Gennaio 18th, 2023 Riccardo Fucile
’GNAZIO LA RUSSA HA TENTATO IN TUTTI I MODI DI DIFENDERLO: “NON POSSIAMO FARE LA FIGURA DEI PERACOTTARI, NON POSSIAMO FARLO RITIRARE!”. MA DALLA PREMIER È ARRIVATO L’ORDINE DI CAMBIARE CAVALLO
Transatlantico gremito di deputati e senatori per l’elezione dei membri laici del Csm, tutto sembra volgere alla normalità. Quando scatta l’allarme. Esce fuori dall’Aula Ignazio La Russa: “Qui facciamo la figura dei peracottari!!!”. Il tutto, mentre Giorgia Meloni è al Quirinale per il Consiglio supremo di Difesa. Il presidente del Senato, in modalità non proprio super partes, ha gli occhi sgranati. “Dov’è Lollo?!”.
La notizia è che Giuseppe Valentino, l’uomo su cui Giorgia Meloni punta per la vicepresidenza del Csm, riempie i siti e le bocche dei grillini. E’ indagato in un fascicolo connesso a un processo contro la ’ndrangheta. La Russa vorrebbe tenere duro: “E’ una persona specchiatissima, non dobbiamo cedere a questo giustizialismo!”, dice a chi gli chiede cosa stia accadendo.
Lollobrigida, verbo della premier fatto persona, sta cercando intanto il presidente del Senato. E’ rosso in viso. Non si toglie dall’orecchio il cellulare. E’ al telefono con Palazzo Chigi da dove arriva l’ordine di scuderia: cambiare cavallo, puntare di corsa su Felice Giuffrè. Stop. La Russa però insiste: “Non possiamo fare la figura dei peracottari, non possiamo farlo ritirare”.
E qui si consuma un rapido capannello tra il ministro dell’Agricoltura e la seconda carica dello stato. Lollobrigida usa argomenti convincenti: “Non facciamo stupidaggini, non possiamo farci attaccare sulla lotta alle mafie il giorno dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro”. “Lollo” fa anche capire che la premier vuole così.
Partecipa al conciliabolo anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, più pallido del solito: la situazione è davvero complicata. Perché i senatori intanto, i primi a essere chiamati, hanno votato Valentino, il candidato azzoppato, quindi anche il suo successore rischia di non avere il quorum. La Russa con gli occhi strabuzzanti si accomoda su un divanetto. Riceve una telefonata: “Va bene, votiamo Giuffrè”. Chi assiste alla scena scommette un caffè, non di più, che la chiamata sia arrivata da Meloni.
C’è dunque un filo rosso fra FdI e M5s. Michele Gubitosa, vicepresidente grillino e uomo delle trattative, riferisce a Giuseppe Conte dell’operazione andata in porto: colpito e affondato. Conte sembra divertito, il Pd è arrivato secondo pure questa volta.
Il partito di Berlusconi di facciata se la prende con il giustizialismo e il fango gettato “sul povero Valentino”, costretto alla ritirata “da un articolo di giornale”. Però insomma, sotto sotto, un po’ di soddisfazione è visibile negli occhi dei parlamentari forzisti. Fratelli d’Italia si è incartato, si è diviso, ha fatto una figura non proprio splendente.
(da Il Foglio)
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Gennaio 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA SOLUZIONE DI COMPROMESSO IPOTIZZATA ERA CONFERMARE RIVERA MA SENZA LA RESPONSABILITÀ SULLE SOCIETÀ PARTECIPATE, DA AFFIDARE A CRISTIANO CANNARSA O ANTONINO TURICCHI
All’ora di cena la decisione sembrava imminente, un’ora dopo era già
svanita. Il 24 gennaio scattano i novanta giorni previsti dalla legge Bassanini per i quali, con l’arrivo di un nuovo governo, decadono gli incarichi degli alti dirigenti della pubblica amministrazione. Ieri nei palazzi si è sparsa la voce che il consiglio dei ministri di domani avrebbe deciso subito che fare con le due caselle più importanti, quelle del direttore generale del Tesoro – Alessandro Rivera – e del Ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta. Per quest’ ultimo la conferma è sempre più probabile.
Su Rivera nella maggioranza è in atto invece uno scontro. Da un lato i fedelissimi di Giorgia Meloni (il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, i ministri Francesco Lollobrigida e Guido Crosetto) che premono per cambiamenti, dall’altra le colombe: Giancarlo Giorgetti, ma anche Adolfo Urso e Raffaele Fitto.
Nelle intenzioni di Palazzo Chigi Rivera, ai vertici del Tesoro dal primo governo Conte, dovrebbe essere sostituito da Cristiano Cannarsa. Ma fra il dire e il fare ci sono i curriculum: Cannarsa, fin qui stimato amministratore delegato della società che si occupa delle gare per gli acquisti della pubblica amministrazione (Consip) ha un neo: non è esperto di finanza, né di rapporti con le istituzioni europee.
Per dare un segnale di discontinuità c’è chi ha suggerito un compromesso: la conferma di Rivera ma senza la responsabilità sulle società partecipate, da affidare a Cannarsa o Antonino Turicchi, nel frattempo nomimato presidente di Ita. Ma anche questa soluzione sembra già tramontata. Insomma, con il passare delle settimane Meloni si sta accorgendo che per farsi spazio nella giungla della macchina pubblica il machete (copyright Crosetto) non funziona. E non piace granché al Quirinale, a cui Meloni non è insensibile.
(da la Stampa)
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Gennaio 18th, 2023 Riccardo Fucile
SECONDO I MAGISTRATI SPESSO SI ARRIVA AD INDIVIDUARE I REATI DI MAFIA GRAZIE ALLA POSSIBILITÀ DI INTERCETTARE QUELLI DI CORRUZIONE O FATTISPECIE MINORI: LI CHIAMANO REATI-SPIA
Carlo Nordio si trova tra due fuochi: da una parte c’è Giorgia Meloni che non vuole contrasti con la magistratura, specie adesso, dall’altra ci sono Forza Italia e Terzo Polo che pretendono coerenza. Il tema sono le intercettazioni che il ministro vorrebbe limitare alle indagini per mafia e terrorismo, senza però l’assenso di Palazzo Chigi, che non ha in programma di intervenire su questa materia. Prima di ogni provvedimento sulle intercettazioni il governo interverrà sul reato di abuso di ufficio, sulle modifiche alla legge Cartabia per evitare le scarcerazioni facili e sul “traffico di influenze”.
Fratelli d’Italia corre ai ripari, mettendo le mani avanti: «Le intercettazioni non si toccano». Le parole dei magistrati che hanno condotto le indagini per l’arresto di Matteo Messina Denaro risuonano nei palazzi romani, «sono state il pilastro dell’inchiesta», ha ripetuto il procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia.
Frasi che rischiano di cambiare l’agenda di Nordio, che a più riprese aveva proposto di limitare l’utilizzo di questo strumento. Oggi il Guardasigilli sarà al Senato per la relazione sulla giustizia
Nordio insiste: «Le intercettazioni sono indispensabili nella lotta a mafia e terrorismo», sottolineando però «l’abuso che se ne fa per reati minori». Ed è su questo aspetto che si apre la polemica: secondo i magistrati spesso si arriva ad individuare i reati di mafia grazie alla possibilità di intercettare quelli di corruzione o fattispecie minori. Li chiamano reati-spia.
Il compito di Nordio oggi potrebbe non essere facile, perché, se le pressioni di Fratelli d’Italia sono molte, ci sono anche quelle di Forza Italia e del Terzo Polo che si aspettano di vedere confermate le posizioni garantiste che il ministro ha espresso […] La parlamentare del Carroccio ed ex magistrata Simonetta Matone fa capire come andrà a finire: «Quello che verrà cambiato sarà l’uso ai fini della pubblicazione sui mezzi di comunicazione».
L’altra questione che rischia di esplodere nei prossimi mesi è quella del trojan, il virus che entra nei dispositivi informatici per spiarne i contenuti, «strumento che andava limitato alle indagini per reati gravissimi e poi esteso in maniera abnorme a reati di diritto comune, causando un’invasione della privacy dei cittadini arrivata a livelli mai visti», conclude Pittalis.
(da la Stampa)
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Gennaio 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA LATITANZA GARANTITA DALL’ALTO
Per curare i quattro figli avuti da Ninetta Bagarella, Totò Riina si
rivolgeva al dottor Antonio Rizzuto, sanitario della Usl 58, che tra il 1974 e il 1980 vaccinò uno dopo l’altro Maria Concetta, Giovanni, Giuseppe Salvatore e Lucia, cresciuti alla macchia con mamma e papà. Per farsi asportare un cancro alla prostata, invece, Binnu Provenzano fu costretto a trasferirsi a Marsiglia dove si affidò alle cure di un urologo di grande talento: secondo alcuni in sala operatoria c’era anche il giovane Attilio Manca che, avendo però riconosciuto il vecchio boss, poco tempo dopo fu trovato cadavere in quello che un frettoloso processo definì un “suicidio per overdose” e che i genitori del dottore denunciano da anni come “omicidio di Stato”, voluto dai Servizi per coprire la latitanza del padrino.
C’è sempre un medico in “famiglia” e spesso per ricorrere alle sue cure il superlatitante è disposto a lasciare la sicurezza del covo e a spostarsi da una città all’altra, rischiando la cattura.
È accaduto anche a Matteo Messina Denaro, arrestato a Palermo all’interno della clinica dove il boss ammalato di tumore si era recato lunedì per un ricovero in day hospital. “Era un signore gentile – ha detto un medico, descrivendo i modi di Messina Denaro – ci regalava l’olio del suo paese”.
Col suo cappotto di montone e l’orologio da 35 mila euro, il capomafia della provincia trapanese, in cima alla lista dei criminali più pericolosi del mondo, è apparso l’immagine della straordinaria capacità di infiltrazione della mafia nella società civile, l’incarnazione della sua perfetta capacità di mimetizzazione nei contesti della borghesia cittadina, come è sicuramente una clinica privata tra le più rinomate dell’isola. E, del resto, il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia ha messo in chiaro che “C’è stata certamente una fetta di borghesia che negli anni ha aiutato Messina Denaro”, sottolineando che “le indagini puntano proprio su questo”. Sarebbe ora.
Come ho cercato di raccontare nel mio romanzo Nessuno escluso (Ianieri edizioni), il primo racconto civile sulla borghesia mafiosa, il sostegno dei professionisti in doppio petto – o in camice bianco – per la mafia, è tutto. E di certo i trent’anni di dorata latitanza, presumibilmente trascorsi senza mai allontanarsi, impongono oggi più di una domanda sulla fitta rete di protezione che dall’alto ha permesso una tale impunità. Quali poteri hanno coperto il boss? Quali politici? Quali apparati? Quali colletti bianchi? Nessuno, negli ultimi anni dedicati alla cura, lo ha mai identificato? Quanti medici lo hanno visitato? Quale laboratorio gli ha diagnosticato il tumore? “Decine di persone sono state arrestate per il favoreggiamento a Messina Denaro – ha sottolineato qualche tempo fa Teresa Principato, ex magistrato della Dna, che per anni ha indagato sul boss trapanese – e possiamo dire che i livelli di protezione attorno alla sua latitanza sono da sempre legati ad ambienti sociali medio-alti”.
Del resto, il regno di Messina Denaro è sempre stato la provincia di Trapani, la terra dove boss, politica e massoneria hanno costituito un unico blocco dominante di potere. Lo scenario nel quale il capomafia si è mosso invisibile come un fantasma scivolando nel ventre molle di una borghesia mafiosa che lo ha protetto e vezzeggiato, in uno scambio di reciproci – e lucrosissimi – vantaggi in termini di affari, potere, denaro. Al punto che gli investigatori oggi quantificano il tesoro (nascosto) di Messina Denaro in qualcosa come 13 milioni di euro. Dove sono occultati? Quanti prestanome lo gestiscono? Quanti riciclatori lo fanno fruttare? L’auspicio è ora che la promessa di De Lucia, quella di un’indagine su larga scala sulla collusione borghese di tutte quelle figure sociali che hanno sostenuto lo stragista superlatitante, riesca finalmente a diventare una realtà capace di squarciare il velo della grande nebulosa che alimenta da oltre un secolo il fenomeno mafioso. Sì, perché la mafia borghese è ancora oggi l’oggetto impenetrabile della più grande rimozione nella narrazione pubblica su Cosa Nostra. Tanto feconda nel raccontare con film e fiction le gesta truculente del proletariato mafioso, quanto incapace di descrivere le collusioni di politici, parlamentari, capi dei servizi segreti, medici, avvocati, direttori di banca, imprenditori e persino ecclesiastici: quell’articolato sottobosco di compiacenze interessate che è il vero nutrimento della mafia e che nell’apatia generale ha permesso a criminali sanguinari come Messina Denaro di arricchirsi a dismisura, esercitando il proprio potere di intimidazione e diventando sempre più invincibili.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 18th, 2023 Riccardo Fucile
IN DUE MESI I VOLI DI STATO SONO STATI 66, NORDIO PRIMEGGIA
Trentanove tratte in trenta giorni. Tanti sono i voli di Stato (considerando tutti i vari spostamenti) nel solo mese di novembre.
Con la particolarità che il ministro della Giustizia, l’ex magistrato Carlo Nordio, non solo è uno dei più frequenti “utilizzatori” dei mezzi dell’Aeronautica, ma parte o atterra puntualmente a Treviso, sua città natale. Questi sono i dati riportati dall’ufficio di Palazzo Chigi che si occupa del monitoraggio proprio dei voli di Stato.
Un numero certamente non esiguo che neanche a dicembre ha subìto rallentamenti: 27 tratte in un mese che, come noto, prevede lunghi periodi di pausa festiva e giorni di presenza in Parlamento prima di licenziare la Manovra. Insomma, 66 voli complessivi in due mesi.
Non male, considerando che restano fuori dall’elenco i “voli segreti per ragioni di Stato” e i voli effettuati dalla premier Giorgia Meloni, dai presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa e dalla presidente della Corte costituzionale Silvana Sciarra.
Ma a questo punto la domanda: chi è il ministro che più di ogni altro ha viaggiato a bordo degli aerei del 31esimo Stormo dell’Aeronautica? Innanzitutto, com’è facilmente immaginabile, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, per cui si contano nove viaggi (con più tappe e tratte in molti casi). Segue il ministro della Difesa Guido Crosetto (sei).
A riguardo c’è una curiosità singolare. Nel lungo elenco risultano per il 14 novembre scorso due voli diversi compiuti dai due ministri ma con uguale percorso: Roma – Bruxelles – Roma. In pratica, lo stesso giorno per lo stesso tragitto Crosetto e Tajani hanno preso due aerei diversi.
“La ragione è da ricercare nel fatto che Tajani aveva un vertice con i ministri degli Esteri Ue il 14, mentre Crosetto un altro vertice la mattina dopo”, spiegano fonti della Difesa. In pratica, il primo è partito in giornata, il secondo invece in serata per essere già in sede al mattino del 15. Tutto giusto e legittimo, nessuno scandalo dunque. Resta però il fatto che abbiamo pagato due voli per tratte identiche, di cui però pare non si sarebbe potuto fare a meno dato che, come specificato nei documenti ufficiali, i voli sono avvenuti per ragioni di “sicurezza”.
Ed è la stessa motivazione che accompagna anche i voli compiuti dal Guardasigilli. Per il quale, tuttavia, spunta una curiosità in più. Il 12 novembre Nordio partecipa a Palermo alla giornata conclusiva delle commemorazioni per il trentennale delle stragi di mafia: da Roma va a Palermo e infine atterra a Treviso. Il 15 novembre Nordio va all’inaugurazione della nuova sede della procura di Catanzaro. Il volo per Lamezia Terme, dopo una sosta a Roma, parte da Treviso.
Il 21 novembre ecco il primo viaggio all’estero per incontrare a Parigi il suo omologo Éric Dupond-Moretti: il volo parte da Treviso e ritorna a Treviso. E così anche il 27 novembre quando il ministro si reca a Berlino per la riunione del G7. Insomma, si parte o si atterra sempre e comunque nella città natale dell’ex magistrato. Nei cinque viaggi complessivi accade sempre. Anche a dicembre quando il ministro, l’8 dicembre, si reca a Bruxelles: si parte da Milano, si va nella capitale belga e si rientra nella città veneta.
Per carità: c’è da dire che nelle motivazioni dei viaggi è sempre specificata la ragione di “sicurezza”, dunque è ipotizzabile che per il ministro della Giustizia sia necessario salire a bordo dei mezzi dell’Aeronautica anche per rientrare a casa. Sorge però la domanda se in tutti i voli, specie quelli nazionali, non sia mai stato possibile utilizzare aerei di linea o magari prendere il treno.
Dubbi e domande che ovviamente abbiamo posto all’ufficio stampa del ministro della Giustizia senza tuttavia ricevere una risposta.
Così come sarebbe interessante conoscere anche gli eventuali viaggi compiuti dalla presidente Meloni. Per il momento, come documentato giorni fa dal nostro giornale, sappiamo solo che la premier ha speso 156mila euro per le sue prime tre missioni all’estero.
(da La Notizia)
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Gennaio 18th, 2023 Riccardo Fucile
“PRECEDENTI? FINO AD OGGI ERO INCENSURATO”… LA REAZIONE DEGLI ALTRI DETENUTI: “SE LO SONO VENDUTO”
«Fino a stanotte ero incensurato. Poi non so che è successo». Così ha
risposto Matteo Messina Denaro nel supercarcere Le Costarelle a L’Aquila a chi gli chiedeva i suoi precedenti per la compilazione della scheda anagrafica.
Mentre alla domanda sulla residenza ha sorriso: «Non ne ho mai avuta una». Il boss non ha voluto mangiare. Non ha chiesto giornali, libri o altro. Durante la visita, a parte il tumore, è apparso in buone condizioni di salute. Poi è stato accompagnato in cella. Dove sarà in regime di 41 bis.
Il penitenziario di Preturo si trova in mezzo al nulla: un’isola detentiva lontana dal resto della città. La cella, quattro metri per tre e senza fornello per il cibo, sarà sua tempo indeterminato. In un’altra cella, adibita ad infermeria, sarà sottoposto a chemioterapia.
A L’Aquila Matteo Messina Denaro è arrivato a notte inoltrata. Per il trasferimento è stato usato un C-130 dell’Aeronautica militare. Dopo l’arresto il Ros ha perquisito il suo covo. Dove ha trovato preservativi, Viagra e ricevute di ristoranti. Il suo prestanome Andrea Bonafede ha ammesso di aver comprato casa per lui a Campobello di Mazara. Ha anche scelto un’avvocata per rappresentarlo: sarà Lorenza Guttadauro, la nipote.
Le cure per la chemio le gestirà il primario del reparto carcerario a gestione universitaria. Per ragioni di sicurezza non sono previste visite mediche all’esterno. Potrà invece ricevere visite. «Riceverà lo stesso trattamento dei detenuti con patologie sanitarie. Garantiremo il suo diritto alla salute», dice il Garante dei detenuti abruzzesi Gianmarco Cifaldi.
L’appunto per i Ros
Repubblica aggiunge oggi che nel carcere il boss si è presentato con camicia e pantaloni di marche di lusso, cintura di pitone, stivaletti di pregio. Immancabili il giaccone e il berretto in pelle. Il fisico asciutto tradisce la frequentazione di palestre o la ginnastica in casa. All’aeroporto di Boccadifalco ha chiesto carta e penna per scrivere un appunto: «I carabinieri del Ros e del Gis mi hanno trattato con grande umanità».
E la frase in cui si autodichiarava incensurato si è conclusa con un sarcastico «non so perché sono qui».
Mentre alla domanda se la sua famiglia avesse precedenti ha semplicemente replicato: «Quale famiglia?». Il Fatto Quotidiano prova a spiegare cosa intendesse Messina Denaro con la risposta sui precedenti. Il padrino di Castelvetrano, in quella che indubbiamente è una frase ironica, voleva sottolineare che quella era la sua prima volta in carcere. A differenza di altri come Totò Riina e Bernardo Provenzano, che avevano trascorso già da giovani notti in cella.
«Non collaborerò mai»
Il quotidiano spiega che Messina Denaro ha già chiuso le porte a qualsiasi tipo di collaborazione con lo Stato. «Non voglio collaborare», è il senso di quello che ha detto al procuratore Maurizio De Lucia e all’aggiunto Paolo Guido.
Il quotidiano racconta anche la reazione dei boss detenuti all’arresto: «Se lo sono venduti», è stato il commento di alcuni esponenti dei clan di camorra. «Qualcuno ha fatto la spia», è stata la frase di alcuni malviventi di piccolo calibro. Nelle celle dei boss invece vige la regola del silenzio. Non una parola da Giuseppe Graviano e dal fratello Filippo. Che, incidentalmente, si trova proprio a L’Aquila. Dove anche l’ultimo dei Corleonesi si è dovuto sottoporre alle operazioni di rito. Foto segnaletiche, registrazione delle impronte digitali. Poi l’arrivo alla cella al piano terra del carcere. Dove sarà sorvegliato 24 ore su 24.
L’ammissione di Bonafede
Intanto ieri il vero Andrea Bonafede ha ammesso di aver comprato la casa nel centro abitato di Campobello di Mazara in vicolo San Vito (ex via Cv31) .«Mi ha dato 20mila euro», ha raccontato ai il geometra di Campobello, ora indagato per associazione mafiosa. Interrogato dai carabinieri Bonafede ha ammesso di conoscere Messina Denaro fin da ragazzo e di aver acquistato con 20 mila euro ricevuti dal boss l’appartamento. Nell’appartamento non sarebbero stati trovati documenti particolari. Un dato che induce i magistrati a sospettare che quella di vicolo San Vito fosse solo l’abitazione del boss e che l’ex primula rossa di Cosa nostra avesse scelto un altro luogo per nascondere il suo leggendario tesoro. Gli inquirenti sono arrivati all’appartamento grazie a una chiave ritrovata nel borsello del boss dopo l’arresto, insieme a due telefonini ora al vaglio degli inquirenti.
L’Alfa Romeo 164
Attraverso il codice della chiave, gli investigatori sono risaliti a un’Alfa Romeo 164. Con un sistema di intelligenza artificiale hanno ricostruito, con tanto di immagini, gli spostamenti dell’auto. Tra le riprese c’era anche quella del boss che entrava e usciva dall’abitazione di Campobello con le borse della spesa. Ora mancano ancora due pezzi del puzzle. Il medico Alfonso Tumbarello e il commerciante di olive Giovanni Luppino. Il primo è attualmente indagato. Aveva in cura il capomafia a cui prescriveva cure e farmaci intestando le ricette a Bonafede. Ma il vero geometra lo conosceva bene da anni. Anche lui era suo paziente. Il secondo è agli arresti con l’accusa di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena. Oggi comparirà davanti al Gip per l’udienza di convalida.
(da agenzie)
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Gennaio 18th, 2023 Riccardo Fucile
“COSA NOSTRA NON È PIÙ L’ORGANIZZAZIONE CRIMINALE PIÙ PERICOLOSA DEL MONDO. ORA È LA TERZA MAFIA NEL NOSTRO PAESE DOPO LA ‘NDRANGHETA E LA CAMORRA”
Il dott. Alfonso Sabella è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 (anche sul canale 202 del digitale terrestre) nel corso del format “I Lunatici”, il programma condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio dal lunedì al venerdì notte dalla mezzanotte alle quattro, live anche su Rai 2 tra l’una e un quarto e le due e trenta circa.
Il magistrato, già sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo, autore del libro ‘Cacciatore di mafiosi’, che ha ispirato anche una fiction di Rai 2 con Francesco Montanari, durante gli anni trascorsi alla procura antimafia di Palermo fu tra gli artefici dell’arresto di mafiosi tra cui i latitanti Leoluca Bagarella, Giovanni ed Enzo Brusca, Pietro Aglieri, Nino Mangano, Vito Vitale, Mico Farinella, Cosimo Lo Nigro, Carlo Greco e Pasquale Cuntrera.
Così ha commentato la cattura di Matteo Messina Denaro: “Il suo arresto è una notizia di portata storica. Viene catturato l’ultimo esponente di quella strategia stragista corleonese che aveva devastato il nostro Paese agli inizi degli anni novanta. Io ne ho arrestati tanti, tantissimi, e Matteo era l’ultimo. Ci sono voluti trent’anni per prenderlo, ma lo Stato ha vinto.
Cancelliamo per sempre la strategia dei corleonesi che avevano sfidato lo Stato e dall’altro lato abbiamo tolto un importante esponente di Cosa Nostra dalla circolazione. I corleonesi hanno smesso di esistere nel 14 aprile del 1998 quando abbiamo arrestato Vito Vitale. Lavorando su Brusca, Bagarella e gli altri il nome di Matteo Messina Denaro è venuto tante volte alla mia attenzione. Ma il territorio del trapanese era seguito da altri, non ho mai fatto indagini su Matteo Messina Denaro”.
L’identikit del mafioso Messina Denaro: “Dobbiamo distinguere due fasi. Da giovane era amante delle donne, i miei colleghi hanno seguito anche qualche sua fidanzata, una era austriaca. La seconda fase della sua latitanza è quando rimane l’ultimo dei corleonesi, non è più un ragazzino scapestrato, il padre muore, lui assume altre responsabilità. Là si trasforma in un soggetto simile a Provenzano. Molto riservato, molto meno scapestrato”.
Cosa accade ora dentro Cosa Nostra: “Costa Nostra ci ha abituato ad avere una grande capacità di adattamento. Sa assorbire tanti colpi. Anche se è sempre meno pericolosa. Non è più l’organizzazione criminale più pericolosa del mondo, come era ad inizio anni ’90. Ora è una delle mafie del nostro Paese, probabilmente la terza. Sicuramente è più pericolosa la ‘ndrangheta e forse anche la Camorra.
L’arresto di Matteo Messina Denaro le toglie l’uomo dal maggiore prestigio criminale, forse non il capo. Io credo che dopo la vicenda dello strapotere dei corleonesi i palermitani abbiano preteso il potere dentro Cosa Nostra e lo abbiano ottenuto. Il potere di Cosa Nostra è tornato a Palermo. E’ normale ritenere che al vertice della commissione di Cosa Nostra ci siano i palermitani in questo momento.
Oggi Cosa Nostra non ha la forza militare di porre una sfida allo Stato. Cosa Nostra convive con lo Stato, in modo meno eclatante, meno pericoloso, Cosa Nostra non è più al centro del mercato degli stupefacenti, ha ritenuto che è più comodo convivere con lo Stato, oppure comprarselo, corromperlo, ma nel patrimonio genetico di Cosa Nostra lo stragismo e la violenza ci sono sempre. Non dobbiamo dimenticarcene”
Ancora Sabella: “La notizia più bella, ancora più dell’arresto di Matteo Messina Denaro, è quella dell’applauso dei palermitani presenti rivolto alle forze di polizia. Combattere alla mafia con la sola repressione non basta. Servono altri strumenti. Bisogna parlare di legalità. Di diritti. Il lavoro è ancora molto lungo in questo Paese e non può non passare da un contrasto serio alla corruzione, cosa che i nostri politici sottovalutano”.
(da agenzie)
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Gennaio 18th, 2023 Riccardo Fucile
LO RIVELA IL LIBRO “THE FIGHT OF HIS LIFE”
In almeno dodici occasioni i servizi segreti russi avrebbero tentato di
assassinare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che in due casi è riuscito a salvarsi grazie ai “dettagli forniti dalla Cia”, l’intelligence statunitense.
I piani dei servizi segreti russi sarebbero stati intercettati addirittura “prima dello scoppio del conflitto”.
La tesi – pubblicata dal quotidiano britannico The Indipendent – è contenuta nell’anteprima del libro di Chris Whipple incentrato sul presidente Usa, Joe Biden, dal titolo “The Fight of His Life: Inside Joe Biden’s White House”.
Secondo Whipple “il direttore della Central Intelligence Agency, Bill Burns, si è recato a Kiev prima dell’inizio della guerra della Russia contro l’ Ucraina per informare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky di un piano russo per assassinarlo”.
Svariati sono i dettagli che sembrano collimare con la tesi dello scrittore: proprio nel febbraio del 2022, appena iniziò l’offensiva su vasta scala del presidente Putin, le forze speciali russe erano entrate a Kiev nel tentativo – fallito – di dare la caccia ai leader ucraini, incluso il presidente Zelensky.
Nel suo libro, Whipple sostiene anche che il presidente ucraino avrebbe “rifiutato gli avvertimenti dei funzionari statunitensi, secondo i quali Mosca avrebbe presto lanciato la più grande invasione di terra dalla fine della seconda guerra mondiale”.
Di certo a non salvarsi sono stati migliaia di civili. Secondo l’ultimo dato fornito dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) più di settemila sono stati uccisi in Ucraina dall’inizio dell’invasione: “La maggior parte delle vittime civili registrate sono state causate dall’uso di armi esplosive con effetti su vasta area, inclusi bombardamenti di artiglieria pesante, sistemi di razzi a lancio multiplo, missili e attacchi aerei”, ha affermato l’OHCHR.
L’Onu ha affermato di poter confermare 7.031 morti civili, ma ritiene che il bilancio effettivo delle vittime sia “notevolmente più alto” data la conferma in attesa di molti rapporti e l’inaccessibilità delle aree in cui si stanno svolgendo intensi combattimenti.
La maggior parte delle morti civili registrate si sono verificate nelle aree controllate dal governo dell’Ucraina: 6.536 rispetto alle 495 registrate nelle aree controllate dalla Russia. L’OHCHR non ha attribuito la responsabilità delle morti.
(da Fanpage)
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Gennaio 18th, 2023 Riccardo Fucile
INSIEME AL MINISTRO DEGLI INTERNI C’ERANO UN VICEMINISTRO E IL SEGRETARIO DI STATO… INDAGINI IN CORSO SULLE CAUSE
Nuova strage di civili in Ucraina. Un elicottero è precipitato questa mattina vicino ad un asilo e ad alcuni edifici residenziali nella città di Brovary, nella regione di Kiev. A renderlo noto su Telegram il governatore della regione Oleksiy Kuleba, spiegando che ci sono vittime e che diversi bambini si trovavano nella struttura scolastica al momento dello schianto. Secondo fonti della presidenza ucraina sul posto si trovano le squadre di emergenza e sono in corso le operazioni di soccorso.
Stando a quanto riferiscono i media ucraini l’aeromobile – un velivolo in dotazione al servizio di emergenza – trasportava tra gli altri il Ministro degli affari interni, Denys Monastyrskyi, oltre a un viceministro – Yevgeny Yenin – e al segretario di stato Yuriy Lubkovich, tutti morti.
In totale, il bilancio al momento è di 18 decessi, inclusi due bambini. Ventidue persone sono invece state trasportate in ospedale, tra le quali 10 minori. Al momento non è noto se l’elicottero sia stato abbattuto o sia precipitato accidentalmente per altre cause: di certo quando è avvenuto la tragedia era ancora buio e c’era molta nebbia e le prime notizie, riferite dalla BBC, suggeriscono che l’elicottero possa aver colpito l’asilo prima di schiantarsi vicino a un edificio residenziale.
La tragedia di questa mattina Brovary rappresenta un durissimo colpo per il governo ucraino, che ha perso alcuni dei suoi più alti rappresentanti e funzionari. Tra le vittime, come detto, c’è il Ministro degli Interni Denys Anatoliiovych Monastyrsky, 43 anni. Il politico, avvocato di formazione, era entrato nel governo nell’aprile del 2021 dopo le dimissioni del suo predecessore Arsen Avakov e negli ultimi undici mesi si era speso – come il resto della leadership ucraina – nel tentativo di fermare l’invasione russa.
(da agenzie)
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