Novembre 11th, 2022 Riccardo Fucile
L’ITALIA NON E’ IL PAESE EUROPEO CON PIU’ RIFUGIATI (SIAMO SOLO OTTAVI), NE’ QUELLO CHE ACCOGLIE PIU’ MIGRANTI (SIAMO SETTIMI)
I numeri dicono chiaramente che l’Italia non è il Paese con più rifugiati, né quello che accoglie più migranti. Da qualsiasi punto di vista. La narrazione tossica dei sovranisti, però, è tornata ad alimentare l’odio verso i disperati. E rischia di essere anche controproducente, come mostra il caso Francia.
Stop all’invasione. La retorica sovranista preferita sui migranti è tornata al centro del dibattito dell’opinione pubblica, con la solita percezione distorta del fenomeno.
I primi passi del governo Meloni sono stati chiari: guerra alle Ong, nessun rispetto dei diritti umani e narrazione tossica sugli sbarchi. Tutto per nascondere i veri problemi del Paese.
Il pugno duro del ministro Piantedosi, centinaia di persone in precarie condizioni di salute e psicologiche tenute in ostaggio sulle navi umanitarie al largo della Sicilia. Poi lo sbarco selettivo, la palese violazione delle regole internazionali e alla fine il via libera per tutti i migranti.
Ma quanto c’è di vero nella propaganda sovranista sugli sbarchi? Siamo davvero davanti a un’invasione? La risposta breve è no.
Per quella lunga servono un po’ di numeri.
Il primo dato da cui partire è quello assoluto: l’Italia non è – neanche lontanamente – il Paese europeo che ospita il maggior numero di rifugiati. I dati sono dell’Unhcr: la Germania ospita 1,49 milioni di rifugiati, la Francia 543mila, il Regno Unito 223mila, la Spagna 219mila e l’Italia 191mila.
Insomma, non c’è alcun tipo di disparità con gli altri Paesi europei. Anzi. Se è vero che l’Ue è deficitaria nella gestione comune dei migranti non è certo l’Italia il Paese più penalizzato dall’assenza di una politica comunitaria.
Il numero assoluto, però, non basta. Secondo l’analisi dell’Ispi, ad esempio, non è vero che l’Italia è il Paese che accoglie più rifugiati, anche in base alla percentuale sulla popolazione.
Nel 2021, subito prima della guerra in Ucraina, il Paese che aveva accolto di più era la Svezia con il 2,3% della popolazione, seguito da Germania (1,5%), Grecia (1,1%), Francia (0,7%), Danimarca (0,6%), Paesi Bassi (0,6%), Spagna (0,3%). L’Italia, per capirci, era ferma allo 0,2% della popolazione.
Lo stesso discorso vale per le richieste d’asilo, sempre secondo quanto riportato dall’Ispi: tra settembre 2020 e agosto 2022 ne sono state presentate un corrispettivo pari allo 0,16% rispetto alla popolazione italiana. In Grecia lo 0,42%, in Germania lo 0,36%, in Spagna lo 0,34%, in Francia lo 0,32%, nei Paesi Bassi lo 0,29%, in Svezia lo 0,24%.
Allora si penserà: certo, ma quali richieste d’asilo e rifugiati, qui sono tutti irregolari.
Non è vero neanche questo: il numero degli irregolari in Italia è stabile – e soprattutto allineato in percentuale, rispetto agli stranieri, ai numeri degli altri Paesi europei – da ormai dieci anni.
Continuano ad arrivare migranti irregolari, come succede negli altri Stati, ma il numero assoluto non aumenta perché in Italia non ci vogliono restare. E in qualche modo, alla fine, se ne vanno. Grazie anche a un sistema di integrazione totalmente inesistente.
Ora il punto è chiaro: ai sovranisti conviene continuare con la retorica dell’invasione, dell’islamizzazione dell’Italia e altre follie simili.
E soprattutto conviene battere il pugno dentro casa, puntando il dito contro l’Europa che – seppur con grandissime lacune e un meccanismo di redistribuzione che non ha mai funzionato – accoglie più dell’Italia stessa. Perché è estremamente semplice bloccare centinaia di persone in mare, fare la guerra alle navi umanitarie delle Ong e utilizzare gli esseri umani per trattare.
Ciò che si ottiene, alla fine, è che la Francia ha rinunciato a ospitare 3.500 rifugiati attualmente in Italia – aprendo anche un caso diplomatico – per far sbarcare la Ocean Viking, in cerca di un porto sicuro in giro per il Mediterraneo da giorni, dopo essere stata in sosta davanti alla Sicilia.
A bordo 234 persone, molti bambini, casi sanitari gravi, polmoniti. Il governo italiano ha rilanciato la sua propaganda, perdendo sonoramente sulla redistribuzione, ma ha tenuto trecento esseri umani in mare qualche giorno in più e ha vinto: sbarcheranno in Francia. Il bello è che i sovranisti se ne vanteranno sicuramente. È la solita narrazione tossica, che non porta risultati ma solo odio. Altro odio.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2022 Riccardo Fucile
MARK GALEOTTI: “MOSCA NON VUOLE LA PACE, MA SOLO TRASCINARE LA GUERRA PER LE LUNGHE PER EVITARE LA SCONFITTA TOTALE”
“Mosca non cerca nemmeno più di vincere”, ma la pace è lontana.
Perché “le posizioni delle due parti sono troppo distanti”. E la ritirata di Kherson “non è un passo verso una trattativa”. È solo “un modo per creare un linea difendibile”.
Mark Galeotti, tra i maggiori esperti della Russia e delle sue guerre, non crede che Vladimir Putin abbia lasciato la riva sinistra del Dnipro agli ucraini per aprire a un negoziato. Ha evitato la figuraccia in diretta lasciando che l’annuncio al Paese lo facessero il suo ministro della Difesa e il suo Capo di stato maggiore, mentre lui — il Comandante in capo — parlava su un altro canale Tv di come “minimizzare la minaccia della povertà per le famiglie russe”.
Ma la “manovra” o “riposizionamento” di Kherson — come è stato definito sui media di Stato russi — è una sconfitta bella e buona. Ora lo zar “cerca solo di prender tempo” sperando di evitare la sconfitta totale, dice Galeotti. Il suo ultimo libro, Putin’s War — From Chechnya to Ukraine (Osprey 2022), è uscito l’8 novembre. Fanpage.it ha raggiunto l’autore al telefono mentre si trova negli Usa per una serie di conferenze.
Professor Galeotti, perché Putin ha ordinato il ritiro da Kherson? Ci sono motivi diplomatici oltre che bellici?
Sono essenzialmente motivi bellici: era impossibile difendere Kherson dopo che i russi avevano perso gli altri territori sulla riva occidentale del fiume Dnipro. I generali di Putin chiedevano la ritirata da settimane. Si trattava soltanto di creare una linea difendibile.
A quale scopo, lanciare una nuova offensiva appena i soldati da poco mobilitati saranno operativi?
Forse. Ma Putin non cerca nemmeno più di vincere. Cerca solo di evitare la disfatta.
In che modo cerca di evitarla?
Vuole trascinare per le lunghe la guerra, sperando che Kyiv “venga a più miti consigli”. E, soprattutto, che l’Occidente perda di entusiasmo nel sostenere la lotta dell’Ucraina contro l’invasione da parte di Mosca.
Ma quindi Putin potrebbe volere un cessate il fuoco, per prender tempo?
Certamente qualche tipo di pausa nei combattimenti, o almeno un loro rallentamento, sarebbe utile alle forze armate russe. Se per un periodo non gli piovessero addosso i micidiali missili Himars, avrebbero modo di ricostruire le loro linee difensive. E questa però è proprio una delle ragioni per cui Kyiv difficilmente acconsentirà a un cessate il fuoco.
Mosca negli ultimi giorni si è dichiarata pronta a negoziare.
La narrativa del Cremlino è che la Russia vuol negoziare senza pre-condizioni, al contrario di Kyiv. Ma sono solo parole. La verità è che non c’è proprio niente da negoziare. Perché le posizioni dei belligeranti sono troppo lontane tra loro.
I negoziati però potrebbero iniziare tra Mosca e Washington, che poi è l’unica controparte che i russi hanno detto di voler accettare: è stata annunciata una ripresa dei colloqui sul controllo delle armi nucleari. Potrebbe essere l’inizio di un processo di pace?
Al momento non vedo alcuna prospettiva di colloqui significativi, nemmeno sulle armi nucleari. Che poi dai colloqui sul nucleare possa nascere qualcos’altro che porti verso un processo di pace, mi pare una pia illusione. La stessa visione la hanno alcuni diplomatici europei a Mosca, con i quali ho parlato nei giorni scorsi.
Ma parlando con ambienti vicini alla diplomazia russa si nota che c’è chi vorrebbe una soluzione pacifica.
C’è senz’altro un dibattito a Mosca. Le “colombe” hanno meno voce dei falchi ma ci sono e vorrebbero in tutti i modi qualche tipo di soluzione. E cercano di convincere i duri e puri del regime per far uscire la Russia da questa situazione. Ma non vengono ascoltati.
Ci sono contatti più o meno segreti in corso tra russi e americani?
Gli unici contatti sono tra gli alti comandi militari e gli advisor per la Sicurezza nazionale, gli uomini di Jack Sullivan da una parte e quelli di Nicolai Patrushev dall’altra. E anche il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha parlato al telefono con il suo omologo Usa. Ma la discussione è stata in gran parte dedicata alle squallide accuse del Cremlino a Kyiv riguardo a una ipotetica intenzione di Kyiv di usare una “bomba sporca” nel conflitto e dare la cola a Mosca per la conseguente contaminazione radioattiva. Senz’altro, nei successivi colloqui tra i capi militari russi e americani sullo stesso soggetto — la “bomba sporca” — si è andati anche oltre. Ma non si tratta di veri e proprie trattative con un obbiettivo diplomatico. Solo di chiarimenti riguardo a situazione belliche. Nondimeno sono colloqui importanti. Non ne abbiamo altri, di diretti.
E contatti indiretti?
Ci sono quelli indiretti. E questi sono colloqui diplomatici, non militari. Il Paese che sta facendo di più in questo senso è la Turchia. Sta facendo da “cassetta postale” per far arrivare messaggi a Mosca, a Kyiv e a Washington. Ma tutto questo è davvero poca cosa. Paurosamente poca cosa.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2022 Riccardo Fucile
“ANDREMO AVANTI NEL NOSTRO SOSTEGNO FINO A QUANDO L’ITALIA TERRÀ FEDE ALLA SUA RESPONSABILITÀ PER L’ACCOGLIENZA”… MORALE DELLA FAVA: CARI MELONI E SALVINI, SMETTETE DI FARE I BULLETTI OPPURE VI SDERENIAMO SU ALTRI DOSSIER CRUCIALI, COME PNRR, PRICE CAP E MANOVRA
“Continueremo ad attenerci al Meccanismo di Solidarietà nei confronti del Paesi che permettono l’approdo di migranti salvati in mare. Questo vale espressamente anche per l’Italia, che ha permesso lo sbarco di tre navi. Andremo avanti nel nostro sostegno fino a quando l’Italia terrà fede alla sua responsabilità per l’accoglienza dei migranti salvati dal mare”. Lo ha detto un portavoce del ministero dell’Interno tedesco all’ANSA rispondendo a una domanda su se Berlino intenda seguire l’appello di Parigi a non rispettare gli impegni europei sulla solidarietà.
“Siamo disposti ad accogliere fino a 80 migranti” dell’Ocean Viking “nell’ambito del meccanismo di solidarietà”. Lo ha confermato un portavoce del ministero dell’Interno tedesco all’ANSA dopo che stanotte la cifra era stata fatta dal ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin.
“Per fare progressi sostenibili abbiamo bisogno di procedere con determinazione in Europa nel contesto della riforma del sistema comune di asilo. Il meccanismo di solidarietà concordato nel giugno 2022, con il quale i diversi Stati si impegnano in diversa misura ad alleggerire il carico dei Paesi di frontiera del Sud, è in questo senso un primo passo molto importante. La Germania accoglie in questo contesto 3.500 migranti”. È quello che ha risposto all’ANSA il portavoce del ministero dell’Interno tedesco alla domanda se Berlino intenda seguire l’appello di Parigi a non attenersi più al meccanismo di solidarietà.
“L’Italia fa tanto in termini di migrazione ma non è da sola: 154.385 richiedenti asilo in Germania nel periodo gen-set 2022, 110.055 in Francia, 48.935 in Italia. Sono rispettivamente lo 0,186% della popolazione tedesca, lo 0,163% della popolazione francese e lo 0,083% della popolazione italiana”. Lo scrive su Twitter l’ambasciatore tedesco a Roma Viktor Elbling.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2022 Riccardo Fucile
LA REGINA DELLA GARBATELLA NON RIESCE A FERMARE NÉ A GESTIRE IL SUO VICEPREMIER … L’ULTIMO AVVISO DI MATTARELLA ALL’ARMATA DEI MELONI MARCI: CARA GIORGIA, IO CERCHERÒ DI METTERCI UNA PEZZA AL VOSTRO SGARBO IDIOTA A UN ALLEATO EUROPEO, MA SE DOMANI A MATTEO SALVINI PARTISSE UN ALTRO EMBOLO, IO VI LASCIO AL VOSTRO MISERO DESTINO
Da ieri, una stressatissima Giorgia Meloni ha raddoppiato il numero
di sigarette. Il gravissimo scontro (poco) diplomatico con la Francia sui migranti delle navi Ong, mentre ci sono in ballo problemi decisivi per il paese come Price Cap e Patto di stabilità, ha gettato il nascituro governo in una bolgia politica infernale.
Anche perché, nella conferenza stampa di stamattina, anziché adottare la democristiana tecnica del conte zio dei “Promessi Sposi” (“sopire e troncare”), la Ducetta ha ingranato la marcia dell’Orgoglio Coatto: “Quando si parla di ritorsioni in un dinamica Ue qualcosa non funziona. Sono rimasta molto colpita dalla reazione aggressiva del governo francese, incomprensibile e ingiustificabile”.
Immediata è stata la reazione di Parigi. La segretaria di Stato francese agli Affari Ue Laurence Boone a France Info. ha ricordato che Roma “si era impegnata nel meccanismo di solidarietà Ue” e che “i trattati si applicano al di là della vita di un governo, altrimenti se dovessimo cambiare ogni volta le regole sarebbe insostenibile.
Il governo italiano attuale – ha continuato – non ha rispettato il meccanismo per il quale si era impegnato e si è rotta la fiducia. Credo lo si possa dire, perché c’è stata una decisione unilaterale che ha messo vite in pericolo e che, del resto, non è conforme al diritto internazionale”.
Le reazioni francesi possono essere ritenute ‘’esagerate” e “prepotenti” solo da chi non ha presente il quadro politico in cui si dibatte Macron, tra la destra di Marine Le Pen e la sinistra di Melenchon, che sulla questione si sono immediatamente catapultati azzannando il collo del maritino di Brigitte.
Non solo: ‘’C’è un giallo tutto da capire nella dinamica che ha portato alla crisi diplomatica con Parigi di queste ultime 24 ore”, scrive acutamente Simone Canettieri su “Il Foglio”. “Bisogna fare un passo indietro e tornare a lunedì, Sharm el-Sheikh, Egitto. Fra i vari bilaterali alla Cop27, la premier incontra per una manciata di minuti Emmanuel Macron.
“La notizia non viene fatta trapelare subito da Palazzo Chigi, ma viene diffusa il giorno dopo, martedì. Secondo la ricostruzione italiana, il presidente francese nel corso del faccia a faccia avrebbe dato una disponibilità di massima a fare sbarcare in Francia i profughi soccorsi dalla Ocean Viking.
E oggi – durante la conferenza stampa per presentare il decreto Aiuti, in cui la premier accetta solo 4 domande prima di andarsene – Meloni non chiarisce questo punto, che resta centrale. Quello che si sa è che martedì scorso la vicenda ha subito un’accelerazione”.
Continua Canettieri in modalità Sherlock Holmes: “Bisogna controllare bene l’orologio. Alle 15.30 un lancio dell’agenzia Ansa, battuto da Parigi, dà questa notizia: “La Francia aprirà il porto di Marsiglia alla Ocean Viking nella notte fra mercoledì e giovedì, dipenderà da quando lascerà il sud del Mediterraneo”.
La nave della Ong Sos Méditerranée nel frattempo si trova a Catania. Ad affermare questa svolta è una fonte del ministero dell’Interno francese. Attenzione: passa un’ora e dieci e subito Matteo Salvini commenta: “La Francia apre il porto? Bene così, l’aria è cambiata”. Intanto Giorgia Meloni è tornata in Italia, ma rimane in silenzio.
“E lo fa fino alle 21.03 con una nota in cui esprime “il nostro sentito apprezzamento per la decisione della Francia di condividere la responsabilità dell’emergenza migratoria fino a oggi sulle spalle dell’Italia e di pochi altri stati del Mediterraneo, aprendo i porti alla nave Ocean Viking…. C’è dunque un buco di otto ore tra la notizia dell’apertura dei porti francesi e il commento di Meloni. Prima però c’è Matteo Salvini che si intesta l’operazione”, conclude l’articolo de “Il Foglio”
E qui torniamo al solito punto dolente: quanto tempo impiegherà Matteo Salvini ad affondare anche il governo Meloni? Se non si può addebitare al 100 per cento il misfatto alla Regina della Garbatella, va anche detto che “Il presidente del Consiglio” non riesce a fermare né a gestire il suo tonitruante vicepremier. Non ce la fa, la poverina, a mettere in chiaro in Consiglio dei Ministri che tutti i provvedimenti del governo, comunicazione in primis, saranno gestiti da Palazzo Chigi anziché dal ministro delle Infrastrutture, tale Salvini Matteo.
Ora la patata bollente Macron-Meloni è finita nelle solite e solide mani di Sergione Mattarella, in missione in Olanda per riuscire a rabbonire con i suoi modi democristiani il leader dei paesi “frugali” (ieri gran cena con il premier Rutte) su price cap e patto di stabilità.
Tornerà a casa stasera e domani la Mummia Sicula si metterà in contatto con Macron per rimpannucciare la tela strappata, come già successo all’epoca dello sgarbo del vicepremier Di Maio in gita turistica con Di Battista per solidarizzare con i Gilet Gialli anti-Macron.
L’ultimo avviso che ora manda il Quirinale all’Armata dei Meloni Marci: Cara Giorgia, ora io cercherò di metterci una pezza allo sgarbo idiota che avete fatto con un alleato europeo, ma se domani a Salvini, o chi per lui, partisse un altro embolo, io vi lascio al vostro misero destino….
(da Dagoreport)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2022 Riccardo Fucile
E QUALCUNO SI STUPISCE? E’ UNA VITA CHE FANNO MARCHETTE E EVASORI E BENESTANTI
La revisione del Superbonus stabilita nel Dl Aiuti Quater varato ieri dal governo Meloni ha provocato aspre critiche da parte dell’Ance, l’associazione di categoria dei costruttori edili.
Le modifiche annunciate dall’esecutivo prevedono una rimodulazione al 90% dell’incentivo per i lavori di ristrutturazione nei condomini a partire dal 2023, ma anche un restringimento del perimetro di applicabilità ai soli proprietari di prima casa al di sotto di un tetto reddituale: quello dei 15mila euro annui.
La riduzione del credito riguarderà inoltre in parte anche i lavori già partiti: l’abbassamento della soglia dal 110 al 90% riguarderà infatti anche chi ha già approvato e sta eseguendo i lavori, ma senza aver ancora raggiunto la soglia del 30%. Una sorta di effetto retroattivo mal digerita dai costruttori.
Pur «consapevole della necessità del governo di tenere sotto controllo la spesa, cambiare le regole in quindici giorni significa penalizzare soprattutto i condomini partiti per ultimi», ovvero quelli che «hanno avuto bisogno di tempi più lunghi e di vedere interamente coperti finanziariamente gli interventi», ha lamentato Federica Brancaccio, presidente dell’Ance.
Il riferimento, ha chiarito Brancaccio, è alle strutture delle «periferie e delle fasce meno abbienti».
Nella conferenza stampa tenuta questa mattina a Palazzo Chigi sulle misure del Dl Aiuti Quater, la premier Giorgia Meloni aveva rivendicato le decisioni del suo esecutivo: «Questa misura nasceva per aiutare l’economia, ma il modo in cui è stata realizzata ha creato molti problemi – ha precisato Meloni – La copertura al 110% ha deresponsabilizzato chi la usava e ha portato a una distorsione del mercato”
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2022 Riccardo Fucile
LA SFIDA ESTERNA DI SCHLEIN, I MOVIMENTI DI NARDELLA E IL RITARDO NELLA CANDIDATURA DI BONACCINI
Tre nomi si fanno largo per il Nazareno al tramonto della segreteria
di Enrico Letta.
Il più ingombrante, quello di Stefano Bonaccini, fa parlare di sé nonostante si trovi dall’altro lato dell’oceano per una missione istituzionale.
Poi c’è la “coraggiosa” dell’Emilia-Romagna, Elly Schlein, la più a sinistra tra i papabili, non ha in tasca la tessera del Pd e questo ha fatto storcere il naso ai vecchi pontieri.
Infine, tra i sindaci papabili per scalare la segreteria, Dario Nardella ha staccato tutti gli altri.
La forza di Schlein
Nelle scorse settimane, Letta sembrava puntare molto sulla 37enne, nata politicamente nel 2013 con il movimento Occupy Pd – in dissenso contro i 101 franchi tiratori – e coltivata nella scuola bolognese di Romano Prodi. Poi, negli ultimi giorni, pare che Letta abbia virato sul nome di Nardella. La forza di Schlein per la segreteria? Va bene, è giovane e donna – e il Nazareno, si sa, ha disperato bisogno di mandare segnali di cambiamento -, ma la sua vera fortuna «è la mancanza di alternative». A dirlo è un dirigente del partito che crede ancora in uno spostamento a sinistra e in un dialogo con il Movimento 5 stelle.
La sinistra – afferma la fonte – non ragiona per correnti, ma per aree: è convinto che Orlando, Bettini, Zingaretti, coinvolgendo anche Franceschini, riusciranno a imporre la loro linea. È la sinistra che si oppone a Bonaccini e che ha faticato a trovare un nome da contrapporgli nella sfida per il Nazareno.
L’ex ministro Andrea Orlando, in un primo momento, aveva pensato davvero di potersi candidare segretario. Persino la sua corrente, Dems, non si è dimostrata compatta nel sostenerne la candidatura. E allora si è pensato al nome di Giuseppe Provenzano, ma quando si è capito che non avrebbe avuto chance contro il candidato “riformista”, la carta dell’attuale vicesegretario siculo è stato accantonata. Schlein, nonostante sia considerata estranea alle dinamiche di gestione del partito e del potere – il che la rende poco governabile dalle vecchie volpi nazarene – è, ad oggi, il male minore per la sinistra interna al Pd
I dubbi di Bonaccini
Da candidato segretario, Bonaccini dovrebbe alzare i toni dello scontro con il centrodestra. Giustificazioni che circolano negli ambienti emiliano-romagnoli? Forse. Chi non ne condivide la candidatura, invece, segnala altri tipi di problematiche. C’è chi ritiene che Bonaccini abbia fatto un calcolo numerico: non sarebbe ancora sicuro di vincere la sfida per la segreteria, gli mancherebbero appoggi al Sud. Solo Antonio Decaro lo sosterrebbe, ma nella stessa Puglia non avrebbe l’appoggio di Michele Emiliano, i voti dei siciliani sarebbe in gran parte a disposizione della corrente di Dario Franceschini e Vincenzo De Luca, in Campania, non ha mostrato entusiasmo per l’investitura dell’emiliano. Altri ritengono invece che il ragionamento di Bonaccini potrebbe essere un altro: conviene diventare segretario del Pd, oggi, con il rischio concreto di andare male alle Europee del 2024 – il trend dei consensi continua a essere favorevole al centrodestra – e correre il pericolo di doversi dimettere prima di competere alle nuove elezioni nazionali?
Da Firenze a Roma
Il Nazareno, d’altronde, cambia segretario ogni paio di anni. La stagione giusta, per alternanza tra destra e sinistra, potrebbe arrivare al giro successivo al prossimo. Non si porrebbe questi problemi Nardella, lanciatissimo per fare il salto dal territorio al Nazionale. Stessa parabola dell’ei fu sindaco di Firenze Matteo Renzi, ma in una corrente opposta. Dopo la rottura con Luca Lotti e la sua Base riformista, Nardella avrebbe stretto un sodalizio con AreaDem di Franceschini. L’ex ministro della Cultura, in un primo momento, ha portato le ragioni di Nardella a Roma. Tuttavia, a un certo punto della trattativa, si sarebbe convinto a supportare Schlein, in un dialogo costante con la cricca romana. In un’eventuale segreteria spostata a sinistra, Franceschini si vorrebbe porre come componente centrista del nuovo corso.
E Le trattative interne assumono la forma di una fisarmonica: Letta prima avrebbe aperto su Schlein, poi avrebbe chiuso alla “coraggiosa” per riaprirsi a Nardella, mentre Franceschini, prima sostenitore del sindaco di Firenze, avrebbe mostrato ultimamente una certa elasticità su Schlein. Ieri, l’ex ministro della Cultura ha riunito in un incontro riservato a Roma gli esponenti di AreaDem per tastare gli umori. La sua corrente, riferiscono a Open, è spaccata: c’è una parte cospicua che ormai scorre per Nardella, un’altra – soprattutto nelle regioni del Nord, che guarda al candidato riformista, mentre il leader Franceschini spinge per Schlein.
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2022 Riccardo Fucile
“NON HO MAI CREDUTO ALLE TRAIETTORIE INDIVIDUALI, SERVONO PROCESSI COLLETTIVI”
Resterà deluso chi si aspettava una autocandidatura di Elly Schlein alla segreteria del Partito democratico. Non c’è stata, o meglio, la deputata ha preferito parlare di «adesione a questo percorso costituente – del Nazareno – per portare un contributo di proposte e visioni. Non da sola, ma con chi, dentro e fuori dal Pd, ha condiviso queste riflessioni. Non ho mai creduto che le traiettorie individuali potessero cambiare le cose, servono processi collettivi».
Tradotto: la deputata eletta nella lista Pd-Italia democratica e progressista ha preferito impostare la sua partecipazione al congresso – che culminerà con la successione a Enrico Letta – sul piano del contributo a una fase di discussione. Fase prodromica all’investitura dei candidati: Schlein non ha confermato di essere nella rosa, ma non ha nemmeno escluso a priori l’ipotesi.
Ha voluto smentire, però, che il suo nome sia al centro di trattative tra correnti: «Tra le ricostruzioni di queste settimane, alcune mi hanno fatto sorridere. Niente, questo Paese non ce la fa ancora a pensare che una donna possa farsi strada senza avere qualche uomo dietro che la spinge. Una cosa la voglio dire, non bastasse il mio percorso di questi anni, vorrei chiarire un punto: sono sopravvissuta in questi anni proprio per aver rifiutato le logiche di cooptazione. E non le accetterei di certo adesso».
Quella di Schlein non sarà un’adesione «a scatola a chiusa» al congresso. Tuttavia, invita i suoi follower a partecipare al processo di ricostruzione del campo progressista: «Se va bene, sarà l’occasione di un rinnovato slancio nell’appartenenza a una casa comune – e si è posta una domanda -. Riusciremo a liberare le migliori energie che ci sono nella comunità democratica, tra gli amministratori, i militanti e quello che c’è fuori, nei movimenti che abbiamo visto animare le piazze in questi anni?». Il fil rouge del suo discorso è di «tenere insieme una comunità plurale, senza rinunciare a una chiarezza di visione unitaria». Al Pd e a chi prenderà parte alla fase costituente ha chiesto «un chiarimento politico dei nodi che negli ultimi anni ci hanno diviso».
Altresì, Schlein ha detto di aver percepito molto positivamente l’apertura del processo costituente del Pd a realtà esterne al partito: «È un gesto non scontato, di generosità della sua comunità. E rimarca la consapevolezza che non serve solo una corsa a cambiare il gruppo dirigente, ma è necessario aprire una riflessione per proporre un nuovo modello».
E poi ha ripetuto l’invito a tutti a prendere parte alla ricostituzione dei Dem, a prescindere dalla propria appartenenza partitica e dal proprio impegno civico e politico: «Servono processi collettivi, plurali. Esploriamolo, partecipiamo a questo percorso. Si apre un’occasione nuova. Ripenso a quando tentammo di occupare il Pd. Allora non c’è stata l’apertura e l’intelligenza di fare autocritica. Adesso abbiamo di nuovo un’opportunità». Ancora: «Se si apre un’opportunità di questo tipo che facciamo, stiamo a guardare? Io dico di no. E lo dico a tutti coloro che si sono impegnati in questi anni per costruire un campo progressista, ecologista e femminista. Non si può prescindere dal dialogo con i democratici».
Poi, chiarendo la sua posizione nei confronti dei vertici del Nazareno, ha aggiunto: «Non è una sfida che si risolve con cambi di testa della classe dirigente, serve una cosa più profonda».
Schlein ha spiegato il motivo del suo silenzio, nonostante il suo nome circoli da settimane come possibile segretaria per il dopo Letta: «Ho preferito non alimentare un dibattito che è molto, troppo schiacciato sui nomi. Il tema ora è capire come superiamo quelle contraddizioni, quei tatticismi, quei personalismi che purtroppo affollano il nostro campo?».
Nel corso della diretta Instagram, durata circa venti minuti, Schlein ha voluto attaccare apertamente anche il governo Meloni: «Si è insediato e ha iniziato subito una serie di passi falsi, dannosi, mentre mancano risposte per le persone che si sono impoverite durante la pandemia. Ci sono tre grandi buchi nella centrodestra: le disuguaglianze, il lavoro precario e povero e l’emergenza climatica», ha rimarcato.
«La destra non parla mai di precarietà perché le sta bene così. Però, questo impone a noi di fare una battaglia». Schlein ha incalzato l’esecutivo sul tema migrazioni: «Siamo tornati a vedere la criminalizzazione più becera della solidarietà. Il governo ha violato il diritto internazionale e i diritti fondamentali delle persone a Catania. La battaglia per la solidarietà non si fa sulla pelle delle persone, ma nelle istituzioni europee per cambiare il regolamento di Dublino, che è sbagliato».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2022 Riccardo Fucile
RITRATTO DEL MINISTRO DEGLI INTERNI
Il soprannome se lo scelse da solo, “il lupo”, perché “è il nostro
animale totemico – spiegò – e lupi sono i calciatori del mio amato Avellino”. Era solo un prefetto, lupo d’ufficio e dunque solitario, e certo non immaginava che, non appena entrato in fabula politica, il lupus Piantedosi, avellinese nato a Napoli 59 anni fa, sarebbe diventato il simbolo del “branco Meloni” e della nuova ferocia italiana.
Proprio lui, che di famiglia apparterebbe alla Democrazia cristiana più mite e, ancora adesso, nella piccolissima Cervinara, frazione di Pietrastornina, è raccontato come ” il figlio di Mario”, “il preside”, reliquia di un mondo perduto, che insegnava tutto a tutti, è vero, ma con dolci consigli e dotti ammonimenti: “È l’Irpinia dove torno alle origini e torno alla bellezza” ha raccontato, una tantum, il nostro lupo, a una cronista locale.
E dunque a Cervinara, la città della castagna bionda e del castello rifugio dagli assalti dei briganti, nessuno ora capisce il “romanzo di formazione di un lupo”, per quali oscure vie Matteo Piantedosi sia arrivato a caracollare impettito in testa al branco, più a destra della destra, protagonista a sorpresa di un autoritarismo bon ton, di una violenza di governo che esordì subito spavalda alla Sapienza, quasi volesse marcare il territorio con un po’ di botte agli studenti che, illiberali come sempre sono stati e sempre saranno, non volevano far parlare Daniele Capezzone.
Cortese, e liberale nei modi, Piantedosi era il buon prefetto, sposato con una signora prefetto, Paola Berardino, esperta di Integrazione, mamma e cuoca di un’ambitissima “genovese” e famosa per “o rrau”, due figlie alla Luiss, scalatore dello Stelvio, ciclista dilettante e collezionista di bici da corsa, una foto con Gimondi sulla scrivania.
Piantedosi, che è stato vice e “allievo” della più stimata dei prefetti, Annamaria Cancellieri, sempre ti lasciava intendere di avere tenuto a bada Salvini ai tempi dei porti chiusi e dei decreti sicurezza varati dal governo Conte; la vita d’ufficio parlava per lui, in giacca e cravatta anche ad agosto e qualche volta pure la pochette, un’eleganza anti Papeete e, agli atti, una dichiarazione democratica: “Sento di potere affermare che non c’è nessun collegamento automatico tra terrorismo e immigrazione”. Ma fulminate è il giudizio che ne diede Mario Felicori, ex direttore della Reggia di Caserta e in passato direttore del dipartimento Economia e promozione del Comune di Bologna: “di lui si può dire che è il classico uomo di cui vuoi parlare bene e non riesci a spiegare mai la ragione”.
Era, per esempio, prefetto di Bologna quando fu assassinato Marco Biagi, al quale lo Stato aveva negato la scorta perché “era un rompicoglioni” disse il ministro Scajola.
Ed era prefetto di Roma quando la sede della Cgil fu assaltata dagli squadristi guidati da Fiore e Castellino che la polizia non tenne d’occhio. E fu Piantedosi che permise ai vincitori degli europei di sfilare per le vie di Roma in pieno lockdown per Covid… Insomma, Piantedosi era il colpevole al quale non si poteva rimproverare nulla o, se preferite, l’innocente al quale si poteva rimproverare tutto.
Ebbene, questo prefetto che con i giornalisti comunicava con gli emoticon e le faccine sorridenti, all’indomani della nomina a ministro degli Interni pareva Jack Nicholson che, nel film del 1994, “Wolf, la belva è fuori”, dopo essere stato morsicato da un lupo, diventa licantropo. Jack Nicholson delimita appunto il proprio territorio improvvisamente orinando sulle scarpe dell’avversario e il nostro Piantedosi, morsicato da Salvini, lo delimita manganellando gli studenti di sinistra.
Gianfranco Rotondi, che fu suo compagno di scuola (“non di classe”) al “Vincenzo Coletta”, che è la Eton dell’Irpinia, il liceo, per dirne quattro, di Carlo Muscetta e Dante Trosi, di Antonio Maccanico e Nicola Mancino ha raccontato a Carmelo Caruso del Foglio che “era dotato, non aveva mai fatto politica. In questo caso la sua dote, forse già preparando il futuro, stava nel non occuparsene”.
E invece adesso, molto meglio di Salvini, se l’è caricata tutta sulle spalle la ferocia della nuova Italia, esibendo, mi raccontano, la voluttà del funzionario d’antan.
È il modello di terrone che il vecchio Sud selezionava per Roma, del “servo sono”, servo persino del “razzismo gentile” e del “fascismo liberale” che ripudia le camicie nere, le carnevalate di Predappio e pure le salvinate di Capitan Salvini e si affida al ministro-prefetto.
Come Salvini sequestra in mare centinaia di disperati, ma è bravissimo a schivare le incriminazioni che bruciarono Salvini. Ha offerto persino la liberalità di far sbarcare malati e bambini, e mai ha esibito lo sguardo febbrile e la mimica da esagitato di Salvini che, nel luglio del 2018, voleva far sbarcare i disperati della Diciotti con le manette ai polsi
E però il lupo tradisce nel linguaggio, in quel famoso “carico residuale”, la disumanità del funzionario cieco e sordo, del “servo sono” appunto, interiorizzato sino al fanatismo, alla famelicità esibita contro il rave come un lupo di Esopo, dosata a Catania come un lupo di Fedro, mascherata con la cuffia della nonna contro i francesi come un lupo di Perrault.
E ovviamente sa, il funzionario, di alleggerire così le coscienze e le apparenze di tutto il branco, di Nordio e di Tajani, di Salvini e della Meloni: loro sono “i liberali” e lui è “il fascista” in questo pastrocchio liberal-fascista.
È lui il nemico di Macron, il lupo che dichiara guerra alla Francia: “la solidarietà europea viene solo sbandierata”, “l’Italia non potrà dare la propria adesione”… Eppure l’unica esibizione che ancora viene attribuita alla famiglia Piantedosi sono le passeggiate del padre Mario con Fiorentino Sullo, “il suo migliore amico”, grande avellinese , ex ministro democristiano della Pubblica Istruzione negli anni della contestazione, quello che riformò l’esame di maturità di Giovanni Gentile e aveva pure magnificamente riformato l’edilizia pubblica, ma i fascisti del Borghese riuscirono a fermarlo.
La loro efficace, orribile campagna stampa da macchina del fango, che arrivò a dargli dell’omosessuale perché non era sposato, fu diciamo così “stimolata” dai proprietari dei suoli che odiavano le regole edilizie proprio come oggi la Meloni odia le regole europee.
Allora, era il 1967, la Dc sostituì ai Lavori pubblici Sullo con Ciriaco De Mita, un altro irpino, che è un derivato di “hirpus” che vuole dire “lupo”. E ovviamente De Mita, che era dei “lupi raptores”, quelli che Virgilio nel secondo canto dell’Eneide dice “che ciechi spinge una fame furiosa”, si sbranò Sullo: homo homini lupus.
E andrebbe detto a Piantedosi che in quel Borghese, che ora sta nel Pantheon di Fratelli d’Italia, c’era il codice, sanguigno e appassionato, dell’estrema destra di sempre, con tutte le parole che oggi sono di nuovo spiritualizzate dalla lettera maiuscola: Italianità, Patria, Famiglia, Nazione, Sacrificio, Martiri. Piantedosi probabilmente neppure ci crede, ma è il loro lupo, e il lupo non è solo il simbolo dell’estrema destra che Traini aveva tatuato sulla testa. Il lupo è Salvini che insegna a Salvini a fare il Salvini perché, come scrisse Konrad Lorenz “sempre negli occhi del lupo brilla l’innocenza”.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2022 Riccardo Fucile
IL PASTICCIACCIO BRUTTO CON I FRANCESI È LA PROVA DI CIÒ CHE NON FUNZIONA IN QUESTA MAGGIORANZA, DOVE C’È UN PARTITO CHE HA VINTO LE ELEZIONI E SI SFORZA DI MANTENERE UN BASSO PROFILO, E ALTRI DUE CHE INVECE USANO LA RIBALTA PER FARE PROPAGANDA
Il pasticciaccio brutto con i francesi è la prova di ciò che non funziona in questa maggioranza, dove c’è un partito che ha vinto le elezioni e si sforza, non sempre riuscendovi, di mantenere un basso profilo, e altri due che invece usano la ribalta per fare propaganda alla ricerca dei voti perduti.
Dopo l’accordo raggiunto con Macron per mandare in Francia una nave di migranti, il buonsenso avrebbe dovuto indurre i partiti di governo a ringraziare Parigi o, almeno, a incassare in silenzio quel che a loro appariva come un successo. Invece Lega e Forza Italia hanno esultato sotto le rispettive curve («L’aria è cambiata!», «La fermezza paga!») senza rendersi conto che ad ascoltarli non c’erano soltanto i sovranisti indigeni, ma quelli d’oltralpe.
Ora, a parole i sovranisti sono tutti fratelli, ma nei fatti ognuno pensa prima al proprio pollaio (il giorno in cui si trovassero contemporaneamente al potere, l’Europa tornerebbe alla Guerra dei Trent’ anni).
Vedendoli gonfiare il petto per il dirottamento della nave verso Tolone, la Le Pen si è compiaciuta in quanto amica dei sovranisti italiani, ma si è arrabbiata in quanto sovranista francese, innescando un meccanismo interno che ha portato i ministri di Macron a rovesciare addosso all’Italia quel disprezzo di cui i nostri cugini sono sempre ampiamente forniti.
Se vuole durare, la Meloni farà bene a prendere esempio dalla Nazionale di Bearzot del 1982, quando l’unico autorizzato a parlare era Zoff, un capitano decisamente più taciturno di Salvini .
Massimo Gramellini
(da il “Corriere della Sera”)
argomento: Politica | Commenta »