Novembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
DIETRO QUESTA SORTITA UNA STRATEGIA PER FERMARE RAMPELLI…IL PRESIDENTE DELLA CROCE ROSSA, FRANCESCO ROCCA, RESTA IN POLE
Una polveriera. Il centrodestra alle prese con l’affaire regionali nel Lazio è tutt’altro che unito. Con la premier Giorgia Meloni che dovrà prendere le redini della situazione ma che in questa fase è affaccendata in vicende nazionali e internazionali, piovono autocandidature e si apre il dibattito tra correnti.
L’ultimo a dirsi disponibile a candidarsi è l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Nicola Procaccini. “Ho fatto il sindaco per tanti anni e so quanto è complesso e bello prendersi carico di una comunità così direttamente. Non mi sottrarrei se me lo chiedesse il Presidente Meloni”, ha detto ospite di Agorà su Rai3.
L’ex primo cittadino di Terracina è indagato con le accuse di turbativa d’asta e induzione indebita a dare o promettere utilità, nell’ambito della maxi inchiesta sulle concessioni demaniali del comune laziale. Il gip del tribunale di Latina al momento deve decidere se chiedere o meno l’autorizzazione a procedere al Parlamento europeo visto che Procaccini gode dell’immunità.
Beghe giudiziarie a parte, fonti di Fratelli d’Italia ricostruiscono “la mossa studiata a tavolino” da Procaccini, fedelissimo di Meloni a cui tra l’altro sarebbe stato promesso un posto da sottosegretario al ministero della Transizione ecologica.
Non se n’è fatto nulla ma l’entrata in scena per quanto riguarda la corsa alle regionali non sarebbe motivata da reali intenzioni. Più che altro, questa la ricostruzione, si tratta di uno stop a Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera che recentemente ha anche lui dato la disponibilità a candidarsi.
el suo caso però i rapporti con Meloni sono tutt’ altro che rosei e la pressione per un possibile posto da presidente della Regione Lazio restituirebbe potere non solo ai gabbiani ( la corrente interna a Fratelli d’Italia che fa capo proprio a Rampelli), ma più in generale agli ex di Alleanza nazionale che sono rimasti a secco di incarichi di governo.
Le frizioni all’interno di FdI non sono finite. L’altro nome ormai onnipresente per la corsa alle regionali è quello del presidente della Croce Rossa, Francesco Rocca
(da La Repubblica)
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Novembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
I TRIBUNALI CIVILI SICILIANI, A CUI LE ORGANIZZAZIONI PUNITE HANNO FATTO RICORSO, HANNO SEMPRE ANNULLATO LE SANZIONI… I GIUDICI HANNO RICONOSCIUTO LA PREVALENZA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’OBBLIGO DI SOCCORSO
Le megamulte del primo decreto sicurezza non le ha mai pagate nessuno. I tribunali civili della Sicilia a cui le Ong “punite” da Salvini hanno fatto ricorso le hanno sempre annullate, le navi sequestrate sempre riconsegnate alle organizzazioni umanitarie. Unica eccezione la Iuventa, ancora sotto sequestro a Trapani nell’ambito dell’unico processo a carico di esponenti di Ong che, dopo 5 anni, non riesce neanche ad entrare nel vivo.
«Noi – racconta Beppe Caccia, armatore di Mediterranea Saving human – abbiamo ricevuto due multe, una da 65.000 euro per la Alex e una da ben 300.000 euro per la Mare Jonio nell’estate 2019. Ed entrambe le imbarcazioni furono poste sotto sequestro. Provvedimenti amministrativi punitivi fortemente voluti da Salvini e talmente inconsistenti che il tribunale civile cui ci siamo subito appellati non ha avuto esitazioni a darci ragione».
Cancellate anche le altre due uniche multe comminate nell’era Salvini: quella alla Sea Watch 3 di Carola Rackete in occasione dell’entrata di forza a Lampedusa a giugno 2019 e quella alla Eleonor della ong tedesca Missione Lifeline, condotta fin dentro il porto di Pozzallo dal comandante Claus Peter Reisch dopo la dichiarazione dello stato di emergenza.
Anche in quest’ ultimo caso, multa da 300.000 euro e sequestro dell’imbarcazione. Tutto annullato dal tribunale civile di Ragusa che dichiarò la prevalenza del diritto internazionale e dell’obbligo di soccorso sui decreti sicurezza. Principi a cui, successivamente, la Cassazione che ha definitivamente prosciolto Carola Rackete ha messo il sigillo definitivo.
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
CON L’INVERNO ORMAI ARRIVATO, IL RIGASSIFICATORE NON ENTRERÀ IN FUNZIONE IN TEMPO E ADDIO ALL’OBIETTIVO DI IMPORTARE DI 5 MILIARDI DI METRI CUBI DI GAS
Ieri la giunta di Piombino ha approvato la delibera che dà ufficialmente mandato all’avvocato di presentare il ricorso al Tar contro il rigassificatore galleggiante di Snam lungo 300 metri e largo 40 che dovrebbe essere posizionato nel porto. Per il sindaco di Fratelli d’Italia, Francesco Ferrari, «con i grandi sforzi e la determinazione di tutta la città, la prossima settimana l’avvocato Greco depositerà il ricorso».
Il lavoro, racconta, mette insieme tutte le motivazioni tecniche presentate dal comune per dire di no «e si fonda sulle evidenti violazioni di legge che hanno viziato il procedimento amministrativo». Ferrari è convinto che «la magistratura, saprà valutare adeguatamente e oggettivamente la vicenda». Dal ricorso, che fa leva sugli allarmi logistici e ambientali del comune, emerge un assunto, che il rigassificatore non solo non sarà pronto in tempo, ma l’operatività che punta all’importazione di 5 miliardi di metri cubi di gas, la finalità per cui dovrebbe essere posizionato nel porto, sarà inferiore al previsto.
«Riteniamo che l’enorme mole di prescrizioni dia da un lato elemento che difficilmente potrà portare l’impianto a essere in funzione nei tempi, dall’altro è prova eclatante che la scelta di collocare la nave nel porto è sbagliatissima. Stiamo parlando di 90 prescrizioni per il funzionamento o l’attività preparatoria», ricorda il sindaco.
Anche Snam, una volta ricevuta la notizia del via libera del presidente commissario straordinario Eugenio Giani, si è riservata di valutare le prescrizioni da centinaia di pagine. «Non è detto – racconta Ferrari – che a marzo avremmo il Gnl, le prescrizioni sono talmente forti e vincolanti che i tempi si allungheranno enormemente». Inoltre «potrà funzionare sì ma con un regime ridotto per il suo potenziale».
Gli elementi ravvisati dal comune vanno dai problemi di raffreddamento del metano, al trattamento dei terreni che dovranno essere scavati per far passare i tubi. La nave Golar Tundra infatti dovrà essere collegata alla terra ferma.
Perché la nave non venga intaccata, racconta il sindaco la nave viene trattata con un sistema antivegetativo come l’ipoclorito di sodio: «Impatta sulle specie marine», ribadisce il sindaco. Allo stesso modo ci sono prescrizioni legate al funzionamento dell’impianto, «che imporranno dei raggi di interdizione rispetto alla nave e regole alla seconda nave lunga come la prima per entrare in porto e rifornire». E da questo punto di vista il sindaco punta il dito sulla reale capacità di fornire metano della nave
Questo rigassificatore all’interno del porto è sbagliato «perché porta una serie di problemi riguardo il rischio di incidente rilevante relativo alle manovre in porto: Snam ha riconosciuto che sono pericolose, non sono semplici e a seconda delle situazioni del mare non possono essere effettuate».
LE COMPENSAZIONI
Finora il governo presieduto da Giorgia Meloni, che ha assoldato come consulente l’ex ministro della transizione Roberto Cingolani, tra i primi sponsor dell’opera tace. Con il sindaco di Piombino, ha detto durante la campagna elettorale la leader «siamo in piena sintonia» e lui «capisce bene la posizione che stiamo portando avanti» sul tema del rigassificatore, «una posizione di condivisione».
Non aveva escluso di valutare altre sedi ma «se quella alternativa non esistesse» ha messo sul tavolo «una politica diversa nell’offrire le compensazioni necessarie alla città». E su questo Ferrari che si affida alla magistratura dall’altra si prepara a cercare una sponda nel governo e a pretendere da Snam. Fratelli d’Italia non ha proposto al sincato di desistere: «Questo non me lo ha chiesto», e lui non ha cercato supporto esplicito a Meloni: «Io chiedo alla magistratura se la decisione di Giani è corretta oppure no. Abbiamo piena fiducia nella magistratura».
Indipendentemente da tutto il percorso, conclude, è necessario «che un sindaco chieda compensazioni al soggetto attuatore, a Snam tanto per cominciare. Con il governo ci confronteremo a prescindere del rigassificatore». Piombino, ricorda, ha già sofferto abbastanza per le acciaierie: «Siamo sicuri di avere un interlocutore responsabile».
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
PER I CONSIGLIERI DEL QUIRINALE, IN PRIMIS IL SEGRETARIO GENERALE UGO ZAMPETTI, CON TALE DICHIARAZIONE IGNAZIO LA RUSSA E’ ANDATO CONTRO I DETTAMI DELLA COSTITUZIONE
La rottura tra Italia e Francia sul destino dei migranti e sul comportamento delle navi delle Ong sembrava avviata a soluzione dopo un colloquio telefonico tra Mattarella e Macron, seguito da un comunicato condiviso in cui i due presidenti si ripromettevano di ristabilire la collaborazione tra i due Paesi e all’interno dell’Unione europea.
Colloquio e comunicato di cui, neanche a dirlo, il Capo dello Stato aveva preventivamente informato la premier Meloni, che ovviamente non si era opposta. Ma quando il risultato positivo dell’iniziativa del Quirinale è divenuto pubblico, è stato il presidente del Senato La Russa a obiettare che la pace tra Roma e Parigi può avvenire solo riconoscendo che il governo italiano ha fatto bene a tenere “la barra diritta” su migranti e Ong.
Nella lunga crisi italiana, che si avvia a compiere trent’anni, un esplicito dissenso tra la prima e la seconda carica dello Stato non s’era ancora visto. E non perché debbano necessariamente andare d’accordo, ci mancherebbe. Ma perché i ruoli delicati che ricoprono impongono di non prendere parte attivamente al confronto politico, riservandosi, appunto, una posizione terza.
La Russa lo aveva riconosciuto all’atto della sua elezione sullo scranno più alto di Palazzo Madama, giurando, letteralmente giurando che sarebbe stato il presidente di tutti. Salvo poi prendere partito ieri e schierarsi con il governo.
Cosa si siano detti Mattarella e Macron è rimasto riservato, anche se il comunicato comune fa fede delle loro intenzioni. Ma al di là della correttezza formale che lo ha spinto a concordare con la premier i dettagli della propria iniziativa, è chiaro che il Presidente della Repubblica, parlando con il suo omologo francese, non sarà certo entrato nei dettagli dell’incidente diplomatico che ha visto giovedì la durissima reazione dell’Eliseo in risposta, sia alla presa di posizione di Salvini dopo l’annuncio della partenza della nave Ocean Viking, sia alla nota con cui Palazzo Chigi, volendo esprimere gratitudine a Macron, lo faceva apparire piegato dalla “linea dura” dell’esecutivo.
Mattarella si sarà limitato a spiegare che non valeva la pena compromettere la relazione speciale tra Italia e Francia, sancita dal Trattato del Quirinale, per quello che tutto sommato poteva essere considerato un equivoco.
Altrettanto chiaro è perché La Russa – e poco dopo, in termini più prudenti, il vicepresidente della Camera Rampelli, anche lui di Fratelli d’Italia – abbia sentito il bisogno di prendere le distanze da una mossa così ragionevole, che subito ha prodotto il risultato di un allentamento della tensione tra i due Paesi.
Sebbene non toccasse a lui dirlo, il presidente del Senato, esattamente come Meloni, ha sentito il bisogno di marcare l’aspetto “identitario” della svolta di destra segnata dalle elezioni. Costi quel che costi, anche il rischio di scortesia istituzionale verso il Quirinale, e ancor di più che il colloquio tra Mattarella e Macron possa diffondere il dubbio di un governo in rodaggio o sotto tutela, pronto ad accettare il compromesso tracciato dal testo diffuso di comune accordo dai due.
No, Mattarella faccia quello che vuole, ma il governo non arretra neppure di un millimetro. E non arretra, non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo, per timore che Salvini, fin qui entusiasta della durezza verso le Ong, e disposto a condividerne il merito con Meloni, possa approfittarne dicendo che la presidente del Consiglio ha fatto marcia indietro.
Allo stesso modo è intuibile quale sarà il passo successivo del governo: la riproposizione di quei “decreti sicurezza” che prevedevano la confisca delle navi delle Ong che Salvini, allora ministro dell’Interno, aveva imposto all’esecutivo gialloverde.
Sarà il nuovo provvedimento “identitario” con cui il governo vorrà far capire all’Unione, una volta e per tutte, che sugli interessi nazionali l’Italia non transige. A qualsiasi prezzo: anche la progressiva emarginazione dall’Europa che deve approvare la manovra economica di fine anno e non metterci in mora per i ritardi nella preparazione del Pnrr.
(da La Stampa)
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Novembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
L’ESPERTO FILIPPO MIRAGLIA: “LE NAVI ONG HANNO SEMPRE IL GPS ACCESO, SONO SEMPRE TRACCIABILI E INFORMANO I GOVERNI DI COMPETENZA PER I SOCCORSI, GOVERNI CHE NON RISPONDONO MAI”… “CHI ALIMENTA I TRAFFICANTI E’ IL GOVERNO ITALIANO CHE DA ANNI FINANZIA LA SEDICENTE GUARDIA COSTIERA LIBICA”… “I BARCONI SONO SEMPRE A RISCHIO NAUFRAGIO, SENZA ATTREZZATURE DI BORDO E AFFOLLATE DIECI VOLTE OLTRE IL CONSENTITO”
L’Europa, tramite la portavoce della Commissione Ue Anitta Hipper, ha voluto ribadire che nell’obbligo di salvare vite in mare “non c’è differenza tra navi Ong o altre navi'”. Anche la Germania si è recentemente schierata a sostegno delle organizzazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo, con l’ambasciatore tedesco in Italia, Viktor Elbling, che ha twittato così: “Nel 2022 sono già oltre 1300 le persone morte o disperse nel Mediterraneo. Un 12% dei sopravvissuti sono stati salvati dalle Ong. Loro salvano vite laddove l’aiuto da parte degli Stati manca. Il loro impegno umanitario merita la nostra riconoscenza e il nostro appoggio”.
Ma questo non impedisce al governo di pianificare una stretta contro le organizzazioni, nel tentativo di ostacolarle o bloccarle.
L’intenzione dell’esecutivo e del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi è quella di aggirare le norme internazionali, come la Convenzione Sar siglata il 27 aprile 1979 ad Amburgo e la Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay del 1982: quello che le Ong fanno non è altro che sopperire al vuoto che si è creato dopo la fine della missione Mare Nostrum, soccorrendo e dando assistenza ai migranti in mare per portarli nel primo porto sicuro.
Ma le dichiarazioni degli ultimi giorni, con la ricomparsa della narrazione delle Ong come “taxi del mare”, costrutto mai confermato da nessun tribunale e ampiamente smentito dai dati, mostrano chiaramente che gli sforzi del governo saranno tesi a smontare la credibilità delle Ong, come già avvenuto in passato.
Anche se l’esecutivo sa benissimo che le Ong riescono a intervenire in un numero molto limitato di casi, il 10-12% del totale (per fare un esempio, nel 2019 su circa 4mila arrivi ben 3500 si sono verificati con partenze autonome dalla Libia, dalla Tunisia e dall’Algeria). Attraverso diversi studi in questi anni è stato dimostrato poi che anche nei periodi in cui le Ong sono del tutto assenti dal Mediterraneo gli sbarchi continuano ad aumentare.
Questo tentativo di criminalizzare le Ong è stato messo nero su bianco anche nella dichiarazione congiunta sui flussi migratori, che l’Italia ha firmato con Cipro, Malta e Grecia (la Spagna si è rifiutata) un documento in cui i governi accusano queste organizzazioni di comportarsi in modo illegittimo, anche se sono proprio le autorità di questi Paesi a non rispondere alle chiamate delle navi da soccorso che salvano le persone in mare, violando di fatto il principio di non respingimento.
Le navi sono costrette ad attivarsi sempre a prescindere dalla bandiera che battono. L’interpretazione alternativa che il governo Meloni vorrebbe dare al Trattato di Dublino non è percorribile.
Se infatti il Trattato vincola il Paese di primo ingresso a offrire assistenza ai migranti, l’esecutivo vorrebbe che da questo momento in poi fosse lo stato di bandiera della nave – considerato con un’evidente forzatura Paese di primo ingresso – ad occuparsi dei persone a bordo. Ma questa soluzione non sarebbe in linea con le leggi internazionali sul soccorso in mare.
Pur non esistendo alcuna correlazione tra aumento delle partenze e presenza delle navi umanitarie, l’idea del Viminale è quella di varare un nuovo codice di condotta, sul modello di quello voluto nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, che le organizzazioni umanitarie dovranno sottoscrivere per poter continuare a svolgere la loro missione. Piantedosi lo potrebbe portare sul tavolo del prossimo Consiglio dei ministri.
Cosa non funziona nel codice di condotta che Piantedosi vuole varare
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, al termine del Consiglio Ue Affari Esteri, ha detto che “C’è un codice di condotta: un conto è il soccorso in mare e un altro conto è darsi l’appuntamento in mare per trasportare persone per metà del viaggio”. La dichiarazione del titolare della Farnesina è solo un modo per rilanciare la teoria del ‘pull factor’, un’accusa scagliata contro le navi umanitarie, colpevoli di alimentare un fenomeno illegale, cioè l’attività delle organizzazioni criminali che caricano le persone sulla barche dietro lauti compensi.
Secondo il piano del Viminale, stando alle ipotesi che sono circolate, con le nuove regole le navi delle ong avrebbero l’obbligo di comunicare alle autorità competenti la loro attività, in modo da coordinarsi con loro (cosa che già fanno, pur non ricevendo risposte o indicazioni per il Pos dalle autorità maltesi o italiane). Non dovrebbero invece mai comunicare la loro posizione alle imbarcazioni in partenza dalle coste del Nord e agli scafisti (cosa che in realtà non avviene e non è stata mai avvalorata da nessun procedimento giudiziario.
Tutto questo è “pura diffamazione”, come ha spiegato a Fanpage.it Filippo Miraglia, responsabile nazionale di Arci immigrazione: “Tajani evidentemente non conosce la materia o è in malafede. Le navi delle Ong sono sempre rintracciabili, soprattutto se si tratta di imbarcazioni di grande stazza. Devono sempre avere un segnalatore Gps che consenta di localizzarle e tracciare i loro movimenti. Non devono insomma segnalare la loro posizione, come chiede il Viminale, perché tutti sanno dove si trovano, nel rispetto degli obblighi di legge”.
“Tutte le comunicazioni delle navi da soccorso sono sempre pubbliche. Le navi si rivolgono sempre alle autorità dei Paesi coinvolti, Malta, Italia e spesso anche Libia, chiedendo un porto sicuro in cui attraccare e far scendere i naufraghi. Ma questi Paesi non danno mai segni di vita, perché ovviamente vogliono evitare di assumersi la responsabilità del soccorso”.
“Chi alimenta le attività criminali e i traffici non sono le Ong, ma è il governo italiano, che da anni finanzia la cosiddetta Guardia costiera libica. Di recente il procuratore della Corte penale internazionale dell’Aja ha ribadito che in Libia vengono commessi crimini contro l’umanità e che c’è una sovrapposizione quasi totale tra le milizie che commettono questi crimini e la Guardia costiera. Queste bande praticamente ricevono finanziamenti dall’Italia e dall’Europa”, ha aggiunto Miraglia.
I barconi sono sempre a rischio di naufragio
“Inoltre, come è noto, le navi intervengono perché sono obbligate a farlo. I comandanti delle navi violerebbero la legge se non intervenissero, nel caso in cui incrociassero un gommone o venissero a sapere della presenza nelle vicinanze di un barchino in una situazione di difficoltà. E tutte le barche che partono dalla Libia sono da considerarsi tali perché si tratta sempre di barche piccole, senza strumentazioni a bordo, che in teoria potrebbero ospitare 10 o 20 persone al massimo e ne ospitano invece quasi sempre 5 o 10 volte tanto. Quindi sono obbligatoriamente da salvare”.
“Come è noto le convenzioni internazionali valgono più delle circolari e dei codici: i comandanti delle navi sono obbligati a rispettare le convenzioni internazionali, quindi devono intervenire, e una volta intervenuti devono garantire l’approdo nel porto sicuro più vicino”, ha spiegato Miraglia.
Non è possibile fare quello che la presidente del Consiglio Meloni chiede da giorni, cioè distinguere tra un migrante e un naufrago, permettendo alle organizzazioni umanitarie di intervenire solo in caso di vera necessità e di rischio di naufragio.
Proprio su questa distinzione si basa il decreto interministeriale firmato per la Humanity 1 e per la Geo Barents, che obbligava alle imbarcazioni di fermarsi in rada, giusto il tempo necessario per verificare le condizioni dei migranti e far scendere solo i vulnerabili. Completata quest’operazione le navi avrebbero dovuto ritornare in acque internazionali, con i migranti ‘in salute’ a bordo.
In questo modo il governo vorrebbe bypassare il principio di non respingimento: come spiega l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, un rifugiato non può vedersi impedito l’ingresso sul territorio, e non può essere respinto verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero in pericolo. La Corte europea dei diritti dell’uomo specifica anche che il divieto di refoulement si applica indipendentemente dal fatto che la persona sia stata riconosciuta rifugiata, oppure dall’esistenza o meno di una domanda diretta ad ottenere tale riconoscimento.
Il ministro Tajani da Bruxelles ha detto anche un’altra cosa: “La verità vera è che dovrebbero essere le navi mercantili a fare il soccorso in mare; evidentemente ci sono delle Ong che fanno un lavoro diverso per lasciare libere le navi mercantili dall’obbligo di soccorrere le persone in mare”.
Per Miraglia si tratta di una “sciocchezza”: “Le navi mercantili quando incrociano un barchino devono intervenire, e in effetti lo fanno. Però noi sappiamo che i mercantili, se possono, evitano di imbarcare persone in difficoltà, perché questo comporta per loro un blocco della loro attività, che a volte può durare anche settimane o mesi, visto che i governi non rispondono”.
Il governo vuole dare ai prefetti il potere di multare le Ong
Ma la stretta del governo Meloni contro le ong, secondo la strategia del Viminale, ruota soprattutto attorno alla possibilità di spostare la gestione delle sanzioni per le navi dalle procure alle prefetture. In questo modo, in caso di violazione dei decreti interministeriali che impongono i divieti per le navi di entrare in acque italiane, sarà direttamente il Viminale, attraverso i prefetti, a infliggere le sanzioni amministrative, valutare tempestivamente il sequestro e l’eventuale confisca delle navi. Le multe non dovrebbero essere aumentate: resterebbero tra i 10 e i 50mila euro.
Secondo Miraglia però, anche se il governo dovesse riuscire a introdurre quest’escamotage, “ci saranno certamente ricorsi nei tribunali amministrativi. E fino ad ora tutte le volte che le Ong sono state sottoposte a multe e hanno fatto ricorso in un tribunale hanno sempre vinto, perché è la legge che le obbliga a comportarsi come si comportano”.
(da Fanpage)
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Novembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
INFATTI OGGI GIORGETTI HA ANNUNCIATO CHE IL CANONE RAI RESTERA’ NELLA BOLLETTA DELLA LUCE ANCHE NEL 2023
Il canone Rai? Resta. E rimane anche saldamente inserito nella bolletta elettrica. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in una nota del Mef, non lascia dubbi: «Le voci di un’esclusione del canone Rai dalla bolletta elettrica non risultano, alla luce del lungo lavoro istruttorio in corso, fondate».
Per stare a ieri, «le voci» di cui parla il responsabile (leghista) del Mef sono quelle dei sindacati dei dipendenti Rai (Usigrai, Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil) che hanno chiesto al ministro un «autorevole intervento» per evitare «un impatto dirompente sul futuro stesso della Rai».
Ma tra le «voci» che avevano chiesto non soltanto lo scorporo del canone dalle bollette ma anche la cancellazione del canone stesso c’è sicuramente Matteo Salvini.
Dal prato di Pontida, lo scorso settembre, lo aveva detto così: «In 10 paesi dell’Unione non si paga il canone per la televisione pubblica. Come Lega, ci prendiamo questo impegno: dall’anno prossimo zero canone Rai».
Quanto allo scorporo dalla bolletta, il governo Draghi aveva dato via libera a un emendamento in quel senso al decreto Energia dello scorso aprile.
Resta il fatto che i vicinissimi a Salvini non raccolgono il fatto che sia l’autorevolissimo leghista Giorgetti a mettere il punto: «Noi – spiega un leghista di alto livello – non abbiamo affatto accantonato l’idea. Il contesto impone che la manovra dedichi tutte le risorse possibili al caro energia, ma la battaglia non è conclusa».
I sindacati, nella loro lettera, fanno riferimento al voto dell’aprile scorso che toglieva il canone dalla bolletta: «Privare la più grande azienda culturale del Paese della certezza dei finanziamenti, oltre alle evidenti ricadute in termini occupazionali, avrebbe degli effetti diretti» sullo stesso Mef «in quanto azionista di Rai Spa». Di qui, la richiesta di un «incontro urgente».
Dall’altra parte della barricata, le associazioni dei consumatori che battono sul tasto dell’«onere improprio». Secondo il Codacons, «il canone Rai è l’imposta più odiata dagli italiani e deve essere abolita» anche perché oltretutto appesantirebbe la spesa per l’energia. Nella sua nota, il Mef osserva che il traguardo del Pnrr si basa sulle proposte del Garante che «non aveva rilevato alcuna criticità dal punto di vista della concorrenza, a condizione che il pagamento fosse trasparente per gli utenti finali». Ma secondo Massimiliano Dona, il presidente dell’Unione nazionale consumatori «non si può chiedere ai consumatori di pagare nella stessa bolletta un costo legato a un servizio diverso: il canone resta un onere improprio non legato ai consumi di elettricità».
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
I CRONISTI AVEVANO SEMPLICEMENTE RIFERITO DELLA CAUSA DI LAVORO INTENTATA CONTRO LA BELLANOVA DAL SUO EX ADDETTO STAMPA (CHE IN APPELLO HA VINTO PURE LA CAUSA)
Il giudice del Tribunale di Lecce ha assolto “perché il fatto non sussiste” i tre cronisti Mary Tota, Danilo Lupo e Francesca Pizzolante, imputati di diffamazione dopo la querela dell’ex ministra di Italia viva Teresa Bellanova.
I giornalisti avevano riferito sulle rispettive testate (ilfattoquotidiano.it, La7 e Il Tempo) della causa di lavoro intentata dal suo ex addetto stampa Maurizio Pascali, che l’aveva citata in giudizio per vedersi riconoscere il giusto inquadramento contrattuale (e la giusta retribuzione) per i tre anni in cui aveva lavorato al suo servizio come partita Iva.
Una richiesta ritenuta fondata dalla Corte d’Appello leccese, che a settembre ha condannato Bellanova e il Pd locale a risarcirgli un totale di cinquantamila euro.
Nel frattempo però l’esponente di Iv aveva trascinato in Tribunale sia il suo ex collaboratore sia i tre cronisti che gli avevano dato voce.
E il 19 ottobre scorso il pm onorario aveva avanzato la sorprendente richiesta di un anno di reclusione per Pascali e sei mesi ciascuno per Tota, Lupo e Pizzolante, suscitando l’indignazione della Fnsi, il sindacato dei giornalisti, che aveva ricordato come persino la Corte costituzionale avesse “riconosciuto l’inammissibilità del carcere per il reato di diffamazione, considerandolo un pesante deterrente nei confronti del diritto di cronaca”.
Il giudice ha invece deciso per tutti l’assoluzione piena. “È una sentenza che consacra puntualmente la libertà di esercitare, correttamente, il diritto di cronaca. L’insussistenza delle accuse mosse ai tre giornalisti, così come ritenuta dal giudice, consentirà loro di continuare a svolgere con ritrovata serenità e con la nota tenacia, il mestiere, difficile quanto esaltante, di cronista.
Alla soddisfazione per il risultato giudiziario, si accompagna così la rassicurante ratifica della intangibilità dei “fondamentali” scolpiti nell’art.21 della Carta costituzionale”, commenta il difensore dei tre cronisti, Roberto Eustachio Sisto (Pascali era invece assistito da Alessandro Stomeo).
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
E’ QUESTA SUB-CULTURA SCIENTIFICA CAVALCATA DA CERTI PARTITI CHE HA AUMENTATO LE VITTIME DELLA PANDEMIA
Nel corso della trasmissione di Rai2 “Restart“, il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato ha messo in dubbio l’efficacia dei vaccini anti Covid-19 nell’affrontare la Pandemia Covid-19.
Lo ha fatto contestando l’affermazione di Aldo Cazzullo «senza vaccini sarebbe stato magari peggio», facendo intendere che non vi siano prove a sostegno della stessa: «Questo lo dice lei, non abbiamo l’onere della prova inversa… Ma io non cado nella trappola di schierarmi a favore o contro i vaccini».
Come vedremo, i dati ci sono e sono quelli forniti dall’Istituto Superiore di Sanità. C’è da dire che Marcello Gemmato, fin dal 2020, ha difeso la campagna vaccinale anti Covid-19. Lo ha fatto difendendo pubblicamente l’infermiera Claudia Alivernini attaccata dai No Vax. Lo ha fatto chiedendo all’Anci di snellire le procedure burocratiche per consentire a medici e farmacisti di somministrare i vaccini.
Non mancano certamente le polemiche, come nel video del 2021 intitolato «Vaccinazioni e pensiero unico» dove sosteneva l’importanza della somministrazione ai soggetti fragili ponendo il dubbio quella sui più giovani.
Nel gennaio 2022, Gemmato sosteneva la dose booster preferendo l’uso del vaccino Janssen. Elementi che non fanno di lui un No Vax come quelli assai noti negli ambienti, ma c’è da dire che la sua recente dichiarazione televisiva ha dato un boost all’area contraria ai vaccini.
I dati dell’Istituto Superiore di Sanità
L’intervento di Gemmato fa intendere che non ci siano prove che confermino l’efficacia dei vaccini nel corso della pandemia Covid-19. I dati ci sono, pubblicati ad esempio dall’Istituto Superiore di Sanità in un report annunciato nel comunicato stampa del 13 aprile 2022 dal titolo «Covid19: in Italia grazie a vaccini evitati 8 milioni di casi e 150mila morti»:
La campagna vaccinale contro il COVID-19 in Italia ha permesso di evitare circa 8 milioni di casi, oltre 500.000 ospedalizzazioni, oltre 55.000 ricoveri in terapia intensiva e circa 150.000 decessi.
La stima, che si riferisce al periodo tra il 27 dicembre 2020, data di inizio della campagna vaccinale, e il 31 gennaio 2022, è riportata nel rapporto “Infezioni da SARS-CoV-2, ricoveri e decessi associati a COVID-19 direttamente evitati dalla vaccinazione” appena pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità.
L’obiettivo del rapporto pubblicato ad aprile, come riportato nello stesso, è quello di «stimare il numero di “eventi” (infezione sintomatica o asintomatica o ricovero in qualsiasi reparto o in terapia intensiva o decesso associati a SARS-CoV-2) evitati direttamente dalla vaccinazione anti-SARS-CoV-2 da gennaio 2021 alla fine di gennaio 2022». L’analisi, seppur non esente da limiti, riporta la seguente conclusione:
In conclusione, in Italia, durante il 2021 e gennaio 2022, la vaccinazione anti Covid-19 ha permesso di ridurre significativamente l’impatto della pandemia in termini di morbilità e mortalità, permettendo un importante allontanamento dalle misure restrittive nella seconda metà dell’anno.
Il “boost” per le aree No Vax
Nel corso della trasmissione aveva dichiarato di non cadere «nella trappola» di schierarsi «a favore o contro i vaccini». Di fatto, l’intervento ha fornito un “boost” per le aree No Vax, le quali oggi si sentono rappresentate dall’esponente di Fratelli d’Italia. Nei canali Telegram contrari alla vaccinazione anti Covid-19 non mancano le condivisioni del video e gli elogi per le sue parole.
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
A FAGNANO OLONA (VARESE) NON VOGLIONO FARSI VISITARE DAL MEDICO DI COLORE LAUREATO IN ITALIA CHE AVEVA DATO LA DISPONIBILITA’ A SOSTITUIRE IL MEDICO DI BASE… CHE RESTINO SENZA MEDICO (E SPERIAMO ANCHE SENZA AMBULANZE)
Il pianto di una bambina che si agita perché non vuole essere visitata è straziante: “Basta tenerla ferma. Non sono mai loro il problema, sono gli adulti”. Enock Rodrigue Emvolo è in ospedale, ha il tono sbrigativo di chi si vorrebbe occupare solo dei propri pazienti. Avrebbe cose più importanti di cui preoccuparsi: “Mi sono davvero stufato, anche di parlare di razzismo, di insulti, di tutto. Si trovino un altro medico, io avevo dato la mia disponibilità perché avevano bisogno: ora lì non ci metto più piede. Per me questa storia è chiusa”.
A Fagnano Olona, vicino a Varese, c’è stata una rivolta contro il medico nero. Insulti razzisti, proteste. “Inaccettabile. È imbarazzante che nel 2022 ci si trovi davanti a questo, che si debba parlare di questo. Vuol dire che non abbiamo capito niente”.
Il dottor Rodrigue Emvolo è camerunense, è arrivato in Italia nel 2005: “Ho studiato qui. Mi sono laureato qui. Lavoro qui. Salvo vite qui”. La ferita più grande è quella e da medico non la sa curare: “Salvare le persone, questo facciamo. Ed è bruttissimo sentirsi insultare da persone di cui ti prendi cura, che sei disposto ad assistere, ad accudire. Non lo dovrei dire, ma sono arrabbiatissimo. Mi occupo di tutti, di chiunque abbia bisogno. Ho visto e sentito di tutto, ma basta insulti razzisti”. Il sindaco della cittadina di 12mila abitanti, Marco Baroffio, ha provato a parlare con Ats e con il dottor Emvolo. Spera che ci ripensi. Che riesca a nascodere la sua amarezza: “Assurdo che le persone non imparino dai propri errori. Auguro a queste persone e ai loro parenti di stare bene e di non aver bisogno di medici. Così non dovranno sceglierlo”.
(da agenzie)
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