO
Alla fine tutti i migranti a bordo della Geo Barents e della Humanity 1 sono potuti sbarcare a terra, dopo giorni di stallo e inutile stress fisico e psicologico di centinaia di naufraghi. E anche se ha dovuto cedere, il governo ha iniziato un vero e proprio braccio di ferro con le Ong sulla pelle delle persone che attraversano il Mediterraneo.
In questi giorni non sono mancati gli appelli al rispetto del diritto del mare. In realtà, alla normativa internazionale ha fatto riferimento anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi spiegando la sua strategia sui flussi migratori, che consiste nel permettere alle navi umanitarie di attraccare ai porti italiani esclusivamente per il tempo necessario a stabilire chi possa sbarcare (fragili, donne e minori, una vera e propria “selezione umana”), mentre gli altri dovrebbero ripartire subito dopo, abbandonando le acque territoriali italiane.
Questo perché, secondo il titolare del Viminale, spetterebbe allo Stato di bandiera della nave che ha effettuato il soccorso occuparsi delle operazioni di prima accoglienza. Non a quello geograficamente più vicino.
Ma quindi, che cosa dice esattamente il diritto del mare?
Le convenzioni e i trattati sul diritto del mare e sui rifugiati
I riferimenti, quando si parla genericamente di diritto del mare o di norme internazionali, sono le convenzioni internazionali che regolano diversi aspetti dell’universo marittimo. Tra cui, appunto, quello del soccorso a chi si trova in pericolo. Queste sono:
Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare (in breve Solas, del 1974)
Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimo (Sar, del 1979)
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos, del 1982)
Inoltre, parlando di migrazioni, bisogna considerare anche i trattati che definiscono chi sono i rifugiati e quali sono le regole da seguire per fare richiesta di protezione internazionale. Nello specifico:
Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati
Regolamento di Dublino
Cosa dice la normativa internazionale sul soccorso in mare
Questi sono i documenti che definiscono il perimetro entro cui muoversi quando si parla delle leggi internazionali sul mare. Ma cosa affermano, di preciso?
La Convenzione di Amburgo afferma l’obbligo di prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo di vita in mare, intervenendo quanto più velocemente possibile.
Le persone salvate, quindi, devono essere portate nel primo porto sicuro disponibile. Il place of safety non va individuato solamente guardando alle coordinate geografiche: alle persone soccorse deve essere anche garantito il rispetto dei diritti umani in quel luogo e deve essere loro assicurata la possibilità di fare richiesta di asilo.
Anche la Convenzione Solas stabilisce che il comandante di qualsiasi nave abbia il dovere di assistere quanto più rapidamente possibile le persone in difficoltà in mare; agli Stati (quindi, concretamente, ai governi e ai centri di coordinamento del soccorso) questo documento impone invece di garantire tutti gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e le richieste di soccorso. Nella propria area di responsabilità, inoltre, gli Stati devono assumere il coordinamento delle operazioni.
La delimitazione di quest’area, al di là delle acque territoriali, è sancito dalla Convenzione Sar. Entro questo perimetro i governi devono garantire assistenza alle persone che si trovano in pericolo, indipendentemente dalla loro nazionalità o dalle circostanze in cui vengono trovate, e trasferirle in un luogo sicuro.
Il place of safety
Negli ultimi anni, dalla fine delle operazioni europee nate per rispondere alla crisi migratoria tra il 2011 e il 2013, nelle zone di ricerca e soccorso si trovano quasi esclusivamente navi civili. Nelle zone Sar, appunto, dove vengono effettuate gran parte delle operazioni di salvataggio, non si vedono più le navi della Marina italiana o maltese, le due principali interessate, nonostante la Convenzione di Amburgo obblighi esplicitamente gli Stati a mantenere attivo un servizio di ricerca e soccorso e a cooperare con i Paesi limitrofi.
Le navi delle Ong sono così le sole di pattuglia lungo le rotte migratorie del Mediterraneo. Con gli Stati costieri non più direttamente coinvolti, spesso le autorità si rifiutano di fornire un porto sicuro di sbarco a una nave umanitaria battente bandiera di un Paese terzo che si trova in acque internazionali, o comunque al di fuori della propria zona Sar. E così si arriva a giorni e giorni di stallo in mare.
Chiaramente questa è una violazione del diritto del mare. Assicurare un porto sicuro di sbarco è un obbligo sancito dal diritto internazionale. Questo, per definizione, deve essere il luogo in cui la sicurezza e la vita dei sopravvissuti non sia più messa in pericolo e dove le necessità umane primarie possano essere soddisfate. La nave che presta soccorso, anche se può temporaneamente occuparsi di garantire entrambi questi aspetti, non dovrebbe farsene carico a lungo.
Alle Convenzioni Solas e Sar sono stati recentemente approvati degli emendamenti proprio per garantire che la responsabilità delle persone soccorse non ricada interamente sul comandante della nave, ma sia assunta dagli Stati. Sono i governi, infatti, a doversi occupare di coordinare le operazioni di soccorso in modo da assicurare lo sbarco dei naufraghi quanto prima.
Le operazioni di soccorso non possono considerarsi concluse fino a quando tutte le persone soccorse non siano sulla terraferma. Secondo la linea del governo spetterebbe agli Stati di bandiera delle navi umanitarie che effettuano i salvataggi offrire il porto sicuro. Ad esempio la Norvegia, se si sta parlando della Geo Barents, oppure la Germania per la Sea Watch 3. Come abbiamo visto, però, le Convenzioni internazionali, impongono di portare a termine i soccorsi nel più breve tempo possibile. E ovvie ragioni geografiche, quindi, vogliono che il porto sicuro di sbarco sia spesso individuato in Sicilia o lungo le coste del Sud Italia.
Una volta sbarcato nel luogo sicuro, chi lo desidera può fare richiesta di protezione internazionale.
Il regolamento di Dublino, una Convenzione stretta dagli Stati dell’Unione europea, vuole infatti che la domanda di asilo sia fatta nel Paese di primo approdo. Il governo italiano ha invece chiesto che siano gli Stati di bandiera a occuparsi dell’identificazione e delle richieste di asilo dei naufraghi, mentre questi rimangono a bordo della nave.
Anche questa è una violazione del diritto internazionale. Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare, pubblicate con gli emendamenti alle Convenzioni Sar e Solas, oltre a precisare che le operazioni per definire lo status dei migranti in merito alle richieste di asilo non sia una responsabilità del comandante, affermano anche che queste vadano comunque evitate nel caso in cui provocherebbero un ritardo dello sbarco.
Inoltre, a meno che non si stia parlando di una nave militare, su cui la legislazione è un po’ più complessa, nave battente bandiera tedesca o norvegese non significa prettamente territorio tedesco o norvegese, dove gestire le operazioni di prima accoglienza. Queste devono essere fatte a terra, nel Paese di primo approdo, in cui è necessario sbarcare il prima possibile dopo aver soccorso delle persone in mare.
Quindi no, non si possono mantenere per giorni delle persone a bordo delle navi umanitarie per effettuare identificazioni e altre procedure burocratiche
Il principio di non respingimento
C’è anche un altro elemento da prendere in considerazione. Queste operazioni richiedono di norma molto tempo, a volte anche mesi o anni. Non si può stabilire in mezz’ora se una persona ha diritto o meno alla protezione internazionale.
La Convenzione di Ginevra del 1951 definisce come rifugiato la persona che “temendo a ragione di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadina e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”.
Non solo: all’articolo 33, si stabilisce che il rifugiato non possa essere “espulso o respinto – in alcun modo – verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. Negare il diritto a presentare domanda di asilo e non valutarla nella giusta maniera, quindi, potrebbe comportare un respingimento collettivo. Un’altra violazione del diritto internazionale.
Il primato del diritto alla vita
Non dovrebbe poi essere necessario precisare che qualsiasi specifica verrà sempre dopo il diritto alla vita e alla dignità umana. Ma vale comunque la pena ricordare due casi in cui organismi internazionali si sono esposti nei confronti del nostro Paese. Come la sentenza Hirsi Jamaa and Others v. Italy, in cui la Corte europea dei Diritti dell’uomo aveva condannato l’Italia per aver riportato in Libia un gruppo di migranti soccorsi da tre navi della Guardia di finanza e della Guardia costiera italiana in zona Sar maltese.
Oppure, ancora, l’opinione del Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti umani sul caso A.S., D.I., O.I. and G.D vs Italy, che ha accusato l’Italia di essere colpevole di mancato soccorso nel naufragio avvenuto nel 2013 in zona Sar maltese, dove oltre 200 persone hanno perso la vita. Tra loro, anche 60 bambini.
Nonostante le molteplici richieste di soccorso, una nave della Marina italiana è arrivata troppo tardi. Secondo il Comitato dell’ONU, indipendentemente dal fatto che il naufragio fosse avvenuto in zona Sar maltese, l’Italia aveva de facto il controllo del territorio, avendo ricevuto continue comunicazioni dall’imbarcazione in pericolo.
Infine, il caso di Carola Rackete, come ha ricordato il segretario nazionale dell’Asgi, Dario Belluccio, in un’intervista a Fanpage.it, “discusso e sentenziato dalla Corte di Cassazione italiana, e quindi precedente giuridico prevalente, ci dice che le operazioni di soccorso in mare si concludono solo quando i naufraghi sono sbarcati tutti a terra in un porto sicuro” e “impedire ad una nave con naufraghi a bordo l’attracco in un porto è una violazione delle norme”.
Insomma, si potrebbe dirla in modo molto più breve: per nessun motivo, per nessuna scusa o pignoleria giuridica, le persone possono essere lasciate in mare. Punto.
(da Fanpage)
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Novembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
L’ONDA ROSSA CHE TUTTI SI ASPETTAVANO È DIVENTATA UN BOOMERANG, CHE HA TRAVOLTO I CANDIDATI SPONSORIZZATI DAL TYCOON… GODONO TUTTI I SUOI NEMICI. IN PRIMIS RON DESANTIS, INCORONATO COME NUOVA STELLA DEL FIRMAMENTO REPUBBLICANO
Non possiamo ancora dire chi ha vinto le midterm, ma di sicuro sappiamo con certezza chi ha perso: Donald Trump, e con lui i repubblicani.
Tutti si aspettavano un’onda rossa dalle elezioni di metà mandato, ma la situazione è ben diversa. Il “Grand Old Party” avrà sì una maggioranza alla Camera, ma meno ampia del previsto, mentre al Senato si profila un testa a testa che porterà, se va bene, a un sostanziale pareggio. Insomma, l’onda si è trasformata in un boomerang che ha travolto l’ex presidente e i suoi candidati.
I nomi scelti dal tycoon, infatti, hanno fatto manbassa di insuccessi: a partire dal dottor Mehmet Oz, celebre volto televisivo scelto da Trump per il seggio del Senato in Pennsylvania, che è stato stracciato dal rivale, il democratico John Fetterman, peraltro penalizzato dalle condizioni di salute (ha avuto un ictus a maggio).
Non è andata meglio in Georgia, dove “The Donald” aveva candidato, sempre per il Senato, l’ex campione di football Herschel Walker: speravano di vincere con facilità e invece si andrà al ballottaggio.
Aggiungere New York, dove è stata confermata con ampissimo margine la governatrice democratica Kathy Hochul, nonostante gli strascichi dello scandalo molestie del suo predecessore, Andrew Cuomo.
Insomma, Trump, come ha rivelato un suo collaboratore alla Cnn, è incazzato nero. E fa bene. Anche perché le midterm hanno fatto brillare ancora di più la stella del suo rivale numero uno all’interno del partito: Ron DeSantis.
Il governatore della Florida è stato riconfermato con percentuali bulgare, e anche il “New York Post” di Murdoch lo ha incoronato con un titolone sbattuto in prima pagina: “Defuture”.
DeSantis sarà un osso duro da battere alle primarie repubblicane per il 2024: ha una sua grossa base locale, ma anche l’appoggio della vecchia guardia repubblicana, stufa delle Trumpate. È giovane e dice di essere “mandato da Dio”, cosa che piace negli stati del sud, dove la religione sposta ancora molti voti.
Se Trump ha perso malamente, lo stesso non si può dire di Joe Biden: il presidente era stato dato per morto e sepolto da tutti. E invece il suo partito ha tenuto botta, e lui ne esce ringalluzzito.
Ora niente sembra impedirgli la seconda candidatura alle presidenziali, nel 2024. Niente, o quasi. Già, perché molti democratici dubitano che sia una buona idea per lui ripresentarsi: compirà 80 anni il 20 novembre, e qualora vincesse, ne avrebbe 82 al momento del nuovo giuramento.
A spingere per un suo passo indietro sono Obama e Clinton, per una volta d’accordo su qualcosa: “Sleepy Joe” va convinto ad andare in pensione, costi quel che costi, e lasciare il posto a qualcuno di più giovane e attrattivo.
I due ex presidenti si sono sbattuti molto in questa campagna elettorale: in particolare Obama, che ha fatto qualcosa come otto comizi in Pennsylvania durante la campagna elettorale. Lo stesso Bill Clinton tre giorni fa si è fatto vedere a sorpresa a New York, in un evento a sostegno della governatrice Kathy Hochul. Guarda caso, in entrambi gli Stati hanno vinto i democratici, e ora i due ex inquilini della Casa Bianca rivendicano il risultato.
Il problema è che è difficile far cambiare idea a Biden: il presidente la prossima settimana sarà al G20 di Bali, dove spera di accelerare i negoziati per un cessate il fuoco in Ucraina (magari entro Natale), e non sembra aver voglia di finire ai giardinetti. Ora, la prassi vuole che in caso di ricandidatura di un presidente uscente, non si tengano le primarie. È una forma di rispetto istituzionale, e una norma non scritta ma consolidata. Per questo Barack e Bill premono adesso: una volta fatto l’annuncio, sempre per ragioni istituzionali, non si può tornare indietro.
Chi invece sarà sicuramente alle prese con le primarie è il povero Trump: l’ex puzzone della Casa Bianca sperava di uscire galvanizzato da un risultato elettorale favorevole, e invece si ritrova con un partito di terracotta, sempre più fragile, e con i cocci in mano. Per questo ha mandato il suo fido Rudy Giuliani a ventilare per l’ennesima volta l’ipotesi di brogli. Spera di alimentare la tensione e scatenare il caos. Ma è evidente che, tranne qualche svalvolato di Qanon, la strategia non sta funzionando. Al contrario, fomenta l’elettorato moderato, che non a caso l’ha punito, sull’onda delle numerose inchieste su di lui e dell’assalto al marito di Nancy Pelosi, Paul, preso a martellate in casa sua dallo svalvolato David Depape. A furia di scherzare col fuoco, Trump rischia di finire bruciato.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
LA RIVELAZIONE DI UN CONSIGLIERE DELL’EX PRESIDENTE ALLA CNN
L’ex presidente Usa Donald Trump sarebbe “furioso” per i risultati che i suoi candidati stanno ottenendo alle elezioni di Midterm.
Lo ha rivelato alla Cnn un consigliere del tycoon, secondo il quale da ieri sera Trump «è livido e urla contro tutto e tutti». Ciò non dovrebbe comunque modificare i piani dell’ex presidente, ha precisato la fonte. Trump ha lasciato intendere nei giorni scorsi di essere pronto ad annunciare martedì prossimo la sua ricandidatura alle elezioni del 2024. Ma ad aumentare il nervosismo di The Donald potrebbe essere anche l’affermazione del rivale interno tra i Repubblicani Ron Desantis, in odore di candidatura alle presidenziali, che nella notte è stato riconfermato governatore della Florida, battendo nettamente lo sfidante Democratico Charlie Crist (59,4 contro 40% delle preferenze). Ufficialmente, Trump ostenta comunque ben altro umore. «174 vittorie e 9 sconfitte, una grande serata. I media fake news e i loro partner democratici stanno facendo il possibile per sminuirla. Ma è stato fatto un grande lavoro da parte di alcuni fantastici candidati», ha detto l’ex presidente commentando lo scrutinio, ancora in corso.
Secondo quanto riportato da Maggie Haberman, giornalista politica del New York Times, Trump sarebbe particolarmente infuriato per il risultato dei Repubblicani in Pennsylvania, dove il repubblicano Mehmet Oz è stato battuto dal democratico John Fetterman.
L’ex presidente statunitense, secondo fonti a lui vicine, starebbe incolpando i consiglieri che l’hanno convinto a sostenere Oz, inclusa sua moglie, descrivendo la scelta come una delle decisioni non migliori tra quelle prese.
Inoltre, l’entourage di Trump starebbe valutando se rimandare o meno l’annuncio previsto per il prossimo 15 novembre. Ma secondo secondo i consiglieri del tycoon, se Trump dovesse rimandare l’annuncio rischierebbe di apparire debole, riconoscendo implicitamente la mancata vittoria dei fronte repubblicano durante questa tornata elettorale.
(da agenzie)
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