Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile
LE PAROLE DEL FRATELLO DI FRANCESCO ROCCA METTONO A RISCHIO LA SUA CANDIDATURA ALLA REGIONE LAZIO: “NON ERI TOSSICODIPENDENTE, ERI UNO SPACCIATORE”… E IL FRATELLO E’ DI DESTRA, TANTO PER CHIARIRE
“Che cosa hai dichiarato? Non ti vergogni?”. Parole pesanti come
pietre, soprattutto se arrivano da un fratello. Una vera e propria tempesta si abbatte in queste ore sulla testa di Francesco Rocca, candidato del centrodestra alla Regione Lazio, per giunta a sole 48 ore dalla chiusura delle liste. E – data la tempistica – questa nuova polemica potrebbe addirittura portare in forse la sua candidatura.
La Designazione di Rocca, infatti, era una scelta ormai ufficializzata dal punto di vista mediatico, ma non ancora formalizzata sul piano formale e amministrativo.
Così occorre ripercorrere le sorprendenti novità delle ultime ore, per capire come si è arrivati a questo punto.
Era nota la condanna di Rocca per spaccio di droga, a 21 anni, dopo il processo in cui era stato provata la sua attività, per conto di un clan di nigeriani (due anni prima).
Un errore di gioventù, si diceva, e nessuno degli avversari aveva sollevato polemicamente la questione.
Così, interrogato da La Stampa, il candidato designato del centrodestra, solo tre giorni prima di Natale aveva scelto di raccontare alcuni dettagli in più sulla vicenda, e in una intervista a Grazia Longo aveva detto qualcosa di più su quel fattaccio in cui era stato coinvolto da ragazzo: “Mia madre da lì a poco sarebbe morta per un cancro, ero molto sofferente e iniziai a usare gli stupefacenti. Vivevo a Ostia e sono finito in un giro di amicizie sbagliate”.
Sembrava un semplice supplemento di racconto, ma forse – come vedremo tra breve – sono state proprio queste frasi a rompere un delicatissimo equilibrio familiare.
Rocca oggi ha 57 anni, ha vissuto nella sua prima giovinezza sul litorale romano, tra la piscina dell’Isola 46 (dove era stato bagnino) e promontori (uno dei luoghi frequentati da gruppi di giovani, nel tempo delle comitive). Il 10 giugno 1986, quando ha solo 21 anni, alla fine del processo in cui è accusato di “detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio” per Rocca arriva la condanna.
Poi ci sono un lungo percorso di riabilitazione il lavoro da volontario, la presidenza della Croce Rossa. E infine la candidatura, ma con un piccolo mistero: non è la sua faccia, ma quella di Giorgia Meloni, che appare sui primi manifesti elettorali del centrodestra.
Nessuno sa ancora, però, che quelle frasi a La Stampa fanno esplodere qualcosa che per anni era rimasto sepolto dentro lo spazio protetto di un rapporto familiare.
Il fratello di Rocca, Alessandro, con un post sui social attacca il fratello: “Non ti vergogni a dare la colpa delle tue debolezze alla malattia di nostra madre? Ti ricordi dove mi hai portato il giorno che è morta?”, scrive Alessandro sul suo profilo social, e alla fine aggiunge: “Ti ricordi con chi stavi in affari? E poi, tu non ti sei mai drogato. Cosa hai dichiarato?”.
La chiusura del post è una frase sibillina: “Stay tuned”. Scorrendo il profilo Facebook, fra l’altro, si deduce che Alessandro è un uomo di destra, non certo un avversario animato da rancore politico: una delle illustrazioni di questi giorni è la fiaccola del Fronte della Gioventù.
E il post cade nell’anniversario della strage di Acca Larentia, e fa riferimento esplicito ai valori delle tre vittime missine dell’agguato del 7 gennaio 1978. Nel profilo ci sono diversi video di operazioni di soccorso a mare tra i volontari della Croce rossa, di cui Alessandro è protagonista.
Il candidato del centrodestra, interrogato da La Repubblica si difende cosi: “Non abbiamo rapporti con lui da molti anni”. Francesco Rocca risponde alle accuse del fratello tradendo un qualche imbarazzo: “Né io né la mia famiglia abbiamo rapporti con lui da moltissimi anni, non capisco a cosa faccia riferimento: sono vicende private ma – aggiunge – certe esternazioni pubbliche dimostrano una fragilità che mi addolora. Per tentare di offendermi e umiliarmi devono tornare indietro di oltre 35 anni”.
Ma chi andrebbe “indietro”? Rocca non risponde al fratello Alessandro, che vive ancora a Ostia, su nessuna delle due critiche mosse nel post: né quella di aver attribuito al peso della malattia delle madre (per mitigare la propria colpa) i suoi errori di gioventù. E nemmeno quello – ancora più sorprendente – di aver mentito sulla propria condizione, raccontando di essere stato a sua volta un tossicodipendente (cosa che secondo quanto scrive Alessandro non è vera).
Infine resta il mistero di quell’accenno criptico che solo il fratello del candidato può capire e/o spiegare: “Ti ricordi dove mi hai portato il giorno che è morta?”. Inevitabile la domanda: dove? Tutto lascia pensare che Alessandro parlerà ancora.
(da TPI)
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Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile
FAZZOLARI BOCCIA IL RASSEMBLEMENT DI CENTRODESTRA VAGHEGGIATO DA BERLUSCONI SUL MODELLO DEI REPUBBLICANI AMERICANI… IL FORZISTA GASPARRI LO AZZANNA: “NESSUNO E’ AUTOSUFFICIENTE. SERVE UMILTÀ. DA SOLI NON POTRESTE VINCERE”
Il partito unico resta uno dei principali obiettivi politici di Forza Italia. Lo ha detto Berlusconi, lo hanno ribadito i suoi: un partito conservatore per lanciare un bipolarismo compiuto che renda ancor più efficace il confronto democratico. «Berlusconi come sempre, con lucidità e generosità, propone un orizzonte unitario per il centrodestra», spiega il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, commentando la proposta del leader azzurro sul partito unico tagliato sul modello del partito repubblicano americano. «Fin dal ’94, come giustamente afferma, ha cercato un’unità più avanzata del centrodestra e con il PdL l’ha messa in pratica.
Ma alcuni, con un’ottusità che poi si è rivelata suicida, hanno contrastato quella saggia idea. Ora Berlusconi ripropone un orizzonte di questo tipo, parlando di un modello simile a quello del Partito Repubblicano americano».
«Alcuni rispondono dicendo che hanno già autonomamente creato questo modello Ma nessuno è autosufficiente», sottolinea Gasparri, riferendosi alla bocciatura arrivata da Fratelli d’Italia per voce di Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario all’Attuazione del programma e tra i più ascoltati consiglieri di Giorgia Meloni, che nel corso di un’intervista ieri liquidava la proposta con un lapidario: «Il partito unico non c’è, abbiamo già un grande partito conservatore ed è Fratelli d’Italia».
Da Forza Italia fanno notare che i tempi per il partito unico non soltanto sono maturi ma aiutano anche a introdurre i lavori per la riforma costituzionale che la stessa Meloni ha auspicato. Una riforma che prevederebbe l’elezione diretta del Capo dello Stato, altro vecchio sogno di Berlusconi. Insomma una strategia politica che si compierebbe in un contesto ampio. Resta infatti l’urgenza di un bipolarismo e di una democrazia più efficace che proprio dalla nascita del partito unico del centrodestra potrebbe trovare lo stimolo necessario.
«Berlusconi traccia, con sapienza e profondo senso delle istituzioni, il futuro di una democrazia moderna, capace di coniugare efficienza e stabilità – commenta Alessandro Cattaneo, capogruppo azzurro alla Camera -. Lo fa rilanciando quel progetto di un grande partito conservatore». Eppure da Fratelli d’Italia l’accoglienza alla proposta resta del tutto tiepida. In un momento, oltretutto, estremamente delicato visto che la coalizione che dà corpo alla maggioranza di governo è chiamata a mostrare tutto l’affiatamento e la compattezza necessaria per affrontare le urne. A metà febbraio, infatti, ci sono da rinnovare i consigli regionali di Lazio e Lombardia e di scegliere i rispettivi governatori.
E sul tema si è diffuso Marco Osnato, presidente della Commissione finanze di Montecitorio. Il deputato di Fratelli d’Italia non nasconde l’ambizione del suo partito nel voler ottenere una buona affermazione alle regionali in modo da risultare il primo partito della coalizione. Dimostrando, insomma, che una sana competizione resiste anche dentro la stessa coalizione. In questo caso, almeno per quando riguarda la Lombardia, con la prospettiva di riconfermare il leghista Fontana a capo di una coalizione dove il partito di maggioranza, stando ai sondaggi di questi giorni, potrebbe essere proprio quello fondato e guidato da Giorgia Meloni.
«Ci interessa che vinca il centrodestra – puntualizza Osnato -. Lo abbiamo dimostrato in Sicilia, dove pur essendo il partito più forte abbiamo fatto sì che il presidente uscente lasciasse il posto a un esponente, altrettanto apprezzato, di Forza Italia. Non ci siamo mai impuntati nel mettere la nostra bandierina. Ma non abdichiamo al ruolo di leader della coalizione. Se Salvini e il leader azzurro intraprendono la strada del partito unico sono liberissimi di farlo. Berlusconi ha avuto un ruolo benemerito nel 1994, non può essere colui che incarna la novità nel 2023».
(da Il Giornale)
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Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile
LA MELONI, CHE PUNTAVA A UN RESET DEL PIANO, MIRA A STRAVOLGERE LA GOVERNANCE DEL PNRR METTENDO MANO ALLE UNITÀ DI MISSIONE NEI SINGOLI MINISTERI. UN MODO PER SCARICARE SU DRAGHI LA RESPONSABILITÀ DI ALCUNI RITARDI
Posticipare a fine anno l’entrata in vigore del codice degli appalti. E
trovare una soluzione per coprire i 25 miliardi di costi aggiuntivi dei progetti infrastrutturali contenuti nel Pnrr – questa è la stima informale dell’esecutivo – determinati dall’aumento dei costi delle materie prime. Sono alcuni dei principali obiettivi del governo, i capitoli più sensibili su cui l’esecutivo di destra deve provare a strappare il via libera di Bruxelles. È quello che proverà a fare Giorgia Meloni, durate il faccia a faccia di domani con Ursula von der Leyen.
Se c’è un incontro su cui la presidente del Consiglio sta investendo nelle ultime ore, è proprio quello che avrà a Palazzo Chigi con la presidente della Commissione europea. Un appuntamento che arriva dopo la visita di Meloni a Von der Leyen a Bruxelles, ai primi di novembre, che fu anche la prima missione ufficiale da premier. L’occasione, stavolta, è la presenza della politica tedesca nella Capitale per un evento in ricordo di David Sassoli.
Il nodo del Pnrr parte da lontano. Prima di approdare al potere, Meloni immaginava un reset radicale del Piano. Ma già durante la campagna elettorale, Bruxelles fece recapitare informalmente un messaggio: non c’è spazio per immaginare uno stravolgimento degli obiettivi fissati, ma è possibile ragionare di uno sfoltimento dei progetti. Se costano di più, insomma, si può ridurre l’elenco. Su questa base, procede in queste ore la trattativa tra la Commissione e il governo.
A dire il vero, da settimane Raffaele Fitto – che ha la delega al Pnrr – lavora sottotraccia per allargare il ventaglio di opzioni.
Soltanto le opere infrastrutturali impegnano circa 120 miliardi di euro. L’aumento dei costi delle materie prime è secondo stime ufficiose non inferiore al 20%. E causerebbe dunque spese aggiuntive per circa 24-25 miliardi. Una possibilità alternativa alla semplice riduzione del numero dei progetti che ha in mente l’esecutivo, allora, è quella di “spostare” alcune opere pubbliche sotto l’ombrello (e il finanziamento) dei fondi di Coesione, che garantirebbero anche tre anni in più per concludere i lavori. È una questione di costi e di tempi, insisterà il governo italiano con la Commissione. Ma accetterà Bruxelles questa possibile riforma del Pnnr?
E non è finita qui. All’Italia, che ha già consumato tutti i fondi a debito per il Pnrr, non resta quasi nulla per il Repower Eu.
Chiederà quindi un’altra revisione: con i fondi eventualmente “risparmiati” dalla riduzione del numero di opere del Piano di Ripresa e Resilienza si potrebbero finanziare interventi del Repower, che punta a innovare nel campo energetico per liberare i Paesi Ue dalla dipendenza del fossile. Anche su questo punto, però, pesa il giudizio della Commissione, a dir poco cauta nell’immaginare particolari innovazioni progettuali o ritocchi sostanziali sulla destinazione delle risorse.
Il governo proverà inoltre a convincere Von der Leyen della possibilità di far slittare l’entrata in vigore del codice degli appalti da fine marzo alla fine dell’anno. Nel frattempo, Palazzo Chigi continua a lavorare al Pnrr anche in patria. I prossimi passaggi prevedono la relazione semestrale sull’andamento del Piano, che sarà tenuta a gennaio da Fitto alle Camere.
Subito dopo, sarà varato il decreto che punta a stravolgere la governance del Pnrr, anche mettendo mano alle unità di missione nei singoli ministeri. Non è un passaggio banale, perché mette in discussione il lavoro del governo guidato da Mario Draghi.
(da La Repubblica)
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Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile
PEGGIO CHE AI TEMPI DI LAMORGESE, QUANDO I SOVRANISTI NE CHIEDEVANO LE DIMISSIONI UN GIORNO SI’ E L’ALTRO PURE… ALTRO CHE CRIMINALIZZARE LE ONG, IL 90% ARRIVA CON SBARCHI AUTONOMI
Lampedusa al collasso ma Giorgia Meloni e Matteo Salvini non chiedono le dimissioni di Piantedosi e nemmeno si dimettono loro stessi visto che hanno vinto le elezioni promettendo un irrealizzabile (e illegale) blocco navale che – è sotto gli occhi di tutti -.non esiste.
Sono 109 i migranti che, con tre diversi barchini partiti da Sfax in Tunisia, sono giunti durante la notte a Lampedusa.
A soccorrerli le motovedette della Guardia di finanza e della Capitaneria. Sul primo gommone c’erano 37 (5 donne e 2 minori) persone in fuga da Ciad, Congo, Costa d’Avorio, Guinea e Mali.
Sul secondo erano in 33 (8 donne e 3 minori) e sul terzo in 39 (15 donne e 6 minori).
Tutti sono stati portati all’hotspot di contrada Imbriacola dove, dopo il trasferimento di ieri di 430 persone, sono adesso presenti in 996 a fronte di 398 posti disponibili.
Ora non resta che fare un po’ di cortina fumogena contro le Ong dalle quali dipendono solo il 10-12% degli sbarchi ma contro le quali si gettano ombre e accuse false.
(da Globalist)
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Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile
NELL’ULTIMO MESE TUTTE LE IMBARCAZIONI CHE HANNO SOCCORSO I MIGRANTI NEL MEDITERRANEO SONO STATE INVIATE IN COMUNI GOVERNATI DAL PD. IERI È TOCCATO AD ANCONA. LA SINDACA: “CI SFUGGE LA LOGICA”
Alle sei del pomeriggio dell’ultimo weekend festivo, la sindaca di
Ancona Valeria Mancinelli (Pd, diciamolo subito), è alla sua seconda riunione del giorno in prefettura. Tre giorni e mezzo per organizzare il primo sbarco di migranti nella storia del porto di Ancona da una nave umanitaria. Anzi due. Perchè ieri pomeriggio il Viminale ha deciso di aggiungere la città marchigiana nella nuova mappa dei porti di sbarco dove inviare le Ong con appena qualche decina di persone soccorse davanti alle coste libiche.
Quattro giorni di navigazione ( poco importa se con condizioni meteo molto difficili come quelle previste già da domani), 1575 chilometri di distanza. Lontano che più lontano ( quasi) non si può, almeno a voler cercare nella cartina italiana i porti di città che siano amministrate dal centrosinistra. come sono Livorno, Ravenna, Taranto, Salerno, Bari, Gioia Tauro e adesso Ancona, tutti quelli individuati nell’ultimo mese dal Viminale per concretizzare la strategia che sta al centro del decreto Piantedosi: costrette a far rotta verso nord immediatamente dopo aver preso a bordo i primi naufraghi, senza fermarsi ancora in zona ricerca e soccorso e a sostenere diversi giorni di navigazione e costi conseguenti per raggiungere i lontanissimi e inediti porti di sbarco individuati in alternativa a quelli siciliani e calabresi dove invece continuano ad arrivare le navi e le motovedette dellaGuardia costiera e della Guardia di finanza con migliaia di persone.
“Prendiamo atto che il governo ha assegnato ad Ancona lo sbarco di queste due navi umanitarie. Ci stiamo preparando: le operazioni di sbarco saranno coordinate dal ministero dell’Interno, il Comune come tutte le altre autorità hanno dato la loro disponibilità. La nostra comunità farà la sua parte. Sia chiaro che non ci lamentiamo di nulla, non intendiamo dare alcun alibi o fare quelli per i quali va tutto bene solo se i migranti sbarcano al Sud. Certo, considerato che comunque poi le persone andranno redistribuite come d’altra parte succede anche quando sbarcano nei porti sicliani e calabresi, mi sfugge la logica di questa scelta. Appare davvero strano costringere queste persone ad affrontare ancora 1500 chilometri per arrivare a terra e poi essere distribuiti in qualche altro territorio. Sarebbe bene che il governo spieghi la sua strategia. Qual è il piano per dopo?”
La sindaca di Ancona, così come i suoi colleghi coinvolti nelle scorse settimane per la prima volta (Michele De Pascale a Ravenna, Luca Salvetti a Livorno) fa dunque buon viso a cattivo gioco. Ma “la logica” delle scelte del Viminale che sfugge a Valeria Mancinelli e agli altri sindaci di centrosinistra non è di certo un mistero.
Chiamare gli amministratori di città e Regioni dell’opposizione ad affrontare le inevitabili difficoltà di improvvisare la prima accoglienza di decine o centinaia di migranti in porti che non sono nè abituati nè strutturato a farlo è un tentativo di portare sul campo la parte politica avversa a condividere le ragioni del governo nel ritenere la pressione migratoria sul territorio italiano pressocchè ingestibile.
Al momento, i porti assegnati alle Ong da quando il Viminale ha adottato la nuova strategia sono solo in città amministrate dal centrosinistra: Taranto, Salerno, Livorno, Ravenna, Gioia Tauro e adesso la new entry Ancona. E i centri di accoglienza, che ospitano oltre 107.000 presenze, in realtà sono al completo anche nelle nuove Regioni coinvolte nella prima accoglienza.
Ad Ancona, ad esempio, il prefetto Darco Pellos sta cercando una nuova soluzione per ospitare le 110 persone attese per mercoledi mattina, quando è previsto l’arrivo della Ocean Viking e della Geo Barents. Ieri pomeriggio la nave di Medici senza frontiere ha protestato per l’assegnazione di Ancona chiedendo al Viminale di poter andare in un porto più vicino.
“Questa decisione – dice il capomissione Juan Matias Giles – è contro la legge internazionale che dice che si devono sbarcare le persone nel minor tempo possibile e contro l’interesse dei sopravvissuti. L’assegnazione di porti così lontani come Ancona ha il chiaro obiettivo da parte del governo italiano di allontanare le navi dalla zona di ricerca e soccorso senza sostituirle con un meccanismo di soccorso ufficiale con il chiaro mandato di salvare vite. Considerando le vulnerabilità a bordo e le condizioni meteo dei prossimi giorni chiediamo al governo italiano di riconsiderare questa decisione assegnandoci un porto più vicino rispetto alla zona in cui la barca è stata soccorsa”.
(da La Repubblica)
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Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile
VIOLATO IL DIRITTO INTERNAZIONALE, ALTRI GIORNI DI SOFFERENZA PER CHI HA DIRITTO A UN TRATTAMENTO UMANO
Il governo italiano ha detto no alla richiesta delle navi ong Geo Barents e Ocean Viking di dar loro un porto sicuro più vicino di quello di Ancona, che dista oltre 1.500 chilometri dal largo della Libia, dove sono stati salvati i naufraghi. “La nostra richiesta è stata respinta. Le autorità italiane hanno confermato Ancona come porto sicuro, nonostante il meteo molto preoccupante. Quest’ordine va contro l’interesse dei naufraghi e contro il diritto internazionale, inoltre svuota il Mediterraneo di navi di soccorso”. Così ha comunicato Sos Mediterranée, che gestisce la Ocean Viking.
Anche Msf conferma: il porto assegnato resta quello di Ancona: “Il Viminale ha rifiutato la nostra richiesta di un luogo sicuro più vicino per lo sbarco dei 73 sopravvissuti a bordo della Geo Barents. La nave si sta dirigendo verso Nord”.
Le reazioni
“Spero che quanto riporta oggi Repubblica, secondo cui il governo starebbe pianificando di far sbarcare i migranti nei porti delle città governate dal centrosinistra, non sia vero. Ma se fosse vero che governo e Ministro dell’Interno hanno scelto i porti sulla base del colore delle amministrazioni, sarebbe di una slealtà istituzionale enorme, oltre che inumano. Perché è inumano far viaggiare queste persone per altri 4 giorni, peraltro in condizioni di mare che non si preannunciano buone. Il ministro Piantedosi dovrebbe chiarire al più presto”. Lo ha detto il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, intervenendo a Omnibus su La7.
“Spero anche – ha aggiunto Della Vedova – che il premier Meloni nell’incontro con von der Leyen non riapra la polemica sui migranti, con la strategia di non far sbarcare persone, compresi donne e bambini: ad usarli come arma di pressione sugli altri Paesi europei, come fatto di recente, non si ottiene nulla” ha concluso.
(da agenzie)
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Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile
LA SOLITA BUFALA RUSSA: l’IMMAGINE E’ UNA GRAFICA DELLA BBC CHE E’ STATA MODIFICATA AD HOC
Il patrimonio del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky più che
raddoppiato, così come quello del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba e poco lontano dall’aumentoo di 380 miliardi di dollari di quello del consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak.
Questto è quello che si vede in un’immagine che circola insistentemente su Facebook, secondo la quale, dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, i capitali posseduti dai politici ucraini sarebbero aumentati considerevolmente grazie all’influsso di denaro proveniente dai Paesi che in questi mesi stanno supportando l’Ucraina.
Chi condivide l’immagine sostiene che la fonte delle informazioni siano Forbes e la Bbc. Ma sulle testate non c’è nessun loro riscontro.
Per chi ha fretta:
Alcuni utenti condividono su Facebook una infografica secondo la quale i politici ucraini si sarebbero arricchiti enormemente grazie agli aiuti occidentali al Paese per sostenere la sua difesa contro la Russia.
Le fonti citate sono Forbes e la Bbc.
La grafica è stata modificata. Appartiene in realtà a un post su Facebook della Bbc sui miliardari ucraini secondo Forbes.
Analisi
Nella descrizione si legge: «L’aumento degli “aiuti finanziari” a Kiev influisce direttamente sul crescente benessere finanziario dei politici ucraini. Strano, vero? No. Secondo Forbes, l’aumento è per tutti e significativo, soprattutto se riferito a un Paese che ha subito un’”aggressione”. In Occidente si levano sporadiche voci a favore di ispezioni e relazioni sulla spesa degli aiuti militari e finanziari forniti all’Ucraina, soprattutto sullo sfondo della massiccia corruzione che anche i leader occidentali sono costretti ad ammettere. Finora, però, queste “manifestazioni della ragione” sono state soppresse dai circoli dirigenti.
A comparire nell’infografica sono Zelensky, il ministro della difesa Oleksii Reznikov, Kuleba, il sindaco di Kiev Vitali Klitschko, e Podolyak.
La classifica di Forbes
Come si può vedere nell’immagine, la ricchezza che viene attribuita ai politici presi di mira fluttua tra gli 800 milioni di dollari e il miliardo e mezzo di dollari. Si tratta di cifre che li piazzerebbero tra l’undicesimo e il quinto posto nella classifica delle persone più ricche d’Ucraina. Tuttavia, nella lista ufficiale stilata da Forbes, i politici ucraini menzionati dall’immagine che circola sui social non compaiono
È evidente che la grafica utilizzata e condivisa sui social non è quella di Forbes. I colori utilizzati ricordano molto quelli della Bbc.
In effetti, è possibile trovare l’immagine originale sulla pagina Facebook ufficiale di Bbc Ucraina, ma non con le foto e i nomi dei politici ucraini citati nell’immagine diffusa sui social con Zelensky al primo posto, bensì quelle delle persone presenti nella classifica di Forbes.
Si tratta di Rinat Akhmetov, Victor Pinchuk e Vadim Novinsky, imprenditori nel campo della metallurgia, Igor Kolomoyskyi, imprenditore ucraino a cui è stata tolta la cittadinanza a causa di attività finanziarie che mettevano a repentaglio la solidità economica dell’Ucraina, e Petro Poroshenko, presidente ucraino prima di Zelensky.
Conclusioni:
Alcuni utenti condividono su Facebook un’infografica secondo la quale i politici ucraini si sarebbero arricchiti enormemente grazie agli aiuti occidentali al Paese per sostenere la sua difesa contro la Russia. Le fonti citate sono Forbes e la Bbc. La grafica è stata modificata. Appartiene in realtà a un post su Facebook della Bbc sui miliardari ucraini secondo Forbes, che non sono i politici presi di mira da complottisti.
(da Open)
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Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile
“AMATE LA PATRIA CON IL SACRIFICO SUL CAMPO DI BATTAGLIA”… BRAVO, DAI L’ESEMPIO E IMMOLATI IN PRIMA LINEA
Un guerrafondaio che anche nel giorno del Natale Ortodosso ha avuto parole di incitamento verso la guerra criminale di Putin che sta provocando decine di migliaia di morti e una devastazione che avrà bisogno di molti anni per essere superata.
“Amate la patria e siate pronti a difenderla anche con il sacrificio”. Lo ha detto il patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill nel corso di una cerimonia nella cattedrale di Cristo Salvatore in occasione del Natale ortodosso, alla quale erano presenti anche i figli dei militari impegnati nell’operazione special’ in Russia. Ossia la guerra.
«Vorrei augurare a tutti noi di amare la nostra Patria, il nostro popolo. Questo è il tipo di amore che spesso richiede sacrificio, come accade oggi sul campo di battaglia – ha detto Kirill – Siate sempre pronti ad amare la Patria e a difenderla».
(da agenzie)
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