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COS’E’ DAVVERO LA CARNE SINTETICA: SMONTIAMO LE ACCUSE DEL GOVERNO UNA PER UNA

Marzo 29th, 2023 Riccardo Fucile

L’IDEA E’ MOLTO SEMPLICE: “PER PRODURRE UN HAMBURGER NON MI SERVE L’INTERO ANIMALE”… LA TECNOLOGIA POTREBBE RISOLVERE IL PROBLEMA DEGLI ALLEVAMENTI INTENSIVI

Stanno attingendo a ogni tipo di narrazione possibile, dal cinema splatter all’archetipo di Frankenstein.
Il governo per bandire la carne artificiale ha inventato una scienza ad hoc fatta di allevamenti di feti, cellule impazzite che proliferano, e residui chimici. Tutto falso.
Contrapposta a questa narrazione distopica c’è il Made in Italy, i campi naturali di erba vera e le bestie che vanno consumate alla buona e antica maniera.
Non è chiaramente il nostro Paese, che da tempo ha abbandonato le rive bucoliche per massimizzare la produzione in nome del capitalismo feroce. Non importa, tutto questo serve a interrompere il progresso, che passa anche dalla carne sintetica.
Esistono già ristoranti con bistecche artificiali, o start up che producono hamburger di tigre, o sushi di zebra. Senza uccidere un animale. La carne realizzata in laboratorio è legale oggi negli Stati Uniti e a Singapore. Ma non lo sarà in Italia.
Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, ha portato alla seduta del Consiglio dei ministri, martedì 28 marzo, un disegno di legge che prevede sanzioni da 10.000 a 60.000 euro, oppure il 10% del fatturato annuo, per chi produce, vende, distribuisce e somministra alimenti creati in laboratorio partendo da embrioni animali.
In poche parole bandisce quella che comunemente viene chiamata carne sintetica. Un nome che di certo non aiuta, anche perché è meno sintetica di quanto sembri (non è comunque il peggiore, Lollobrigida la chiama carne Frankenstein).
Viene infatti prodotta a partire dalle cellule staminali embrionali di un animale, coltivate poi in un ambiente privo di contaminanti e senza l’uso di antibiotici. La guerra contro la carne sintetica sul terreno italiano è fatta di tanti pregiudizi, escamotage narrativi e dicotomie vecchie che giocano sull’ignoranza. I capi d’accusa sono deboli o inesistenti. Vediamoli uno per uno e cerchiamo di capire meglio cosa c’è dietro la carne prodotta in laboratorio.
Come si crea una bistecca a partire da una cellula
Dietro il concetto di carne sintetica c’è un’idea molto semplice: per produrre un hamburger non mi serve l’intero animale. Ormai siamo in grado di indirizzare le cellule verso lo sviluppo, e possiamo fare in modo che creino artificialmente cellule muscolari, nervi e tessuti connettivi. Tutto questo è possibile grazie alle cellule staminali, ovvero quelle cellule non specializzate, ma capaci di differenziarsi specializzandosi in un tipo di cellula differente presente nel nostro corpo.
Andiamo per step, prima vengono prelevate con una biopsia le cellule di un animale vivo, in alternativa si può anche usare carne fresca. Dopo l’estrazione le cellule vengono inserite in un bioreattore con sostanze nutritive, lì crescono e sfruttando le capacità staminali si replicano indefinitamente. Terminato il processo comincia la lavorazione delle fibre muscolari, e si ottiene così una carne simile al macinato, che viene compattata sottovuoto.
Tutti i vantaggi della carne prodotta in laboratorio
La carne artificiale come primo grande merito ha quello di essere sostenibile. Uno studio del centro di ricerca indipendente Ce Delft, certificato dall’Unione europea, ha spiegato che la carne artificiale “potrebbe ridurre significativamente le emissioni di gas serra del settore del 92%, produrre il 93% in meno di inquinamento, diminuire del 95% il consumo di suolo e del 78% quello di acqua”.
Non solo, come ha spiegato l’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) “è un prodotto che offre una soluzione a diversi problemi correlati alla produzione della carne: una produzione che non lede il benessere animale, la sostenibilità ambientale e la sicurezza alimentare. Anche se la produzione di carne coltivata richiede l’utilizzo di cellule animali, può rappresentare un’alternativa cruelty free alla produzione di carne che può andare incontro a chi ancora non ha abbracciato la scelta vegetariana o vegana”.
Un altro vantaggio è quello della sicurezza alimentare. La carne artificiale infatti viene prodotta in laboratorio, controllata, non ha contaminanti biologici, chimici, e fisici. La carne sintetica non è esposta a sostanze come pesticidi o fungicidi, presenti invece per esempio nei mangimi o nell’erba da pascolo, e soprattutto non è contaminata da antibiotici (ampiamente usati nell’industria della carne soprattutto negli allevamenti intensivi).
I veri e falsi della carne artificiale
I contro sono elencati tutti nella campagna contro la carne artificiale che ha portato al disegno di legge. Primo alfiere è proprio Coldiretti, peccato che, in realtà, ogni critica è infondata e facilmente contestabile. Sostengono per esempio che “lo status della ricerca e della sperimentazione degli alimenti sintetici sembra essere a una fase embrionale”. Non proprio negli Stati Uniti e a Singapore sono tre anni che si mangia carne sintetica.
I critici puntano anche il dito sui costi. Nel 2013 l’università di Maastricht ha realizzato il primo hamburger in laboratorio, spendendo circa 290 mila euro, oggi il prezzo balla sui 4 euro per una bistecca di pollo. Succede come sempre, all’inizio le nuove tecnologie sono inaccessibili, poi i costi diminuiscono progressivamente, e scenderanno ancora. Quindi una delle tante critiche alla carne artificiale (è troppo costosa) è destinata a ritirarsi.
“La prima bugia è relativa alla presunta salubrità della carne in provetta. L’alto tasso di proliferazione cellulare può indurre instabilità genetica delle cellule sostenendo la potenziale proliferazione di cellule cancerose sporadiche”, scrive Coldiretti. In poche parole sta dicendo che la carne artificiale fa venire in cancro. Le cellule muscolari però non integrano il loro DNA con l’ospite e quindi non inducono proliferazione in altre cellule. Non c’è nessun assunto scientifico che regga l’accusa.
Tra le accuse, forse la più strampalata è che rischi di danneggiare i territori, come abbiamo già spiegato in realtà la carne sintetica nasce come soluzione per risolvere il problema degli allevamenti intensivi. E poi hanno deciso di giocare sulla banale dicotomia contrapponendo il buon “antico e naturale” VS il terribile “moderno e sintetico”. In realtà il grande problema della carne sintetica non dipenderà dalla produzione ma dalla sua distribuzione. Come sempre, come tutto, potrebbe essere sbilanciato l’accesso tra Paesi più poveri e quelli invece più ricchi.
(da Fanpage)

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IL RAPPORTO DELLE NAZIONI UNITE: “IN LIBIA STUPRANO, TORTURANO, SPARANO ALLE NAVI ONG, QUEI CRIMINALI TRAFFICANTI SONO FINANZIATI DALL’ITALIA”

Marzo 29th, 2023 Riccardo Fucile

“FINANZIATI, ADDESTRATI E SPACCIATI PER AUTORITA’ CON CUI STRINGERE PATTI, COMPRESA LA SEDICENTE GUARDIA COSTIERA LIBICA”

Torturano, stuprano, sparano sulle navi Ong. Questi criminali sono finanziati dall’Italia. Finanziati, addestrati, armati e spacciati per autorità con cui stringere patti. Libia, un porto sicuro. Sicuro per i trafficanti di esseri umani e per coloro che l’Italia e l’Europa considerano “ministri” di improbabili governi.
Un Rapporto sconvolgente
I migranti bloccati in Libia mentre tentano di raggiungere l’Europa vengono sistematicamente torturati e costretti alla schiavitù sessuale. È una delle accuse emerse da tre anni di indagini del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, i cui incaricati hanno intervistato centinaia di persone.
Ci sono “prove schiaccianti” tali da “ritenere che una vasta gamma di crimini di guerra e crimini contro l’umanità siano stati commessi dalle forze di sicurezza libiche e da gruppi di milizie armate”, si legge nel rapporto, le persone detenute sono state sottoposte a “tortura, isolamento, detenzione in isolamento. È stato negato un adeguato accesso ad acqua, cibo, servizi igienici, luce, attività fisica, cure mediche, consulenza legale e comunicazione con i membri della famiglia”. Quasi tutti i sopravvissuti intervistati non hanno denunciato formalmente gli abusi per paura di rappresaglie, arresti, estorsioni e mancanza di fiducia nel sistema giudiziario.
Il rapporto critica inoltre l’Unione europea per “il sostegno fornito alla Guardia costiera libica in termini di allontanamenti, respingimenti e intercettazioni”, che “ha portato a violazioni di alcuni diritti umani”, ha dichiarato uno degli investigatori, Chaloka Beyani. “Non si possono respingere le persone in aree non sicure, e le acque libiche non sono sicure per l’imbarco dei migranti”, ha proseguito, precisando che l’Ue e i suoi Stati membri non sono stati ritenuti responsabili di crimini, ma “il sostegno fornito ha aiutato e favorito la commissione dei crimini” stessi.
Una ricostruzione dettagliata
“Il 22 giugno 2020 l’United Nations Human Rights Council (Hrc) ha istituito l’Independent Fact-Finding Mission on Libya (Ffm) per indagare sulle violazioni e gli abusi dei diritti umani in tutta la Libia dall’inizio del 2016, per prevenire un ulteriore deterioramento della la situazione dei diritti umani e per garantire che i responsabili vengano perseguiti, l’Hrc ha successivamente prorogato il mandato della Ffm per un periodo finale non prorogabile di nove mesi, per presentare le sue raccomandazioni conclusive.
La Ffm ha intrapreso 13 missioni, condotto più di 400 interviste e raccolto più di 2.800 informazioni, comprese immagini fotografiche e audiovisive e ora ha presentato il suo rapporto finale e ha espresso «Profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani nel Paese», concludendo che «Vi sono motivi per ritenere che sia stata commessa un’ampia gamma di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dalle forze di sicurezza dello Stato e da gruppi di milizie armate».
Mentre l’Italia continua a finanziare il governo libico (di Tripoli) e le sue milizie, l’inchiesta Ffm delinea quello che definisce «Un ampio sforzo delle autorità per reprimere il dissenso della società civile» e documenta «Numerosi casi di detenzione arbitraria, omicidio, stupro, riduzione in schiavitù, esecuzioni extragiudiziali e sparizioni forzate», sottolineando che «Quasi tutti i sopravvissuti intervistati si sono astenuti dal sporgere denuncia ufficiale per paura di rappresaglie, arresti, estorsioni e sfiducia nel sistema giudiziario».
Anche se ormai nemmeno più Matteo Salvini e Giorgia Meloni – dimenticati i bei tempi in cui invocavano il blocco navale e il respingimento di tutti i migranti – definiscono più la Libia “un porto sicuro”, il rapporto ricorda che già ai tempi della propaganda elettorale «I migranti, in particolare, sono stati presi di mira e ci sono prove schiaccianti che siano stati sistematicamente torturati. Vi sono ragionevoli motivi per ritenere che la schiavitù sessuale, un crimine contro l’umanità, sia stata commessa contro i migranti».
Forse il ministro Piantedosi, se leggesse il rapporto, capirebbe perché chi fugge dalla Libia (e ora dalla Tunisia) rischia la vita pur di sfuggire all’inferno in Terra.
Mohamed Auajjar, presidente della Ffm ha detto che «C’è un urgente bisogno di responsabilità per porre fine a questa pervasiva impunità. Chiediamo alle autorità libiche di sviluppare senza indugio un piano d’azione per i diritti umani e una road map completa sulla giustizia di transizione incentrata sulle vittime e di ritenere responsabili tutti i colpevoli delle violazioni dei diritti umani».
Il rapporto ricorda che «Il governo libico è obbligato a indagare sulle accuse di violazioni dei diritti umani e crimini nelle aree sotto il suo controllo in conformità con gli standard internazionali. Ma le pratiche e i modelli di gravi violazioni continuano senza sosta, e ci sono poche prove che siano stati compiuti passi significativi per invertire questa preoccupante traiettoria e portare soccorso alle vittime».
E, nonostante le missioni petrolifere della nostra primo ministro che annuncia futuristici “Piani Mattei”, il rapporto evidenzia che «Il mandato della Missione sta terminando quando la situazione dei diritti umani in Libia si sta deteriorando, stanno emergendo autorità statali parallele e le riforme legislative, esecutive e del settore della sicurezza necessarie per sostenere lo stato di diritto e unificare il Paese sono lungi dall’essere realizzate. In questo contesto polarizzante, i gruppi armati che sono stati implicati in accuse di tortura, detenzione arbitraria, tratta e violenza sessuale restano ritenuti non responsabili».
In particolare i settori della sicurezza, stanno riducendo i diritti di riunione, associazione, espressione e credo per garantire l’obbedienza, radicare valori e norme egoistici e punire le critiche contro le autorità e la loro leadership. Gli attacchi contro, tra l’altro, difensori dei diritti umani, attiviste per i diritti delle donne, giornalisti e associazioni della società civile hanno creato un’atmosfera di paura che ha spinto le persone all’autocensura, alla clandestinità o all’esilio in un momento in cui è necessario creare un’atmosfera che sia favorevole a elezioni libere ed eque affinché i libici esercitino il loro diritto all’autodeterminazione e scelgano un governo rappresentativo per governare il Paese».
Questi i governanti ai quali stringiamo le mani e con i quali (ri)stringiamo patti petroliferi e gasieri, ai quali consegniamo armi e motovedette. E mentre il governo annuncia la caccia agli scafisti in tutto il globo terracqueo che verrebbero favoriti dalla sinistra e dalle Ong, il rapporto afferma che in realtà durante il suo ultimo viaggio in Libia la nostra premier si è amichevolmente intrattenuta con alcuni di quei trafficanti: «La tratta, la riduzione in schiavitù, il lavoro forzato, la detenzione, l’estorsione e il traffico di migranti vulnerabili hanno generato entrate significative per individui, gruppi e istituzioni statali e hanno incentivato la continuazione delle violazioni. Ci sono ragionevoli motivi per ritenere che i migranti siano stati ridotti in schiavitù in centri di detenzione ufficiali così come in “prigioni segrete” e che lo stupro sia stato commesso come crimine contro l’umanità».
I trafficanti di esseri umani sono gli stessi con i quali facciamo accordi e parliamo del “Piano Mattei”: «Nel contesto della detenzione, le autorità statali e le entità affiliate – tra cui l’Apparato di deterrenza della Libia per la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo (Dacot), le Forze armate arabe libiche (Laaf), l’Agenzia per la sicurezza interna (Isa) e l’Apparato di supporto alla stabilità ( Ssa) e la loro leadership – sono stati ripetutamente trovati coinvolti in violazioni e abusi. I detenuti sono stati regolarmente sottoposti a tortura, isolamento, detenzione in isolamento ed è stato negato un adeguato accesso ad acqua, cibo, servizi igienici, luce, esercizio fisico, cure mediche, consulenza legale e comunicazione con i familiari».
Inoltre, il rapporto afferma che «Le donne sono sistematicamente discriminate in Libia. La loro situazione è notevolmente peggiorata negli ultimi tre anni. La sparizione forzata della deputata Sihem Sergiwa e l’uccisione di Hannan Barassi sono rimaste questioni di profonda preoccupazione per la Ffm», e gli esperti hanno ribadito il loro «Appello alle autorità di Bengasi affinché indaghino adeguatamente su queste violazioni e ritengano responsabili i colpevoli».
La Missione ha invitato l’Human Rights Council a «Istituire un meccanismo di indagine internazionale indipendente dotato di risorse sufficienti» e ha esortato l’ UN High Commissioner for Human Rights (Ohchr) a «Istituire un meccanismo distinto e autonomo con un mandato permanente per monitorare e riferire in merito gravi violazioni dei diritti umani, al fine di sostenere gli sforzi di riconciliazione libici e assistere le autorità libiche nel raggiungimento della giustizia di transizione e per individuare i responsabili dei crimini»-
La Ffm condividerà con l’International Criminal Court, secondo gli standard di cooperazione internazionale in materia penale e l’accordo sulle relazioni Onu-Icc, il materiale e i risultati che ha raccolto durante il suo mandato e un elenco di persone che ha identificato come possibili autori di violazioni dei diritti umani e crimini internazionali”.
(da Globalist)

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“NOI ONG SIAMO TESTIMONI SCOMODI DEL MEDITERRANEO”

Marzo 29th, 2023 Riccardo Fucile

INTERVISTA A GIORGIA LINARDI, PORTAVOCE DI SEA WATCH: “OPERIAMO IN SINTONIA CON IL DIRITTO INTERNAZIONALE”

“In questo momento siamo relegati al ruolo di testimoni scomodi». Le parole di Giorgia Linardi hanno un senso di amarezza. Da portavoce della Ong Sea Watch, Linardi racconta le attuali difficoltà in mare e in cielo per cercare di aiutare le migliaia di disperati che ogni giorno attraversano il Mediterraneo.
In questo momento siete fermi con soccorsi in mare?
Sì, purtroppo la Sea Watch 3 è ferma a Reggio Calabria per effetto di un fermo amministrativo contro il quale abbiamo fatto ricorso. La nave comunque verrà dismessa e presto metteremo in acqua quella nuova.
Intanto monitorate il mare dal cielo?
Con l’aereo di ricognizione Sea Bird controlliamo principalmente la rotta del Mediterraneo centrale, dalla Libia e dalla Tunisia verso l’Italia. Settimana scorsa, tra lunedì e venerdì abbiamo avvistato 24 imbarcazioni. Di queste ben 17 solo nella giornata di venerdì.
Cosa vedete?
Negli ultimi giorni abbiamo visto tantissime barche. Sabato abbiamo assistito a un episodio di violenza della guardia costiera libica nei confronti di un gommone carico di persone e anche dell’equipaggio della nave della Ocean Viking. L’imbarcazione avrebbe soccorso il gommone, purtroppo però l’operazione è andata diversamente perché la guardia costiera libica glielo ha impedito. Lo ha fatto utilizzando peraltro una motovedetta che apparteneva alla Guardia di Finanza italiana.
Cosa è successo?
Ci sono anche le immagini: si vede che la guardia costiera libica fa manovre pericolose intorno al gommone e spara ad altezza uomo. Noi dall’alto abbiamo visto i proiettili che si schiantavano sulla superficie dell’acqua. I primi spari al gommone e poi alla nave Ong. Abbiamo assistito a un altro caso di respingimento perché le persone sul gommone sono state riportate in Libia.
Quando vedete i barconi in pericolo cosa fate?
Facciamo quello che ci indica il diritto internazionale: informiamo le autorità competenti della presenza di queste persone in mare oltre che di eventuali altre barche presenti in zona. Come abbiamo fatto il week end del 12 marzo con le navi mercantili che si trovavano nelle vicinanze di un barcone che è poi naufragato. (In quel caso un mercantile tentò di soccorrere l’imbarcazione con 47 persone a bordo ma a causa delle onde alte durante le operazioni la barca si capovolse: solo 17 i sopravvissuti, ndr).
Chi informate?
Principalmente Libia, Malta e Italia ma mentre prima dell’accordo Italia-Libia la Guardia costiera italiana coordinava ogni soccorso delle Ong dal 2017 in poi tutto è cambiato per lasciare spazio ai respingimenti dei libici.
Quanto dura una missione di sorvolo?
Dipende dalle condizioni meteo e dalla situazione in mare: quando si avvista un barcone in difficoltà, lo si sorvola per cercare di acquisire più elementi possibili da comunicare. Quante persone ci sono a bordo e i punti approssimativi in cui ci troviamo, in modo da fornire indicazioni aggiornate per aiutare i soccorsi.
Un lavoro impegnativo..
Il lavoro delle Ong, per come viene raccontato, sembra politico ma è un lavoro estremamente tecnico. Quello che facciamo è essenziale anche per testimoniare quello che accade nel Mediterraneo: senza le Ong non avremmo mai saputo che i libici sparano ad altezza uomo, così come non sapremmo del naufragio del 12 marzo. L’ho detto, in questo momento siamo un testimone scomodo.
(da agenzie)

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PNRR, DIETRO AI DUBBI DELLA COMMISSIONE CHE CONGELA LA SECONDA RATA ATTESA DALL’ITALIA (19 MILIARDI DI EURO) C’È UNA PARTITA CHE RIGUARDA I RAPPORTI TRA DONNA GIORGIA E BRUXELLES (DOVE NON HANNO GRADITO IL SUO RICATTO SUL MES)

Marzo 29th, 2023 Riccardo Fucile

L’ARGOMENTO PNRR È DECISIVO PER MELONI, C’È IN BALLO LA SUA CREDIBILITÀ EUROPEA E SULLO SFONDO GLI IMMANCABILI PARAGONI CON “IL PREDECESSORE” DRAGHI

Dopo il Consiglio dei ministri Meloni preferisce non palesarsi. E’ preoccupata dal dossier Pnrr. Dietro ai dubbi della Commissione che congelano la seconda rata attesa dall’Italia (19 miliardi di euro) c’è una partita molto più ampia.
Riguarda il rapporto costruito in questi mesi dalla premier con l’Europa. Una tela diplomatica iniziata con il primo viaggio all’estero e continuata fino alla settimana scorsa. Visite, colloqui telefonici, Consigli europei, bilaterali (da ultimo quello con Emmanuel Macron giovedì notte) per scrollarsi di dosso il pregiudizio per “essere protagonisti e non subalterni con il cappello in mano”.
Ora però questa narrazione rischia di incrinarsi. Matteo Salvini di prima mattina sembra tornato ai tempi d’oro quando sparava a palle incatenate contro “i signori di Bruxelles”. Il vicepremier sulla vicenda dello stop ai motori a combustione a partire dal 2035 mette in mora l’“approccio ideologico della Commissione” informando tutti che l’anno prossimo “ci sarà il voto”. Il frontale dunque è servito.
Intanto, Raffaele Fitto, che è mister Pnrr, mette a verbale che sulla terza tranche congelata “il nostro approccio è assolutamente costruttivo e collaborativo, non si tratta di immaginare polemiche. Sarebbe singolare che gli obiettivi al 31 dicembre 2022 fossero in carico a chi si è insediato a ottobre”. L’ombra di Draghi si staglia sul dossier durante la relazione della Corte dei conti a cui partecipa il ministro per gli Affari europei.
“Se noi oggi capiamo, e lo possiamo capire anche da questa relazione, che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa”, spiega ancora Fitto. L’argomento è particolarmente delicato per Meloni: c’è in ballo la sua credibilità europea e sullo sfondo gli immancabili paragoni “con il mio predecessore”. Ecco perché alla fine di un Consiglio dei ministri ricco di provvedimenti anche molto rivendibili all’esterno preferisce non presentarsi. Fino all’altro giorno era pronta a illustrarli, ora c’è un cambio di strategia.
(da Il Foglio)

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CASE GREEN, INTERVISTA ALL’EUROPARLAMENTARE IRLANDESE IDEATORE DELLA DIRETTIVA: “DAL GOVERNO ITALIANO TANTE BUGIE SUL PROVVEDIMENTO”

Marzo 29th, 2023 Riccardo Fucile

“IL TESTO CONTIENTE GIA’ MOLTE DEROGHE, L’EFFICIENTAMENTO ENERGETICO E’ NECESSARIO PER GARANTIRE UN FUTURO ALLE NUOVE GENERAZIONI”

«L’Italia ce la può fare, ne sono certo». Non ha dubbi l’europarlamentare irlandese Ciarán Cuffe, relatore della cosiddetta «direttiva sulle case green».
Il testo che Cuffe, eletto tra le fila dei Verdi, ha portato al Parlamento europeo ha un obiettivo ambizioso: abbattere le emissioni degli edifici attraverso un maxi-piano europeo di efficientamento energetico.
La direttiva, però, ha ricevuto un’accoglienza piuttosto fredda in Italia. A Strasburgo, tutti i partiti che sostengono il governo italiano hanno votato contro la misura, con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ha parlato di un «danno per l’Italia». Quando Cuffe ci accoglie nel suo ufficio di Bruxelles, ci fa subito notare il poster affisso dietro la sua scrivania: Isola la tua casa, isola Putin. «Uno dei grandi vantaggi di questo provvedimento è che contribuisce a ridurre notevolmente la nostra dipendenza dai combustibili fossili, compresi quelli che arrivano dalla Russia», sottolinea l’europarlamentare l’irlandese.
Cosa rende questa direttiva così importante per il raggiungimento degli obiettivi climatici europei?
«Il Green Deal ha come primo obiettivo quello di abbattere le emissioni di gas serra nei prossimi decenni. E non possiamo raggiungere questo target senza occuparci degli edifici, che sono responsabili del 40% del consumo totale di energia elettrica nell’Unione Europea e producono circa un terzo delle emissioni di gas serra. Ristrutturando le abitazioni, possiamo creare nuovi posti di lavoro, combattere la povertà energetica e ridurre l’inquinamento».
Il testo ha ricevuto il primo via libera del Parlamento europeo lo scorso 14 marzo. Quali sono i prossimi step?
«Quest’anno abbiamo raggiunto un accordo in commissione e il voto in plenaria. Ora il prossimo passo è raggiungere un’intesa tra le varie istituzioni europee: Commissione, Consiglio e Parlamento. I negoziati andranno avanti per i prossimi tre mesi e speriamo di poter ottenere un testo definitivo per la fine della presidenza svedese, che termina a giugno. Una volta che l’intesa finale è stata raggiunta, toccherà agli Stati membri applicare le nuove regole».
L’Italia sarà uno dei Paesi più coinvolti da questa direttiva. Secondo il settore delle costruzioni, sarà molto difficile raggiungere davvero gli obiettivi fissati al 2030.
«Io sono ottimista di natura e penso che l’Italia ce la farà. Innanzitutto, c’è una deroga per gli edifici storici o patrimonio dell’umanità. Sarebbe una farsa chiedere di efficientare il Colosseo o il Pantheon. Inoltre, il testo votato in Eurocamera permette a ogni Stato membro di chiedere una deroga anche per il 22% delle case in classe energetica G. A questo punto, si rimane con una lista di edifici che possono essere facilmente ristrutturati. Va ricordato poi che sono previste misure specifiche per ogni Stato membro. In Italia, per esempio, c’è un clima mite. Perciò chiediamo soprattutto di isolare meglio gli edifici, non certo di mettere pompe di calore in ogni casa. Insomma, non credo che gli standard fissati dall’Ue siano troppo ambiziosi».
Eppure quello che in tanti si chiedono è: chi pagherà per tutti questi lavori?
«Il modello che molti Paesi stanno adottando è il seguente: garantire prestiti alle famiglie di classe media, mentre lo Stato interviene in prima persona per le fasce più povere della popolazione e i disoccupati. Ci sono moltissimi fondi a cui l’Italia può attingere: la Banca europea per gli investimenti, la Banca centrale europea, i fondi del Recovery fund, i fondi strutturali e non solo. Tutte le strutture competenti sono già pronte a erogare i fondi necessari per supportare questa transizione. I soldi quindi ci sono. Sono i governi semmai a dover decidere quanti fondi chiedere e come spenderli. Mi auguro che il governo italiano darà la priorità a chi non può permettersi di pagare i lavori di ristrutturazione».
I partiti che sostengono il governo italiano hanno votato contro la direttiva al Parlamento europeo. Teme che possano provare a bloccare l’adozione di questo provvedimento?
«In realtà, prima di votare contro la direttiva al Parlamento europeo, il governo italiano si era espresso a favore al Consiglio Ue a cui era presente anche il ministro dell’Ambiente. In ogni caso, credo che siano state diffuse molte bugie su questo provvedimento. Ricordo che Matteo Salvini ci aveva accusati di voler portare via la casa agli italiani. C’è sempre spazio per la retorica politica, ma io preferisco occuparmi dei fatti: Bruxelles non vi porterà via la casa, non vi sfratterà e non vi costringerà a ristrutturare se non avete i soldi per farlo».
Giorgia Meloni ha detto che questo provvedimento rischia di diventare una «patrimoniale nascosta».
«Confesso di non aver sentito questa espressione, ma credo che questa direttiva sia l’opposto di una tassa patrimoniale: tutti gli studi dimostrano che se fai i giusti lavori di ristrutturazione il valore della tua casa cresce. Sia Meloni che Salvini sanno che dobbiamo aiutare chi soffre per il caro bollette e che questa direttiva è un modo per farlo. Qual è l’alternativa? Lasciare che la gente viva in case poco isolate e con bollette sempre più alte? Dobbiamo agire. E credo che alla fine, malgrado tutto, riusciremo ad arrivare a un testo condiviso».
(da Open)

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ABOLIZIONE DEL REATO DI TORTURA: “IL GOVERNO SOVRANISTA PALADINO DELL’IMPUNITA'”

Marzo 29th, 2023 Riccardo Fucile

IL REATO E’ PREVISTO DALLE CONVENZIONI INTERNAZIONALI, PIACE SOLO AI REGIMI TOTALITARI DOVE IL POTERE MASSACRA GLI OPPOSITORI

La folle proposta, manco a dirlo, è arrivata da Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni: abolire il reato di tortura introdotto con molta fatica nell’ordinamento italiano nel 2017, approvato sulla sanzione all’Italia comminata nel 2015 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per la mancanza di adeguate ed efficaci misure di prevenzione e repressione delle condotte di tortura, contrarie all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Già nel 2018 Meloni – a quel tempo arrembante oppositrice prodiga di facili promesse – spiegava che il reato di tortura “impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro”.
Meloni dava per scontato evidentemente che la violenza fosse parte integrante degli strumenti delle nostre forze dell’ordine. Una concezione piuttosto sudamericana dell’ordine pubblico, indubbiamente. Tant’è che nel 2018 Giorgia Meloni cancellò il tweet della sua strampalata idea. Poi sono passati 5 anni, Meloni è diventata capa del governo e quella follia s’è fatta proposta di legge.
Esultano, manco a dirlo, le forze dell’ordine: “L’abrogazione del reato di tortura è un modo per tutelare tutte quelle Forze di polizia che operano senza tutele giuridiche e regole d’ingaggio, esposte quotidianamente a denunce e processi strumentali”, spiega Unarma, associazione sindacale a difesa del personale dell’Arma dei carabinieri. Sulla stessa linea alcuni sindacati di Polizia. Amnesty International, per bocca del portavoce italiano Riccardo Noury, lancia l’allarme: “Ci sono voluti 28 anni (1989-2017) per introdurre nel codice penale il reato di tortura. Negli ultimi sei anni ci sono stati processi e condanne, sono in corso molte indagini. L’intento di chi vuole abolirlo è quello di rendere di nuovo impunito un crimine gravissimo”.
Di “proposta che rasenta i limiti dell’oscenità” parla Ivan Scalfarotto, senatore di Azione-Italia Viva, che spiega come “il rispetto del principio dell’habeas corpus è garantito ed è parte integrante della costituzione e quindi della democrazia. Il vero problema non è allora il reato stesso ma il fatto che una parte delle forze di maggioranza non è a suo agio con questa idea: questo sì che è il vero problema”, conclude Scalfarotto.
Nei giorni scorsi la senatrice M5S Anna Bilotti, componente della commissione Giustizia di Palazzo Madama, aveva già ricordato “ai sovranisti dell’impunità” che “il reato di tortura in Italia è stato introdotto osservando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la Convenzione Onu del 1984 ratificata dall’Italia nel 1988, la quale prevede l’obbligo per gli Stati di legiferare affinché qualsiasi atto di tortura sia contemplato come reato”.
“È agghiacciante la proposta di FdI di cancellare il reato di tortura. Meloni dica qualcosa: il suo governo e la sua forza politica – ha scritto su Twitter la presidente dei senatori del Pd, Simona Malpezzi – vogliono attaccare una norma in difesa dei diritti umani?”. Intanto, appena due giorni fa a Biella sono stati sospesi dal servizio 23 agenti di polizia penitenziaria in esecuzione di un’ordinanza del giudice per le indagini preliminari per il reato di tortura commesso all’interno del carcere nei confronti di tre detenuti. Di decisione di “stampo fascista” ha parlato ieri la senatrice di AVS Ilaria Cucchi: “Pensate oggi alle vittime di quei terribili fatti accaduti a Santa Maria Capua Vetere, quel processo non potrebbe svolgersi, per la felicità dei picchiatori”.
(da agenzie)

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UCRAINA, LA “RICOSTRUZIONE” VA DESERTA, MELONI SNOBBATA DA KIEV (E DA TUTTI)

Marzo 29th, 2023 Riccardo Fucile

LA CONFERENZA SULLA RICOSTRUZIONE SU CUI PUNTAVA LA MELONI VA DESERTA, QUELLA CHE CONTA SI TERRA’ A LONDRA

“Parlare di ricostruzione per l’Ucraina vuol dire scommettere sulla vittoria dell’Ucraina, vuol dire sapere che l’Ucraina può vincere questo conflitto. E io credo che questo sia un grande segnale ed è il motivo per il quale l’Italia lavora per la organizzazione di una conferenza sulla ricostruzione da tenersi in aprile, sulla quale intendiamo collaborare con grande dinamicità insieme”. Il 21 febbraio l’annuncio della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, era arrivato in pompa magna davanti al presidente ucraino Volodymyr Zelensky al palazzo presidenziale Mariinskij di Kiev. La premier voleva far diventare la Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina l’emblema del sostegno italiano nei confronti di Kiev, ma anche prendere le redini della leadership diplomatica in Europa. Insomma, era il tentativo di anticipare i partner europei – la Francia di Emmanuel Macron e la Germania di Olaf Scholz su tutti – nei rapporti con Kiev. Peccato che, a un mese dalla conferenza del 26-27 aprile, i progetti di Meloni non sono quelli sperati.
La Conferenza prevista per fine aprile a Roma, infatti, si è trasformata in una sorta di vertice bilaterale tra i due Paesi. In più, non ci sarà nemmeno Zelensky che manderà il suo primo ministro, Denys Shmyhal. Un segnale preciso: anche Kiev ha compreso la scarsa importanza dell’evento, spiega una fonte diplomatica.
Anche perché Meloni aveva chiesto ai suoi ministri Antonio Tajani (Esteri) e Adolfo Urso (Imprese) e al suo consigliere diplomatico Francesco Talò di invitare anche gli altri capi di Stato, gli omologhi europei e i responsabili delle imprese comunitarie. Così Urso, a inizio anno, aveva preparato il terreno nel suo viaggio a Kiev con il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Poi, durante la sua visita a Berlino del 20 febbraio, si era mosso per invitare i responsabili della Confindustria tedesca ottenendo rassicurazioni. Ma poi gli inviti sono caduti nel vuoto. Le adesioni latitano.
A Palazzo Chigi sperano che possa arrivare a Roma la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ma, al momento, la sua partecipazione non è confermata: più probabile che da Bruxelles mandino il commissario all’Industria, Thierry Breton.
Anche perché la risposta arrivata ai nostri diplomatici è stata la stessa: la vera Conferenza sulla ricostruzione sarà quella del 21-22 giugno a Londra. La Conferenza di Roma, dunque, si è trasformata in un bilaterale tra Italia e Ucraina. Impostazione confermata anche dal modulo pubblicato lunedì sera sul sito del ministero degli Esteri e rivolto alle imprese italiane che vogliano prendere parte alla ricostruzione di Kiev. Negli inviti si parla di una “Conferenza bilaterale di alto profilo istituzionale e imprenditoriale, dedicata alla discussione di interventi e progetti attraverso i quali l’Italia può offrire contributi concreti alla resilienza e alla ricostruzione dell’Ucraina”. I lavori saranno aperti da Tajani e dall’omologo ucraino Dmytro Kuleba e saranno conclusi da Meloni e dal primo ministro Shmyhal. Nel mezzo due sessioni e poi tavoli di discussione su “infrastrutture, energia, agroindustria, salute, digitale”. Un funzionario della Farnesina spiega che la Conferenza sarà simile a quella del 24 febbraio a Trieste sui Balcani. Evento che non ha avuto grande risalto.
(da agenzie)

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L’ANTICORRUZIONE: “IL NUOVO CODICE DEGLI APPALTI (SENZA GARA) E’ UN REGALO ALLE CLIENTELE”. IL 98% DEI LAVORI POTRA’ ESSERE AFFIDATO SENZA CONSULTARE NESSUNO

Marzo 29th, 2023 Riccardo Fucile

SPRECO DI DENARO E FAVORI AGLI AMICI DEGLI AMICI… NON A CASO ESULTA SALVINI

Il Consiglio dei ministri ieri sera ha approvato il nuovo Codice degli appalti. Ad esultare è stato soprattutto il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, che in un videomessaggio ha detto che ci sarà “meno burocrazia, meno perdita di tempo, più fiducia alle imprese e ai sindaci”. Il Codice entrerà in vigore il 1 aprile 2023 per rispettare i tempi previsti dal Pnrr, mentre la digitalizzazione delle procedure partirà solo dal 1 gennaio 2024.
Dall’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) sono arrivate critiche a diversi aspetti del Codice, che era stato pre-approvato dal governo già a dicembre. Il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, ha detto che in particolare con la misura che prevede di affidare liberamente i lavori al di sotto dei 150mila euro “si prenderà l’impresa più vicina, quella che conosco, non quella che si comporta meglio”.
Senza controlli “si dice non consultate il mercato, scegliete l’impresa che volete”, perciò “va benissimo il cugino o anche chi mi ha votato, e questo è un problema, soprattutto nei piccoli centri”.
Affidamenti diretti fino a 150mila euro, i piccoli Comuni fanno da soli fino a 500mila euro
La misura di cui parla Busia è quella sugli affidamenti diretti. Per lavori che costano fino a 150mila euro si potrà procedere, appunto, con affidamento diretto e senza obbligo di svolgere bandi o negoziati. Non solo, ma fino a un milione di euro basterà invitare cinque imprese a una negoziazione senza bandi, mentre fino a 5,38 milioni di euro (soglia massima per norme Ue) basterà invitare dieci aziende. Secondo stime del Sole 24 Ore, si potranno assegnare senza un bando il 98% dei lavori pubblici, per un valore complessivo di circa 19 miliardi.
Quando Salvini ha parlato di “più fiducia ai sindaci”, inoltre, ha fatto riferimento alla nuova soglia di 500mila euro per le stazioni appaltanti non qualificate. Ovvero fino a questo importo i piccoli Comuni non dovranno passare da stazioni appaltanti qualificate (come il ministero delle Infrastrutture, guidato proprio da Salvini) ma potranno assegnare in autonomia i lavori.
Il ministero ha detto che ci sarà un “taglio dei tempi notevole soprattutto per quei piccoli Comuni che debbano procedere a lavori di lieve entità”. Sempre per dare più fiducia agli amministratori locali e contrastare la ‘paura della firma’, è stata esclusa l’ipotesi di colpa grave per i funzionari che autorizzano dei lavori, se “avranno agito sulla base della giurisprudenza o dei pareri dell’autorità”.
Per l’Anac, però, dare ai piccoli Comuni il potere di gestire direttamente gli appalti fino a 500mila euro “è come sostenere che, poiché in città si va più lenti, per guidare non serve la patente. Cioè consentire di fare appalti fino a mezzo milione di euro anche a chi non è in grado di gestirli, perché non qualificato”.
Il rischio è anche che “tali appalti, proprio per l’incapacità delle stazioni appaltanti durino molto di più e che i soldi vengano buttati”. Per questo l’Anticorruzione aveva chiesto che la soglia fosse abbassata a 150mila euro.
Ritorna l’appalto integrato, via anche ai subappalti a cascata
Nel nuovo Codice appalti torna anche l’appalto integrato. Come spiegato dal ministero, “il contratto potrà quindi avere come oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori”, entrambe affidate alla stessa azienda per risparmiare tempo e denaro. Inoltre, “per garantire la conclusione dei lavori, si potrà procedere anche al subappalto cosiddetto a cascata, senza limiti”.
Anche in questo caso, l’Anac aveva già segnalato che l’appalto integrato spesso non funziona, perché “dopo l’affidamento”, l’ente che ha commissionato i lavori “si vede presentare un progetto esecutivo che non corrisponde alle sue aspettative”. A quel punto o si adatta, ma in questo caso “non fa l’interesse pubblico”, oppure chiede delle modifiche e inizia “una lunga trattativa con l’impresa”. Per questo, sarebbe stato meglio applicare l’appalto integrato “quando davvero serve, per progetti molto complessi, dove l’impresa deve dare un contributo di innovazione”.
Conflitto d’interessi, allentati i controlli
Un aspetto non menzionato nel comunicato del ministero è l’allentamento dei controlli sui conflitti di interesse. Come segnalato dall’Anticorruzione, si introduce “una sorta di inversione dell’onere della prova”: ovvero non c’è più bisogno di dimostrare che non ci sono conflitti di interesse, ma al contrario, finché non si dimostra che c’è un conflitto d’interessi non ci saranno interventi. L’Anac ha definito “paradossale” il fatto che, “proprio in un settore delicato quale quello dei contratti, si introducono regole ancora più blande di quelle previste in generale per i procedimenti amministrativi”.
La norma “prima l’Italia” che tutela le forniture Ue
Infine, il decreto contiene una norma che il governo ha chiamato “prima l’Italia”. Il ministero di Salvini l’ha definita una clausola per “la salvaguardia del made in Italy”, per quanto si applichi allo stesso modo a tutta l’Ue. In sostanza, tra i criteri per valutare l’offerta di un’azienda bisognerà anche tenere conto di quanti prodotti originari dell’Unione europea utilizza, sul totale delle forniture che servono per completare i lavori. In più, dovranno essere “valorizzate” le imprese che abbiano sede nel territorio in cui l’opera è svolta.
(da Fanpage)

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ITALIA DA RECOVERY? NO, DA RICOVERO, LA MELONI NON CE LA FA

Marzo 29th, 2023 Riccardo Fucile

IL MINISTRO FITTO DOPO L’ALLARME DELLA CORTE DEI CONTI: “IRREALIZZABILI ALCUNI PROGETTI. LA SCADENZA DEL 2026 E’ TROPPO VICINA”. E SCARICA LE RESPONSABILITA’ DEI RITARDI SU DRAGHI

«È matematico, è scientifico, alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati». La cornice è tra le più ufficiali, la Sala della Regina di Montecitorio dove la Corte dei conti ha presentato ieri pomeriggio la Relazione semestrale al Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr.
Raffaele Fitto, ministro che del Pnrr ha la delega, decide di abbandonare i toni cauti che gli sono abituali e va dritto al punto. «Siamo un Paese che oggi è ancora fermo al 34% dei pagamenti per i fondi di coesione 2014-2020», ha ricordato richiamando il dossier illustrato a metà febbraio in Consiglio dei ministri.
Pochi minuti prima i magistrati contabili avevano mostrato che nel 2020-2022 la spesa effettiva delle risorse Pnrr si era fermata al 12%, 6% senza i crediti d’imposta automatici, e che la riprogrammazione chiede di conseguenza di far schizzare le uscite reali a oltre 40,9 miliardi quest’anno per arrivare a 46,5 e 47,7 miliardi nei prossimi due anni. L’ipotesi è sostanzialmente impossibile, a giudizio dello stesso Fitto che chiede «una valutazione attenta» da realizzare subito, «senza aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa».
È la prima volta che il ministro scopre le carte in modo così diretto, misurando la distanza tra la capacità di spesa chiesta dal Pnrr e quella permessa dalla struttura di pubblica amministrazione ed economia italiana.
Le parole di Fitto arrivano all’indomani del nuovo rinvio di un mese del verdetto europeo sui 55 obiettivi della seconda metà del 2022, che danno diritto alla terza rata da 19 miliardi. Sul tema il ministro non drammatizza («Sono ottimista», dice) e la stessa Commissione Ue spiega che lo slittamento «non è inusuale», tornando ad apprezzare «i significativi progressi compiuti nelle ultime settimane».
Peccato che però, nelle stesse ore, il vicepresidente della commissione Valdis Dombrovskis sia tornato a chiudere all’ipotesi di un’estensione temporale del Recovery. «La maggior parte degli obiettivi va realizzata quest’anno», ha aggiunto. Il punto cruciale, infatti, non sono le obiezioni mosse a Bruxelles su riforma delle concessioni portuali, sistemi di teleriscaldamento e Piani urbani integrati (tutti interventi che Fitto ha rimarcato essere stati approvati dal Governo Draghi), su cui il confronto tecnico continua.
Ad allarmare il Governo è il deciso aumento di severità degli esami comunitari, e il rischio concreto che gli inciampi di oggi siano solo un antipasto dei problemi che emergeranno nel tempo. Nasce da questo allarme la strategia che l’Esecutivo sta portando avanti nel complicato negoziato sulla revisione del Piano da proporre entro la fine di aprile. L’obiettivo è sempre quello di recuperare le risorse dei progetti irrealizzabili entro il 2026 «giocando sullo spostamento» sotto il cappello dei fondi di coesione, che hanno l’indiscutibile pregio di allungarsi fino al 31 dicembre 2029.
Alla traduzione pratica di questo schema si è dedicata anche la cabina di regia riunita da Fitto nella serata di ieri dopo il Consiglio dei ministri su decreto bollette e Codice appalti. Il vertice, durato meno di un’ora limitato alle amministrazioni centrali mentre il secondo tempo con gli enti territoriali si terrà nei prossimi giorni, è servito a Fitto per tornare a chiedere ai colleghi «in tempi rapidi un’analisi netta e chiara di tutte le criticità relative ai progetti di competenza di ciascun ministero elaborando proposte d’azione concrete e un’analisi a tutto il 2026».
Quel che serve, ha spiegato il titolare del Pnrr, è «una risonanza magnetica» di tutti i progetti. Su queste basi Fitto punta ad avere «ragioni forti» per rinegoziare il Piano a Bruxelles. Il tutto mentre si lavora anche all’integrazione con RepowerEu, a cui sarà dedicato un provvedimento specifico, mentre è atteso per la prossima settimana (il 6 aprile) l’arrivo in Consiglio dei ministri del decreto sulle assunzioni nei ministeri.
(da agenzie)

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