Dicembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
LE BALLE SOVRANISTE VENGONO A GALLA, NEANCHE IN GRADO DI TROVARE 26 EURO
È saltato l’aumento delle pensioni minime da 574 a 600 euro. L’incremento era
una proposta di Forza Italia che era passata durante il vertice di Palazzo Chigi sulla manovra. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva spiegato la necessità di calcolare l’entità e l’età di partenza, dai 75 o dagli 80 anni. Ma alla fine è arrivato uno stop. Dal sottosegretario leghista al Lavoro Claudio Durigon.
Il quale ha detto che non ci sono fondi a sufficienza nell’immediato, ma anche che l’obiettivo sarà raggiunto «nel corso della legislatura».
Il problema è di risorse, come per la proroga del Superbonus 110% al 31 dicembre e lo sblocco dei crediti nel Dl Aiuti quater. La mediazione proposta partirebbe dall’idea di premiare solo alcune categorie di over 70. Ma è di difficile applicazione. E Fi si lamenta: «Non si può dire una cosa durante la riunione di maggioranza e un’altra fuori».
(da agenzie)
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Dicembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
TOTOCANDIDATURE: FDI INCERTI TRA RAMPELLI E TRANCASSINI
Una donna, profilo civico, e due sogni: Bianca Berlinguer o Luisella Costamagna. Sono ore intense in casa M5S, il tempo stringe. Così nel totocandidature innestato dall’impossibile intesa tra grillini e piddini entrano in lizza i nomi delle due stranote telegiornaliste.
“Giuseppe Conte ci sta provando, poi chissà se ci riuscirà. Un conto è parlare di politica, anche conoscendone ogni segreto, e un altro è farla”, dicono i pentastellati alla Pisana. L’idea del Movimento, specie se si dovesse riuscire nell’impresa di convincere Berlinguer, è di proporre una candidatura in grado di parlare al popolo del centrosinistra e quindi strappare voti al Pd. In una rincorsa che, così dicono i sondaggi, comunque promette di lasciare saldamente in controllo il centrodestra di Giorgia Meloni.
Ma torniamo alle faccende grilline. Quello di Bianca Berlinguer è un nome che piace (e non poco) a Giuseppe Conte già da tempo. Il leader 5S la difese pubblicamente lo scorso maggio, quando il talk Cartabianca invitò Nadana Fridrikhson, volto della tv del ministero della Difesa russo, a parlare della guerra in Ucraina su Rai 3. Dopo il richiamo dell’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, ecco la difesa del numero uno dei pentastellati via Instagram: “Il Movimento dice giù le mani da Bianca Berlinguer”. Il primo passo verso la candidatura? Lo dirà solo il tempo.
L’alternativa, come detto, sarebbe Luisella Costamagna. Che, però, ha già detto “no” a una possibile candidatura alle Europee. Era il 2019. “Politicamente un’era geologica fa”, si dice tra i 5S, che considerano la giornalista una dei loro, da sempre vicina alle battaglie grilline.
Sul nome dovrebbe esserci più chiarezza entro la fine della prossima settimana, quando pure Fratelli d’Italia avrà deciso che fare con Fabio Rampelli e Paolo Trancassini, i due che sembrano contendersi la candidatura. Per il Movimento 5 Stelle il nome potrebbe diventare ufficiale sabato 17 dicembre, quando si riunirà ancora una volta il Coordinamento 2050, la sinistra di Paolo Cento, Loredana De Patris, Stefano Fassina e Alfonso Pecoraro Scanio. L’obiettivo dell’assemblea è tirare giù i primi punti del programma per le Regionali, riunendosi a Spinaceto. Nel IX Municipio, quello che ospiterà il termovalorizzatore nei piani del sindaco Roberto Gualtieri. L’opera su cui è nata la frattura tra Pd e 5S a livello nazionale e poi nel Lazio.
(da agenzie)
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Dicembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
E’ IL PEGGIOR DATO TRA I PAESI DELL’UNIONE EUROPEA: VUOL DIRE CHE IN ITALIA OLTRE UN QUINTO DELL’IVA DOVUTA NON VIENE PAGATA… SOLTANTO ROMANIA E MALTA HANNO PERFORMANCE PEGGIORI
In Italia, l’evasione dell’Iva costa 26,2 miliardi di euro l’anno. Più di quanto il
governo spenderà nel 2023 per contrastare il caro-energia (21 miliardi). In termini assoluti si tratta del peggior dato tra i Paesi dell’intera Unione europea, dove il conto dell’Iva non riscossa è di 93 miliardi l’anno. In termini percentuali, vuol dire che in Italia oltre un quinto dell’Iva dovuta non viene pagata: secondo il rapporto pubblicato dalla Commissione europea (riferito al 2020), soltanto Romania e Malta hanno performance peggiori (la Grecia invece è migliorata e ha superato l’Italia, scendendo sotto il 20%)
Si tratta di numeri che assumono un significato particolare alla luce delle recenti proposte del governo, che nella legge di Bilancio ha deciso di eliminare le sanzioni per i commercianti che si rifiutano di accettare pagamenti con carta sotto i 60 euro. «In tempi difficili come questi – ha sottolineato Paolo Gentiloni – le finanze pubbliche hanno bisogno di solide entrate fiscali, sia per sostenere i servizi pubblici, sia per sostenere gli investimenti».
Secondo il commissario all’Economia, «i cittadini chiedono equità fiscale e un’azione forte per contrastare la frode e l’evasione fiscale». Gentiloni non ha voluto sbilanciarsi sulle misure contenute nella manovra, ma ha ribadito che «i princìpi sono abbastanza evidenti: per noi la fatturazione elettronica e la lotta all’evasione sono le grandi priorità».
Nel mirino di Bruxelles, in particolare, c’è la norma sull’obbligo di Pos che potrebbe segnare un passo indietro nella lotta all’evasione fiscale e che sembra in contrasto con gli obiettivi del Pnrr. Diverso il discorso sul tetto all’uso del contante, che il governo Meloni ha deciso di alzare a cinquemila euro. La misura sembra essere in linea con gli standard Ue, tanto che ieri il Consiglio ha dato il suo sostegno alla proposta della Commissione che prevede di fissare un tetto massimo a 10 mila euro per i pagamenti in contanti (la Germania, contraria, si è astenuta).
Anche se ovviamente la peculiarità italiana, dovuta proprio all’elevato tasso di evasione, rappresenta un fattore di preoccupazione. Gentiloni, comunque, si è detto fiducioso. Ha spiegato che la Commissione non intende lanciare alcun allarme sulla manovra (il giudizio arriverà la prossima settimana) e ha assicurato che da parte del governo italiano «c’è l’impegno a voler rispettare gli obiettivi e le scadenze del Pnrr in modo serio»
Per cercare di tamponare l’emorragia di Iva non incassata, la Commissione ha proposto una serie di provvedimenti che potrebbero permettere di recuperare fino a 18 miliardi di euro a livello Ue. Circa un quarto dell’Iva che sfugge alle casse degli Stati Ue è legato a frodi per le operazioni transfrontaliere, per questo motivo l’esecutivo comunitario vuole introdurre un sistema per rendere obbligatoria la fatturazione elettronica per tutte le transazioni transfrontaliere, in modo da consentire una comunicazione dei dati «in tempo reale» anche attraverso una banca dati europea.
Le imprese che vendono prodotti o servizi a consumatori in un altro Stato potranno registrarsi una sola volta ai fini dell’Iva in tutta l’Ue e adempiere ai loro obblighi attraverso un unico portale: un’operazione che, secondo le stime di Bruxelles, potrebbe far risparmiare alle piccole e medie imprese circa 8,7 miliardi di euro in costi amministrativi nell’arco dei prossimi 10 anni. C’è poi un’altra novità che riguarda le piattaforme che gestiscono il trasporto di persone e le strutture ricettive a breve termine, come Uber e Airbnb.
In base alle nuove norme, le piattaforme saranno responsabili della riscossione e del versamento dell’Iva «quando i fornitori dei servizi non lo fanno, ad esempio perché sono una piccola impresa o un singolo fornitore». Una misura che dovrebbe servire anche a garantire parità di concorrenza perché, come ha puntualizzato Gentiloni, metterà fine «al trattamento iniquo per hotel e taxi tradizionali».
(da La Stampa)
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Dicembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
“TRA FEBBRAIO E MARZO SCORSI LE TEMPERATURE ERANO VICINE AI MENO QUINDICI, NOI ERAVAMO MOLTO MENO EQUIPAGGIATI DI OGGI, EPPURE SI È COMBATTUTO EGUALMENTE”
Il significato della battaglia di Bakhmut? «Cerchiamo di dissanguare le unità russe. Stanno perdendo migliaia di uomini e assottigliando le riserve di munizioni. Un po’ come a primavera si impantanarono a Mariupol: impiegarono due mesi per prendere la città e noi guadagnammo tempo prezioso, che ci permise di organizzare i nostri contrattacchi. La differenza oggi, però, è che Bakhmut non la perderemo e, se anche dovesse avvenire, sarebbe comunque una vittoria», spiegano gli ufficiali ucraini sul fronte del Donbass.
Tiriamo le fila degli incontri con i militari in questi ultimi tre mesi trascorsi spesso con i portavoce dello Stato maggiore a Kiev e soprattutto qui, sui campi di battaglia nell’est del Paese. La conclusione più evidente resta che la guerra continua, non si vede alcuno spazio per una tregua o spiraglio di negoziato.
Ieri dal Cremlino hanno ripetuto a chiare lettere che il governo Zelensky e gli alleati occidentali devono riconoscere le conquiste territoriali russe, non solo la Crimea o le zone autonome di Lugansk e Donetsk, ma anche le regioni occupate a partire dal 24 febbraio. La risposta ucraina la vediamo realizzarsi coi militari sul terreno: non si cederà neppure un metro, solo il ritorno ai confini del 1991 garantirà la pace.
Ieri la strada da Dnipro verso Kramatorsk e le province contese del Donbass era percorsa da infinite colonne di camion militari cariche di munizioni, razzi, cibo, benzina, accompagnate da fila interminabili di bus, jeep e auto private stipati di soldati. Non li fermavano il ghiaccio o il freddo e neppure la pioggia di razzi e proiettili d’artiglieria pesante che nella notte aveva colpito indifferentemente zone civili (i morti sono una decina), oltre a infrastrutture dell’elettricità e postazioni militari.
«Tra febbraio e marzo scorsi le temperature erano vicine ai meno quindici, noi eravamo molto meno equipaggiati di oggi, eppure si è combattuto egualmente. Non c’è motivo che la guerra rallenti nei prossimi mesi», ci dicono nei rifugi scavati nella terra gelata. Cerchiamo di riassumere in cinque punti la situazione.
1) Il braccio di ferro per Bakhmut continua. Gli ucraini stanno costruendo una seconda linea di resistenza lungo il canale dell’acqua che si trova un paio di chilometri a ovest delle periferie occidentali, ma intanto insistono nel rafforzare le postazioni delle artiglierie avanzate. A detta delle loro unità scelte, le brigate della Wagner (i contractor privati considerati i veterani più esperti tra i russi) ultimamente lanciano attacchi notturni con piccole pattuglie ben equipaggiate di visori a raggi infrarossi, però le loro avanzate si misurano in termini di poche decine di metri al giorno.
2) Nel frattempo, gli ucraini stanno cercando di sfondare a est di Kharkiv, verso Svatove e più a sud in direzione di Soledar. Il piano sarebbe liberare ampie aree del Lugansk settentrionale per poi accerchiare la Wagner prendendola alle spalle.
3) Resta vivo il progetto di aprire un nuovo asse d’attacco nel settore di Zaporizhzhia verso Melitopol e infine sino alla città portuale di Berdiansk.
4) Sul fronte di Kherson si lavora per superare il Dnipro verso la Crimea e a nord per la centrale nucleare di Zaporizhzhia. Qui uno dei punti chiave è il canale d’acqua di Nova Kakhovka. E Kiev riferisce che i russi hanno portato lanciarazzi nella centrale.
5) Inquietano le concentrazioni di truppe russe in Bielorussia. A Kiev pochi credono che Lukashenko intenda entrare in guerra. Ma Putin preme e gli ucraini sono costretti a distogliere risorse dai fronti critici per difendere quello occidentale, per cui passano gli aiuti militari Nato dalla Polonia.
(da il Corriere della Sera)
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Dicembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
L’INFLUENTE MAGAZINE AMERICANO BOCCIA LA PREMIER ITALIANA
Quelli che fanno, “doers”, quelli che sognano, “dreamers”, quelli che
disgregano, “disrupters”: sono queste le categorie con cui l’influente magazine online americano “Politico” divide le personalità politiche più potenti dell’anno che sta per finire.
E durante la presentazione a Bruxelles dell’ultima edizione di “Politico 28” (l’evento si chiama così dai tempi in cui nell’Unione Europea c’era anche la Gran Bretagna, ma ora sarebbe più corretto ribattezzarlo “27”) gli italiani presenti hanno avuto la sorpresa di vedere, al primo posto tra i “disrupters” del 2022, la premier Giorgia Meloni, ritratta con il volto accigliato, decisamente imbruttita e descritta con il sottotitolo “La Duce”. Seguivano, nella classifica dei cattivi, Orban, Starmer, Mélenchon, fino ad arrivare a Lavrov, “the dark diplomat”.
Il motivo per cui Meloni è stata riconosciuta prima fra coloro che vogliono mandare in pezzi il sogno europeo è illustrato nelle motivazioni del board di “Politico”: «Dietro una maschera di presentabilità – quando gli eurocrati non la guardano – la premier italiana si scaglia contro gli immigrati, contro la cultura gender e il politicamente corretto, fa risalire l’aborto a una cultura di morte, lancia invettive contro l’islamizzazione dell’Europa e definisce “barbari” i sostenitori del Black Lives Matter».
Un giudizio inequivocabile che individua nella trasformazione di Giorgia Meloni, «da radicale a rispettabile», la differenza «fra lei e gli altri euroscettici». Da cui la palma, che non è toccata ad esempio a Marine Le Pen, finita nel gruppo dei “doers”, i fattivi, insieme a Lagarde e a Erdogan, in quanto membro della Nato, ancorché «sotto osservazione».
Si dirà che “Politico” è una lettura per appassionati del genere, ma l’annuncio sui potenti del 2022 è stato dato nel corso di una serata generosa di selfie e photo opportunity. Tra i presenti la presidente del Parlamento europeo Metsola, l’ambasciatrice Usa presso la Nato Julianne Smith, il Commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton, l’ambasciatore ucraino a Bruxelles Chentsov e il meglio della rappresentanza dei grandi gruppi dell’energia e della finanza (Generali era lo sponsor della manifestazione). I criteri di selezione? «Li decidono ai piani alti», dice una giornalista di “Politico” facendo intendere che l’algoritmo si basa soprattutto sul sentiment che circola a Bruxelles.
Prima di arrivare ai “disrupters”, è stata applaudita la scelta di mettere al primo posto, tra i “doers” – quelli che fanno – Robert Haebeck, il ministro degli Esteri tedesco, definito «il vero cancelliere» (anche i tedeschi erano un po’ in imbarazzo) e tra i “dreamers” la premier finlandese Sanna Marin, «autentica leader».
In quest’ ultima categoria si trovavano anche Timmermans e lo stesso Breton, che il suo sogno in qualche modo l’ha anche espresso: alla domanda se vorrebbe fare il prossimo presidente della Commissione Europea ha risposto di essere sempre stato considerato un piano B, e che se ci sarà bisogno di un piano B allora sì, è il candidato giusto. A sorpresa, è finito nella lista dei “dreamers” anche Vladimir Putin, «perché è un sognatore: sogna la grande Russia, ma resta un perdente», spiegano dallo staff di “Politico”. Gli applausi più sentiti, in ogni caso, sono andati al presidente ucraino Zelensky, presente in un videomessaggio e vincitore assoluto della gara sui più potenti del 2022, ovviamente fuori concorso.
(da agenzie)
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Dicembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
L’ITALIA PRONTA A RIPRENDERE CHI È FUGGITO VERSO NORD
Dietrofront del governo italiano sui migranti. Dopo aver sospeso le procedure di rimpatrio dei cosiddetti “dublinanti”, vale a dire i richiedenti asilo che si sono spostati in altri Paesi Ue attraverso i movimenti secondari, Roma ha fatto sapere ai partner europei di essere pronta ad accettare nuovamente i trasferimenti, come previsto dalle regole di Dublino.
Fonti del Viminale confermano a “La Stampa” che i trasferimenti «riprenderanno prossimamente con nuove tempistiche».
Un cambio d’atteggiamento che è stato accolto con favore dai Paesi del centro-nord Europa, i cui ministri si erano riuniti mercoledì sera a Bruxelles per un pre-vertice dedicato proprio al problema dei flussi irregolari intra-Ue. Un’inversione a “u” rispetto alla linea dura che sulla carta potrebbe agevolare i passi avanti nella riforma del Patto sull’immigrazione e l’asilo, oggetto della discussione al Consiglio Affari Interni di ieri.
«Si tratta di un tema sempre molto sensibile, dove ogni Stato è chiamato a una forma di compromesso», ha riconosciuto il ministro ceco Vit Rakusan, presidente di turno dell’Ue.
Ma la strada è ancora lunga e la redistribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo resta lontana. Al momento, infatti, rimane in vigore soltanto il meccanismo di redistribuzione su base volontaria ideato dalla presidenza francese, al quale tra l’altro Parigi non sta più partecipando, in attesa di un chiarimento con il governo italiano dopo lo scontro sull’Ocean Viking.
Al vertice dei ministri dell’Interno non ci sono stati progressi concreti sul dossier. Al termine della riunione la commissaria Ue agli Affari Interni, Ylva Johansson, ha spiegato che è stato raggiunto «un accordo politico sul delicato equilibrio tra solidarietà e responsabilità». Ma si tratta di un accordo «di principio», non sulla sostanza. Tanto che l’unico atto concreto compiuto nelle ultime ore sembra essere proprio solo il passo indietro del governo Meloni sui dublinanti.
La presidenza ceca aveva cercato di trovare un accordo su un meccanismo di redistribuzione per rendere strutturale il sistema attualmente in vigore e trasferirlo nel diritto Ue, ma a quanto pare bisognerà ripartire da zero.
«Ora – ha detto il ministro Rakusan – la presidenza svedese dovrà lavorare alla parte tecnica per arrivare a una proposta legislativa». Il fatto che da gennaio sarà Stoccolma a dare le carte per i successivi sei mesi potrebbe non essere una buona notizia per l’Italia: la Svezia è tra quei Paesi che si lamentano per i movimenti secondari e che accusano l’Italia e gli altri Stati mediterranei di non rispettare le procedure.
«Dobbiamo far sì che il sistema di Dublino funzioni e che i migranti vengano registrati: questo è un punto su cui la presidenza svedese lavorerà» ha subito messo in chiaro arrivando all’Europa Building la ministra delle Migrazioni svedese, Maria Malmer Stenergard. Il ministro Matteo Piantedosi ha invece preferito non fermarsi a parlare con i giornalisti, né al suo arrivo e nemmeno in uscita. In serata ha diffuso una nota, ma soltanto per commentare le decisioni prese sull’allargamento di Schengen.
Il Consiglio ha dato il via libera all’ingresso della Croazia nell’area di libera circolazione (dal 1° gennaio spariranno i controlli alle frontiere terrestre e marittime, mentre per quelle aeree bisognerà attendere il 26 marzo), ma ha respinto la richiesta di Bulgaria e Romania. Il veto austriaco – unito al “no” dei Paesi Bassi per Sofia – ha impedito di estendere l’area di libera circolazione ai due Paesi.
(da agenzie)
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Dicembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
SI È OFFESA PER IL NO DELL’ELISEO A UN BILATERALE CON MACRON IN SPAGNA
Cosa ha impedito a Giorgia Meloni di volare in direzione Alicante, dove si
tiene il vertice Eu Med-9? La premier ha un’influenza reale o la sua è una “malattia” diplomatica?
È evidente che nella testa della Ducetta siano rimaste ancora le scorie del durissimo scontro con la Francia, sui migranti. Dopo i messaggini apparentemente distensivi di Macron dopo la tragedia di Casamicciola, Giorgia ed Emmanuel si sono visti e salutati a Tirana, scambiandosi segnali di fumo e vaghe promesse sul futuro incontro proprio ad Alicante.
Il governo italiano a quel punto ha fatto la sua mossa di apertura con il dietrofront di Piantedosi. Come spiega oggi Marco Bresolin sulla “Stampa”, il ministro dell’interno “ha fatto sapere ai partner europei di essere pronto ad accettare nuovamente i trasferimenti, come previsto dalle regole di Dublino, che ‘riprenderanno prossimamente con nuove tempistiche’”.
Anche grazie al lavorio diplomatico di Mattarella, gli uffici diplomatici di Palazzo Chigi si sono quindi immediatamente attivati con l’Eliseo per organizzare, al vertice in Spagna, un bilaterale Meloni-Macron, per lasciare definitivamente alle spalle le loro ruggini. Ma da Parigi hanno detto: “absolument pas!”, “assolutamente no!”. La Ducetta, che possiede, come noto, un caratterino facilmente infiammabile, si è offesa e ha preferito desistere.
La superbia mostrata da Macron nei confronti della Meloni, e del suo governo, è anche “colpa” di Joe Biden. Il presidente americano lo ha incoronato interlocutore principe dell’Europa, una volta uscito di scena Mario Draghi, sulla questione ucraina e i rapporti con la Russia.
(da Dagospia)
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Dicembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
FORMENTI, LENA E MURA ACCUSANO: “ABBANDONO TOTALE DELLE CRITICITA’ TERRITORIALI E DELLE TEMATICHE AUTONOMISTE NORDISTE”
Non c’è pace per la segreteria di Matteo Salvini. Dopo il risultato alle politiche dello scorso 25 settembre, i militanti leghisti hanno smesso di nascondere l’insofferenza per la parabola nazionale impartita alla Lega dal Capitano.
Fomentati anche dagli esclusi in parlamento – complice il consenso crollato sotto il 9% e il taglio del numero di deputati e senatori -, gli esponenti del Nord chiedono che si ritorni alle origini, al Sole delle Alpi, al colore verde padano e si appellano alla figura quasi mitologica di Umberto Bossi.
La Lombardia, dove il partito nacque negli anni ’90, fa da apripista al dissenso. Diversi candidati di Salvini alle segreterie provinciali sono stati sconfitti dai cosiddetti nordisti. Oggi, 9 dicembre, l’ennesima dimostrazione di sfiducia rivolta al leader: i consiglieri regionali Antonello Formenti, Federico Lena e Roberto Mura lasciano il gruppo Lega Salvini Premier a Palazzo Lombardia. L’accusa rivolta ai vertici è di «non predisposizione all’ascolto delle innumerevoli criticità territoriali e abbandono totale delle tematiche autonomiste nordiste»
Le motivazioni
Così, i tre costituiscono un nuovo gruppo regionale, sperando che il Comitato Nord riesca a prendere le redini del partito. Un mese e mezzo fa, Lena aveva già fatto presagire una sua uscita dal gruppo: «Non mi candiderò più. Sono rimasto deluso rispetto alla politica della Lega per l’autonomia, non c’è stata una spinta vera e significativa. Mi guarderò intorno, ma è giusto che vadano avanti i giovani».
Ancora prima, a due giorni dal voto delle politiche, Lena – insieme a una consistente lista di leghisti lombardi, tra cui Massimiliano Bastoni, lo stesso Formenti, Alex Galizzi, Paolo Grimoldi, Andrea Monti, Ugo Parolo, Simona Pedrazzi e Gianmarco Senna -, aveva aperto la diga del malcontento: «Credo sia giunto il momento di smetterla di cercare scuse e ammettere che la strategia attuata sino ad oggi è stata fallimentare. La Lega ha smesso di parlare ai territori del Nord, ai suoi militanti ed elettori storici. Le sirene romane, le aperture al Sud , il circo mediatico, hanno fatto il resto facendoci perdere credibilità agli occhi dei nostri storici elettori e di chi nel corso degli ultimi anni ha scelto di dare fiducia al nostro progetto autonomista. È giunta l’ora di un chiarimento: si convochi il congresso della Lega Lombarda. Basta commissariamenti, basta Yes-men nominati dall’alto, basta parentopoli, basta imbarcati dell’ultimo minuto».
Formenti, sempre a ridosso delle elezioni: «Occorre svolgere subito, in brevissimo tempo, i congressi per restituire ai territori i propri rappresentanti votati e non imposti dall’alto, secondo logiche poco comprensibili e lontane dal merito».
Infine, Mura si è speso nella condivisione sui social di moltissimi post pieni di entusiasmo per il Comitato Nord e il ritorno in campo di Bossi. Il quale, lo scorso 3 dicembre, sul palco dell’appuntamento organizzato dal Comitato a Giovenzano, ha attaccato con voce roca ma decisa Salvini: «Abbiamo visto cancellare l’identità della Lega. Sapevamo come sarebbe finita, se cancelli l’identità muori. Un movimento politico non può esistere se non ha una identità chiara. Abbiamo dato vita al comitato del Nord per rinnovare la Lega, non per distruggerla. Noi a Roma chiediamo l’autonomia, giustamente, è prevista anche dalla Costituzione. Però non possiamo a casa nostra essere centralisti».
Bossi ha criticato anche la scelta di «commissariare» il partito veneto. «I fratelli veneti da centinaia di anni sono un popolo fratello rispetto al popolo lombardo, sono sempre stati assieme. Centinaia e centinaia di persone si sono legate al comitato in queste settimane. Si vede che il problema era sentito. Non ci interessa punire, ma non potevo ignorare l’appello dei militanti della Lega che dicevano: “Bossi fai qualcosa”».
(da Open)
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Dicembre 9th, 2022 Riccardo Fucile
I FONDI DIROTTATI AI CARNEVALI STORICI E SPUNTA UNA FONDAZIONE DEL VITTORIANO
Abrogare il bonus culturale per i 18enni e con i fondi risparmiati, 230 milioni
l’anno, finanziare una miriade di altre spese. Togliere ai ragazzi l’app per comprare libri e biglietti per i concerti e sostenere una serie di altre iniziative più ‘tradizionali’: le celebrazioni per i 150 anni dalla nascita di Guglielmo Marconi, i carnevali storici, la rievocazione de “La Girandola” di Castel Sant’Angelo a Roma, la creazione di una Fondazione del Vittoriano.
La proposta viene dalla maggioranza intera. L’emendamento monstre alla legge di bilancio, di ben 29 commi, è firmato dai rappresentanti di tre partiti di maggioranza: Federico Mollicone (Fdi), Rossano Sasso (Lega) e Rita Dalla Chiesa (FI).
L’App 18enni, creata da Renzi e poi rinnovata negli anni per consentire ai ragazzi di spendere in acquisti di libri, musica, spettacoli, dal governo Draghi era stata trasformata in una misura strutturale, finanziata con 230 milioni l’anno. Ora la maggioranza di centrodestra vuole il colpo di spugna. Cancellare la misura e spendere in altro.§Dall’incremento del Fondo per il sostegno economico temporaneo (Set) per i lavoratori dello spettacolo, all’istituzione di un “Fondo per il libro” presso il ministero della cultura. Ci sono 5 milioni per i carnevali storici, 1 milione per cori, festival e bande musicali e 1 milione per la creazione di una Fondazione Vittoriano, per gestire e valorizzare il complesso del Vittoriano a Roma. Tra le proposte, c’è anche l’assunzione di 750 persone al ministero.
L’emendamento allarma l’opposizione. Protesta già Maria Elena Boschi, ministro dell’allora governo Renzi: “Il bonus diciottenni ha aumentato i consumi culturali e aiutato molti giovani a essere cittadini consapevoli, viene copiata in tutta Europa. Cancellarla oggi sarebbe una follia. Meloni blocchi questo autogol”.
E su Twitter, l’ex ministro Dario Franceschini rincara: “Un emendamento della maggioranza azzera la #app18. Una cosa assurda dopo che Francia, Spagna e Germania hanno introdotto un #bonuscultura esplicitamente ispirato dal nostro. Il governo faccia marcia indietro e non tagli alla cultura”.
(da La Repubblica)
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