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REGIONALI LAZIO, FRANCESCO ROCCA SI DIMETTE DALLA CROCE ROSSA E SI CANDIDA PER IL CENTRODESTRA

Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile

“ACCETTO UNA NUOVA SFIDA, MI METTO A DISPOSIZIONE DEL TERRITORIO”

“Ho deciso di presentare le mie dimissioni dalla carica di Presidente nazionale della Croce Rossa Italiana perché ho scelto di mettermi a disposizione del territorio. Come esperto di sanità pubblica, penso di poter portare un valore aggiunto: ho accettato una nuova sfida in cui credo fortemente”. Francesco Rocca lascia l’incarico di presidente della Croce Rossa con una lettera ai volontari pubblicata sul sito della Cri. Un primo passo verso la sua candidatura alla corsa alle Regionali per il centrodestra indicato da Fratelli d’Italia.
Il suo nome circola già da un po’ di tempo, prima come possibile ministro della Salute del governo Meloni poi come candidato civico per il centrodestra nel Lazio. Ora il saluto ai volontari della Croce Rossa Italiana. “Grazie per questo viaggio insieme”. Un viaggio durato un decennio, “che ha cambiato la mia vita”, come scrive Rocca nella sua lettera online. Che si conclude con “una promessa solenne: in questo nuovo capitolo della mia vita, non userò la Croce Rossa per fini elettorali nè permetterò che qualcuno lo faccia. Rimarrò sempre, invece, un volontario Cri che aderirà fermamente ai suoi Principi, portandoli con me nelle Istituzioni”.
L’incarico come presidente della Cri sta per scadere e così la decisione di mettersi “a disposizione del territorio” e “accettare una nuova sfida”. Quella appunto di governare la Regione. Sabato scorso la premier Giorgia Meloni, durante la festa per il decennale di FdI in piazza del Popolo, aveva annunciato: “Ho pronta una rosa di tre nomi ed entro lunedì annunceremo il nostro candidato nel Lazio”. Oltre a Rocca, gli altri due candidati presi in condierazione sono Fabio Rampelli e Nicola Procaccini.
(da La Repubblica)

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REGIONALI LAZIO, FDI E LA CANDIDATA IN AFFARI CON LA MAFIA DI ANZIO

Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile

“HA AIUTATO SOGGETTI CONTROINDICATI”

“Io sono Laura, sempre dalla parte della legalità”. Lo ha assicurato ieri l’ex assessora comunale di Anzio, Laura Nolfi, riprendendo ancora una volta l’ormai noto slogan “Io sono Giorgia” e presentando la sua candidatura a consigliera regionale di FdI presso la sala congressi Spazio 900, a Roma.
Una candidatura portata avanti insieme a quella del consigliere uscente Massimiliano Maselli, con la benedizione del deputato Luciano Ciocchetti e che sempre ieri è stata sostenuta anche dal ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida e dalla deputata Chiara Colosimo.
L’ex amministratrice, che è opportuno sottolineare non risulta indagata, è la stessa che il ministro dell’interno Matteo Piantedosi, chiedendo e ottenendo lo scioglimento per mafia del consiglio comunale di Anzio, ha portato come esempio di “alcune scelte operate dall’amministrazione locale” che avrebbero “generato occasioni di guadagno per alcuni amministratori locali, per i loro familiari e per soggetti controindicati”.
Intendendo con quest’ultimi i mafiosi.
Un particolare che sembra non pesare per FdI, nonostante sia stato proprio il Governo Meloni a staccare la spina ai Comuni di Anzio e Nettuno, battendo su “una fitta trama di relazioni tra consorterie criminali e amministrazione locale” e sull’esistenza “di uno stabile rapporto personale e di interesse tra alcuni componenti la giunta comunale ed esponenti di rilievo del locale clan mafioso”.
Il centrodestra dovrebbe ufficializzare oggi il nome del candidato presidente della Regione Lazio, ma da fine settembre Laura Nolfi, passata da FI a Fratelli d’Italia, è in campagna elettorale come candidata consigliera regionale per FdI.
“Sono Laura Nolfi, sono una politica onesta e sarò sempre dalla vostra parte”, ha dichiarato ieri. “C’è un popolo intorno al nostro progetto che parte dai territori per cambiare tutto nella nostra Regione – ha aggiunto – a partire dal sistema sanitario, dall’economia del mare, dall’assistenza alle persone fragili, dal sistema dei trasporti”.
Proprio sull’economia del mare, ad Anzio, Piantedosi ha puntato il dito contro una delibera di giunta del 2017, con la quale si autorizzavano temporaneamente i titolari dei chioschi per la vendita di giornali posti a ridosso del demanio marittimo all’esercizio anche della somministrazione di prodotti alimentari. “La modifica della precedente autorizzazione commerciale ha riguardato anche una concessione demaniale – ha specificato – acquisita in subingresso nell’aprile del 2018 da un nuovo titolare, stretto parente di un assessore comunale, concessione trasformata nel maggio 2019 in esercizio di somministrazione di cibi e bevande”. Lo stretto parente è la madre della Nolfi.
E il ministro ha precisato che “circa un anno dopo l’autorizzazione al cambio di scopo della concessione demaniale, la relativa licenza è stata venduta, con molto profitto rispetto all’investimento iniziale, ad una società il cui socio di maggioranza è risultato avere rapporti personali con un soggetto di elevata caratura notoriamente inserito nel contesto criminale locale, concessione a sua volta data in gestione ad altro operatore avente stretti legami con un partecipe di primo piano dell’associazione di matrice ‘ndranghetista operante ad Anzio”
Il 6 agosto 2021, commentando sui social il videomessaggio di Carlo Verdone su Anzio, il marito della Nolfi ha scritto: “Che botta! Grazie Carlo Verdone, tu di cultura te ne intendi! Davide Perronace ‘A trigghia no ‘ a mangia cu’ ‘a pigghia”. Davide Perronace è uno dei presunti esponenti della locale di ‘ndrangheta costituita ad Anzio, al centro dell’inchiesta “Tritone”. E 8 giorno dopo, sempre sui social, il marito dell’ex assessora chiamava Perronace “compà”.
(da La Repubblica)

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FORZA ITALIA ROMPE IL FRONTE CONTRARIO ALLA RIFORMA DEL FONDO SALVA STATI.

Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile

MULÉ: “DEVE ESSERE UN REGOLAMENTO SUI CONTI, NON UN REGOLAMENTO DEI CONTI”

Si apre una crepa, vistosa, nel fronte del no al Mes. Forza Italia, pur riservando critiche al meccanismo di governance di quello che un tempo era chiamato fondo salva-Stati, fa capire di essere pronta a votare una ratifica.
L’Italia, dopo il sì della Germania che aveva subordinato la sua adesione a una sentenza (favorevole) della Corte costituzionale, è l’unico Paese a non avere ancora dato il via libera a uno strumento che, a livello europeo, era stato negoziato dal governo Conte I e approvata dal Conte II.
«Il Mes deve essere un regolamento sui conti, non un regolamento dei conti», dice il vicepresidente della Camera di Forza Italia Giorgio Mulé, che non nega che bisogna chiedere una revisione delle norme, specie quelle sul sistema di gestione del Mes: «Il direttore non può avere potere di vita e di morte».
Ma dà quasi per scontato il risultato finale: «Interessa a noi come a tutta l’Europa avere questo strumento». E si dice favorevole un dibattito parlamentare: «Non serve un braccio di ferro, ma un normale confronto che porti a una sintesi».
D’altronde, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che di Fi è il vicepresidente, in un’intervista al Sole 24 Ore afferma che «troveremo il modo per far sì che chi lo voglia utilizzare possa farlo». Tajani sostiene che «lo strumento dovrebbe essere sotto il controllo del Parlamento europeo. La mia — dice — è una critica europeista».
La parola d’ordine, sinora, è stata prendere tempo. Demandare una decisione finale al Parlamento. Ma più passano i giorni, più si rafforza la possibilità che alla fine i “falchi” contrari al Mes si arrendano. Un ministro di Fratelli d’Italia, in prima fila alla festa per i dieci anni del partito, lo dice in via riservata: «Ci sarà un sacrosanto dibattito ma poi si accenderà il semaforo verde».
ll punto è: a quali condizioni? Il governo vorrebbe che il Meccanismo europeo di stabilità si trasformasse da strumento per la protezione dalle crisi del debito sovrano e delle crisi bancarie in un fondo per il finanziamento degli investimenti e per il sostegno contro la difficile congiuntura internazionale (leggi aumento dei icosti dell’energetica e guerra in Ucraina).
Ma qualsiasi “raccomandazione” che dovesse accompagnare un eventuale sì alla ratifica del trattato dovrebbe essere condivisa a livello europeo: bisognerebbe, in sostanza, mettere mano nuovamente al testo della riforma già approvato da 18 Paesi. Ciò richiederebbe tempi certamente molto lunghi e un esito incerto. E poi: su questo fronte su quali alleati conterebbe l’Italia? Avrebbe la forza di aprire un altro negoziato oltre quello già annunciato sul Pnrr?
Secondo scenario: una risoluzione in cui si affermi che l’Italia in ogni caso non farà mai ricorso al meccanismo di assistenza finanziaria. Ma anche in questo caso la maggioranza non è concorde: Forza Italia non si è mai posta in senso contrario all’utilizzo del Mes.
Terzo scenario: un via libera accompagnato da una trattativa con l’Ue sulla revisione del patto di stabilità. Ma ogni ipotesi conduce a una conclusione: dopo le vacanze natalizie, e sotto il pressing dell’opposizione (il Terzo polo ha già annunciato la presentazione di un ddl di ratifica), il governo è destinato a rivedere il suo ostinato rifiuto.
(da La Repubblica)

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BANCOMAT E CREDITO D’IMPOSTA: COSI’ LA RESA DEL GOVERNO MELONI SUL POS APRE ALLA SOLUZIONE DI CONTE E DRAGHI

Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile

L’IPOTESI DEI CREDITI D’IMPOSTA PER I PAGAMENTI ELETTRONICI

La resa del governo sul Pos obbligatorio apre a una soluzione “alla Draghi“. Ieri la norma che introduceva la soglia di 60 euro per i pagamenti elettronici è ufficialmente saltata. A causa dell’interlocuzione con l’Unione Europea sulla Legge di Bilancio. Perché il comma 2 dell’articolo 69 del disegno di legge Bilancio non è coerente con gli obiettivi del Pnrr sull’evasione fiscale. La premier Giorgia Meloni si è detta pronta a trovare altre soluzioni: «Ci inventeremo un altro modo per non far pagare agli esercenti le commissioni bancarie sui piccoli pagamenti». Mentre il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è stato più specifico: «Si tratta di trovare soluzioni compatibili con le raccomandazioni e le normative di riferimento anche in sede europea». Quali? L’ipotesi che circola con maggiore insistenza dalle parti di via XX Settembre è quella di tornare ai crediti d’imposta sulle commissioni. Ovvero alla soluzione già varata dai governi Conte e Draghi.
Con ordine. Di fronte alle obiezioni dell’Unione Europea il governo Meloni aveva deciso di percorrere prima la strada della trattativa. L’ipotesi era quella di abbassare la soglia a 30 euro. Anche perché secondo gli studi l’80% dei pagamenti digitali è sotto la soglia di 60 euro. Ma l’esecutivo ha deciso di non forzare la mano per evitare contrasti con Bruxelles. Ecco quindi che sul tavolo del Tesoro, racconta oggi Repubblica, sono finite le prime ipotesi per gli aiuti agli esercenti. Tra le misure allo studio, spiega il quotidiano, anche i crediti d’imposta sulle commissioni. Ovvero lo stesso sostegno che era stato già messo in campo da Giuseppe Conte. E che poi Mario Draghi aveva rafforzato, portando la percentuale dello sconto fiscale per le spese sostenute dagli esercenti dal 30% al 100% con il paletto del fatturato fissato a 400 mila euro.
Le scelte dei governi precedenti
Il Corriere della Sera ricorda oggi che il credito d’imposta al 50% per i distributori di carburante lo ha introdotto il governo di Paolo Gentiloni nel 2018. Ufficialmente proprio perché i margini di guardagno erano troppo bassi. A ottobre 2019 il governo Conte II ha esteso il credito d’imposta al 30% a tutti gli esercenti con i ricavi annui sotto i 400 mila euro. Mentre Draghi lo ha alzato al 100% per tutte le transazioni effettuate tra il primo luglio 2021 e il 30 giugno 2022. L’esecutivo precedente ha anche lanciato il cosiddetto “bonus Pos”, ovvero il credito d’imposta fino a 320 euro per chi acquistava lo smart Pos con la memorizzazione e la trasmissione telematica dei pagamenti elettronici. Mentre il governo Meloni ha varato un credito d’imposta di 50 euro per gli esercenti che acquistano registratori di cassa telematici.
Cosa farà Meloni sui bancomat
Cosa faranno quindi Meloni e Giorgetti sui bancomat? L’ipotesi più logica e più probabile, anche considerando lo scarso tempo a disposizione per l’approvazione della manovra, è quello di riportare il credito d’imposta al 100% per i commercianti e per i taxisti. Probabilmente con una soglia, che potrebbe essere ancora quella dei 400 mila euro di fatturato. Per andare così incontro ai piccoli esercenti, che paiono i destinatari della norma più interessati. Un retroscena su La Stampa sostiene che la premier abbia deciso così sui resa sul bancomat – bocciata anche dai sondaggi – per non perdere il sostegno della Commissione Europea sui dossier più importanti. Anche se quella di oggi somiglia proprio a una resa. La pacchia non è finita.
(da agenzie)

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INTERVISTA A DON LUCA FAVARIN: “TOLGO GLI ULTIMI DALLA STRADA MA LA DIOCESI CACCIA ME E SALVA I PRETI CHE SNIFFANO E VANNO A PROSTITUTE”

Dicembre 19th, 2022 Riccardo Fucile

IL SACERDOTE SOSPESO A DIVINIS: “IL VESCOVO VOLEVA METTERE LE MANI NEI NOSTRI BILANCI CHE SONO TRASPARENTI. ED E’ A DISAGIO QUANDO PARLO DI FINE VITA E DIRITTI LGBT”

Dopo più di 20 anni nell’accoglienza dei migranti, don Luca Favarin, il prete degli ultimi, capelli lunghi e sciarpa arcobaleno sempre al collo, è stato sospeso “a divinis” dalla Diocesi di Padova.
Significa che non potrà più celebrare messa, battezzare, confessare, sposare. Lui se ne va sbattendo la porta, dopo un confronto duro con il vescovo Claudio Cipolla, che non condivide la modalità di quel sistema di accoglienza.
Don Favarin ha aperto bar, tavole calde, mense, ristoranti, addirittura un villaggio per minori non accompagnati. Le sue idee hanno incontrato il favore dell’imprenditoria padovana e questo ha generato, negli anni, una realtà che si sostiene e funziona. Una realtà che produce utili. Ma la Diocesi padovana non transige: “Non possiamo essere coinvolti nelle sue attività a carattere imprenditoriale”. E quindi addio, ognuno per la propria strada.
Luca Favarin, qual è il motivo di questa frattura con la Diocesi di Padova?
“La Chiesa mi contesta sul piano metodologico: è il modo in cui si lavora con i poveri che non va. Noi pensiamo che i poveri non siano sono solo destinatari di attenzione e carità, ma sono anche artefici di qualità, con percorsi di autonomia. Per noi i migranti devono essere protagonisti dell’accoglienza”.
Ed è così diversa dall’accoglienza organizzata dalla Diocesi?
“Noi non possiamo aspettare l’elemosina della gente. La nostra attività deve essere solida, solo così si sostiene. Con cosa pago gli operatori? Con le Ave o Maria? Con cosa do da mangiare ai ragazzi? I nostri dipendenti sono tutti pagati con contratti nazionali, è tutto trasparente. È un’attività imprenditoriale? Sì, è un’attività imprenditoriale. Non è la sacrestia, ma credo sia comunque il cortile della chiesa”.
Generalmente la Chiesa tende a inglobare attività come la sua. Come mai stavolta è successo il contrario?
“Non c’è mai stato un confronto sul merito ma solo sulla parte economica. Loro volevano mettere mano sui nostri bilanci che sono trasparenti: li abbiamo affidati a Confcooperative proprio per non avere problemi con la gestione del denaro”.
Quante cooperative avete e con quale volume d’affari?
“Abbiamo Percorso Vita, Percorso Altro e Percorso Terra: il volume d’affari è di circa 1 milione e 700 mila euro l’anno. I soldi vengono reinvestiti nell’attività: non ci sono consulenti da pagare o gettoni di presenza, e nemmeno compensi per consiglieri del cda”.
Chi la paga?
“Ogni Comune che affida a noi un minore paga una retta. Ogni anno togliamo dalla strada 160 ragazzi. Arrivano che sono criminali, analfabeti, abusati. Noi lavoriamo con l’inserimento scolastico e poi lavorativo. Abbiamo aziende amiche che li assumono, che li testano. Alla fine del percorso vengono inseriti in società con un loro lavoro e una casa”.
Non pensa che la Diocesi sia a disagio per il fatto che lei lavora con imprenditori di sinistra?
“Certo, lavoro con imprenditori di sinistra e questo li mette a disagio. Come li mette a disagio quando parlo dei diritti della comunità Lgbt o del fine vita. Ma come posso essere testimone dell’inclusione e poi avere atteggiamenti escludenti?”.
Ha mai avuto modo di far vedere ai responsabili della Diocesi come lavorate?
“Il vescovo Claudio Cipolla non è mai venuto qua a vedere i minori che noi togliamo dalla strada. Non si è mai sporcato le scarpe. Abbiamo professionisti che lavorano giorno e notte: psicologi, educatori, perfino criminologi”.
Come mai ha deciso di fare il primo passo per l’uscita dallo stato clericale?
“Ormai mi avevano estromesso da tutto: dicevo solo una messa a settimana, la domenica. Altri preti sniffavano e andavano a puttane, e nei loro confronti hanno avuto molto più riguardo. Io faccio accoglienza e per questo sono stato allontanato. Mi sono stancato di sopportare.”.
Secondo lei papa Francesco è d’accordo con la linea intransigente della Diocesi di Padova?
“Mi dicono di andare a parlare con il Papa ma io non lo farò mai. Sono un pacifista. Non faccio la guerra, nemmeno al vescovo che mi vuole cacciare”.
(da La Repubblica)

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