Aprile 7th, 2023 Riccardo Fucile
CON LA SCUSA DELLA “EGEMONIA CULTURALE” E’ ASSALTO ALLA DILIGENZA DEI FINANZIAMENTI PUBBLICI: “FINALMENTE TOCCA A NOI”
Una cosa è certa: ai convegni in generale, e quelli sulla cultura non fanno eccezione, il cicaleggio dei corridoi rischia di coprire il discorso dei relatori. Succede ai convegni di sinistra, non fanno eccezione i convegni di destra.
Succede anche alla lunga giornata di panel e dibattiti a “Pensare l’immaginario italiano”, il titolo scelto per quelli che sono stati presentati come gli Stati Generali della cultura nazionale. Ma non è solo chiacchiera quella che avviene fuori dalle stanze: l’ansia di espugnare quella che è considerata l’ultima casa matta della sinistra, la cultura appunto, si esprime fuori dal dibattito ufficiale, dove ci si scambiano numeri, si stringono mani, si costruiscono nuove connessioni fuori e dentro le stanze del potere.
Gli organizzatori dell’iniziativa sono tre: Alessandro Amorese, parlamentare di Fratelli d’Italia e autore di diversi saggi (ovviamente tutti in vendita) dedicati alla militanza giovanile , e poi Emanuele Merlino e Francesco Giubilei. Il primo è dirigente di Fratelli d’Italia, figlio proprio di quel Merlino il cui nome è tristemente legato alla stagione delle stragi di Stato, per il partito si occupa di organizzare la strategia culturale, illustrata in un documento intitolato Controegemonia; il secondo è l’enfant prodige della destra di governo, direttore della Fondazione Tatarella, segretario di Nazione Futura, giornalista ed editore, ma soprattutto opinionista ormai onnipresente in tv.
Entrambi sono stati chiamati dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano in qualità di consulenti al Ministero della Cultura, sono Giubilei e Merlino che hanno il compito di organizzare l’assedio alle roccaforti della sinistra e di organizzare il proprio mondo culturale di riferimento per metterlo nelle migliori condizioni per ottenere finanziamenti, sponsor, organizzare festival e valorizzare la propria voce.
Sono tre i tavoli tematici che offrono la possibilità di incontrarsi, scambiarsi opinioni e affinare strategie comuni. Uno è dedicato agli amministratori locali, uno all’incontro tra associazioni e fondazioni dell’area della destra destra di governo, e un altro a editori di piccole esperienze.
Già dalla mattina si fa vedere a sorpresa Fabio Rampelli, il vicepresidente del Senato applauditissimo e ricercatissimo. Ma di parlamentari ne gironzolano diversi, tutti di Fratelli d’Italia.
È quando si parla di teatro e musica però che sembra emergere con più chiarezza l’obiettivo dell’incontro: per espugnare la casa matta della sinistra, bisogna espugnare il Mibact.
Ad aprire e moderare il panel c’è Flaminia Camilletti della Verità che ripete il mantra: “Il mondo della cultura è molto chiuso, lo è dal Sessantotto”. La solita storia della cultura di destra ostracizzata dal marxismo culturale che in modo onnipresente governerebbe tutto il jet set, l’editoria, il cinema e così via.
Subito dopo è il momento di Paolo Marcheschi, senatore fiorentino di Fdi che lavora alla commissione Cultura: “Dobbiamo conoscerci e fare rete, per fare politica in un settore in cui spesso siamo alieni”. Networking è la parola d’ordine, ma quando arriva alle proposte non va oltre a vagheggiare il coinvolgimento dei privati, magari dietro un’etichetta da proporre: MecenArt.
Poi arriva il momento dei protagonisti della cultura di destra, tanto invocata. Vincenzo Zingaro, regista teatrale, parla di una “mattanza culturale” dovuta al meccanismo dei finanziamenti, che escluderebbe in particolare modo le realtà non vicine al centrosinistra. Poi chiede di “recuperare il teatro classico” definanziato perché “dà fastidio a una parte politica, in nome di una sperimentazione che sa di ‘facciamolo strano’ e poco altro”. Da una parte il teatro nazionale, il suo canone anche se da innovare certo, dall’altra parole le novità, le avanguardie, la sperimentazione.
Interviene poi il coreografo Luciano Cannito che parla del teatro e della lirica italiana come “colonizzati” da direttori stranieri, vittima di “un senso di inferiorità inconsapevole”. La colpa? “Di un predominio culturale nelle mani di un oligarchia. La cultura quella vera, quella umanistica, non può fare liste di proscrizione né essere piena di preconcetti”.
Ancora una volta il vittimismo degli eterni esclusi. Ma quindi come deve essere il teatro di destra? Lo dice Stefano Angelucci Marino: “A teatro c’è bisogno rivoluzione conservatrice”, di tornare alle origini quindi “un ritorno all’attore, al racconto al rito”. Un teatro come rito che consolidi un’identità e una comunità. Ma lo scontro non sarebbe tra teatro classico e avanguardie, ma “tra chi vuole mantenere lo status quo e chi no”.
Ma chi è il nemico? Chi è che esclude e mortifica attori, registi, idee di destra. Lo esplicita Edoardo Sylos Labini con chiarezza cristallina: “Dobbiamo trasformare le idee in azione, se le commissioni sono occupate dagli uomini che vengono dal Partito comunista e dalle sue sfumature non cambierà niente. Questa è la nostra sfida bisogna cambiare le cose dentro il ministero e poi dentro la Rai”.
L’obiettivo è il finanziamento pubblico, che è sicuramente criticabile a partire dal meccanismo del Fus, più discutibile che questo vada lottizzato o debba diventare appannaggio di chi sostiene di esserne stato escluso. Anche perché Sylos Labini, dopo aver elogiato Silvio Berlusconi come il più “grande innovatore culturale italiano” grazie alle sue tv con successivo applauso, una cosa la dice che suona come un bagno di realtà: “Dobbiamo crescere”.
Perché in effetti di nomi importanti della cultura pronti a impegnarsi a destra e a metterci la faccia oggi ce ne sono davvero pochi. Tanta stampa, giornalisti, direttori, vicedirettori dei quotidiani della destra. L’intellettualità non manca, ma di scrittori, artisti, musicisti nulla. E alla fine “l’intermezzo goliardico” è affidato al solito Federico Palmaroli in arte Osho, in sala arriva a un certo Pippo Franco, fresco d’inchiesta per il green pass falso.
La chiusura del panel è affidata al sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, che dopo aver ripetuto due o tre volte “facciamo parte della stessa area culturale”, chiarendo che la sua è una veste più politica che istituzionale, chiarisce: “Noi non sostituiremo a un’egemonja con un’altra egemonia ,vogliamo passare alla storia come quello che risolvono i problemi, perché le egemonie creano privilegi e apparati mentre noi vogliamo che la cultura sia libera”.
Poi chiede ai presenti di mandargli un mail con i loro problemi specifici di settore ripetendo più volte l’indirizzo di posta elettronica, rassicura che si occuperà di ogni messaggio. Viene da chiedersi se si occupa di tutte le mail allo stesso modo o solo dei suggerimenti che arrivano dalla sua stessa “area culturale”, poi interviene su quello che sta a più a cuore alla platea: le famose commissioni. “Anche rispetto a queste commissioni… segnalate… inseriremo nuove personalità”, dice Mazzi, chiarendo che le cose cambieranno là dove devono cambiare, dove si decide dei finanziamenti.
Quando arriva il ministro Sangiuliano il chiacchiericcio termina. E Sangiuliano non delude il suo pubblico: alza la voce solo per dire che “il Sessantotto si può criticare non è un totem”, e poi cita Alain De Benoist (il fondatore della nuova destra francese) per parlare di “giornalisti poliziotti del politicamente corretto”. Oggi “abbiamo noi il ministro” si sente dire. È lui, l’uomo della provvidenza, quello che darà alla cultura di destra quella che è convinta di meritare.
(da Fanpage)
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Aprile 7th, 2023 Riccardo Fucile
QUANDO MONTI ERA A CAPO DELL’AUTORITÀ PORTUALE DI PALERMO, HA ORGANIZZATO DIVERSI CONVEGNI A CUI HA PARTECIPATO, COME MODERATORE, ANCHE IL COMPAGNO DELLA PREMIER (GIORNALISTA MEDIASET), L’ULTIMA VOLTA LO SCORSO 3 MARZO
Le poltrone di Stato rendono più sensibili ai dettagli. Nei giorni scorsi, tra le righe, quelle che di solito si notano di più, diversi quotidiani hanno scritto che la nomina di Pasqualino Monti ad amministratore delegato di Enav fosse appoggiata dal parentado largo che si muove attorno (e dentro) al governo di Giorgia Meloni, cioè dal cognato Francesco Lollobrigida e dal compagno Andrea Giambruno.
Lollobrigida di mestiere fa il ministro dell’Agricoltura, invece Giambruno è un giornalista di Mediaset.
Il racconto, o l’annotazione, potrebbe derivare dalle trasferte di lavoro di Giambruno a Palermo. Lo stimato Monti è ancora, e lo è da oltre cinque anni, presidente dell’Autorità portuale di Palermo che, per la precisione, viene chiamata Autorità portuale del mare di Sicilia occidentale. A ogni modo, l’Autorità portuale di Monti ha una proficua attività convegnistica che, in due recenti occasioni, ha coinvolto il giornalista Giambruno.
Il 6 dicembre 2022, per la quarta edizione della “Giornata della trasparenza”, Giambruno ha moderato due dibattiti al Palermo Cruise Terminal. Il primo dal titolo “la casa di vetro: il principio di trasparenza amministrativa e il ruolo dell’amministratore pubblico”, il secondo era un dialogo fra il presidente Monti e il sottosegretario Delmastro Delle Vedove su “riforma della giustizia e la pubblica amministrazione”.
Giambruno è tornato a Palermo appena un mese fa, il 3 marzo, per un nuovo evento con una accentuata presenza leghista e su un tema più ampio, ma di stringente attualità: “Infrastrutture e Cultura: il ruolo del porto per lo sviluppo del territorio”.
C’erano il sottosegretario Alessandro Morelli, il viceministro Edoardo Rixi, il ministro Gennaro Sangiuliano e poi, in collegamento, il ministro nonché vicepremier Matteo Salvini.
Gli organizzatori che hanno curato il convegno – l’affidamento diretto da 55.000 euro, secondo l’archivio Anac, è di un bando creato il 16 febbraio e pubblicato il 28 febbraio – precisano che Giambruno è intervenuto a Palermo senza percepire un compenso, soltanto alberghi, pasti e aereo.
Per pura coincidenza del calendario, a distanza di un mese, dunque il 3 aprile, Pasqualino Monti ha ottenuto la guida dell’Ente nazionale per l’assistenza al volo con un trasversale consenso nel governo e circondario.
Il dilemma resta il solito: è opportuno che il compagno della presidente del Consiglio partecipi a manifestazioni pubbliche fatte con denaro pubblico da amministratori pubblici assieme ai “colleghi” di governo o di partito della compagna? Forse è arrivato il momento di istituire il liceo del Made in Family. Solo per risolvere questo dilemma.
(da L’Espresso)
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Aprile 7th, 2023 Riccardo Fucile
NORDIO E PIANTEDOSI DOVRANNO SPIEGARE COME SIA STATO POSSIBILE FARCI INFINOCCHIARE DAI RUSSI…UNA DOMANDA ANCHE PER BELLONI (DIS) E PARENTE (AISI)
“I ministri dell’Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, spieghino come è stata possibile la fuga dall’Italia di Artem Uss, cittadino russo che stava scontando gli arresti domiciliari in provincia di Milano e arrestato all’aeroporto di Malpensa nell’ottobre del 2022, in esecuzione di un mandato di arresto internazionale dell’autorità giudiziaria di New York”.
Lo chiedono in un’interrogazione parlamentare Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi, deputati di +Europa.
“Il 21 marzo – spiegano i deputati di +Europa – la Corte di Appello di Milano ha autorizzato l’estradizione di Artem Uss negli USA; il giorno successivo, Artem Uss, aiutato da persone provenienti dall’estero secondo le ricostruzioni della stampa, è sparito dal suo domicilio e, indisturbato, ha lasciato l’Italia per trasferirsi in Russia grazie a documenti falsi”.
In particolare, Della Vedova e Magi chiedono a Piantedosi se “siano state adottate tutte le misure di sicurezza adeguate nei confronti di un soggetto accusato di gravi reati internazionali, per i quali era stata autorizzata l’estradizione negli USA; se risponde al vero che il braccialetto elettronico era sprovvisto di trasmettitore GPS e se non ritenga, in ogni caso, che la fuga di Artem Uss, a fronte di una omessa adeguata sorveglianza, costituisca un grave vulnus per i nostri sistemi di sicurezza”.
Per Della Vedova e Magi, il ministro della Giustizia Nordio, invece, dovrebbe chiarire se “fosse giustificata l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, in sostituzione della custodia in carcere, alla luce degli elementi giudiziari all’esame della magistratura, e in relazione alle specifiche esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”.
(da agenzie)
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Aprile 7th, 2023 Riccardo Fucile
IL PROVVEDIMENTO, DEFINITO “VERGOGNOSO” DALLA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA URSULA VON DER LEYEN, VIETA DI MOSTRARE AI MINORI QUALSIASI CONTENUTO, NEI MEDIA E NELLE SCUOLE, CHE RITRAGGA O PROMUOVA L’OMOSESSUALITÀ
Quindici Paesi dell’Unione Europea si sono uniti al ricorso presentato dalla Commissione davanti alla Corte di giustizia Ue contro una legge ungherese ritenuta discriminatoria nei confronti delle persone Lgbtq+, dopo l’annuncio giovedì sera che la Francia e la Germania avevano avviato il procedimento. Si tratta della più grande procedura sulla violazione dei diritti umani mai portata davanti alla Corte di giustizia dell’Ue.
All’appello, sostenuto anche dal Parlamento europeo, partecipano dunque Francia e Germania, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Irlanda, Malta, Danimarca, Portogallo, Spagna, Svezia, Slovenia, Finlandia e Grecia. Ma non l’Italia che astenendosi si schiera con il governo Orbán.
Il provvedimento ungherese, definito “vergognoso” dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, vieta di mostrare ai minori qualsiasi contenuto, nei media e nelle scuole, che ritragga o promuova l’omosessualità o il cambio di sesso.
Secondo Bruxelles, la legge, fortemente voluta dal premier ungherese viola in particolare i valori europei ed i diritti fondamentali degli individui, in particolare le persone Lgbtq+.
(da agenzie)
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Aprile 7th, 2023 Riccardo Fucile
GIÀ DALLO SCORSO AUTUNNO LA COMMISSIONE UE HA DATO LA SUA DISPONIBILITÀ A RISCRIVERE I PROGETTI DEL RECOVERY, MA DA ROMA FINORA NON SONO ARRIVATE INDICAZIONI CONCRETE SU QUALI CAMBIAMENTI ATTUARE… PESANO ANCHE I VELENI NELLA MAGGIORANZA (VEDI SALVINI CONTRO FITTO)
Il governo sembra aver ottenuto a Bruxelles quanto chiedeva, sull’esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Eppure la scarsa intesa fra uffici pubblici in Italia – oltre che nella maggioranza – rischia di riportare tutto alla casella di partenza. Vista da Bruxelles, la partita della «flessibilità» richiesta da Roma nel dispiegare le risorse appare ogni giorno più difficile da seguire.
Non perché non sia permesso di ridefinire una parte dei progetti. Al contrario: la Commissione Ue da tempo ha segnalato la sua disponibilità a una riscrittura del Piano, ma al momento mancano i segnali concreti dall’Italia su come procedere e questo silenzio inizia a sollevare interrogativi nella capitale Ue.
Dalle prima settimane in carica Raffaele Fitto, il ministro agli Affari europei con delega sul Pnrr, ha dunque fatto sapere ai suoi interlocutori europei che avrebbe voluto rivedere parte del Piano: alcuni progetti dovevano uscire, sostituiti da altri che avrebbero dovuto entrare.
La risposta di Bruxelles, secondo quanto è stato possibile ricostruire, è stata simile a quella poi formalizzata nel Consiglio europeo del 9 febbraio. Recitano le conclusioni di quel vertice: «Le risorse europee esistenti dovrebbero essere dispiegate in maniera più flessibile». Dunque, anche formalmente, l’Italia aveva ciò che voleva.
Il governo potrà spostare alcuni progetti del Pnrr, oggi in ritardo, verso le scadenze più lunghe dei fondi europei tradizionali. Potrà cancellare del tutto altri progetti e inserirne di nuovi, all’interno della dotazione del Recovery da 191,5 miliardi.
Nei colloqui più informali tuttavia la Commissione europea aveva indicato al governo alcune condizioni per l’esercizio di questa flessibilità. La prima riguardava i tempi: si potevano spostare progetti fuori e all’interno del Piano ma — almeno per il momento — in nessun caso è in discussione la scadenza del 2026 per eseguire la spesa dei 191,5 miliardi.
La seconda invece era soprattutto una richiesta di esercitare la «flessibilità» non all’ingrosso, sulla base di grandi capitoli generici, ma fornendo la maggiore quantità possibile di dettagli e il prima possibile.
Questo sembra essere esattamente quanto, fra Roma e Bruxelles, non è successo. Dopo mesi di discussioni in linea di principio sul Pnrr — a quanto risulta — il confronto di merito sulle misure da far uscire e far entrare non è iniziato. Neanche parziale, neanche sui primi progetti che in teoria avrebbero dovuto essere disponibili.
Non esistono spiegazioni ufficiali sui motivi di questo apparente ritardo nell’apertura del nuovo negoziato. Di sicuro Fitto intende prima presentare al parlamento, fra circa un mese, lo stato di attuazione del Pnrr. Allora si dovrebbe capire cosa non sta funzionando e va tolto, quindi quante risorse si possono finanziare per nuovi progetti.
Ma la stessa carenza di dettagli crea l’impressione, nella Commissione Ue, che lo stesso Fitto non stia ricevendo dalle altre amministrazioni italiane tutti i dettagli necessari a capire quanto dovrebbe uscire dal Pnrr. Presumibilmente, pochi uffici vogliono rischiare di perdere fondi già affidati a loro.
(da il Corriere della Sera)
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Aprile 7th, 2023 Riccardo Fucile
DOCUMENTO INPS: DEI CIRCA 890.000 OPERAI AGRICOLI ASSUNTI NEL 2022, OLTRE 91.000 SONO PERCETTORI DEL REDDITO DI CITTADINANZA
Sul reddito di cittadinanza non si placa lo scontro tra Movimento Cinque Stelle, determinato a difendere la misura, e il governo, risoluto nel volerla cancellare.
Al centro delle ultime polemiche ci sono alcune frasi del ministro dell’Agricoltura e tra i principali esponenti di Fratelli d’Italia, Francesco Lollobrigida. Che, parlando dal palco del Vinitaly ha lanciato un appello sulla necessità di manodopera in agricoltura. “Coloro che possono lavorare vanno messi in condizione di capire che non è svilente lavorare in agricoltura o nell’allevamento. Lo dico a tutti quelli che pensano di poter stare sul divano a ricevere il reddito di cittadinanza, perché secondo loro quello nei campi è un lavoro indegno da consegnare solo a nuovi schiavi provenienti da fuori”, ha detto
Ora però dal M5s mostrano dei dati dell’Inps che mostrano come dei circa 890 mila operai agricoli assunti nel 2022, oltre 91 mila provenissero proprio da nuclei percettori del reddito di cittadinanza.
“Per bocca del ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, la destra ha gettato nuovamente fango sul reddito di cittadinanza ma i numeri, anche stavolta, la sbugiardano. Secondo l’analisi dei dati dei rapporti Inps, Inapp e Anpal, infatti, nel 2022 sono stati assunti 890.652 operai agricoli: di questi, 91.772 risultano appartenenti a nuclei che hanno percepito il reddito di cittadinanza fra il 2019, anno in cui tale misura è entrata in vigore, e il 2023. Parliamo del 10,3% del totale, una percentuale degna di nota”, ha commentato la vicepresidente Cinque Stelle Alessandra Todde.
“Invece di propalare l’ennesima fake news, il ministro avrebbe potuto e dovuto verificare queste cifre; al contrario, al solo fine di guadagnarsi qualche facile applauso e i titoli dei soliti giornali amici, ha attaccato i poveri. Ciò dimostra la cifra di questo governo”, ha aggiunto. Per poi sottolineare come il problema siano piuttosto le paghe troppo basse che questi lavoratori percepiscono.
“Il 35% degli operai agricoli, secondo i dati dell’Inps, guadagna meno di 9 euro lordi l’ora, il 18,6% non arriva a 8 euro l’ora. L’esecutivo si occupi di questi problemi invece di continuare a perdere tempo in chiacchiere”, ha concluso Todde.
(da Fanpage)
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Aprile 7th, 2023 Riccardo Fucile
C’È CHI TEME CHE FORZA ITALIA SOPRAVVIVA: “SE L’ARIA CHE TIRA È QUELLA DELLE ULTIME SETTIMANE NON C’È NESSUNA VOGLIA DI TENERE ASSIEME IL PARTITO, MA DI PRENDERSELO PER SÉ E I PROPRI AMICI. E ALLORA OGNUNO CERCHERÀ RIPARO ALTROVE” – E POI C’E’ IL TEMA DEL SIMBOLO, OGGI CUSTODITO DALL’EX PARLAMENTARE ALFREDO MESSINA, UOMO FININVEST E VICINO ALLA FAMIGLIA
Mai senza Berlusconi, quindi. Ed è la sensazione di un futuro completamente nebuloso quella che arriva da detti e non detti dei parlamentari azzurri che ieri hanno vissuto un’altra giornata tra sconforto e speranza. La leucemia di cui nessuno o quasi sapeva. E le visite di figli, fratello, amici storici, che in serata mandavano messaggi rassicuranti, hanno spostato almeno per un po’ il temuto momento in cui il partito più personale e longevo della storia italiana avrebbe perso il suo leader. E, sostanzialmente, la sua essenza. Non c’è nessuno che in queste ore non ammetta che «Forza Italia è Berlusconi, mai si è pensato a cosa sarebbe senza di lui, ed è naturale chiedersi se avrebbe la forza di resistere».
Per tante ragioni. Prima fra tutte, perché appunto l’identificazione tra partito e leader è totale. Poi per una ragione anche economica. FI è esposta per 90 milioni di euro di fidejussioni nei confronti dello stesso fondatore: se lui non ci fosse più la famiglia continuerebbe a sostenere il partito o ne decreterebbe di fatto il fallimento?
Poi c’è il tema della catena di comando. Per statuto la figura del coordinatore che oggi è il ruolo di Antonio Tajani non esiste, e non avrebbe quindi il ministro degli Esteri potere di convocare organi o prendere decisioni autonome. Chi invece fa parte dell’area governista teme che uno strappo potrebbe arrivare proprio dai falchi, i senatori che rispondono alla presidente del gruppo Ronzulli e guardano alla Lega per un rapporto privilegiato.
Un altro tema è quello della linea politica: FI, come dice Mulè, deve rimanere «intatta nella sua identità» e occupare un suo spazio nell’area moderata in modo indipendente, o convergere magari in un partito repubblicano al quale potrebbe pensare la Meloni, o lo stesso Salvini? E chi lo deciderebbe? Tajani intanto conferma la convention azzurra prevista a maggio a Milano, poi dice che partirà il tesseramento.
C’è chi lo vuole per mantenere vivo il partito e chi lo teme: «Se l’aria che tira è quella delle ultime settimane — dice uno dei falchi — non c’è nessuna voglia di tenere assieme FI, ma di prenderselo per sé e i propri amici. E allora succederà che ognuno cercherà riparo altrove per conto proprio: chi con la Lega, chi con FI, chi col Terzo polo».
Se avvenisse la deflagrazione, si porrebbe anche il tema del simbolo, oggi custodito dall’ex parlamentare Alfredo Messina, uomo Fininvest e vicino alla famiglia.
(da Corriere della Sera)
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Aprile 7th, 2023 Riccardo Fucile
I FIGLI DEL CAV SONO POCO O NULLA INTERESSATI A FORZA ITALIA, VISTA COME UN “ASSET” POCO PRODUTTIVO E MOLTO COSTOSO. LA LINEA SARÀ QUELLA DI PROCEDERE CON “SNELLIMENTO E LIQUIDAZIONE”: QUELLO CHE CONTA SONO LE AZIENDE, E PER QUESTO LA FAMIGLIA VUOLE MANTENERE UNA VISIONE “ALLINEATA” CON IL GOVERNO
Tutto il governo Meloni sta seguendo con preoccupazione vera il declino della salute di Silvio Berlusconi, a cui tutte le componenti del centrodestra riconoscono il ruolo di federatore del centrodestra.
La preoccupazione, però, è principalmente «umana», come la descrive un esponente dell’esecutivo. Politicamente, infatti, le uniche fibrillazioni si registrano tra le file di Forza Italia.. La vera questione che si aprirà per Meloni non è infatti tanto quella del futuro di Forza Italia, ma quella del nuovo corso di Fininvest.
La linea di Berlusconi è sempre stata un impasto di interessi, con quello politico che correva in parallelo con quello delle sue aziende. Quello stesso perimetro di interessi che Forza Italia, pur con il suo costante calo di consensi, ha mantenuto anche nell’attuale esecutivo. A partire dal fatto che la casella chiave del sottosegretariato dell’Editoria, in tutti i governi di centrodestra, sia appannaggio berlusconiano: oggi con Alberto Barachini, ieri con Giuseppe Moles e Paolo Bonaiuti.
Lo schema, tuttavia, si poggiava su un punto di equilibrio che era la figura del capo . Un capo, però, che non ha mai voluto veri successori e proprio questo impone un equilibrio nuovo tra le aziende e il governo. «L’unica che avrebbe incoronato sarebbe stata la figlia Marina», dice un ex berlusconiano che fu tra i fondatori del partito nel 1994.
Tuttavia, nessuno dei figli nè di primo letto – Marina e Piersilvio – nè di secondo – Barbara, Eleonora e Luigi – ha mai davvero guardato con interesse a Forza Italia.
Di più, negli ultimi anni di tramonto elettorale è stato considerato uno dei crucci da togliere al padre sempre più anziano, oltre che un asset poco produttivo e anzi piuttosto costoso, visto l’indebitamento per 90 milioni garantito da due fideiussioni personale Berlusconi.
Per questo, la prospettiva dei figli viene riassunta con due parole da chi osserva i movimenti aziendali: «snellimento e liquidazione». Marina Berlusconi, spiegano, è un’imprenditrice che ragiona secondo i criteri di utile e perdita e, in vista della successione, la domanda è una: cosa crea valore in azienda, in relazione a quanto costa?
Proprio alla luce di questo, la figlia maggiore avrebbe progressivamente messo a punto un modo per succedere al padre, ma alle proprie condizioni. La linea di contatto tra lei e la premier Meloni è aperta e personale, la svolta governista ha riportato al tavolo delle trattative coperte per le nomine del govenro il fedelissimo Gianni Letta.
Nessuna discesa in campo, dunque, ma contatti stretti e trasversali, facilitati oggi e per tutta la durata del governo dalla presenza dei ministri azzurri e del drappello di parlamentari eletti. Che da Berlusconi hanno ricevuto l’ultimo regalo, con l’8 per cento a FI che ha consentito loro di tornare in parlamento per altri cinque anni. Poi si deciderà il futuro di FI o di quel che ne resta, esattamente come per ogni società: confrontando utili e perdite.
«La chiave per capire il futuro è la vendita del Giornale», viene suggerito. In altre parole: dimenticate le questioni di cuore per il giornale di famiglia, un’azienda poco produttiva viene venduta, pur mantenendo una quota di minoranza. Un ragionamento che potrebbe riguardare anche altri asset, a partire da Mediaset – ora MediaforEurope con sede in Olanda – per cui l’interessamento del francese Vincent Bollorè è noto.
(da Domani)
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Aprile 7th, 2023 Riccardo Fucile
MENO DI 7 NEONATI E PIU’ DI 12 DECESSI OGNI 1.000 ABITANTI
In Italia la natalità è al minimo storico. Lo certificano gli indicatori demografici dell’Istat relativi al 2022 che rilevano come la mortalità nel Paese resti ancora elevata in rapporto alle nascite: meno di 7 neonati e più di 12 decessi per 1.000 abitanti.
Per la prima volta in 160 anni, ovvero dall’Unità d’Italia, i nuovi nati nel 2022 in Italia sono scesi sotto i 400 mila, attestandosi a 393 mila.
I dati dell’Istituto nazionale di statistica mostrano come dal 2008 – ultimo anno in cui in Italia si è registrato un aumento delle nascite – il calo è di circa 184mila nati, di cui circa 27mila concentrate dal 2019 in avanti.
Tale diminuzione è dovuta solo in parte alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle coppie. Tra le cause pesano infatti molto sia il calo dimensionale, quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni).
In 20 anni triplicati gli ultracentenari
Oltre al calo di natalità riscontrato dagli indicatori demografici dell’Istat, in 20 anni è triplicato il numero degli ultracentenari in Italia: al primo gennaio del 2023 infatti sono circa 22mila. La speranza di vita alla nascita nel nostro Paese è di 82,6 anni ed è in crescita per gli uomini mentre è stabile per le donne.
Per gli uomini è stimata in 80 anni e mezzo (con un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più rispetto al 2021), per le donne in 84,8. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano ancora sotto quelli del periodo pre-pandemico, registrando valori di 6 mesi inferiori nei confronti del 2019, sia tra gli uomini che tra le donne.
Popolazione residente in calo, ma aumentano gli stranieri
La popolazione residente in Italia al 1° gennaio 2023 è di 58 milioni e 851mila unità, 179mila in meno sull’anno precedente, per una riduzione pari al 3 %. Prosegue, dunque, la tendenza alla diminuzione , ma con un’intensità minore rispetto sia al 2021 (-3,5‰), sia soprattutto al 2020 (-6,7‰), anni durante i quali gli effetti della pandemia avevano accelerato un processo iniziato già nel 2014. Ad aumentare, secondo l’analisi Istat sugli indici demografici, è il numero degli stranieri in Italia: la popolazione di cittadinanza straniera al 1° gennaio 2023 è di 5 milioni e 50mila unità, in aumento di 20mila individui (+3,9‰) sull’anno precedente.
(da agenzie)
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