Aprile 8th, 2023 Riccardo Fucile
PERCHE’ IL GOVERNO TACE?
C’è alta tensione tra l’intelligence americana e quella italiana per l’assurda fuga del russo Artem Uss da Milano, dove era ai domiciliari.
Gli americani avevano chiesto che l’oligarca, accusato di crimini finanziari e considerato dagli States il regista della rete che procurava componenti hi-tech per gli armamenti più moderni usati dai russi in Ucraina, venisse spedito dietro le sbarre e invece era domiciliari, da cui è riuscito a fuggire facilmente, in barba al braccialetto elettronico.
La Cia sospetta che gli 007 russi, per portare a termine un’operazione delicata come l’esfiltrazione di Uss, si siano avvalsi della collaborazione di pezzi di apparati italiani
Enrico Borghi, senatore del Partito democratico e membro del Copasir, dice di essere sorpreso dal silenzio. «Perché nessuno parla di una vicenda importante e inquietante come quella di Artem Uss?
Perché il governo non sente il dovere di spiegare? Non parliamo di un’evasione di un detenuto qualsiasi. Ma di una figuraccia internazionale sulla quale ci devono essere delle parole della politica. E invece tutti fanno gli indifferenti. Io lo trovo incredibile».
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2023 Riccardo Fucile
PIER FERDINANDO CASINI: “IN POLITICA L’EREDITÀ SI PRENDE, NON SI RICEVE”… “BERLUSCONI HA ACUITO LE DIVISIONI PER ANNI E DALLE DIVISIONI HA TRATTO RENDITE DI POSIZIONE ENORMI. NEGLI ULTIMI ANNI HA GIOCATO INVECE IL RUOLO DI PATER FAMILIAS DEL CENTRODESTRA”
Se la fragilità di Silvio Berlusconi pone una domanda sulla successione alla guida di Forza Italia, secondo Pier Ferdinando Casini la riposta è del tutto evidente da tempo: «In politica l’eredità non si riceve, si prende. È arrivata una giovane signora e si è presa l’eredità di Silvio Berlusconi: il centrodestra oggi è Giorgia Meloni».
Senatore, lei ha condiviso un pezzo di strada politica con l’ex premier. Forza Italia può sopravvivere all’assenza, sia pur temporanea, del leader?
«Forza Italia è un partito personale, ma lo sono quasi tutti i partiti della Seconda Repubblica. Dopo la fine della Prima Repubblica, non c’è stata più la capacità di costruire forze politiche indipendenti dalla figura dei leader. A questo discorso si sottrae forse solo il Pd, che è in crisi per altre ragioni, ma è contendibile ed è stato dimostrato alle ultime primarie».
Il partito di Silvio Berlusconi sarebbe in grado di affrontare un congresso?
«Dovessi rispondere oggi, per quanto sembra, direi di no».
Cosa significa l’ex premier per la sua storia politica?
«È una personalità semi-irripetibile: ha inventato la tv commerciale, ha rotto le vecchie consorterie dell’economia e della finanza, imponendosi su equilibri economico-finanziari consolidati. Ha plasmato la politica non tanto e non solo del centrodestra, ma in un certo senso anche del centrosinistra: per molti anni l’unico collante delle opposizioni è stato l’antiberlusconismo. È un personaggio amato e odiato, divisivo come lo sono tutte le persone importanti».
Tempo fa lei ha detto “Berlusconi ha capito che il suo compito storico è di unire, attenuare le divisioni”.
«Berlusconi ha acuito le divisioni per anni e dalle divisioni ha tratto rendite di posizione enormi, uno dei fattori che ci hanno allontanato. Negli ultimi anni ha giocato invece il ruolo di pater familias all’interno del centrodestra, cercando i nodi unitivi. Del resto i filosofi greci dicevano: “Le città si difendono con le lance dei giovani e i consigli degli anziani”».
Che conseguenze può avere quest’incertezza sul futuro del centrodestra?
«Per anni ci siamo interrogati su chi avrebbe raccolto l’eredità di Berlusconi. C’è stato un lungo elenco di ipotetici successori: Fini, Tremonti, poi Alfano, Tajani, qualcuno avrà fatto anche il mio nome. Ma in politica l’eredità si prende, non si riceve. E dunque, è arrivata una giovane signora di destra e si è presa l’eredità di Berlusconi. Il centrodestra oggi è Giorgia Meloni. Il tema dell’eredità berlusconiana l’ha risolto la leader di Fratelli d’Italia con un’opa avvallata dagli elettori. Il futuro di tutti i parlamentari della destra di governo oggi è garantito dalla presidente del Consiglio».
Vedrebbe uno dei figli di Berlusconi alla guida del partito? Si fa spesso il nome della primogenita Marina.
«Secondo lei è così scema da entrare in politica? Non sarebbe come io la descrivo. Non è improbabile: è impossibile».
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2023 Riccardo Fucile
“I MERCATI FINANZIARI STANNO PER ORA ALLA FINESTRA. MA L’ATTENDISMO CIRCOSPETTO RISCHIA DI TRASFORMARSI PRESTO IN OSTILITÀ APERTA, SOPRATTUTTO SE IL DEFICIT DI COMPETENZE DI CUI SOFFRE LA MAGGIORANZA CAUSASSE IL FALLIMENTO DEL PNRR”
L’avventura di Domani è iniziata meno di tre anni fa, ma è un fatto che il periodo che stiamo vivendo è già epocale. Prima la sconvolgente pandemia del Covid e la conseguente crisi economica, poi l’aggressione imperialista della Russia contro l’Ucraina che sta cambiando gli equilibri del pianeta. In Italia anche le ultime elezioni politiche sono state uno spartiacque decisivo.
Per la prima volta nella storia della Repubblica un partito che fa riferimento diretto all’esperienza fascista è riuscito a conquistare la guida del governo. Da Mario Draghi a Giorgia Meloni, il voto-testacoda del 25 settembre 2022 segna un passaggio radicale, fino a poco tempo fa impensabile. Mentre la stampella “moderata” che fa capo a Forza Italia rischia di scomparire (auguri a Silvio Berlusconi), i tentativi della nuova premier di nascondere l’estremismo ontologico del suo governo vengono quotidianamente demoliti dal “richiamo della foresta” della sua classe dirigente.
In soli sette mesi la faccia feroce della destra si è mostrata nella gestione disumana della tragedia dei migranti di Cutro. Nel revisionismo ignobile della Resistenza da parte del presidente del Senato Ignazio La Russa. Negli attacchi ai diritti civili, come nel caso del divieto per le coppie omogenitoriali di riconoscere i loro figli. Iniquità palesatasi pure nelle scelte di politica economica, i cui provvedimenti sembrano scritti dallo sceriffo di Nottingham: levare ai poveri e dare ai ricchi, strizzando sempre l’occhio agli evasori.
Davanti alle mosse reazionarie di Meloni, i nostri partner della Ue e i mercati finanziari stanno per ora alla finestra. Ma l’attendismo circospetto rischia di trasformarsi presto in ostilità aperta, soprattutto se il deficit di competenze di cui soffre la maggioranza causasse il fallimento del Pnrr. L’Italia però non è solo fascio-leghismo. È un paese fondatore della Ue, democratico, con un grande popolo fatto da progressisti e liberali che rifugge il sovranismo imperante.
Compito dell’opposizione è quello di trovarsi pronta quando le contraddizioni a destra imploderanno. Il Pd ha trovato finalmente una nuova leader che sembra avere capacità e carisma per smuovere un elettorato vasto, ma troppo spesso deluso. Elly Schlein dovrà aprirsi alle energie migliori del mondo del lavoro e dell’impresa, alle donne, ai giovani e agli ambientalisti che combattono contro il climate change, agli esclusi. Ma ha stoffa, può farcela.
Domani, fondato da Carlo De Benedetti, che ringrazio per la stima e la fiducia, in questi anni ha raccontato ai lettori attraverso analisi e inchieste esclusive i nodi irrisolti del mondo complesso che viviamo, cercando di darne una disamina chiara per comprenderli meglio. Ringrazio ovviamente Stefano Feltri, che mi lascia al timone di un giornale serio ed autorevole, con una redazione eccellente, che in poco tempo è riuscita a diventare una voce influente nel panorama dell’informazione. La mia promessa è una sola: continuare a fare un giornalismo libero: per una democrazia sana è un bene prezioso come l’acqua.
(da Editoriale Domani)
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Aprile 8th, 2023 Riccardo Fucile
SECONDO LA BANCA D’ITALIA LA DURATA MEDIA PER LA REALIZZAZIONE DI UN’OPERA IN ITALIA E QUASI DI 5 ANNI
La storica difficoltà del nostro Paese a utilizzare tutti i soldi che ci giungono da Bruxelles sembra ormai una regola. E’ quanto evidenzia la CGIA: in riferimento ai fondi di coesione, ad esempio, non sono pochi quelli riferiti al settennio 2014-2020 che, entro la fine di quest’anno, rischiamo di perdere, sebbene la spesa ipotetica annuale necessaria per mettere a terra tutte le risorse disponibili ammonti solo a 9 miliardi di euro. Affrontando con lo stesso approccio appena illustrato anche il PNRR, tra il 2023 e il 2026 dobbiamo spendere mediamente 42 miliardi di euro all’anno per poter realizzare tutti i progetti previsti dal piano. Una cifra, quest’ultima, 4,5 volte superiore alla precedente. E’ evidente che raggiungere questo obbiettivo sarà quasi impossibile.
Il confronto
Entriamo nel merito. Dei 64,8 miliardi di euro di fondi europei di coesione messi a disposizione dell’Italia nel periodo 2014-2020, di cui 17 di cofinanziamento nazionale, poco meno della metà (29,8) dobbiamo ancora spenderli. Se non lo faremo entro la fine di quest’anno, la parte non utilizzata dovrà essere restituita. Questa è l’ennesima dimostrazione che il nostro Paese fatica moltissimo a spendere entro i termini stabiliti i soldi che ci vengono messi a disposizione dall’UE. Se, invece, riusciremo a farlo, in linea puramente teorica è come se ogni anno di questo settennio avessimo speso 9 miliardi di euro. Con il PNRR, invece, tra il 2021 e il 2026 dovremo investirne 191,5, pari a una spesa media che ne consenta l’utilizzo complessivo di 42 miliardi di euro l’anno nel periodo 2023-2026. Ebbene, se, come dicevamo più sopra, stiamo arrancando nel metterne a terra 9 di fondi UE all’anno, come faremo a spenderne addirittura 42 col PNRR, ovvero 4,5 volte tanto?
In Italia le opere durano un’eternità
Secondo la Banca d’Italia, a fronte di un investimento mediano di 300 mila euro, nel nostro Paese la durata mediana per la realizzazione di un’opera è pari a 4 anni e 10 mesi. La fase di progettazione dura poco più di 2 anni (pari al 40 per cento della durata complessiva), l’affidamento dei lavori dura 6 mesi e sono necessari oltre 2 anni per l’esecuzione e il collaudo. Per un investimento di cinque milioni di euro, invece, il tempo di realizzazione è di ben 11 anni. Auspicando che il nuovo codice degli appalti e le riforme che interesseranno la nostra Pubblica Amministrazione riducano in misura significativa queste tempistiche, appare comunque evidente che difficilmente entro i prossimi 44 mesi riusciremo a mettere a terra tutti i progetti previsti dal PNRR.
PNRR: tanti investimenti, ma reddittività bassa
Il nostro PNRR è costituito da 235,6 miliardi di euro, di cui 191,5 riconducibili al Recovery Found, 30,6 a un fondo complementare e gli altri 13,5 miliardi di euro al REACT-EU. Di questi 235,6 miliardi, 52,6 verranno investiti per “progetti in essere”, ovvero già previsti, mentre i restanti 183 andranno a finanziare “nuovi progetti”. Pertanto, nel 2026 la crescita del Pil, anno in cui si concluderà l’azione del Piano, dovrebbe essere più alta di 3,6 punti percentuali rispetto allo scenario che si verificherebbe senza l’effetto degli investimenti aggiuntivi. Una previsione, quest’ultima, che viene prefigurata nello scenario ottimale, ovvero che gli investimenti vengano spesi in maniera efficiente, che le condizioni monetarie siano favorevoli e che non vi siano ripercussioni negative sul premio del rischio sovrano. Condizioni che, ovviamente, nessuno può confermarci che si verificheranno. Se, rispetto a quanto riportato, il quadro generale fosse meno ottimistico, il nostro PNRR ipotizza altri 2 scenari: uno medio con una crescita del Pil del 2,7 per cento e uno basso con un incremento dell’1,8 per cento.
Un effetto sul Pil modesto
Analizzando solo lo scenario ottimale, l’Ufficio studi della CGIA segnala che a fronte di 183 miliardi di investimenti, nel 2026 avremo un aumento strutturale del Pil di circa 70 miliardi, determinando un moltiplicatore del Pil pari a 1,2. Un risultato non particolarmente esaltante, se si tiene conto che, secondo uno studio della Banca d’Italia, la realizzazione delle opere pubbliche può avere ripercussioni importanti sulla crescita economica di un paese se il moltiplicatore della spesa pubblica per investimenti è compreso tra l’1 e il 2. E’ vero che l’1,2 per cento previsto dal Governo Draghi nel PNRR ricadrebbe nella forchetta indicata dalla Banca d’Italia, ma è altrettanto vero che raggiungeremo questo obbiettivo solo se tutto andrà per il verso giusto; cosa che molti osservatori dubitano, vista la cronica inefficienza che caratterizza buona parte della nostra Pubblica Amministrazione, la mole di burocrazia che attanaglia il paese, l’incapacità storica, come dicevamo più sopra, di spendere tutti i fondi europei. Va ricordato, inoltre, che l’Italia non desta una elevata affidabilità in materia di previsioni macro economiche. I dati dell’European Fiscal Board (organo consultivo indipendente della Commissione Europea) sono impietosi: tra il 2013 e il 2019 siamo il Paese che ha “sbagliato” di più. Un’altra ragione per dubitare che saremo in grado di raggiungere la crescita del Pil del 3,6 per cento e, conseguentemente, disporre di un moltiplicatore dell’1,2.
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2023 Riccardo Fucile
L’IRA DELLO ZAR È ESPLOSA QUANDO GLI È STATO RIFERITO IL CAMBIO DI PASSO DI XI JINPING, CONVINTO DA MACRON AD ASSUMERE UN RUOLO EQUIDISTANTE DA MOSCA E KIEV PER PROPORSI COME MEDIATORE
Diplomaticamente e politicamente, l’incontro pechinese tra Xi Jinping, Macron e la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen è andato talmente bene che ha fatto incazzare Putin. Ci sarebbe infatti la manina dell’intelligence russa dietro la diffusione online, su Twitter e Telegram, dei piani di Stati uniti e Nato per sostenere la controffensiva ucraina.
L’ira dello Zar è esplosa quando gli è stato riferito il cambio di passo di Xi Jinping, convinto da Macron ad assumere un ruolo equidistante da Mosca e Kiev per proporsi come mediatore credibile per arrivare al cessate il fuoco. In buona sostanza, il presidente cinese avrebbe messo in discussione il suo ruolo di fiancheggiatore del Cremlino.
In cambio, Macron e Ursula hanno assicurato a Pechino che l’Unione Europea si emanciperà gradualmente dalla posizione guerrafondaia di Washington. A subire i gravi disastri economici dalla guerra russo-ucraina non sono gli Stati uniti ma l’Europa. Che è ben felice di chiudere il conflitto, riannodare i rapporti commerciali con la Cina e ricominciare a fare affari.
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2023 Riccardo Fucile
C’E’ DESCALZI DIETRO LA FISSA DELLA MELONI SUL TANDEM CINGOLANI-DONNARUMMA… SILVESTRI È UN SILURO NUCLEARE AL SUO ATTEGGIAMENTO DA “IO SO’ GIORGIA E VOI NON SIETE UN CAZZO”
La partita delle nomine sta diventando un campo di battaglia all’interno della maggioranza di governo. Matteo Salvini non alzerà i tacchi da Roma, mandando a ramengo le festività pasquali, per evitare sorprese nell’uovo da parte del suo sottoposto Giancarlo Giorgetti, che da ministro dell’Economia avrà il compito di apporre la firma sulla nomina dei prescelti al vertice delle aziende di Stato.
Anche il ministro della Difesa Guido Crosetto ha rinunciato al viaggio in Brasile organizzato da Leonardo e festeggerà morte e resurrezione di Cristo nella capitale: fidarsi è bene, non fidarsi (di Giorgia Meloni) è meglio. Sono tutti terrorizzati all’idea che la premier, nell’ennesimo impeto di decisionismo garbatellaro, organizzi un blitz per portare a casa le nomine che desidera senza concordarle con nessuno.
Al momento non è in calendario alcun incontro tra gli esponenti del governo per discutere il da farsi. Quasi sicuramente i pezzi da novanta del governo di Destra-centro, digerito l’abbacchio, si vedranno a Pasquetta: da una parte Meloni-Fazzolari, al centro Tajani-Letta, dall’altra Salvini-Paganella. Sarà un lunedì di fuoco: va deciso, una volta per tutte, come riempire le caselle e a chi dare le poltrone nelle aziende quotate di Stato.
Martedì mattina la partita va definitivamente chiusa perché, nel primo pomeriggio, il ministro Giorgetti (che ha la responsabilità di autorizzare la firma delle nomine) deve volare a Washington per la riunione del Fondo Monetario Internazionale (e per ‘sta guerra di potere de’ noantri il suo viaggio, che prevedeva due giorni di permanenza, si è ridotto a uno e mezzo).
Le nomine non vengono portate in Consiglio dei ministri: la lista dei nomi è formalmente firmata dal direttore generale del Tesoro, Riccardo Barbieri, su indicazione del titolare dell’Economia, cioè Giorgetti. E’ l’economista di Cazzago Brabbia ad avere il pallino del gioco: tutto è nelle sue manine.
Qualcuno si ricorderà del blitz dell’allora premier Matteo Renzi che rifilò la sua lista allora ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, lasciando a bocca asciutta gli alleati di governo. Ecco perché Salvini è rimasto a Roma a fare il rottweiler da guardia: teme il rischio di cedimenti da parte di Giorgetti, cuor di coniglio, alle pretese della Ducetta pijo-tutto-io.Tra una colomba mandorlata e un uovo fondente, a Pasquetta Salvini si attovaglierà con Giorgetti per un ultimo rendez-vous prima della stretta finale. I bocconi agrodolci, che a qualcuno andranno di traverso, sono quelli legati a Enel (Scaroni-Donnarumma?) e a Leonardo (per il posto di Ad in corsa Roberto Cingolani e Lorenzo Mariani, alla presidenza andrà il generale della guardia di Finanza, Giuseppe Zafarana, al posto dell’uscente Luciano Carta, ex capo dell’Aise).
La pervicacia con cui Giorgia Meloni vuole assolutamente dare una poltronissima a Cingolani e Donnarumma ha dietro l’ad di Eni Claudio Descalzi, che ormai assurto a gran consigliere economico-finanziario della Evita Peron della Garbatella. Tant’è che sarà lui a scegliersi il presidente dell’Eni. Per le aziende di Stato non quotate la decisione definitiva sugli incarichi arriverà tra la fine di aprile e la metà di maggio.
Un gran garbuglio che metterà sotto pressione una già stressatissima Meloni che pare che non abbia ancora capito che la questione famigliare-sentimentale di Rachele Silvestri esplosa con la lettera inviata dalla deputata di Fratelli d’Italia al “Corriere della Sera” (Chi l’ha scritta? Chi l’ha negoziata con il direttore del quotidiano, Luciano Fontana?) è in sostanza un siluro nucleare al suo atteggiamento da “Io so’ Giorgia e voi non siete un cazzo”.
(da Dagoreport)
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Aprile 8th, 2023 Riccardo Fucile
L’ORSO NON ATTACCA L’UOMO, SALVO CHE NON SIA SPAVENTATO, BASTEREBBE SEGUIRE I CONSIGLI DEGLI ESPERTI
Il pianeta non è dell’essere umano. È popolato da una moltitudine di forme di vita che hanno tutte il medesimo diritto di esistere, di continuare a perpetrare la propria specie.
Ma gli ambienti naturali sono sempre più antropizzati, un elemento che riduce gli spazi vitali per la fauna selvatica e, di concerto, aumenta le probabilità di incontro con gli animali.
Questo aspetto, naturalmente, richiede una gestione adeguata e precisa dei territori condivisi, così come una frequentazione accorta degli stessi, a maggior ragione quando sono presenti specie potenzialmente pericolose per la nostra incolumità.
Per inciso, non esistono animali cattivi, ma alcuni, per puro istinto, possono mettere in atto comportamenti aggressivi verso le persone se vengono spaventati all’improvviso, se si sentono minacciati, o se hanno qualcosa da proteggere, come i cuccioli o una fonte di cibo .
(ad esempio una carcassa). In Italia gli animali che possono rappresentare un problema in tal senso sono gli orsi, nello specifico l’orso bruno (Ursus arctos) che vive sulle Alpi e l’orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus) del Parco Nazionale del Lazio, Abruzzo e Molise, una sottospecie della prima endemica del Bel Paese. In misura minore anche i lupi, ma concentriamoci sui plantigradi.
In questi giorni il tema della convivenza con gli orsi è balzato agli onori della cronaca nazionale a seguito della morte del ventiseienne Andrea Papi, un runner ucciso da un orso in un bosco di Caldes nella Val di Sole (Trentino Alto Adige). La conferma è arrivata dai riscontri ambientali ma soprattutto dall’autopsia condotta sul suo cadavere. Il giovane è stato ucciso mentre era ancora vivo. Non ha avuto un malore e il suo corpo non è stato martoriato da un animale dopo essere deceduto, come evidenziato dalle indagini necroscopiche. Le reali ragioni di questa aggressione mortale probabilmente non le conosceremo mai, tuttavia, come evidenziato da alcuni esperti, è possibile che il runner si sia trovato l’orso davanti all’improvviso mentre correva, magari dietro una curva cieca, finendo a tu per tu col plantigrado che si è sentito spaventato e in pericolo. Questo potrebbe avrebbe innescato la sua reazione aggressiva. A quel punto, ma non è possibile averne certezza, il ragazzo potrebbe aver tentato la fuga e / o un disperato combattimento contro l’orso, come suggeriscono la scena in cui è stato ritrovato il cadavere e la scoperta di un bastone insanguinato, forse usato come estrema arma di difesa. Ma come specificato, non ve n’è certezza.
Come spiegato dal Parco Nazionale dello Stelvio, l’orso bruno non è un animale pericoloso, ma a causa della grande mole e della forza fisica può diventarlo in rare e particolari condizioni: quando è ferito; se si tratta di una femmina con i cuccioli; se viene sorpreso su una carcassa o altre fonti di cibo; se viene disturbato nella tana o nei suoi pressi; se è presente un cane (che va assolutamente tenuto al guinzaglio); se viene sorpreso all’improvviso e spaventato. Quest’ultimo caso è verosimilmente quello che meglio si allinea a quanto potrebbe essere accaduto allo sfortunato giovane in Trentino. In genere gli orsi hanno paura dell’uomo e si allontano, ma possono mettere in atto comportamenti difensivi / aggressivi quando si sentono minacciati, se non hanno una via di fuga. Il comportamento da tenere quando si avvista un orso è quello di allontanarsi dall’animale lentamente, parlando con voce alta ma calma, senza voltare le spalle e soprattutto senza darsi alla fuga (un’azione che potrebbe renderci una preda agli occhi del plantigrado). È sempre importante farsi sentire negli ambienti in cui vivono gli orsi e andarci da soli è potenzialmente più pericoloso che andare in compagnia.
Quando è chiaro che l’orso sta per attaccarci, non dobbiamo farci prendere dal panico e provare a combattere con l’animale. Non avremmo alcuna speranza a causa della sua forza e dell’agilità. Anche provare a scalare un albero non servirebbe a nulla, dato che questi animali sono abilissimi nel farlo. La raccomandazione degli esperti è sdraiarsi a terra a faccia in giù con le mani (o lo zaino) sulla nuca, senza gridare o provare a fuggire, per quanto terrificanti possano essere quei momenti. L’orso, infatti, dopo aver dato eventuali colpi di avvertimento potrebbe allontanarsi, avendo appurato che non siamo una minaccia. Questo comportamento viene ben insegnato in Slovenia (dove gli orsi sono numerosi) sin dalla tenera età. La LAV ricorda che quando ci avventuriamo su un sentiero, siamo noi che stiamo entrando nel territorio della fauna selvatica e va fatto col massimo rispetto, “nella consapevolezza che sono i nostri comportamenti a determinare le reazioni di qualsiasi animale selvatico”.
Chi frequenta ambienti in cui vivono gli orsi dovrebbe essere sempre ben informato sui comportamenti da tenere, perché l’approccio personale con questi animali può fare davvero la differenza tra la vita e la morte in caso di incontro. Tuttavia, naturalmente, la convivenza tra orsi e persone non può essere delegata al solo modus operandi dei singoli. I territori condivisi vanno gestiti affinché si riducano sia le probabilità di incontro sia la possibilità che gli animali possano diventare più confidenti, frequentando le aree antropizzate. È una condizione che di base catalizza in modo significativo il rischio di potenziali incidenti. Nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM), ad esempio, il regolamento del 2020 firmato dal direttore Luciano Sammarone prevede significative limitazioni alle libertà di spostamento delle persone, che in alcune aree del parco possono muoversi solo ed esclusivamente all’interno dei sentieri. In altre non si può andare nemmeno con il cane al guinzaglio, con la bicicletta o a cavallo, proprio per limitare al massimo i disturbi esterni alla fauna selvatica e scongiurare potenziali incontri pericolosi, anche con l’orso marsicano, del quale sono presenti una sessantina di esemplari.
Per quanto concerne il Trentino, fino a circa 25 anni fa gli orsi erano quasi estinti, così vi furono le prime reintroduzioni – di esemplari dalla vicina Slovenia – nell’ambito del progetto Life Ursus nel Parco Adamello Brenta. Da allora gli animali si sono moltiplicati e oggi c’è una popolazione di un centinaio di esemplari adulti, con un incremento del 10 percento circa su base annua (negli ultimi anni). Nel Parco Naturale Adamello Brenta, tuttavia, non ci sono limitazioni all’accesso come al PNALM, sebbene anche qui viene data grandissima importanza ai comportamenti personali da tenere in caso di incontro con la fauna selvatica. Come spiegato dal dottor Sammarione al Corriere della Sera, una differenza sostanziale tra il PNALM e la situazione in Trentino è il differente grado di antropizzazione delle due realtà: “L’unità di abitanti per km quadrato è due, tre volte la nostra e le persone che frequentano la montagna sono molte di più per cui aumenta anche la possibilità di incontrare gli orsi”, ha spiegato il direttore del parco del centro Italia.
In Abruzzo, evidenzia Sammarione, si effettua un monitoraggio costante della popolazione degli orsi marsicani, alcuni dei quali sono dotati di radiocollare. Sono inoltre presenti indennizzi per i pastori che subiscono perdite di capi (ad esempio pecore) e a tutti vengono fornite le misure preventive per evitare danni, come i recinti elettrificati e i pollai anti intrusione. Sono soluzioni che hanno agevolato la convivenza con i plantigradi e non si parla certamente di abbattimenti, come invece avviene da tempo in Trentino. Sammarione sottolinea che in Nord America ci sono grizzly grandi anche cinque volte gli orsi che abbiamo in Italia, eppure le persone continuano a frequentare i parchi. Qui, semplicemente, le autorità precludono l’accesso a determinati sentieri e percorsi frequentati dagli animali, favorendo la convivenza. Legambiente ricorda che “la convivenza tra l’uomo e i grandi predatori, come l’orso e il lupo, è una delle grandi sfide da affrontare seriamente a partire dalle aree più problematiche”. Non si nasconde il problema, ma non è necessario imbracciare i fucili per risolverlo. “In Appennino – prosegue Legambiente – tra gli strumenti suggeriti e adottati rivolti agli allevatori ci sono: i cani da guardia, le recinzioni fisse ed elettrificate, la presenza continua del pastore, i dissuasori acustici e ottici, i procedimenti per i risarcimenti economici gestiti online o esperimenti come il gregge del parco che permette di avere subito disponibile la pecora predata riducendo le perdite aziendali”. Sono tutte misure che riducono il rischio di incidenti e di arrivare fino alle estreme conseguenze di possibili abbattimenti. Ricordiamo fra l’altro che tale misura non può essere presa da una Provincia, ma serve comunque un parere dell’ISPRA e la decisione finale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, trattandosi di animali rigorosamente protetti.
In Italia le aree protette sono comunque ridotte e potrebbe essere complesso attuare delle limitazioni ai movimenti, considerando che gli animali, fra l’altro, si spostano dove desiderano per la ricerca di partner e cibo. In un’intervista a Repubblica il biologo Luigi Boitani ha sottolineato che vanno prese delle decisioni politiche per la gestione dei grandi carnivori in Italia, “facendosi guidare dalla scienza”. “Vanno gestiti numeri, distribuzione e nostre attività, senza posizioni isteriche”, ha chiosato il divulgatore scientifico. Legambiente ricorda che la gestione di specie come il lupo o l’orso dimostrano che “per difendere la biodiversità quello che serve è il supporto della scienza e una grande capacità nella gestione della complessità territoriale e istituzionale, ma anche un nuovo patto di collaborazione tra parchi e comunità locali, da cui è indispensabile ripartire con obiettivi chiari e condivisi”. La condanna a morte di un orso “rappresenta sempre una sconfitta sia per l’uomo sia per il lavoro di gestione e di tutela”.
(da Fanpage)
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Aprile 8th, 2023 Riccardo Fucile
“SIAMO IN UNA CULTURA DELLA CONVIVENZA PIUTTOSTO CHE DELL’IMPEGNO, ACCETTIAMO UNA VITA BASATA NON SUL FUTURO MA SULL’ESISTENTE”
«Senza un’idea di futuro, un’idea condivisa, i sussidi e gli stessi servizi non servono. Ci vorrebbe un trauma, ma non si vede nemmeno quello». Certo non è la prima volta che Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del Censis, si trova a commentare i dati disastrosi della natalità nel nostro Paese.
Non ne abbiamo avuti abbastanza di traumi in questi ultimi tre anni?
«In realtà no. Galleggiamo. E senza un trauma dovremmo uscirne da soli, in avanti».
Pandemia, guerra e inflazione non sono sufficienti?
«Parlo di un trauma collettivo, vissuto tutti insieme. La seconda guerra mondiale, con l’occupazione tedesca e poi la grande povertà, che hanno fatto scattare in tutti la voglia di vivere, di ricostruire. Oppure gli anni Settanta, quando abbiamo avuto insieme la crisi economica e il terrorismo ed è scattato un meccanismo identitario, il desiderio di stare meglio, di crescere anche attraverso l’economia sommersa. Invece la pandemia non è stata un’ondata collettiva, ma solo la somma della paura di morire da parte di tanti singoli. E non lo è nemmeno la guerra, nemmeno l’inflazione. Nonostante tutto, in questi tre anni non c’è stato un vero trauma».
E quindi come si può uscire da questo stato di latenza?
«Il problema è che il nostro Paese non ha un traguardo futuro. Lo stesso Pnrr che doveva esserlo si sta riducendo ad una serie di piccoli aggiustamenti di numeri».
Mi permetto di tornare al dato iniziale. È possibile invertire la tendenza, convincere gli italiani a fare più figli?
«Perché dovrebbero fare più figli? Siamo in una cultura della convivenza piuttosto che dell’impegno, accettiamo una vita basata non sul futuro ma sull’esistente. Non ci scaldano nemmeno temi come quello della diseguaglianza».
Sussidi, servizi, miglioramenti della condizione lavorativa non potrebbero cambiare le cose? I governi, almeno a parole, cercano faticosamente risorse finanziare da destinare a questi obiettivi.
«No non servono, se la politica non sarà in grado di indirizzare la società a voler crescere, ad avere delle ambizioni. E non mi pare che il tema della natalità sia in grado di fare breccia nella cultura collettiva».
(da il Messaggero)
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Aprile 8th, 2023 Riccardo Fucile
ALLE EUROPEE UNA LISTA COMUNE SCONTEREBBE UNA SERIE DI PROBLEMI: IL PRIMO È LEGATO AL SISTEMA DI VOTO PROPORZIONALE, CHE PRIVILEGIA LA CONTA TRA IDENTITÀ DIVERSE; IL SECONDO È CHE FORZA ITALIA FA PARTE DEL PPE MENTRE FDI STA NELL’ECR
Infastidito dal vociare sulle sorti del partito, mentre Berlusconi combatte in ospedale, Confalonieri ha reagito: «Forza Italia è Silvio». D’altronde la trentennale storia azzurra ha evidenziato chi è l’unico detentore del consenso. Perciò è surreale immaginare che un congresso di partito e una lotta per gli organigrammi interni possano supplire al carisma del leader. Infatti il tesoriere e depositario del simbolo, Alfredo Messina, esclude le assise, ribadendo che il «brand» resterà nelle mani della famiglia Berlusconi.
Epperò, se «Forza Italia è Silvio», si pone una delicata questione sui futuri equilibri del centrodestra. Che chiama in causa chi guida la coalizione: Meloni. Tutto ciò costringe alleati (e avversari) ad agire di conseguenza. Forza Italia è numericamente e politicamente determinante, sia nello scenario nazionale sia in quello europeo […] Sia dal partito azzurro sia da FdI viene sottolineato che «s’imporrà una riflessione sull’evoluzione dei rapporti tra i soggetti, per verificare se sono compatibili. La volontà di discuterne c’è». Tradotto vuol dire che presto o tardi si arriverà al bivio. E che la premier avrà un compito determinante nella scelta.
Da una parte c’è l’opzione del rassemblement, una sorta di Pdl 2.0 che sia funzionale all’ambizione di Meloni di costruire in Europa un «percorso comune tra Conservatori e Popolari», capace di guidare l’Unione. Una lista comune sconterebbe però una serie di problemi: il primo è legato al sistema di voto proporzionale, che privilegia la conta tra identità diverse; il secondo — molto più importante — è che Forza Italia fa parte del Ppe mentre FdI sta nell’Ecr. In quale gruppo a Strasburgo siederebbero gli eletti? L’altra opzione, più accreditata, è che i partiti vadano al voto separatamente, scommettendo sul fatto che né il Pd «a trazione Schlein» né il Terzo polo possano insidiare il bacino elettorale di centro.
Ma quello che accadrà dopo le Europee «andrà comunque deciso prima», spiega uno dei massimi dirigenti azzurri, che mette tra le «ipotesi» la nascita del «Partito Repubblicano, più volte evocato da Berlusconi». Insomma, la discussione sul progetto di aggregazione tra FdI e FI rappresenterà «lo snodo politico» dei prossimi mesi […] E i cambiamenti imposti poche settimane fa dal Cavaliere nel gruppo dirigente forzista sembrano propedeutici all’esito del percorso: Tajani è considerato «funzionale» al nuovo rapporto tra Meloni e «la famiglia Berlusconi».
Il punto è se l’operazione politica sarà costruita o se sarà frutto degli accadimenti. In quel caso rischierebbe di prestare il fianco alle contromosse di Salvini e Renzi, interessati all’eredità politica forzista. Il fondatore di Iv, all’ombra del nuovo incarico giornalistico, si sta muovendo con i dirigenti azzurri. A sentire fonti accreditate «dialoga anche con Marina Berlusconi, con la quale vanta ottimi rapporti».
(da Il Corriere della Sera)
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