Destra di Popolo.net

MICHELA BRAMBILLA E’ ANDATA A VERIFICARE COME STA L’ORSA JJ4: “STA BENE, MA E’ TRAUMATIZZATA, SPAESATA E IMPAURITA

Aprile 21st, 2023 Riccardo Fucile

LA PRESIDENTE DEL GRUPPO INTERPARLAMENTARE PER I DIRITTI DEGLI ANIMALI: “NON CAPISCE COSA LE STA SUCCEDENDO, LONTANA DAI SUOI CUCCIOLI”

È durata tre ore la visita della deputata Michela Vittoria Brambilla al Casteller di Trento, dove è rinchiusa Jj4, l’orsa che ha ucciso Andrea Papi. La parlamentare ex Forza Italia che presidente l’intergruppo parlamentare per i diritti degli animali ha commentato quali siano le condizioni dell’orsa catturata in Trentino e come procede la sua “detenzione”.
«È posizionata in un’area piccola, in attesa che si abitui alla cattività – spiega Brambilla – nella tana, buia e nascosta, si sente più sicura, ma non può comunque accedere alla parte esterna. Già dal primo giorno in cui è stata catturata, si è nutrita e ha una vasca a disposizione per fare il bagno».
Brambilla assicura che «sta bene», anche se la sua impressione è che sia «traumatizzata, spaesata e impaurita. Non capisce ancora cosa le sta succedendo, perché lontana dai propri cuccioli. Fisicamente sta bene, magia le mele che le piacevano tanto anche prima, ma non è nel suo habitat. Mi impegno a continuare a vigilare sulla loro incolumità. Ringrazio il corpo forestale di Trento e il personale del Casteller per il loro impegno. Certo, non dobbiamo dimenticare che questi animali vivono in uno spazio in cui non sono più liberi, in una prigione”
(da Open)

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NON SI FANNO FIGLI ANCHE PERCHE’ COSTA UN OCCHIO DELLA TESTA MANTENERLI

Aprile 21st, 2023 Riccardo Fucile

IN MEDIA UNA FAMIGLIA ITALIANA SPENDE 740 EURO AL MESE PER MANTENERE UN FIGLIO MINORENNE. AL NORD È NECESSARIO SBORSARE DI PIÙ (820 EURO), PIÙ O MENO LA STESSA CIFRA PER IL CENTRO ITALIA (810). AL SUD È PIÙ ECONOMICO, MEDIAMENTE SI SPENDONO 580 EURO

«In Italia una famiglia spende in media per ogni figlio minorenne circa 740 euro, mentre prima del Covid e della fiammata dell’inflazione l’asticella si posizionava a quota 645 euro».
A fare i conti è Adriano Bordignon, presidente del Forum delle Associazioni Familiari. «Le spese obbligate sono aumentate esponenzialmente, pesano soprattutto quelle per la casa, per il carrello della spesa e per i trasporti, che da sole assorbono più di 400 euro per ogni figlio minorenne». Più caro fare figli al Nord, dove sempre stando ai calcoli del presidente del Forum delle Associazioni Familiari la spesa mensile per un figlio minorenne oggi come oggi arriva a superare la soglia degli 820 euro.
Al centro è necessario invece un budget pari a circa 810 euro, che diventano 580 euro al Sud e nelle isole. Per effetto dell’inflazione, che ha in parte risparmiato le spese ricreative e culturali e quelle per i servizi in generale, le famiglie meno abbienti hanno visto crescere in misura più accentuata la spesa per i figli rispetto a quelle agiate. Nel caso dei nuclei in condizione di povertà, infatti, il carrello della spesa rappresenta un terzo della spesa per un figlio.
(da agenzie)

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MELONI FINISCE ALL’ANGOLO CON L’EUROPA: PRONTA A CEDERE SU SPIAGGE E MIGRANTI

Aprile 21st, 2023 Riccardo Fucile

ALTRO SGANASSONE SULL’IMMIGRAZIONE: IERI FDI E LEGA, CHE INVOCANO IL BLOCCO NAVALE E CHIUSURA DEI PORTI, SONO STATI COSTRETTI AD ACCETTARE UNA PROPOSTA DEGLI EUROPARLAMENTARI CHE RENDE OBBLIGATORIE LE QUOTE DI REDISTRIBUZIONE

«Tenteremo di bloccare la direttiva». È Giorgia Meloni a dichiararlo. Non oggi. Poco più di un anno fa. Non ancora premier, la leader di Fratelli d’Italia si intestava una battaglia sulle concessioni balneari anche per smarcarsi dai futuri alleati di governo, Forza Italia e Lega, soci dell’esecutivo Draghi e colpevoli, a suo dire, di assecondare Bruxelles.
Quattordici mesi dopo, Meloni è alla ricerca di un modo per uscire dall’angolo in cui si è infilata con tutta la sua coalizione.
La premier non può bloccare alcunché. Deve trovare una strada percorribile per rendere accettabile la sua giravolta a un blocco elettorale furioso. Ci sarà un provvedimento, forse un decreto, che accoglierà le indicazioni della Corte di Giustizia europea e straccerà la norma del Milleproroghe che rinvia la validità delle concessioni demaniali fino a fine 2024.
Ma l’intenzione del governo Meloni resta comunque quella di usare tutto il tempo che la sentenza lascia all’Italia, trattando con la Commissione perché non faccia partire subito la procedura d’infrazione.
In questo senso, nella direzione di un clima che si vuole il più collaborativo possibile, si deve intendere anche la plateale retromarcia dell’esecutivo Ue.
Ieri, la Commissione si è dovuta rimangiare in serata quello che aveva sostenuto un portavoce nel consueto briefing di mezzogiorno: e cioè che nell’incontro del 13 aprile a Roma, con il commissario al Mercato interno, Thierry Breton, la premier italiana si era impegnata ad adeguare la normativa italiana a quella comunitaria. Un’iniziativa che non è piaciuta a Roma e che dal governo hanno letto come ulteriore pressione. Meloni non smentisce la notizia ma chiede, attraverso gli sherpa, che sia la Commissione a farlo. Cosa che avviene. «L’incontro – viene precisato – non riguardava questo tema e nessuna delle due parti si è impegnata in merito ai prossimi passi».
Una modalità insolita per la Commissione, un inedito quasi assoluto. Segno che l’interlocuzione sul dossier tra l’Italia e l’esecutivo guidato da Ursula Von der Leyen è delicata. La maggioranza di destra intende sfruttare ogni spiraglio possibile. La Corte ne lascia qualcuno, tant’è che per tutta la giornata i commenti di parlamentari e ministri si concentrano sul fatto che all’Italia verrà concesso tempo per la nuova mappatura. […] L’obiettivo è costruire una mappa delle spiagge libere per dimostrare che viene meno il principio della scarsità delle risorse, alla base della direttiva Bolkestein.
Nel frattempo il governo cercherà di rosicchiare mesi e impostare una nuova proposta per Bruxelles. L’idea è tornare a una distinzione tra le concessioni rilasciate prima e dopo la direttiva, a tutela degli investimenti precedenti il 2009, fatti cioè senza mai pensare a possibili revoche imposte dall’Ue. È una strada difficile, perché l’Europa ha già detto di non gradirla.
Non è facile piegare l’Ue ai desideri italiani, quando si è Palazzo Chigi. Meloni lo ha imparato in questi sei mesi di governo. I problemi si moltiplicano e in appena 48 ore da Bruxelles sono piovuti, uno dopo l’altro, decisioni e atti che ricordano all’Italia ritardi, contraddizioni e inciampi. Tra una settimana, all’Ecofin, i colleghi ministri dell’Economia ribadiranno a Giancarlo Giorgetti che si era impegnato a ratificare la riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, perché tutti i Paesi dell’eurozona attendono l’Italia, unica a non aver ancora dato il via libera.
L’altra contraddizione evidente che sta subendo il governo di Roma è sull’immigrazione.
Ieri FdI e Lega sono stati costretti a scendere dalle barricate e accettare una proposta degli europarlamentari che rende obbligatorie le quote di redistribuzione, contrariamente a quanto vorrebbero i sovranisti e conservatori alleati di Meloni e Salvini. Leghisti e meloniani hanno votato per evitare l’accusa di non voler seriamente alleggerire l’Italia dall’emergenza migranti ma, allo stesso tempo, per difendersi dalla critica di essere stati incoerenti con quanto sostenuto per anni (no alla redistribuzione, sì al blocco navale o dei porti), hanno aggiunto di aver detto sì nella convinzione che il testo sarà migliorato dal Consiglio dell’Unione europea, l’altro braccio legislativo.
Gli sherpa che lavorano quotidianamente al dossier e ai negoziati sono convinti che sia impossibile che il Consiglio approvi una proposta migliore. Su ricollocamenti e solidarietà peserà la volontà dei governi non mediterranei, dei duri dell’Est – cechi, slovacchi, polacchi e ungheresi – e dei leader che accarezzano sensibilità xenofobe.
Per questo, i diplomatici si stanno sgolando per convincere la politica, partiti e governo, a non scostarsi troppo dal compromesso dell’Europarlamento e a non restare agganciati alle vecchie amicizie, se vuole ottenere un accordo entro la fine della legislatura. I mesi rimasti, ormai, sono pochi.
(da La Repubblica)

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CONTRORDINE, IL MES SI PUÒ APPROVARE: ENNESIMO DIETROFRONT DI GIORGIA MELONI

Aprile 21st, 2023 Riccardo Fucile

DOPO AVER FATTO RETROMARCIA SU CONFINI CHIUSI, CONTANTE LIBERO, LE ACCISE E I BALNEARI, LA MELONI AL “FOGLIO” PARLA DI “NEGOZIATO IN CORSO” SUL MECCANISMO EUROPEO DI STABILITÀ

Sul Mes “il negoziato è in corso e mi pare evidente che alcuni strumenti dell’Unione europea vadano aggiornati alla luce del nuovo scenario geopolitico”.
Il meccanismo “è stato concepito quando eravamo in un altro mondo e nemmeno allora è stato utilizzato”.
Lo dice il premier Giorgia Meloni in un’intervista al Foglio
“Si tratta di uno strumento, non di una religione, e gli strumenti devono essere aggiornati, utili ed efficaci. Se deve contrastare le crisi finanziarie, allora non solo è sottodimensionato ma soprattutto non serve allo scopo”. “Se invece il Mes si trasforma in un veicolo per la crescita… allora siamo pronti a discutere. Questa è la linea del mio governo”.
Tradotto dal politichese, via libera anche al Mes
(da agenzie)

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L’ITALIA È SPACCATA IN DUE: C’È L’ALTA VELOCITÀ, CHE FA IL PIENO DI PASSEGGERI CON TRENI DI ULTIMA GENERAZIONE, E POI CI SONO I PENDOLARI, COSTRETTI A VIAGGIARE IN CARRI BESTIAME SEMPRE IN RITARDO

Aprile 21st, 2023 Riccardo Fucile

LO STATO DELLE FERROVIE ITALIANE È PIETOSO: METÀ DELLA RETE È A BINARIO UNICO. E BASTA UN DERAGLIAMENTO A FIRENZE PER BLOCCARE TUTTA LA PENISOLA, COME SUCCESSO IERI

Metà della rete ancora a binario unico. Dietro la cartina di tornasole dell’alta velocità, che incide per il 10 per cento appena della rete, i pendolari vivono incubi quotidiani tra ritardi e intoppi: non a caso oltre un milione di passeggeri mancano all’appello rispetto agli anni pre-Covid. E, ancora, i treni merci e locali sono vecchi e viaggiano su linee dove i controlli sono carenti. È la radiografia di un’Italia dalle ferrovie sempre più fragili. E basta un incidente, come quello accaduto a Firenze, per far andare in tilt tutta la rete.
I controlli carenti
Su 16 mila chilometri di rete, 9 mila sono a binario unico. E c’è un tema di controlli. Secondo gli ispettori dell’Agenzia in diversi tratti non si ha ad esempio contezza dello stato dell’arte dei binari . Non va molto meglio sul fronte dei controlli sui convogli: «Sono emerse non conformità nel controllo della manutenzione dei veicoli, in particolare dei mezzi di trazione. Ciò che desta attenzione è soprattutto il fatto che alcuni gestori continuano a rimanere in silenzio rispetto alle azioni proposte nei loro piani. Inoltre, sono emerse non conformità nei processi di gestione della pianificazione degli interventi».
Odissea pendolari
Intanto i pendolari — stanchi forse di soffrire — sui treni regionali salgono sempre meno. Nel 2020 e nel 2021, il Covid ha fatto scendere centinaia di migliaia di italiani dai treni, preoccupati di contrarre il virus nei vagoni affollati delle linee locali. Ora però che la pandemia è arginata, tante persone a bordo non tornano più.
E così l’istantanea di un Paese diviso in due si fa sempre più nitida. L’Italia ha snodi ferroviari efficienti (Milano, Roma, Napoli) e altri critici, come Firenze teatro dell’ultimo incidente. C’è l’alta velocità delle Frecce e di Italo che fa il pieno di viaggiatori. E ci sono invece convogli regionali cadenti che starebbero molto meglio nel Museo ferroviario di Pietrarsa (Napoli) piuttosto che in servizio sui binari: la loro età media è di 17,3 anni nel Lazio, di 21,5 in Umbria, di 22 in Molise.
Il nodo Pnrr
L’ammodernamento delle rete, la ristrutturazione di treni già in servizio, l’acquisto di convogli all’avanguardia (soprattutto per le linee regionali). Tutto questo passa anche dal Piano di rilancio dell’economia (il Pnrr), largamente finanziato dall’Unione europea. Al capitolo ferrovie, il Piano stanzia 25 miliardi di euro. In verità, pur di rispettare la scadenza del 2026 e completare i lavori, i governi Conte II e Draghi hanno infilato nel Piano molte opere già sostenute da altri fondi. A conti fatti, e in molti casi, il Piano non garantirà dunque qualcosa di effettivamente nuovo rispetto alla programmazione già avviata.
(da La Repubblica)

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ITALIANI SFIDUCIATI, PREOCCUPATI E CON LE TASCHE VUOTE

Aprile 21st, 2023 Riccardo Fucile

PEGGIORA LA SITUAZIONE ECONOMICA PER UNO SU TRE, UN LIVELLO MAI RAGGIUNTO

La situazione che emerge è chiara: peggiora la percezione della situazione economica della famiglia. La quota delle persone che dichiarano di aver visto deteriorarsi la propria situazione economica rispetto all’anno precedente è di oltre uno su tre, un livello mai raggiunto in precedenza.
Il decimo Rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile in Italia) dell’Istat offre un quadro molto duro per le famiglie, specie dopo il periodo del Covid.
L’indicatore tra il 2019 e il 2022 peggiora di 10 punti percentuali e raggiunge il 35,1: «Si inverte inoltre la tendenza di progressiva crescita della visione ottimistica del futuro e di decrescita del pessimismo che si era mantenuta anche nei due anni di pandemia», aggiungono gli economisti dell’Istat nel corso della presentazione, cui ha partecipato anche il ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto.
L’Italia è in una situazione peggiore nel confronto con la media dei Paesi europei nella maggior parte degli indicatori del Bes. «Si tratta in particolare di alcuni indicatori dei domini Istruzione e formazione e lavoro e conciliazione dei tempi di vita», osserva l’Istituto.
In particolare la quota di giovani di 15-29 anni che si trovano al di fuori del contesto di istruzione e non sono occupati (Neet), che in Italia raggiunge il 19% rispetto all’11,7% della media Ue-27, e la quota di persone di 30-34 anni che hanno completato un’istruzione terziaria, il 27,4% in Italia e il 42,8% in media Ue27. Per il lavoro, il tasso di occupazione italiano nel 2022 è di circa 10 punti percentuali più basso rispetto a quello medio europeo (74,7%), con una distanza particolarmente accentuata tra le donne (55% in Italia rispetto a 69,4% per la media Ue27).
Ma non tutto volge al peggio. Il Rapporto registra progressi, rispetto al periodo pre-Covid del 2019, più diffusi nei domini sicurezza, qualità dei servizi e lavoro e conciliazione dei tempi di vita dove oltre il 72% degli indicatori migliora rispetto al 2019.
«Seguono i domini Politica e istituzioni e Innovazione, ricerca e creatività con due terzi degli indicatori in miglioramento. L’andamento più critico negli ultimi tre anni, con la maggior parte degli indicatori in peggioramento, riguarda le relazioni sociali, benessere soggettivo, istruzione e formazione e benessere economico».
Il confronto tra alcune classi di età fa emergere come «maggiori difficoltà» siano per i giovani di 14-24 anni, tra i quali il miglioramento riguarda solo il 44% degli indicatori, mentre una quota del tutto analoga peggiora (43%) e il 13% è stabile.
L’analisi sul territorio mostra i divari Nord/Mezzogiorno. Per il Nord-est il 60,5% degli indicatori ricade nei livelli di benessere medio-alto e alto e soltanto il 10,1% nei livelli di benessere basso e medio-basso; per il Sud e le Isole, invece, la maggior parte degli indicatori si trova nei livelli basso o medio-basso.
L’analisi per genere indica un divario che vede penalizzate soprattutto le donne e su 86 indicatori complessivi, solo 26 fanno registrare una parità di genere. Tra il 2019 e il 2022 la maggior parte delle misure di benessere (54,1%) ha fatto registrare un miglioramento per le donne a fronte del 39,2% riferito agli uomini, per i quali invece sono più numerose le misure rimaste stabili e quelle che si attestano su valori peggiorativi rispetto al 2019.
(da il Sole 24 Ore)

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“È INDISPENSABILE CHE PIANTEDOSI RIFERISCA IN PARLAMENTO”

Aprile 21st, 2023 Riccardo Fucile

FUGA SPIA RUSSA, NEL GOVERNO DI FRONTE A UNA FIGURACCIA INTERNAZIONALE SI È INNESCATO UNO SCARICABARILE IMBARAZZANTE

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi entra suo malgrado nel caso Uss. E adesso le opposizioni pretendono che il titolare del Viminale riferisca in Parlamento e chiarisca i punti poco chiari della vicenda.
A trascinarlo in questa vicenda è il collega di governo Carlo Nordio, che nell’informativa di ieri alla Camera ha sottolineato più volte che le due note del Dipartimento di Giustizia americano segnalanti la pericolosità del ricercato russo e l’alto rischio di fuga sono state condivise anche con il ministero dell’Interno, attraverso la divisione Interpol.
Anche perché, a quanto risulta a Repubblica, il ministro, con una lettera al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), aveva escluso di essere stato informato sui pericoli connessi alla detenzione ai domiciliari di Artem Uss, figlio dell’oligarca Alexander Uss noto per essere molto vicino a Putin.
“Nordio chiama in causa, a più riprese, il ministero dell’Interno di fronte al Parlamento”, ragiona il senatore Enrico Borghi del Pd e membro del Copasir. “Ciò da un lato certifica che nel governo di fronte a una figuraccia internazionale si è innescato uno scaricabarile imbarazzante, e dall’altro sottrae i vertici del Viminale dalla condizione pilatesca nella quale si sono accomodati. Alla luce di ciò è indispensabile che Piantedosi riferisca in Parlamento e auspico una iniziativa congiunta di tutti i gruppi di opposizione in tal senso”.
Anche Benedetto Della Vedova, che ieri a Montecitorio ha replicato all’informativa di Nordio, ritiene doveroso che Piantedosi spieghi perché, se il ministero dell’Interno era a conoscenza della caratura criminale e delle risorse a disposizione di Uss, non abbia disposto una qualche sorveglianza domiciliare presso l’appartamento di Basiglio per impedirgli di scappare e tornare a Mosca, come ha fatto il 22 marzo scorso, il giorno dopo aver saputo che sarebbe stato estradato negli Stati Uniti.
“Nella nostra interrogazione del 6 aprile – ricorda il deputato di +Europa – interpellavamo Nordio ma anche e soprattutto Piantedosi. E ieri il Guardasigilli lo ha ripetutamente chiamato in causa. Lo scaricabarile da parte del Governo è inaccettabile. Nordio ha passato il cerino a Piantedosi. Bene, venga Piantedosi in aula a rispondere alla nostra interrogazione. Oppure venga la premier Meloni”.
(da agenzie)

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IL THRILLER SULLA FUGA DI ARTEM USS SI ARRICCHISCE DI UN NUOVO ATTORE CO-PROTAGONISTA: MATTEO PIANTEDOSI: IL VIMINALE NON AVEVA PREDISPOSTO ALCUNA VIGILANZA PARTICOLARE

Aprile 21st, 2023 Riccardo Fucile

IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, CARLO NORDIO, HA TIRATO IN BALLO IL TITOLARE DEL VIMINALE: HA SOSTENUTO DI AVER PASSATO TUTTE LE INFORMAZIONI SUL RISCHIO DELLA FUGA DELL’IMPRENDITORE RUSSO, ARRIVATE DA WASHINGTON, ANCHE ALLA DIVISIONE INTERPOL DEL MINISTERO DELL’INTERNO

Il Viminale sapeva che il russo Artem Uss era a rischio fuga, eppure non ha predisposto alcuna misura di vigilanza particolare per impedire che scappasse dai domiciliari.
A rivelarlo, nella lingua formale e burocratica della informativa al Parlamento e senza mai nominare il collega di governo che di quel dicastero è titolare, è proprio il ministro Carlo Nordio.
Che ieri, davanti a una Camera desolatamente semivuota, ha spiegato che tutte le informazioni arrivate dal Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti sulla pericolosità del detenuto e sull’alta possibilità che evadesse dall’appartamento di Basiglio sono state condivise, passo dopo passo, con la divisione Interpol del Viminale.
Il punto che sta più a cuore al Guardasigilli è quello relativo al potere che ha di chiedere una misura coercitiva superiore ai domiciliari per i soggetti sottoposti a estradizione. Secondo i magistrati di Milano, ne ha facoltà, ma ha deciso di non fare niente.
“Non è così”, replica Nordio. “Il principio fondamentale è che il ministro della Giustizia non ha alcuna competenza, e men che mai oneri di controllo, sulla esecuzione di un provvedimento adottato da una Corte. Ho rispettato i dettami dell’articolo 716 del codice di procedura penale con la nota del 20 ottobre con la quale ho comunicato alla Corte d’Appello, al ministero dell’Interno divisione Interpol e al Maeci (Farnesina, ndr) la mia volontà di richiedere il mantenimento della misura cautelare in carcere di Uss”.
Il convitato di pietra della sua narrazione è, di nuovo, il Viminale. E il suo titolare Matteo Piantedosi. Che al Copasir, alcuni giorni fa, ha riferito con una lettera che nessuno lo aveva allertato del pericolo di evasione di Uss. Interpellate da Repubblica, fonti ministeriali ribadiscono che “per quanto riguarda la competenza del Viminale, nessun alert è arrivato alle articolazioni centrali, né a quelle periferiche”, dunque a prefettura e questura di Milano.
Insomma, le note sono state ricevute dalla divisione Interpol, ma lì si sono fermate. E questo perché — è la tesi — è normale che rimangano a livello della divisione cooperazione-Interpol in quanto attinenti solo al procedimento di estradizione. Resta il fatto che Artem Uss non era sorvegliato. E quando ha saputo che sarebbe stato consegnato agli Usa, è scappato.
(da La Repubblica)

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TRA USS, PM E STRAFALCIONI, ORA NORDIO E’ SEMPRE PIU’ SOLO

Aprile 21st, 2023 Riccardo Fucile

IL MINISTRO ACCENDE LO SCONTRO PER NASCONDERE I PASTICCI SULLA FUGA DELLA SPIA RUSSA

Ha letto tutto l’intervento, interrompendosi solo per sventolare all’aula gli atti con la carta intestata della corte d’appello di Milano. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, è intervenuto in aula alla Camera in una informativa urgente sull’evasione dai domiciliari del russo Artem Uss, che doveva essere estradato negli Stati Uniti.
Il caso ha immediatamente preso i contorni del pasticcio istituzionale, poi è diventato un caso diplomatico e infine anche uno scontro tra poteri, con l’esecutivo contrapposto al giudiziario.
Al centro dell’uragano il guardasigilli, che ha avuto un vertice con la premier Giorgia Meloni (il cui viaggio negli Stati Uniti sarebbe stato congelato) prima di intervenire davanti alla Camera nel ruolo che ormai lo contraddistingue: quello di parafulmine.
In aula, infatti, è comparso da solo, senza altri ministri a fianco ma solo con i sottosegretari Andre Ostellari e Andrea Delmastro e il viceministro Francesco Paolo Sisto, e con scarsa partecipazione dei deputati di Lega e Forza Italia. Anche questi sono segnali da pesare nella dinamica occulta del governo.
Nordio ha ripercorso la cronologia degli eventi che hanno portato alla fuga di Uss, poi ha argomentato la difesa della macchina ministeriale, rifiutando l’accusa di inerzia, e la difesa propria, escludendo che l’articolo 714 del codice di procedura penale gli consentisse di chiedere ai giudici di disporre la misura cautelare in carcere, come invece altri giuristi – e le opposizioni in aula – hanno adombrato.
Poi è passato all’attacco: la ruota delle responsabilità, dopo aver girato per giorni, doveva fermarsi e il governo e via Arenula hanno puntato la magistratura. Detto fatto: Nordio ha promosso contro i tre giudici che hanno firmato il provvedimento motivato di domiciliari un’azione disciplinare per «grave e inescusabile negligenza».
Il boomerang
L’effetto è stato deflagrante. La mossa doveva offrire il perfetto capro espiatorio, allontanando ogni responsabilità del governo. Invece è riuscita a compattare contro il ministero della Giustizia la magistratura associata, con l’Anm pronta a dare battaglia, e addirittura l’avvocatura con le Camere penali. Nell’assemblea convocata in tutta fretta dall’Anm di Milano, erano presenti più di 170 magistrati – tra presenti e collegati da remoto – con una mobilitazione che non si vedeva dai tempi di Mani pulite.
Tra i corridoi di via Arenula, la ricostruzione è che dietro l’iniziativa del ministro – considerata «maldestra» e grossolana» anche da membri della maggioranza – sia stata pensata in via esclusiva dall’ufficio tecnico di Nordio e in particolare dalla vicecapo di Gabinetto, l’ex parlamentare di Forza Italia e magistrata Giusy Bartolozzi.
L’obiettivo, quello che Nordio ha letto nel suo intervento: applicare il principio di uguaglianza e verificare se il comportamento dei giudici sia stato conforme ai «doveri di diligenza», perchè chi indossa la toga «non è meno uguale» rispetto ai cittadini sottoposti a procedimenti penali. Pazienza se viene messa in discussione la regola dell’insindacabilità da parte dell’esecutivo dei provvedimenti giudiziari motivati. E pazienza anche se, con tutta probabilità, l’iniziativa disciplinare – che viene portata avanti dalla procura generale di Cassazione davanti alla sezione del Csm – difficilmente andrà lontano.
L’ipotesi più accreditata è che Meloni, informata da Nordio dell’iniziativa, abbia scelto il male minore: per proteggere i servizi d’intelligence, il sacrificio necessario era quello di riaccendere il conflitto con la magistratura, usando come distrattore un ministro assolutamente credibile per la parte, visto l’antagonismo mai spento tra l’ex magistrato Nordio e larga parte della categoria dalla quale proviene. Con gran preoccupazione all’interno del ministero, tagliato fuori dalla regia di questa decisione e da cui sono già partite le colombe, che si stanno adoperando per riannodare i fili con l’Anm e l’avvocatura. Compito difficilissimo, in questo momento. «A maggio devono partire le riforme, ma in questo clima sarà un calvario», allarga le braccia una voce autorevole di via Arenula.
L’ira dei magistrati contro Nordio che li accusa per la fuga di Uss
Nordio, del resto, sembra ormai essersi adeguato al ruolo di parafulmine di guai suoi e meno suoi. La legislatura è cominciata con lo scontro con i pm antimafia sulle intercettazioni – che Nordio vorrebbe ridurre per numero e delimitare nell’utilizzo – tanto da far arrivare l’altolà di Meloni, corredato da una nota formale di «piena fiducia» al ministro di cui già si ipotizzavano le dimissioni. È proseguita con il pasticcio su Cospito, con divulgazione di atti segreti da parte del duo di fedelissimi della premier Andrea Delmastro e Giovanni Donzelli, di cui Nordio si è incaricato di una difesa a oltranza. Ora il caso Uss e l’attacco frontale alle toghe per sviare l’attenzione da quello che, con tutta probabilità, è stato un cortocircuito a livelli ben più alti rispetto alla corte d’appello di Milano. Questo nei primi sei mesi di governo: ora Nordio intende portare in aula un cronoprogramma fatto di modifica dell’abuso d’ufficio e altri reati contro la pubblica amministrazione; la modifica della prescrizione e poi toccherà a intercettazioni e separazione delle carriere. Vaste programme, soprattutto dopo aver deteriorato i con la magistratura.
Del resto, la politica ha cambiato molto il carattere di Nordio, che da ex magistrato amava sentirsi eretico. Loquacissimo lo era anche prima di arrivare al ministero, mentre è sparito il suo gusto per le posizioni autonome e di minoranza. Quando è stato «fortemente voluto» da Meloni alla Giustizia, in FdI ci si interrogava sul fatto che potesse essere troppo indipendente per un partito così rigorosamente gerarchico. Paura infondata: sono bastati pochi mesi a via Arenula per fargli preferire l’ossequio totale alle posizioni della maggioranza.
Quanto al garantismo, che Nordio ha sempre affiancato alla definizione di se stesso insieme all’orientamento liberale, le tracce rimaste sono scarse. In questi mesi, infatti, la sua firma è finita sotto il nuovo reato di rave party e l’inasprimento delle pene per gli scafisti. Sotto traccia ma fortissima, infatti, è la subalternità rispetto al Viminale di Matteo Piantedosi: la vera politica criminale, con proliferazione di nuovi reati dalle pene abnormi, è infatti guidata dal ministero dell’Interno, mentre a via Arenula è rimasto il blando garantismo di facciata legato ai reati contro la pa.
«Garantista non lo è stato per nulla quando era magistrato, basti ricordare la sua inchiesta sulle coop rosse durante Tangentopoli, in cui non ha lesinato misure cautelari e attacchi corporativi alla politica», è la voce che si ripete tra chi lo ha conosciuto professionalmente. Questo è il livello dello scontro che ha innescato con i suoi ex colleghi, che si preannuncia lungo e logorante.
(da EditorialeDomani)

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