Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
MA L’ATTO DELLA CAMERA SMENTISCE FDI: “MATERIALI NON COMPRESI NEI 5.500 EURO”… STIPENDIO PIENO ANCHE AGLI ASSENTEISTI… IL M5S SI DIVIDE SUL PROVVEDIMENTO
Fratelli d’Italia difende il maxi-bonus per smartphone, tablet e airpods per i deputati, deliberato a un mese da Natale.
Secondo il deputato meloniano Paolo Trancassini, che da questore della Camera ha firmato il provvedimento del 24 novembre raccontato oggi da Repubblica, ci sarebbe addirittura un “risparmio contabile con l’ottimizzazione della spesa”.
FdI non fornisce numeri su questo risparmio, ma secondo il deputato i questori avrebbero semplicemente “provveduto a unificare due capitoli di spesa che da sempre prevedono somme disponibili per i deputati. Da una parte ci sono i 2. 500 euro a mandato per i deputati per acquistare materiale informatico e dall’altra ci sono gli oltre mille euro all’anno per acquistare materiale di cancelleria”.
Insomma, a suo dire oggi il nuovo bonus coprirebbe entrambe le voci, quelle per telefonini e pc e quelle per bloc notes e penne. Una “ottimizzazione della spesa che produce più praticità per i parlamentari”.
Le carte di Montecitorio
Gli atti della Camera però parlano chiaro. Il bonus per le dotazioni tecnologiche nella scorsa legislatura era di “2.500 euro” (determina dei questori numero 0016497 del 2018) ora è di “5.500 euro” (det. 0024059 del 24 novembre 2022). Proprio nell’ultima determina è scritto chiaramente che i prodotti di cancelleria, all’allegato 2 della nuova disciplina, “non concorrono alla determinazione dell’importo di 5.500 euro”. Solo a chi non bastasse questa fornitura di centinaia fra buste, lettere, cartelle, fermagli, pennarelli ed evidenziatori è data la possibilità di attingere dai 5.500 euro per ottenerne altri ancora, come extra. Insomma, funziona così: il bonus per pc, smartphone e tablet dei deputati viene moltiplicato del 120%, sotto Natale, e nell’elenco degli oggetti che la Camera in teoria può rimborsare con questo contributo sono stati inseriti anche alcuni prodotti di cancelleria. Che però Montecitorio già fornisce in prima battuta, gratuitamente, ai parlamentari e che dunque non intaccano il nuovo maxi-gettone.
M5S si divide
Oltre a FdI e alla Lega, anche il questore del Movimento 5 Stelle ha firmato le nuove regole sui rimborsi tecnologici. Ma non tutti nel partito di Giuseppe Conte difendono la mossa. Stefano Buffagni, ex vice-ministro dello Sviluppo, non ricandidato per il tetto del doppio mandato, attacca su Facebook: “Mentre il Paese versa in grosse difficoltà, le famiglie non arrivano a fine mese, le bollette volano alle stelle, trovo intollerabile, ma soprattutto politicamente suicida, avallare decisioni di questo tipo”, scrive Buffagni.
“Ho contribuito al taglio dei costi della politica, ho restituito più di 300 mila euro netti, non di certo per poi vedere questi autogol. Questa è una scelta che il Parlamento si poteva e doveva risparmiare”.
Cancellate le penali
Altra novità rispetto alla scorsa legislatura: nel 2018, sotto la presidenza di Roberto Fico, furono inserite alcune penali per limitare l’erogazione dei fondi e punire gli assenteisti. Erano previste trattenute nel caso in cui un parlamentare non partecipasse ad almeno il 50% delle sedute in Aula o non presentasse almeno l’80% delle proposte di legge in formato elettronico, per risparmiare sulla carta. Di questo passaggio, nel provvedimento varato il 24 novembre, non c’è più traccia. Nessun commento, sul punto, dai nuovi questori.
(da La Repubblica)
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Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
“IL GOVERNO SA BENE QUALI SONO GLI INTERVENTI DA FARE, DOVREBBE SMETTERE DI FARE L’ARBITRO E FARE IL REGISTA”
La recessione arriverà, ma solo per il Mezzogiorno. Stremato da un’inflazione che sui redditi bassi pesa di più, per via della maggiore quota riservata alle bollette e ai beni di prima necessità, il Sud si allontana già quest’ anno dal resto del Paese, con una crescita inferiore di oltre un punto a quella del Centro- Nord, e mezzo milione di poveri in più, i due terzi di chi, secondo le proiezioni della Svimez, scenderà sotto la soglia di povertà assoluta in Italia.
E per il 2023 il Rapporto Svimez sull’economia nel Mezzogiorno prevede un arretramento del Pil dello 0,4%, contro una crescita dello 0,8% del Centro Nord e una media nazionale dello 0,5%.
«Avremmo voluto presentare una narrazione diversa quest’ anno», ammette il direttore Luca Bianchi, ricordando che nel 2021 la crescita del Mezzogiorno, al 5,9%, era stata persino leggermente superiore a quella della Ue-27.
Acqua passata: la guerra in Ucraina e lo shock energetico hanno riportato ancora una volta indietro le Regioni del Sud, indebolite da un’industria che non decolla, dai giovani che fuggono, se possono senza neanche passare dalle università (chi può sceglie i corsi del Centro-Nord) e da un lavoro estremamente debole, precario, che non offre il supporto che dovrebbe.
Il 34,3% dei dipendenti nel Mezzogiorno ha una paga bassa, inferiore a 10.700 euro lordi annui, il part-time involontario dilaga e i dipendenti a termine sono quasi un quarto del totale. Il reddito di cittadinanza ha portato un po’ di sollievo ma le politiche attive sono un miraggio: solo il 43% dei richiedenti ha sottoscritto il Patto per il Lavoro e, tra questi, meno della metà ha ricevuto un’offerta.
«Il Pnrr è l’ultimo treno per ricomporre la frattura Nord-Sud ed esprimere il potenziale dell’Italia in Europa», afferma Luca Bianchi, mostrando una cartina dove le linee colorate che indicano le linee di collegamento ferroviario veloce si fermano alla Campania.
Il presidente della Svimez Adriano Gianola osserva come costringere le amministrazioni locali, sguarnite di personale specializzato e spesso anche in difficoltà di bilancio, a presentare progetti in tempi brevissimi per ottenere i fondi sia solo uno spreco di risorse: «È una follia lavorare con bandi competitivi su servizi essenziali come la sanità, la scuola e il trasporto pubblico locale. Il governo sa bene quali sono gli interventi da fare, dovrebbe smettere di fare l’arbitro e fare il regista».
Anche perché altrimenti si rischia di non raggiungere neanche la soglia obbligatoria del 40% degli investimenti del Pnrr riservati al Mezzogiorno, fissata proprio per superare i divari territoriali: per il ministero delle imprese e del Made in Italy la quota Sud si ferma al 24,5% e per quello del Turismo al 28,6%.
(da La Repubblica)
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Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
I TEDESCHI VOGLIONO CHIUDERE L’AFFARE ENTRO FINE ANNO, MA PRETENDONO CHE IL TESORO MANTENGA UN RUOLO MARGINALE PER NON AVERE INGERENZE DAL GOVERNO
Più di un compagnia regionale, meno di una di bandiera. Più voli da Milano, con forte spinta sul cargo da Malpensa, e meno peso all’hub di Fiumicino. Che assumerebbe un ruolo più stagionale, ma sarebbe cruciale per le rotte verso il Nord Africa e il Medio Oriente.
Il piano Lufthansa per Ita prende forma, anche se sul futuro della compagnia nata un anno fa dalle ceneri di Alitalia restano diversi punti interrogativi. Il primo riguarda i futuri soci della compagnia aerea; il secondo la sua valutazione e l’ultimo i tempi per chiudere l’operazione.
L’obiettivo concordato con l’Unione europea prevedeva di definire la privatizzazione entro fine anno. Soprattutto per evitare che il finanziamento pubblico al vettore si configurasse come un “aiuto di Stato”: con l’ultima iniezione di capitale, Ita dovrebbe avere cassa sufficiente per arrivare alla fine di marzo, ma l’obiettivo del Mef e di Lufthansa è quello di chiudere entro dicembre. E per questo in settimana sono attesi a Roma dai vertici di Ita gli emissari di Lufthansa. D’altra parte l’amministratore delegato del gruppo, Carsten Spohr, ha più volte ribadito che se il governo avesse deciso di proseguire con l’opzione tedesca sarebbe stato disposto «a venire a Roma ogni settimana»
A inizio anno i tedeschi avevano presentato un’offerta per Ita insieme a Msc, poi, una settimana fa, il colosso della famiglia Aponte ha annunciato l’intenzione di fare un passo indietro perché sarebbero venute meno le condizioni per portare a termine l’operazione. L’idea di poter creare sinergie però resta viva e Aponte segue da vicino la partita. Peraltro non ha mai nascosto che l’acquisto degli aerei cargo da parte di Msc non è in contrapposizione all’interesse per Ita.
Per Lufthansa, però, è cruciale che il Tesoro sia relegato a un ruolo secondario: non vuole ingerenze nella gestione della compagnia. E per questo al Mef preferirebbe Fs come azionista: se così non fosse, il piano è quello di lavorare a una partnership commerciale come quella che c’è in Germania tra Lufthansa e Deutsche Bahn. Il messaggio che gli emissari di Spohr porteranno a Ita e ai suoi azionisti è che ogni decisione verrà presa in nome dell’efficienza e della marginalità, non degli interessi della politica o dei bisogni di qualche imprenditore.
Motivo per cui non verranno aperte nuove rotte verso il Nord America – le più redditizie del mercato aereo – con i passeggeri italiani che dovranno fare scalo a Monaco o Francoforte. Tuttavia, se gli slot tedeschi arrivassero a tappo, allora potrebbe essere utilizzata Malpensa. L’Italia è il secondo mercato europeo per i tedeschi, per questo Ita non sarà “ridimensionata” come Austrian Airlines o Swiss Air, ma non sarà certo messa in condizioni di fare concorrenza ad Air France.
E in questo senso è probabile che venga rivisto anche il ruolo di Air Dolomiti all’interno del gruppo: il vettore veneto potrebbe essere fuso in Ita, ma se anche così non fosse tra le due compagnie verrebbero create sinergie per evitare duplicazioni. L’ultimo nodo da sciogliere riguarda il prezzo.
Considerando che dal 2014 Alitalia è costata due milioni di euro al giorno allo Stato, e che Ita continua a perdere soldi, la valutazione di inizio anno è crollata a 500 milioni di euro: i tedeschi non sono disposti a spingersi oltre e neppure Msc. A patto che rientri in partita.
(da agenzie)
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Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
SONDAGGIO LEVADA: UN NUOVO RICORSO ALLA COSCRIZIONE OBBLIGATORIA MINEREBBE IL SOSTEGNO AL REGIME
La guerra pesa sul morale dei russi. Temono nuove mobilitazioni e che il Paese sia in un vicolo cieco. Non riescono a immaginare il futuro. La maggioranza vuole la pace.
È quanto emerge dagli studi sull’opinione pubblica condotti in novembre dal centro statistico Levada, anticipa a Fanpage.it il sociologo responsabile della ricerca. Se Vladimir Putin ricorresse ancora alla coscrizione obbligatoria — e ci sono indizi che lo farà — potrebbe alienarsi la popolazione. Soprattutto le donne.
Senza un domani
“La gente non vede come la Russia potrà uscire dalla situazione in cui si è messa in Ucraina, e ritiene che neanche al Cremlino lo sappiano”, spiega al telefono da Mosca Alexey Levinson, capo del dipartimento Ricerche socio-culturali dell’istituto di sondaggi. Il Centro Levada è indipendente dal governo, che lo ha dichiarato “agente straniero” ma si guarda bene dal chiuderlo: i sondaggi indipendenti servono anche a Putin. Nella scorsa settimana, Levinson ha condotto una serie di focus group in diverse città. Condivide con noi le sue osservazioni: “La cosa che preoccupa i russi è la mancanza di comprensione del possibile esito di tutto questo”, nota il sociologo. “Non riescono a raffigurarsi un futuro, un ‘dopo’. Non si capisce quali siano gli obiettivi della guerra. Così aumentano sempre più le persone favorevoli a negoziati di pace”.
Si rafforza quindi la tendenza rilevata in ottobre, quando già il 57% degli intervistati era a favore della trattativa. I dati raccolti nell’ultimo mese sono in fase di elaborazione e verranno pubblicati solo nei prossimi giorni. Ma registreranno con ogni probabilità un ulteriore aumento dei “pacifisti”. “Sono soprattutto le donne che vogliono la fine del conflitto”, rivela intanto Levinson. “È un fatto importante: la parte femminile della società è ora leader del ‘partito della pace’”. Che non è un vero partito né è necessariamente contro Putin ma, almeno al momento, è in evidente disaccordo con lui sul da farsi in Ucraina.
Il “partito” delle donne
Il movimento “Resistenza femminista contro la guerra”, insieme a un gruppo di iniziativa di madri dei soldati mobilitati tra settembre e ottobre, ha appena pubblicato una lettera aperta che chiede la fine delle ostilità e la ritirata delle truppe russe dal territorio ucraino. Il documento è indirizzato ai parlamentari della Duma e del Consiglio della Federazione. Contiene anche un appello per l’adozione di leggi contro la violenza domestica. Oltre 32,500 vittime l’anno, secondo dati di Statista. Ma in Russia, a meno che le lesioni non siano gravi, picchiare ogni tanto la moglie non è un reato: Putin lo ha depenalizzato nel 2017.
L’attivismo delle donne contro la guerra si è intensificato, nelle ultime settimane. Si sono costituiti comitati di mamme e mogli dei coscritti, per rivendicare quantomeno i diritti di chi è stato spedito sui fronti ucraini senza neanche un addestramento e un equipaggiamento adeguati. Hanno chiesto più volte di incontrare il presidente.
La pagina del più insistente e critico di questi comitati su VKontakte, il Facebook made in Russia, è stata bloccata dalle autorità. Ma il presidente un gruppo di madri di soldati alla fine lo ha ricevuto. Una farsa: erano tutte dame dell’alta società putiniana, ha scoperto il canale Telegram Mozhem Obyasnit. Gente che nemmeno sotto tortura farebbe mai una domanda scomoda allo zar.
“È tuttavia un segnale importante, chiunque fossero quelle signore: per la prima volta il leader del Cremlino ha riconosciuto che c’è qualcosa che non va”, dice Alexey Levinson. “E che i problemi legati al conflitto in corso sono socialmente sensibili, perché stanno toccando i sentimenti di molte persone”.
Le madri dei soldati in passato hanno avuto un ruolo importante nel contrastare le avventure belliche di Mosca. Negli anni ’80 furono le prime a opporsi alla guerra in Afghanistan. Durante la prima guerra cecena, alla metà degli anni ’90, furono protagoniste di azioni di protesta clamorose diventando il simbolo dell’opposizione pubblica al conflitto, tra i principali motivi che convinsero Boris Yeltsin, il presidente di allora, a dichiarare il cessate il fuoco e a firmare poi un trattato di pace.
Nella Russia di Putin, però, non c’è da aspettarsi alcunché di simile, secondo Levinson. “La realtà sociale è completamente diversa rispetto a quella dei tempi di Gorbachev o di Yeltsin. La repressione del dissenso e la pressione dei servizi di sicurezza e della polizia hanno colpito la propensione a protestare. È già molto che nei sondaggi oggi si possa anche solo pronunciare la parola ‘pace’: nei primi mesi della ‘operazione speciale’ in Ucraina era proibita”. Inoltre, aggiunge il sociologo, adesso a criticare il Cremlino non sono tanto le mamme quanto le mogli dei coscritti: “Ed è una circostanza ricca di conseguenze, perché la madre nella cultura russa gode di un prestigio che la moglie non ha”. Meno influenza sulla società, quindi. D’altra parte, l’età più giovane delle potenziali “nemiche” del regime e la loro maggior presenza nelle attività lavorative potrebbero nel lungo termine creare non pochi fastidi al presidente
Verso una nuova mobilitazione
Fatto sta che anche un nuovo richiamo alle armi probabilmente non provocherebbe rivolte. A Mosca tutti se lo aspettano. La mobilitazione parziale proclamata a fine settembre è stata dichiarata conclusa ma il decreto che la istituiva non è mai stato annullato. Ci sarà pure un motivo. Intanto, è stata annunciata una riorganizzazione degli uffici di leva. Potranno contare su un database elettronico unico dei possibili coscritti, con informazioni particolareggiate su ognuno. Numeri di telefono e indirizzi e-mail compresi. Lo scopo è quello di evitare che si ripeta il caos verificatosi con la prima mandata di reclutati, quando sono state richiamate persone disabili e sono sfuggiti alla cartolina molti degli effettivamente arruolabili.
Le ragioni per mandare altri ragazzi russi a morire ci sono tutte, dal punto di vista del Cremlino: fonti militari e dei servizi segreti hanno raccontato al sito di notizie Important Stories che il governo prevede 100mila perdite entro l’estate tra gli ultimi mobilitati. E che intende rimpiazzare i caduti e i feriti con 120mila reclute. Putin non abbandona l’obiettivo di prendere Kyiv ed è pronto a combattere per anni, dicono le stesse fonti.
Secondo lo Stato maggiore delle forze armate ucraine, una “mobilitazione nascosta inizierà” già dal prossimo 10 dicembre, in Russia. L’impatto sociale sarebbe drammatico. “Prima della mobilitazione di fine settembre i cittadini, sottoposti a una martellante propaganda secondo cui tutto andava bene, erano rimasti praticamente indifferenti alla guerra in Ucraina”, ricorda Alexey Levinson. Poi, tutto è cambiato.
“La mobilitazione ha portato la guerra nelle case. È stata una sveglia per tutti, non solo per i richiamati e per le loro famiglie. Ed è già costata una catastrofe nazionale, con centinaia di migliaia di giovani che son scappati all’estero lasciando indietro i loro cari”.
Il futuro di Putin
Alla mancanza di una prospettiva chiara sul loro futuro i russi sono allenati. “Il regime attuale è sempre stato silente rispetto al futuro, non per qualche arcano motivo di segretezza ma proprio perché non ne ha alcuna idea”, argomenta Levinson.
Durante la preparazione di questa guerra e ancor più dopo l’invasione, Putin ha creato per il suo Paese una sorta di ideologia fondata sui cosiddetti valori tradizionali, sulla contrapposizione all’Occidente e su un imperialismo volutamente malcelato. Ricorrendo ai miti della Storia patria, e quindi al passato, si vogliono stimolare le coscienze e compensare la mancanza di chiarezza sul futuro. La guerra, intanto, serve a stringere la gente intorno alla bandiera.
Il sistema creato nel corso degli ultimi vent’anni da autoritario sta trasformandosi in totalitario e quindi — dicono i politologi — necessita della mobilitazione delle masse per autoconsevarsi. Non bastano più l’apatia e l’indifferenza.
Il sovrano chiama i cittadini a un impegno attivo. Niente più della mobilitazione militare può rappresentare questo impegno. La ricerca di Levada indica però che la mobilitazione militare per i russi è solo “uno shock tremendo che alimenta il pessimismo”, riferisce Levinson. Altro che entusiasmi totalitari.
La prosecuzione della guerra e l’invio di nuova carne da macello sui fronti ucraini — se avverrà — non porterà forse a una Rivoluzione russa del terzo millennio. Ma sulla società avrà conseguenze opposte a quelle cercate dal presidente. Allontanando sempre più le coscienze dei cittadini dalle torri del Cremlino. Con effetti che a lungo andare potrebbero diventare fatali, per il totalitarismo ibrido di Vladimir Putin.
(da Fanpage)
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Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
“LEGGE DI BILANCIO OFFENSIVA”: MANIFESTAZIONE IL 15 DICEMBRE
I soldi in legge di bilancio non bastano, e i medici scendono in piazza. Una manifestazione è stata indetta per il 15 dicembre, a Roma, da molti sindacati e associazioni di medici, veterinari e dirigenti sanitari.
Le organizzazioni protestano, tra le altre cose, contro “il definanziamento ulteriore della sanità pubblica previsto nei prossimi anni, che costringerà molti cittadini a doversi pagare le cure di tasca propria”.
Intervistato da Fanpage.it, il segretario nazionale di Anaao-Assomed – sindacato medico tra i più rappresentativi – Pierino Di Silverio spiega cosa ha motivato la decisione di protestare: “Nella manovra ci sono briciole per il personale medico e chi opera nel pronto soccorso. La cifra è 200 milioni di euro, di cui 60 ai medici, e in più sono programmati per il 2024”.
Nelle scorse settimane le associazioni del mondo medico avevano fatto notare la necessità di intervenire per compensare i costi del caro bollette, e qui il governo “ha dato un segnale, i soldi previsti bastano per dare un po’ di respiro”, dice Di Silverio. Ma “non basta la luce a curare il paziente. Se non vogliamo avere sale operatorie con tutte le luci accese ma senza medici, occorre fare qualcosa per il personale”.
La manovra non affronta i problemi sistematici della sanità (“e dire che le premesse sembravano buone, con un ministro medico”), e in più proprio dal ministero della Sanità c’è stato un incomprensibile “silenzio istituzionale, anche rispetto alle nostre continue richieste di incontro”.
Ora, per un faccia a faccia è troppo tardi. “Ormai un colloquio serve a poco”, afferma il segretario, “si va avanti finché non avremo risposte concrete, non promesse”. La legge di bilancio è “francamente offensiva per noi. Con la flat tax agevoli i liberi professionisti e il lavoro a gettone, mentre dici di voler premiare i medici? È una contraddizione inaccettabile”.
La protesta del 15 dicembre non sarà un’occasione isolata, ma “il primo passo di un periodo di proteste”. Ci si rivolgerà ai cittadini (perché “quando il cittadino comprende che non ci sono i giusti investimenti, la rivolta professionale si trasforma in una rivolta sociale”) e se serve si fermeranno gli ospedali: “Se necessario arriveremo a bloccare anche l’attività negli ospedali. Siamo disposti a tutto. Se non diamo segnali di questo tipo, i medici continueranno ad andare via dagli ospedali”.
La questione è che “non c’è solo il problema del personale e non c’è solo il problema delle bollette dell’elettricità: sono interconnessi. E invece sul personale non è arrivato niente. Lo aspettavamo come acqua nel deserto”.
Anche Fiaso, la federazione delle Asl e delle aziende ospedaliere italiane, ha criticato la legge di bilancio del governo Meloni. Il suo presidente, Giovanni Migliore, sempre a Fanpage.it afferma che le risorse destinate al caro bollette sono “pienamente sufficienti” a compensare il rincaro del 70% (media nazionale) dei costi dell’energia. Ma i problemi del personale restano senza risposta.
“La questione del personale è semplice”, spiega Migliore, “Per assicurare le prestazioni che ci chiedono i cittadini – recupero delle lista d’attesa, assistenza a domicilio – abbiamo bisogno di professionisti. Solo che da una parte siamo vincolati a un limite di spesa per il personale che è quello del 2004, vent’anni fa. E dall’altra, se anche potessimo superare il tetto di spesa, spesso non ci sono le risorse per farlo”.
È già in vigore una misura che permette “assumere a tempo indeterminato gli operatori sanitari e i professionisti che hanno lavorato per almeno 18 mesi nel periodo Covid. Ci consentirebbe di arruolare decine di migliaia tra infermieri e medici, ma non tutte le Regioni hanno potuto farlo perché le risorse finanziarie non ci sono”. La spesa dello Stato, insomma, è troppo bassa: “Quest’anno e i prossimi, la percentuale di Pil che investiremo in sanità è attorno al 6,2%, e va a scendere. Paesi come Francia o Germania investono almeno due punti in più”.
Una proposta di Fiaso è impiegare gli specializzandi: “Oggi abbiamo una carenza di specialisti, ma abbiamo tanti medici. Io, come azienda sanitaria pubblica, non posso utilizzare un medico non specialista. Ma lo stesso medico” nella sanità privata “può esercitare a pieno diritto”.
“Serve una legge per arruolare gli specializzandi per 24 o 36 mesi al massimo, per per traghettare il Ssn in questi 2-3 anni. Dopo si spera che, grazie all’investimento nelle borse di studio per le specializzazioni, avremo più specialisti”, conclude Migliore. Per De Silverio, però, “non è più il momento di soluzioni-tampone. Servono risposte programmate e di lungo periodo”.
(da Fanpage)
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Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
IL CASO SCUOLA DELLA VILLA DI 100 METRI QUADRATI COSTRUITA NEL 1995 DA UN IMPRENDITORE A ISCHIA: LA SENTENZA DI CONDANNA CON PENA DELLA DEMOLIZIONE RISALE AL 2003, MA È STATA ABBATTUTA SOLO NEL 2021, DOPO SVARIATE RICHIESTE DI SANATORIA
La sentenza penale di condanna definitiva per abusivismo edilizio, che comporta la pena accessoria della demolizione, risale al 2003. La casa, però, una villa di circa 100 metri quadrati edificata nel 1995 a Ischia in una zona a rischio idraulico e di frana molto elevato (tecnicamente area «R4»), è stata abbattuta solo nella primavera del 2021.
Accade nel Comune di Ischia, in una località situata circa 110 metri sopra il livello del mare, a ridosso di un versante franoso e di un canale di scolo delle acque.
Il protagonista della vicenda è un piccolo imprenditore edile, il quale nel 1995 realizza sul terreno di sua proprietà un manufatto di 75 metri quadrati. Non ha alcun titolo edilizio legittimo. Scatta il sequestro da parte dell’autorità giudiziaria.
Il proprietario presenta istanza di condono – sebbene l’edificio sia stato costruito ampiamente oltre i termini – ai sensi della sanatoria approvata nel 1994 dal primo governo Berlusconi. La pratica resta dormiente, come la maggior parte delle 27.000 che ingolfano gli uffici tecnici dei sei Comuni (Ischia, Barano, Forio, Casamicciola, Serrara Fontana, Lacco Ameno) dell’isola campana.
A novembre 1997 l’immobile è dissequestrato dall’autorità giudiziaria affinché il proprietario, nel frattempo condannato in Tribunale, proceda alla demolizione. Nel 1998 il prefabbricato abusivo con lamiere va giù, ma dalle sue ceneri ecco che spunta una villa, anch’ essa completamente abusiva, di un centinaio di metri quadrati e sei stanze. Presto abitata dall’uomo e dal suo nucleo familiare.
A novembre 1998 i vigili urbani effettuano un sopralluogo ed accertano opere abusive che consistono «in un manufatto di circa 100 metri quadrati ed alto metri 3 circa». Il Comune emana una ordinanza di demolizione, ma ad essa non segue la benchè minima iniziativa finalizzata a dare ad essa esecuzione. La villa da cento metri quadrati rimane lì, dove non potrebbe stare e dove è pericoloso che resti innanzitutto per chi la abita.
Nel 2003, nel frattempo, ecco che arriva il terzo condono edilizio. Il proprietario della casa in zona R4 decide che è il momento di osare e presenta una seconda istanza di sanatoria, questa volta relativa ai trenta metri quadrati aggiunti al primo abuso, quella da settanta, per il quale aveva già richiesto il condono nel 1995 ed aveva pure riportato una condanna. Il Comune richiede integrazioni, procede nell’istruttoria e sollecita alla Soprintendenza il parere.
Nel frattempo, però, la Procura della Repubblica ha aperto una seconda indagine su quell’immobile di 100 metri quadrati sorto al posto di quello, anch’ esso abusivo, di 75 metri quadri. Anche questa inchiesta si conclude nel 2001 con una condanna in primo grado per l’autore degli abusi edilizi e nel 2003 con la conferma della sentenza in Corte di Appello. Prima, però, che le ruspe accendano i motori trascorreranno ancora 18 anni. Gli avvocati continuano a dare battaglia con una serie di ricorsi (incidenti di esecuzione) finalizzati a dimostrare che il provvedimento di demolizione va bloccato. Infine, a maggio 2021 – ventisei anni dopo il primo abuso edilizio in quella zona R4 – la demolizione .
(da il Corriere della Sera)
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Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
TRA I COMMERCIANTI ROMANI LA STRAGANDE MAGGIORANZA È FAVOREVOLE ALL’IPOTESI DI ALZARE A 60 EURO IL TETTO PER L’OBBLIGO DI PAGAMENTO CON IL POS
“Nun se ponno pagà due paste de due euro e quaranta con il bancomat. Sono d’accordo con la proposta del governo perché non se ne può più co sto bancomat”, dice la titolare di una pasticceria di Centocelle, quartiere a sud-est della Capitale.
Tra i piccoli esercenti sono in tanti a favore delle nuove regole che il governo Meloni ha inserito nella legge di Bilancio in discussione alla Camera
Il governo vuole portare a 60 euro la soglia oltre la quale scatterà la sanzione per l’esercente o il professionista che non accetta il pagamento digitale. A fare storcere il naso ai tanti commercianti sono i costi delle transazioni con i pagamenti tramite Pos
“E’ una questione di educazione più che di una legge. Perché non si può venire a pagare un caffè di 1 euro con il bancomat quando si sa benissimo che noi abbiamo tante spese. Preferisco dire il caffè è offerto”, lamenta invece la proprietaria di un bar.
Divergenti invece le posizioni dei tassisti che si dividono tra i favorevoli e contrari al provvedimento. “Va eliminato l’uso delle carte sotto i dieci euro”, propone un tassista. Ma c’è anche chi dice: “Ormai si va verso la moneta elettronica, non c’è niente da fare”.
(da agenzie)
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Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
SVENTOLAVA LA BANDIERA DELLA PACE E UNA MAGLIA INNEGGIANTE ALL’UCRAINA
È stata la sua ultima corsa su un campo da gioco quella di ieri. Lo ha detto lo stesso Falco, l’invasore di campo che durante la partita Portogallo-Uruguay dei Mondiali 2022 ha attraversato il prato del Lusail Stadium sventolando una bandiera arcobaleno e indossando una maglia di Superman – suo marchio di fabbrica – su cui campeggiavano le scritte «Save Ulkraine» e «Respect for Iranian Woman».
«La chiamerò The last dance», ha scritto in un post su Instagram in cui ha ribadito i messaggi di ieri. Uno «per l’Iran dove ho amici che soffrono, dove la donna non viene rispettata» ha scritto, lanciando un appello: «Il mondo deve cambiare, lo possiamo fare insieme con gesti forti, che vengono da cuore, con coraggio».
Riguardo alla bandiera arcobaleno della pace, il Falco – all’anagrafe Mario Ferri – ha scritto: «La Fifa ha vietato le fasce da capitano con l’arcobaleno e le bandiere per i diritti umani sugli spalti, hanno bloccato tutti, ma non me, come un Robinhood 2.0 ho portato il messaggio del popolo. Vogliamo un mondo libero che rispetta tutte le razze e tutte le idee».
Infine, ha rivelato: «Sono stato un mese in guerra a Kiev come volontario e ho visto quanto quel popolo stia soffrendo. Vogliamo la pace in Ukraina, slava Ukraina». «Infine ha dichiarato: Infrangere le regole se lo si fa per una buona causa non è mai un reato».
(da agenzie)
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Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
IL TESTO INTEGRALE
La procura di Napoli ha aperto un’indagine che parte proprio dagli allarmi inascoltati e in particolare da quelli lanciati, tutti via posta elettronica certificata, dall’ex sindaco di Casamicciola, l’ingegnere (e omonimo dell’ex premier) Giuseppe Conte.
Mentre la conta delle vittime è arrivata a 4 dispersi e 8 vittime, infatti, i magistrati, competenti sul territorio dell’isola che fronteggia il capoluogo, hanno avviato delle verifiche per capire se il disastro di sabato scorso avrebbe potuto essere evitato con una manutenzione del territorio più efficiente. E se qualcuno si era accorto che un costone del monte Epomeo rischiava di franare giù.
Avvertimenti che sostiene di aver lanciato l’ingegner Conte che già ieri ha spiegato di aver agito per senso civico, inviando ben 23 mail a tutte le autorità del caso, sapendo che gli interventi ritenuti necessari già nel 2009 non sono mai stati portati a termine. Le immagini che Open pubblica, se riscontrate dai controlli sui server promessi dai pm, darebbero risposta alle prime domande della procura di Napoli: quando sono stati mandati questi allarmi e a chi.
Vale la pena di leggere la lettera integralmente. Anche perché, soprattutto nella parte finale, è molto esplicita. Dopo le premesse di rito, l’ingegner Conte racconta di una situazione apparentemente nota a tutte le autorità del luogo:
“È opportuno ricordare che nella notte del 13 febbraio 2021 si verificava presso il Vallone la Rita, il crollo di uno degli storici stabilimenti termali ivi insistenti, per cui la Protezione civile regionale insieme al Soccorso alpino e speleologico della Campania hanno ispezionato il canale tombato, quasi sicuramente ostruitosi a seguito degli evidenti crolli. I tecnici intervenuti hanno riscontrato l’esistenza di una situazione decisamente catastrofica, la possibilità di ulteriori crolli e l’urgenza di ripulire tutto l’alveo sia dalla vegetazione, sia dall’immondizia e dai blocchi di materiale solido presente all’interno. Considerato che i lavori richiesti non sono stati realizzati, può sussistere lo stato di grave crisi per la calamità naturale”imminente“, nei comuni di Casamicciola Terme e di Lacco Ameno, dato dal pericolo imminente nella zona del Vallone della Rita.
Considerato, altresì, che l’Autorità di Bacino competente, il Sindaco di Casamicciola Terme e il sindaco di Lacco Ameno, pro tempore, hanno segnalato la concreta possibilità, in caso di allerta meteo, di evacuazione della popolazione dell’unico presidio sanitario ospedaliero dell’isola d’Ischia, delle case popolari nonché della scuola media. Con la precisazione che nella zona di confluenza dell’alveo vi è anche una centrale di trasformazione dell’Enel, il sottoscritto in ottemperanza al senso civico che lo anima.
Invita Le Autorità di indirizzo, per le rispettive competenze, ad adottare tutte le iniziative necessarie per la sicurezza e la salute delle persone che operano a valle dell’alveo La Rita. Inoltre tutti gli alvei naturali di Casamicciola Terme, nonostante i fondi stanziati, per l’inerzia della pubblica amministrazione, in un perverso gioco di scarica barile, non sono stati oggetto di alcun intervento dopo l’alluvione del novembre del 2009. C’è quindi, l’eventualità concreta di una nuova alluvione nelle stesse zone, per cui si chiede di porre in essere determinate azioni di protezione della popolazione, che non può essere il sempice avviso di un’allerta Meteo”
(da Open)
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