Novembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
I FASCISTI DEL TERZO MILLENNIO OCCUPANO ABUSIVAMENTE UN PALAZZO DI ROMA DAL 2003. LORO DICONO CHE DENTRO CI VIVONO PERSONE IN EMERGENZA ABITATIVA, MA SECONDO LA GUARDIA DI FINANZA NON È VERO. E LA CORTE DEI CONTI HA STABILITO CHE C’È UN DANNO ERARIALE DI 4,6 MILIONI DI EURO. EPPURE, IL PREFETTO NON HA MOSSO UN DITO
Sui social il pensiero corre subito a CasaPound quando si diffonde la notizia che il governo ha introdotto il divieto di invadere terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico. «Sembra scritto apposta per CasaPound. Ah no? », chiede Gianlorenzo M. su Twitter.
Oppure un altro utente: «Adesso potete finalmente sgomberare CasaPound. Cosa aspettate?». Sono decine i commenti di questo tipo apparsi sui social.
Decine di domande, battute, prese in giro, consigli non richiesti su quale dovrebbe essere il primo obiettivo del nuovo articolo contro i raduni pericolosi. L’ideale sarebbe parlarne anche con loro, gli esponenti del movimento politico di estrema destra che dal 2003 occupano un palazzo pubblico a pochi passi dalla stazione Termini a Roma.
Sessanta vani, almeno una ventina di appartamenti dove vivono amici e familiari dei militanti del movimento. Secondo CasaPound sono persone in emergenza abitativa, dalle verifiche della Guardia di Finanza, invece, gli occupanti risultano perfettamente in grado di mantenersi.
Secondo la Corte dei Conti il danno provocato all’Erario quattro anni fa ammontava a 4,6 milioni di euro. Quelli di CasaPound, però, evitano di rispondere.
Ieri sul palazzo occupato c’era uno striscione con la scritta “Il tempio è sacro perché non è in vendita”, per commemorare i 50 anni dalla morte del poeta Ezra Pound. Il palazzo di sicuro non è in vendita ma è fra quelli che andranno sgomberati.
La lista degli immobili di Roma dove si programmano interventi è stata aggiornata lo scorso aprile dal prefetto dell’epoca, Matteo Piantedosi, l’attuale ministro dell’Interno che ha deciso il divieto di invasione di terreni e edifici. Nella lista la sede di CasaPound è al decimo posto ma quest’ estate ci sono stati due sgomberi, dunque l’edificio occupato dal movimento di estrema destra è salito nella graduatoria, ora è al numero 8.
Nessuno sa quando effettivamente avverrà lo sgombero, si attendono istruzioni dal nuovo prefetto di Roma, Bruno Frattasi, nominato due giorni fa. Nell’elenco stilato ad aprile dalla prefettura si precisa soltanto che «lo sgombero sarà effettuato previe intese con l’autorità giudiziaria procedente».
A commentare il divieto anti raduni tra gli ambienti dell’estrema destra è Davide Di Stefano, espulso un anno fa dal movimento. Ora è in Exit insieme al fratello Simone, uscito anche lui da CasaPound dopo una lunga militanza: «Mi lascia perplesso, ha un’ottica troppo legalitaria, non mi sembra che sia un’emergenza da affrontare. Restringe ulteriormente degli spazi di opposizione».
(d agenzie)
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Novembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
IL FILOSOFO UMBERTO GALIMBERTI: “QUESTA COMPRESSIONE DELLA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE AVVIENE NELLO STESSO MOMENTO IN CUI SI LASCIANO SFILARE QUATTROMILA PERSONE A BRACCIA TESE DAVANTI ALLA CRIPTA DI MUSSOLINI”
«L’aggressività è la caratteristica di questa destra. Lo è di tutte le destre. Il problema è che quando si sceglie la linea dura, chiunque si sente autorizzato a seguire la propria idea di legge e ordine e le conseguenze possono essere spiacevoli».
Il professor Umberto Galimberti, filosofo, accademico e psicanalista, sdraia sul lettino del suo studio il nuovo esecutivo-tolleranza-zero. La diagnosi che ne ricava è inquietante. Non tanto per la destra. Quanto per il Paese. Il decreto-rave-party (con torquemadesca ipotesi di galera fino a sei anni) gli sembra il primo passo di un percorso chiamato: «fine della libertà, inizio della repressione».
Professore, qual è la logica del decreto rave-party?
«È quello di un esecutivo che deve ancora iniziare a governare, ma ha già cominciato a mandare messaggi forti ai suoi elettori. Vuole compiacerli».
Gli effetti di questa norma più che compiacere gli elettori di estrema destra rischiano di portare in galera un sacco di ragazzini inquieti.
«Viene da chiedersi perché si sia deciso di intervenire a proposito di ragazzi che mangiano, bevono, ascoltano musica ad alto volume e magari usano anche droghe e alcol, ma non si sia fatto niente per gli ultras dell’Inter».
La curva di San Siro svuotata per onorare la scomparsa del pregiudicato Vittorio Boicchi giustiziato dalla criminalità organizzata?
«Esatto. Tifosi arrivati da tutta Italia, che hanno pagato il biglietto, e magari hanno speso i soldi per un treno, costretti a rinunciare alla partita. Per casi come questi, curiosamente, il governo non ha immaginato nulla. A conferma che si vogliono punire gli assembramenti che hanno un sapore di sinistra».
Vale anche per gli scontri a La Sapienza?
«Vale anche per le università, o le scuole, dove non si potrà più fare la minima rivendicazione e neppure uno sciopero studentesco. E vale anche per i centri sociali. In queste condizioni è inutile parlare di libertà. Meglio parlare di repressione».
Il governo conculca le libertà. Non sta esagerando?
«Mi limito a constatare i fatti. I giovani non hanno più luoghi di ritrovo e di socializzazione. Sono spariti gli oratori, restano solo i bar e le strade. O, appunto, i centri sociali e le università. La storia va avanti anche grazie alla componente ribellistica che c’è nella gioventù, diversamente saremmo in un mondo immobile».
La ribellione può avere effetti antipatici.
«La ribellione può avere anche delle forme non gradevoli, ma certamente non punibili penalmente. Noto, per altro, che questa compressione della libertà d’espressione avviene nello stesso momento in cui si lasciano sfilare quattromila persone a braccia tese davanti alla cripta di Mussolini».
Il ministro Piantedosi, padre della norma sui rave, ha spiegato che quelle sfilate ci sono ogni anno.
«E che cosa vuole dire? Che questo alleggerisce la scena? Non è così. La rende ancora più grave. Se la si vuole considerare folclore allora bisogna considerare folclore anche i rave».
Sono folclore anche le sedi occupate da CasaPound?
«La domanda è retorica e suscita una riflessione: il governo non muove un dito contro chi sta dalla loro parte, mentre interviene contro quelli che vengono considerati degli sgangherati. Senza valutare che tra i partecipanti dei rave party c’è anche gente di totale buonsenso, come le operazioni di sgombero hanno dimostrato. Però sono assembramenti di sinistra e allora vengono considerati al di fuori del concetto di ordine (poliziesco). Cosa che non vale invece per Predappio».
Il presidente Meloni, nel suo primo discorso alla Camera, ha spiegato che protestare è sempre sano. Non sembrano le parole di un dittatore.
«Meloni ha fatto discorsi equilibrati per farsi accettare dalla comunità internazionale. Dalla Nato e dall’Europa. Ha parlato con Macron, ora vedrà Von der Leyen con la consapevolezza, suppongo, che senza l’Unione andiamo a gambe all’aria».
Ma?
«Ma con i suoi primi atti da Palazzo Chigi ha cominciato a picchiare duro, dando subito un’impronta di destra-destra. Prima con questa forma repressiva di cui abbiamo parlato, poi con la storia del contante che – è inutile nasconderlo – favorisce l’evasione. E ora arriviamo ai migranti».
In che modo?
«Meloni ha tolto il ministro dell’Interno a Salvini per consegnarlo al suo capo di gabinetto, Piantedosi. Poi ha assegnato le Infrastrutture, che comprendono anche i porti, al leader della Lega, quindi ha esonerato il ministro Musumeci dalla gestione delle coste affidandole a Salvini».
Morale?
«Sarà Salvini a gestire il problema immigrazione, usandolo al solito come carta per recuperare voti. Basta pensare a quello che sta succedendo in queste ore con le tre navi delle Ong bloccate al largo della Sicilia».
Legge e ordine. Si torna sempre lì.
«Ma ci si torna male. Perché quella di cui stiamo parlando non è un’emergenza, ma la storia che fa il suo corso. Siamo stati noi europei a colonizzare quei popoli, corrompendoli e svuotandoli delle loro ricchezze. A seguire sono arrivate la siccità, le guerre civili e ora anche il razionamento del grano a causa della guerra in Ucraina. Sono fatti strutturali. L’immigrazione è il vero evento forte della storia contemporanea».
Perché ci fa così paura?
«Parliamo del razzismo degli italiani?»
Razzismo?
«Razzismo. Ha presento la frase: io non sono razzista, però. Ecco io mi concentrerei sul però. Il sottotesto è che i neri arrivano per portarci via il lavoro e violentare le nostre donne (cosa che fanno anche gli italiani). Ma c’è un elemento inconscio che va molto al di là di questo».
E quale sarebbe?
«La consapevolezza che chi arriva è biologicamente più forte di noi. Pensi ai nigeriani. Per sbarcare in Italia attraversano deserti, affrontano campi di tortura, superano viaggi nei mari in tempesta. Li temiamo perché siamo più deboli di loro. Che per altro, a differenza nostra, continuano a generare».
Crede anche lei che il governo usi alcune parole come un’arma, o per lo meno come bandierine identitarie?
«Lo credo. Ma l’utilizzo di certi vocaboli non può che suscitare ilarità. Penso alla “sovranità” del ministero dell’agricoltura. Che significa? Che Carlin Petrini è un sovranista? Che dobbiamo smettere di comprare formaggio francese così loro smettono di comprare il nostro? Bisogna fare molta attenzione. Anche la parola Nazione mi fa venire da ridere».
Che cosa c’è che non va nella parola Nazione?
«La parola Paese è così bella. Nazione era in voga in epoca fascista e ora viene riproposta. Come Patriota. Attenzione però: se dicendo Nazione si fa riferimento alla nazionalità di un popolo è un conto, se si fa riferimento al suo nazionalismo è un altro. Se evocando la Nazione si allude a un luogo identitario si finisce per discriminare e per strizzare l’occhio a Orban e ai polacchi».
Se dico merito ride lo stesso?
«Se parliamo di merito prima delle scuole superiori certamente sì. Le basi di partenza non sono uguali per tutti. Non penso solo a un immigrato che va in prima elementare. Ma anche a un bambino di Quarto Oggiaro che non hai mai letto un libro. Fino alla terza media i ragazzi vanno tirati fuori. Non può esserci solamente la misura del profitto. Da lì in avanti il discorso cambia».
Tirarli fuori non significa educarli?
«La scuola al massimo istruisce. Non educa mai, per due motivi. Uno è oggettivo: con classi da 30 ragazzi non ce la si fa».
Il secondo?
«Soggettivo. Platone diceva che la mente non si apre se prima non si apre il cuore. Nella fase della preadolescenza i ragazzi hanno bisogno di comprensione e di empatia, per essere accompagnati dal momento pulsionale a quello emotivo. Per fare in modo che non confondano il corteggiamento con lo stupro o non prendano a calci un barbone in piazza Trilussa. Ma stiamo parlando di niente, visto che gli insegnanti non fanno neppure un esame di psicologia dell’età evolutiva».
Professore, che cosa diventa questo Paese tra un anno?
«Non lo so. Ma considerata la spaventosa povertà emergente io ho davvero molta paura».
La qualità del governo come le sembra?
«Bassissima. Undici li abbiamo già visti all’opera vent’ anni fa. Quelli davvero bravi, penso a Panetta, a Meloni hanno detto di no e questo dovrebbe farla riflettere. Giorgetti è un draghiano abbastanza capace, peccato che chini la testa ogni volta che Salvini alza il dito».
I sottosegretari?
«Parliamo di quel Bignami che si veste da nazista per fare festa e di quel Durigon che voleva sostituire il parco Falcone-Borsellino con il Parco Mussolini? Lasciamo perdere».
L’opposizione?
«Difficilmente sarà il problema di Meloni. Un’opposizione che per convertire se stessa e organizzare un Congresso ha bisogno di sei mesi, mi sembra uno scherzo. Sa quale sarà il problema di Giorgia Meloni?».
Quale?
«Matteo Salvini, che per carattere è uno sfascia-carrozze. Uno che piuttosto che al governo si troverebbe bene a un rave party».
(da Globalist)
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Novembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“DOPO ANNI DI LOTTE E DENUNCE, QUESTO E’ IL RINGRAZIAMENTO DELLO STATO”… AL MINISTERO DEGLI INTERNI DEVONO PENSARE AI RAVE-PARTY
Pino Masciari, imprenditore edile calabrese e uno dei primi e più importanti testimoni di giustizia contro la mafia, da tempo vive in Piemonte. Masciari ha pubblicato una nota in cui denuncia la revoca della scorta da parte del Prefetto di Torino. «Prendo atto e subisco dopo 25 anni di lotte e denunce la volontà di revocare la scorta a me e alla mia famiglia». Questa mattina in Commissione consiliare Legalità del Comune di Torino, Masciari ha chiesto che vengano depositati agli atti la notifica ricevuta dal Prefetto di Torino, le memorie presentate alla medesima Prefettura e la nota «affinché vengano acquisiti dalla stessa Commissione e siano testimonianza di quanto sta accadendo e della pubblica manifestazione di quanto ingiustamente sto subendo».
Annunciando di riservarsi «di impugnare il provvedimento all’atto della sua notifica, qualora la decisione definitivamente assunta non fosse idonea a garantire la mia sicurezza e quella della mia famiglia», Masciari, nella nota, aggiunge: «Io che ho offerto la mia vita e quella della mia famiglia allo Stato, in difesa dei principi costituzionali, contribuendo a sdoganare il sistema ordito dalla ‘ndrangheta e dalle sue collusioni con i poteri forti, radicato in tutti i livelli sociali e istituzionali, non posso ora essere considerato un peso e trattato come tale».
«Per questo dico basta – prosegue – preso atto, dunque, della volontà di revoca della scorta e subendo tale decisione, fortemente spinto dall’amarezza e dal dispiacere causato non solo da quest’ultima vicenda, ma logorato da 25 anni di deportazione e di incertezza del domani, sto meditando in maniera seria e ponderata di compiere il gesto di rientrare in Calabria, di riprendere la mia vita, di muovermi in autonomia ovunque io voglia, con la determinazione di chi ha sempre lottato a difesa della propria libertà», osserva ancora nella nota.
(da Globalist)
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Novembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“I COSTITUENTI LO EVITARONO PROPRIO PER MARCARE LA DISCONTINUITA'”
Stefano Ceccanti, professore ordinario di Diritto Pubblico Comparato presso l’Università di Roma “La Sapienza” in un’intervista all’AdnKronos ha messo in guardia sull’applicazione del dl sicurezza, in merito ai rave party e ai raduni non autorizzati.
“Non si sente alcun bisogno di una nuova norma contro i rave party perché è già sufficiente l’articolo 633 del codice penale. Rischia di consentire all’interpretazione margini eccessivi di intervento”. Nello specifico, sono due i termini assolutamente da evitare per il costituzionalista: “Ordine pubblico e il verbo può”, nel punto del decreto in cui si legge “…..quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumita’ pubblica o la salute pubblica….”. “Vanno usate le parole utilizzate nella Costituzione, non quelle che sono state evitate”.
Secondo Ceccanti, “l’espressione ‘può derivare un pericolo’ consente all’interpretazione margini eccessivi di intervento. Ed è assolutamente da evitare la dicitura ‘ordine pubblico’ che nell’articolo 17 della Costituzione non è volutamente utilizzata. La Costituzione – ricorda – parla solo di sicurezza o incolumità pubblica”.
La Corte costituzionale non ha più volte riconosciuto che ‘l’ordine pubblico materiale’ costituisce un limite desumibile dall’articolo 17 della Costituzione (sentenza 160-1976; 15-1973; 168-1971; 54-1961)? “La giurisprudenza non è cosi’ univoca: Parte della dottrina ha cercato di salvare la nozione pre-costituzionale del periodo fascista di ordine pubblico, cercando di ridurla al cosiddetto ordine pubblico ‘materiale’ (distinto da uno più ampio chiamato ideale) che coinciderebbe coi limiti dell’articolo 17 – risponde Ceccanti – Ma questa operazione non mi ha mai convinto. Se la Costituzione ha scelto di parlare di sicurezza o incolumità e non anche di ordine pubblico sarei per ripetere ove necessarie le parole della Costituzione e non usare termini ambigui, altrimenti si finiscono per ri-espandere i limiti alle libertà”
Il costituzionalista ricorda che tra l’altro “la nozione di ordine pubblico era non casualmente l’elemento chiave del testo unico fascista di pubblica sicurezza del 1931 dove ricorreva ben 23 volte. I costituenti lo evitarono quindi a giusta ragione per marcare la discontinuità di una moderna democrazia liberale. Finche’ ci si ferma ai limiti previsti dalla Costituzione, dunque solo a sicurezza e incolumità pubblica – rileva Ceccanti – si può infatti salvare anche il surreale raduno di Predappio, ma se si comincia erroneamente a ri-legittimare anche un più ampio limite di ordine pubblico andando oltre la Costituzione, e sia pure parlando solo di ordine pubblico materiale, a quel punto – conclude – porrebbe rientrarci anche Predappio”.
(da Globalist)
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Novembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
STRAPARLA DI LEGGE DEL MARE E NORME INTERNAZIONALI SENZA SAPERE DI COSA PARLA
“Qui dobbiamo ricordare che cos’è il diritto del mare, tante volte invocato a sproposito. Se tu incontri per caso in mare una barca in difficoltà, sei tenuto a salvare chi è a bordo. Ma se fai la spola tra le coste africane e l’Italia per traghettare migranti, violi apertamente il diritto del mare e la legislazione internazionale. Se poi una nave Ong batte bandiera, poniamo, tedesca, i casi sono due: o la Germania la riconosce e se ne fa carico o quella diventa una nave pirata”.
Giorgia Meloni risponde così a Bruno Vespa sulla questione immigrazione: si tratta di un passaggio del nuovo libro – in uscita il 4 novembre – firmato del giornalista e conduttore tv e intitolato “La grande tempesta””. Alla neopremier è dedicato un un intero capitolo.
LE COSE NON STANNO COSI’
1) Nessuno “traghetta” migranti, sono “imbarcazioni di salvataggio e recupero”, regolarmente registrate e utilizzate per lo scopo cui sono preposte, piaccia o meno ai razzistelli.
2) Le navi operano in acque internazionali, oltre le 12 miglia dalla costa come da legislatura vigente. Nessuno ha mai autorizzato la Libia ad autoarrogarsi il diritto di estenderle come cazzo pare a loro.
3) La legge del mare e quelle internazionali stabiliscono “L’OBBLIGO” di intervenire per porre in salvo barche in difficoltà, che siano mercantili o navi da crociera, a maggior ragione per quelle destinate “al recupero e al salvataggio”
4) Dice la Meloni: “Se poi una nave Ong batte bandiera, poniamo, tedesca, i casi sono due: o la Germania la riconosce e se ne fa carico o quella diventa una nave pirata”.
Altra cazzata: a) la Germania ha già riconosciuto la nave Ong con la sua bandiera, visto che l’ha registrata, non esiste nave pirata se non nei libri di Salgari . b) la Germania già contribuisce all’accoglienza dei migranti (oltre un milione di siriani senza fare polemiche del cazzo per poche decine di migliaia di migranti che arrivano sulle coste italiane).
E non devono sbarcare in Germania perchè LA LEGGE INTERNAZIONALE IMPONE DI SBARCARE NEL PORTO SICURO PIU’ VICINO (quindi Malta o Italia a seconda dei casi).
Vietato consegnarli alla marina libica in quanto la Libia è considerato “PORTO NON SICURO”.
La Meloni chieda a Piantedosi che era vice capo di gabinetto di Maroni quando la Corte di Giustizia europea ha condannato Maroni per aver “respinto” in Libia un barcone.
Volete vietare l’entrata delle due navi Ong nelle acque italiane? Fate pure, sarete denunciati come Salvini perchè non esiste un pericolo per la sicurezza .
E se trovate un magistrato con le palle, alla seconda volta, mandato di arresto per reiterazione del reato.
QUESTO DICE LA LEGGE
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Novembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“L’ESERCITO RUSSO È IN FORTE DIFFICOLTÀ. UNO DEI MIEI CONTATTI MI HA PARLATO DI PERDITE STIMATE A CIRCA L’80% DEI SOLDATI” … “GIRA MOLTO ALCOOL E I DIRIGENTI MILITARI NON SEGUONO NEANCHE LE OPERAZIONI”
«Forse è meglio quella panchina lì in fondo». Si guarda in giro con aria sospetta, Alexander Zlodeev, mentre cammina nel parco di Parigi scelto per l’intervista. Un senso di diffidenza e di preoccupazione che trapela anche mentre parla del suo passato, di quando combatteva con i russi nel Donbass e, soprattutto, del periodo in cui lavorava per il Gruppo Wagner, detto anche l’Orchestra, la compagnia privata di mercenari considerata il braccio armato non ufficiale del Cremlino.
Oggi, però, Alexander è un oppositore del presidente Vladimir Putin. Dopo aver militato nel suo Paese come dissidente, il 53enne russo, che si definisce «slavofilo» e «nazionalista», è scappato in Francia, dove vivono anche i suoi figli, e ha chiesto l’asilo politico. Ma nonostante la fuga, Alexander si sente in «pericolo di vita» e teme «ritorsioni».
Come è entrato nel Gruppo Wagner?
«Sono stato notato a Lugansk, nel Donbass. Hanno visto che ero un buon combattente, così nel 2015 mi hanno inviato nel villaggio di Molkin, in una struttura del ministero della Difesa russo. Sono rimasto nella compagnia fino al 2017, con incarichi di ufficio».
Si parla spesso dei crimini di guerra commessi dai mercenari russi, la maggior parte delle volte sui civili.
«Quando ne facevo parte io, i soldati si concentravano esclusivamente sul conflitto. Le popolazioni locali non li vedevano nemmeno. È un gruppo con regole molto rigide e sono i più anziani che le fanno rispettare. Ricordo che se qualcuno era trovato ubriaco o intento a scattare delle foto veniva picchiato e buttato dentro dei container speciali utilizzati come prigioni. Lì dentro si poteva rimanere anche per diversi giorni senza cibo e acqua. Episodi simili avvenivano di rado perché erano tutti mercenari professionisti e accettavano questa disciplina. Certo, in Ucraina le cose potrebbero essere cambiate, vista la situazione».
Perché ne è uscito?
«Non ero d’accordo con alcune scelte logistiche che mettevano in pericolo la vita dei militari impegnati in Siria. I comandanti mandavano gli uomini a combattere contro l’Isis senza utilizzare prima l’aviazione e l’artiglieria per bombardare le postazioni dei terroristi. Per questo molti soldati morivano inutilmente».
Come giudica l’aggressione russa all’Ucraina?
«Son stato contrario fin dal primo giorno perché si parla di due popoli fratelli in conflitto tra di loro. Sono attivo sui social, ho organizzato marce di protesta contro il presidente Putin. Ma in Russia è difficile far aprire gli occhi alla gente attraverso Internet, vista la massiccia propaganda che viene fatta in televisione».
E non ha mai avuto problemi?
«Ho sempre lavorato in incognito, spostandomi in continuazione all’interno del mio Paese per far perdere le tracce. Senza queste accortezze, sarei già finito in prigione o, peggio ancora, ucciso».
Come vede il futuro di questa crisi?
«La Russia non vincerà mai perché questa non è la nostra guerra».
Lei è rimasto in contatto con alcuni ex compagni oggi impegnati in Ucraina. Che informazioni le arrivano?
«L’esercito russo è in forte difficoltà. Uno dei miei contatti mi ha parlato di pesanti perdite, stimate a circa l’80% dei soldati».
La stupisce?
«Per niente. Già quando ero in Siria avevo notato la gestione disastrosa delle forze armate. Gira molto alcool tra i soldati, e i dirigenti militari si disinteressano completamente delle truppe. Non seguono nemmeno le operazioni. La Wagner è un’altra storia: si tratta di un gruppo speciale con una lunga esperienza in diversi angoli del mondo come la Libia, il Sudan o la Cecenia».
Ma anche loro stanno affrontando dei problemi. Si parla di detenuti malati di Hiv o epatite reclutati nelle prigioni russe. Come è possibile che una forza così preparata possa far affidamento a persone simili?
«Quella è carne da macello, utilizzata come scudo umano. I combattenti professionisti non entrano mai in contatto con loro, ma li mandano in prima linea per testare le forze ucraine. Sono utilizzati per vedere come reagisce il nemico, dove è posizionato e quale è il suo modo di combattere».
Quale è lo stato d’animo dei membri del Gruppo Wagner in Ucraina?
«C’è chi non ne può più, ma non possono certo rifiutarsi di combattere. Da quello che so, però, molti spingono per cambiare teatro, chiedendo trasferimenti in alcuni Paesi africani dove la milizia è attiva, come il Mali o la Repubblica centrafricana».
Ha mai conosciuto il fondatore del gruppo, Yevgeniy Prigozhin? Secondo il Washington Post si sarebbe lamentato con Putin per la gestione della guerra.
«Sono entrato in contatto con lui quando ero in Siria. Francamente mi sembra impossibile. Stiamo parlando del cane da guardia del presidente russo, non si permetterebbe mai di andargli contro. Prigozhin oggi è lì perché ce lo ha messo Putin».
Si è pentito di aver fatto parte del Gruppo Wagner?
«No, perché lì ho conosciuto dei veri amici e degli ottimi soldati. Rimpiango però il fatto di essere entrato nel Donbass con un mitra in mano». –
(da La Stampa)
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Novembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“HA DUE CRITICITÀ, LA PENA SPROPOSITATA E LA GENERICITÀ DELL’ARTICOLO 5. IN PARLAMENTO VERRANNO PRESENTATI EMENDAMENTI, SEMPRE CHE NON LO FACCIA IL GOVERNO”
Quella sui rave “ha due criticità. La norma va corretta ma non vedo che questo comporti una questione di crisi politica” .
Lo ha detto il vicepresidente della Camera di Fi, Giorgio Mulè a Metropolis annunciando che “in Parlamento verranno presentati emendamenti, sempre che non lo faccia il governo”.
Per Mulè le criticità riguardano la “pena spropositata e la genericità dell’articolo 5: su questo bisogna intervenire. E’ giusto perseguire ma non si possono fare le intercettazioni preventive” ribadisce secondo il quale esistevano anche le condizioni di necessità e urgenza per procedere per decreto.
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
LA MORAL SUASION DI BEPPE SALA SUL PD: CONVERGERE SULLA MORATTI E SFILARE LA LOMBARDIA AL CENTRODESTRA… IL LISTINO DELLA MORATTI E’ AL 12%, IL PARTITINO ECO-GREEN DI SALA AL 6-8%, CALENDA PORTA IL 15%. SE S’ACCODANO ANCHE I DEM…
Come mai Letizia Moratti ha annunciato le sue dimissioni proprio questa mattina? Perché le sue lunghe antenne devono aver captato la tempesta in arrivo: ha avuto sentore che fosse sul punto di essere sfiduciata e ha tolto le tende, dimettendosi da vicepresidente e assessore al Welfare della regione Lombardia, prima di finire uccellata.
Tant’è che poche ore dopo il suo addio, il governatore Attilio Fontana ha subito annunciato il nuovo assessore, cioè il sempreverde Guido Bertolaso. I due si erano già visti più volte e avevano trovato l’accordo venerdì scorso. Solo che un “uccellino” deve aver cantato all’orecchio di Letizia Moratti e l’effetto sorpresa è stato disinnescato…
Giorgia Meloni, ovviamente, ha preso malissimo la notizia del passo indietro della signora Letizia Maria Brichetto Arnaboldi in Moratti: la Lombardia è la regione traino del Paese, pesa per un 22-23% sul Pil italiano e una crisi in giunta al Pirellone puo’ aver contraccolpi pesantissimi anche a Roma.
Quella che si annuncia come la corsa solitaria della Moratti alla guida della regione (la sua candidatura ormai è certa), puo’ essere la prima spallata al governo di centrodestra.
Il sindaco di Milano Beppe Sala, che con l’ex presidente della Rai ha ottimi rapporti, sta esercitando una moral suasion per convincere il Partito democratico a non presentare un suo candidato alle regionali in Lombardia.
I sondaggi parlano chiaro: la lista Moratti è data al 12%, un listino eco-green di Sala viaggia tra il 6-8%, Azione di Calenda veleggia intorno al 15%. Nella più rosea delle proiezioni, c’è già in cascina un 35% di consensi.
Se il Pd convogliasse i suoi voti magari sul listino del sindaco di Milano, la partita potrebbe essere chiusa.
Il ragionamento che il volpino Sala ha somministrato alle teste d’uovo del Nazareno è stato: vincere in Lombardia vuol dire dare una spallata al governo ma anche e soprattutto a Salvini e alla Lega.
Certo, per i dem votare in massa per la Moratti, donna tradizionalmente legata al centrodestra e con un passato ultra-berlusconiano, significa ingoiare un rospo gigantesco. Ma in assenza di candidati autorevoli, con un partito diviso e in crisi di identità e dopo il suicidio alle politiche per la mancata alleanza con il M5s (cosa che ha comportato una batosta nei collegi uninominali), continuare a impuntarsi è da fessi.
E poi l’uscita di Letizia Moratti dalla giunta di centrodestra fa girare le palle a chi ricorda cosa avvenne in Lombardia nel 2020, nel momento peggiore della pandemia.La signora Brichetto fu chiamata a sostituire l’assessore forzista Giulio Gallera per rimettere in sesto una regione devastata dal covid, dove non si contavano più i morti e le bare venivano portate via dai camion. La linea imposta dalla Moratti fu dura e decisa, e stride moltissimo con la decisione del governo di reintegrare i medici no vax e l’ipotesi (poi rimangiata) di togliere l’obbligo delle mascherine da ospedali e Rsa.
Le parole di Giorgia Meloni sulle misure anti-pandemiche (“Basta approccio ideologico”) hanno fatto imbizzarrire i tanti vaccinati e pure il mondo accademico e scientifico.
L’uso dei vaccini e le misure di contenimento non sono stati “ideologia” ma “scienza” e il commento più azzeccato l’ha offerto l’infettivologo Matteo Bassetti: “Aver detto che è stato tutto ideologico è un errore clamoroso. Sa molto di resa ed è uno schiaffo al 95% degli italiani e al 99,3% dei medici italiani che si sono vaccinati. Perché è come ‘siete dei cretini, hanno fatto bene quelli a non vaccinarsi’…”.
Le posizioni del governo sul virus, che sanno di strizzata d’occhio ai no vax, aprono anche un solco anche tra Forza Italia e Lega.
Licia Ronzulli, che ha già dato la stilettata agli svalvolati anti-vaccino (“Perche’ non mi hanno voluta al governo? Mi è stato detto che la minoranza no-vax si è scatenata”), s’è inviperita con il suo caro amico Matteo Salvini.
Il Capitone, prima del voto, era pappa e ciccia con lei e Berlusconi, si ipotizzava una federazione tra Lega e Forza Italia, non c’era mossa che non fosse concordata preventivamente con il Cav. Poi, una volta che il voto ha certificato la solida leadership di Giorgia Meloni nel centrodestra, Salvini ha cambiato orientamento: s’è reinventato grande fan della Meloni. E il gioco gli rende benissimo: ha ottenuto tutti i posti di governo e sottogoverno che voleva.
Ma ora rischia di perdere la Lombardia e la segreteria
(da Dagoreport)
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Novembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
L’INTERVISTA A CORRADO: “DROGA, TECHNO E DEGRADO? COSE CHE HO VISTO PIU’ SPESSO NELLE DISCOTECHE”
Sfortunata locuzione quella di rave party: diventa di dominio pubblico quando ci sono casi di cronaca che sfiorano la tragedia, cade nel dimenticatoio quando le feste di delirio – traduzione letterale – si svolgono nell’indifferenza quotidiana. Nei giorni scorsi, a Modena, si stava svolgendo uno di questi raduni.
La coincidenza con l’insediamento del nuovo governo Meloni ha portato l’esecutivo a varare, nel primo decreto utile, una stretta contro «chi «organizza o promuove» un evento da cui «può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica». Una norma che ha nel ministro dell’Interno Matteo Piantedosi il suo ispiratore, ma che è stata definita «migliorabile» da alcuni esponenti dalla maggioranza stessa.
«Buona parte delle persone associa ai rave tre parole: droga, techno e degrado. Queste sono cose che ho visto più spesso nelle discoteche che ai rave a cui ho partecipato. I rave sono tutt’altra cosa». A parlare è Corrado: poco più di vent’anni, una laurea in tasca e il master in Economia a un palmo. Studia e vive a Bolzano, frequentatore abituale di rave in Alto Adige, ne organizza alcuni di piccole dimensioni.
«I miei rave non sono altro che feste private tra conoscenti che durano circa 20 ore. Partecipano dalle 100 alle 200 persone. I dj mettono la musica, si mangia e si beve in un contesto amichevole».
I rave che frequenta da partecipante, invece, raggiungono il migliaio di persone. «Si svolgono lungo i fiumi, nei prati sulle Alpi o, talvolta, nei tunnel e nei bunker costruiti a cavallo tra le due guerre mondiali».
Corrado, qual è la differenza tra una festa e un rave party?
«Onestamente faccio fatica anch’io a trovare delle differenze così marcate. Quando si parla di rave, la gente pensa subito alla musica techno o elettronica e alle droghe. Per la mia esperienza, queste sono cose che si possono trovare anche in qualsiasi serata in discoteca. I rave che organizzo io non sono altro che occasioni in cui la gente si raduna per festeggiare. Durano una giornata, dall’ora di pranzo alla mattina seguente. Si alternano i dj, c’è una scaletta ben definita degli eventi, si fanno jam sassion tra i ragazzi che portano i propri strumenti, le persone cantano e si conoscono su un prato. L’elemento preponderante è certamente la musica».
E come sono invece i rave a cui partecipi senza esserne l’organizzatore?
«Ne ho visti un po’ in giro per l’Alto Adige, diversi sono organizzati da amici dell’università. Ci si ritrova sulle spiaggette del fiume Talvera, dove c’è un po’ di sabbia e gli alberi dei boschi, oppure nelle praterie in montagna. Diversi rave si svolgono anche nei tunnel o nei bunker costruiti durante le guerre. Generalmente, sono sempre luoghi del demanio. Se c’è una costante, è quella di voler creare una comunità di persone. Sia da parte di chi organizza, sia da parte di chi frequenta i rave, si percepisce la tensione verso qualcosa di collettivo che vada oltre l’esperienza individuale. E non è sballo fine a se stesso».
Cos’è allora?
«Io non faccio uso di sostanze stupefacenti. Qualche volta ho fatto uso delle cosiddette droghe leggere. Certo, si beve, ma come in qualsiasi altro evento socialmente accettato: forse sono stato più ubriaco alla mia festa di laurea che agli ultimi rave. Detti ciò, si tratta di eventi dove le persone hanno voglia di stare insieme, conoscersi e divertirsi senza dover smettere di festeggiare dopo un paio di ore. Ma c’è anche tanta cultura. Quella cultura che non trova sfogo negli spazi urbani. Ai rave dove sono stato ho visto workshop di design, pittura, musica, sessioni di yoga, mercatini di artigianato. Ai rave puoi trovare davvero di tutto».
La musica, dicevi, è l’elemento preponderante.
«Sì, è vero. Da questo punto di vista, i rave sono un’ottima occasione dove approfondire generi musicali spesso ritenuti di nicchia. E non è solo techno, ma ci sono anche i rave metal ad esempio».
Perché sono così frequentati?
«Perché a tante persone manca un posto dove radunarsi per esprimere davvero se stesse. Penso ai dj che ai rave hanno modo di raggiungere un pubblico davvero interessato, ai tecnici del suono, ai designer, agli artisti: sono tutti animati dalla voglia di fare e di farsi conoscere da una comunità di persone, generalmente giovani, che è lì in molti casi per espandere il proprio cerchio di amicizie. Si tratta di giovani responsabili, non di matti con istinti suicidi come ci descrive qualcuno. Certo, poi ci sono quelli che esagerano, ma questo succede anche nella discoteca più patinata della città».
C’è un problema di sicurezza, però.
«Chi dà vita a un rave lo fa con una certa consapevolezza. Gli organizzatori sanno che ci sono ragazzi che assumono droghe – ma ribadisco che ci sono ovunque, anche in discoteca -, e individuano partecipanti più esperti in materia che hanno maturato della conoscenza in questo campo e, nel caso, possono prestare un primo soccorso per far riprendere chi si sente male. Poi vengono allestiti dei falò, dei luoghi dove potersi riposare. Qui in Alto Adige ho sempre visto una certa attenzione affinché si eviti che qualcuno si faccia male».
Mi pare di capire che la droga circoli, ma come in qualsiasi altra città o provincia di Italia.
«Io non ho mai visto spacciatori aggirarsi per i rave party cercando di vendere droga. È una cosa molto più privata. Chi ce l’ha la usa per sé o la vende, sì, ma con la massima discrezione. Sono sicuramente più evidenti le piazze di spaccio in città. E non funziona certamente come in alcuni locali delle capitali europee. A Berlino ci sono i club dove i gestori consentono che siano alcune persone a occuparsi della vendita di stupefacenti, per garantire che i clienti consumino prodotti di qualità accettabile ed evitare che la gente stia male. Detto ciò, tutte le persone che vanno ai rave lo fanno a proprio rischio e pericolo. Qualora succedesse qualcosa, il primo pensiero non è certamente denunciare l’organizzatore: non è nell’interesse di nessuno, perché si andrebbe a distruggere tutta la comunità. Poi ci sono quegli organizzatori così bravi che danno alcune informazioni ai partecipanti prima che raggiungano il luogo del rave. Come, ad esempio, di indossare le scarpe giuste, di portare delle torce per la sera. Ho visto rave al chiuso dove gli organizzatori avevano predisposto sistemi di illuminazione per segnalare le uscite di emergenza».
Comunità è una delle parole chiave che hai utilizzato. Come si entra a far parte?
«I rave si svolgono generalmente all’aperto. Altri nei bunker anti missili, nei tunnel o nei capannoni. In ogni caso, però, si tratta di cose molto riservate che vengono annunciate ai conoscenti. Poi, con il passaparola, si allarga il cerchio. Ma difficilmente arrivi a un rave se non conosci nessuno dei partecipanti. Mi è capitato di conoscere persone che arrivavano dall’estero, ma sono sempre legate a contesti universitari o amici di amici. Comunque, funziona così: una settimana prima della festa, su gruppi whatsapp chiusi e con un solo amministratore che coordina il tutto, si ricevono informazioni sul luogo, su cosa portare, sul programma della giornata. È di fatto l’invito».
Perché questi eventi non si possono svolgere previa autorizzazione, nella legalità?
«Mancanza di spazi adeguati, costi enormi, difficoltà nell’ottenere le autorizzazioni necessarie. Qui, a Bolzano, il problema principale è la mancanza di luoghi che possano essere adibiti a ospitare feste del genere. Si sfocia nell’illegalità perché le licenze sono difficili da ottenere. Altrettanto le certificazioni in materia di sicurezza. Ancora, se si vuole fare una festa, serve una partita Iva. I rave party o feste illegali che dir si voglia diventano, a volte, anche il trampolino di lancio per chi vuole imparare a organizzare feste serie ed eventi. È vero, si sfocia nell’illegalità, ma ciò avviene per assenza di alternative. Ultimamente si sta diffondendo la prassi di costituire delle associazioni culturali con lo scopo di avere meno problemi nell’organizzazione di rave. Ne stanno nascendo così tante che si è allungato il tempo ed è diventato macchinoso il processo per ottenere il via libera».
Mi sembra di cogliere una mano tesa alle istituzioni: rendere più semplice il sistema che sta alla base dell’organizzazione di questi eventi. Il governo in carica, invece, ha scelto la strada della deterrenza e della repressione. Cosa ne pensi?
«Che è un decreto che fa leva sulla paura».
(da Open)
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